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www.ildialogo.org Notizie dal Sinodo dei Vescovi,da Adista Notizie n. 38 del 27/10/2012

Notizie dal Sinodo dei Vescovi

da Adista Notizie n. 38 del 27/10/2012

DIVORZIATI, NUOVE FAMIGLIE, POVERTÀ, EVANGELIZZAZIONE. QUALCHE VOCE DAL SINODO FUGGITA

36885. CITTÀ DEL VATICANO-ADISTA. Sono in pieno svolgimento in Vaticano i lavori del Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione (6-28 ottobre). I vescovi sono intervenuti praticamente tutti (in totale sono 262), dopo la Relatio ante disceptationem pronunciata dall’arcivescovo di Washington, il card. Donald Wuerl (v. Adista Notizie n. 37/12). Nessuno dei padri sinodali che abbia però fatto riferimento all’“ermeneutica della discontinuità” – cioè a quel filone di pensiero che vuole il Concilio Vaticano II come una rottura con la Tradizione e che appartiene tanto ai detrattori quanto agli estimatori dell’assise del 1962, di cui quest’anno si celebra il 50° dell’inizio – malgrado il cardinale statunitense l’avesse ripetutamente indicata quale causa di una situazione secondo lui critica: il ripiegamento della Chiesa, intimorita e suggestionata dalla secolarizzazione, cioè l’allontanamento della cultura occidentale da quel cristianesimo che pure l’ha fondata. I vescovi non hanno parlato di discontinuità, e hanno svolto i loro interventi in termini più concilianti della Relatio, che pure sintetizzava l’Instrumentum laboris (IL), testo più aperto, meno schierato, e “ordine del giorno” sul quale discutere. “Discontinuità” o “continuità” conciliare sembra un dilemma nient’affatto cogente per la gran parte dei vescovi di tutto il mondo, che al Sinodo si sono “limitati” a evocare il Concilio con adesione ed entusiasmo, e se di continuità hanno parlato lo hanno fatto per sottolineare la grande influenza dell’assise ecumenica di 50 anni fa sulla pastorale delle loro Chiese particolari, criticandone semmai la insufficiente applicazione, a causa di limitatezza e debolezza umane, e non come frutto di una distorsione delle affermazioni conciliari in contestazione della Tradizione antecedente.

Liberare dalla povertà e dall’ingiustizia

Molti ovviamente i temi e le proposte presenti negli interventi (resi noti solo in sintesi), molte le realtà culturali, sociali ed ecclesiali descritte, ora con soddisfazione, ora con qualche dose di scoraggiamento e segnali di allerta. Solo qualche esempio, nell’impossibilità di un resoconto esaustivo.

Secondo mons. Jorge Eduardo Lozano (Gualeguaychú, Argentina), la povertà nel continente latinoamericano e nel mondo «non è un problema meramente economico o sociologico, bensì evangelico, religioso e morale». «Il consumismo dilapidatore e depredatore sta esaurendo i beni della creazione. I volti dei poveri e degli emarginati sono il volto sofferente di Cristo. In una cultura che pretende di nasconderli» o «di considerare ovvia la povertà, la fede ci incoraggia a metterli al centro della nostra attenzione pastorale. Non è possibile pensare a una nuova evangelizzazione senza un annuncio della liberazione integrale da tutto ciò che opprime l’uomo, ossia il peccato e le sue conseguenze. Non ci può essere un’autentica opzione per i poveri senza un impegno fermo a favore della giustizia e il cambiamento delle strutture di peccato».

Due proposte operative da parte del card. Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace: considerato che «urge una nuova evangelizzazione anche del sociale, non solo perché della nuova evangelizzazione essa è un contenuto ineludibile, ma anche perché ne è, appunto, strumento efficace»; considerato che molte persone «sono oggi sempre più sensibili alle questioni dei diritti umani, della giustizia, dell’ecologia, della lotta alla povertà, ai temi che toccano la vita concreta delle persone e quella in comune delle nazioni» e che «questa è una realtà che può essere colta come un’autentica opportunità», «perché non ipotizzare che nella pagina web del Vaticano, alla voce “Testi fondamentali”, oltre al Catechismo della Chiesa Cattolica appaia anche il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa? Oppure, perché non pensare a consacrare un’Assemblea sinodale al tema, proprio, della (Nuova) Evangelizzazione del sociale?».

Mons. François Lapierre, di Saint-Hyacinthe (Canada) ha rilevato che «l’Instrumentum laboris è molto ricco ma allo stesso tempo piuttosto vago nel trattare il rapporto tra la Nuova Evangelizzazione e la dottrina sociale della Chiesa. Il legame intimo che esiste tra l’annuncio del Vangelo e il servizio della giustizia e della pace non mi sembra abbastanza approfondito.

Questa situazione rischia di far apparire la Nuova Evangelizzazione come una risposta ai problemi interni della Chiesa e non come un contributo unico allo sviluppo della giustizia e della pace nel mondo».

L’arcivescovo maggiore di Trivandrum dei Siro-Malankaresi, Capo del Sinodo della Chiesa Siro-Malankarese (India), Baselios Cleemis Thottunkal, ha messo in evidenza due punti: «L’attuale società asiatica, in cui i credenti di altre religioni costituiscono una maggioranza predominante, non sembra apprezzare e riconoscere termini come proclamazione, evangelizzazione, ecc. Queste parole hanno un senso diverso per loro, dal quale consegue anche un atteggiamento diverso», che deve essere quello della «testimonianza». Ma, «se la Chiesa, la continuazione di Gesù nel mondo, si allontana da qualsiasi processo per accrescere la pienezza di vita, da qualsiasi mezzo per assicurare la dignità umana, siate certi che l’esperienza e la testimonianza dell’Emanuele sarà debole in quella parte del mondo. Ogni tentativo, da parte della Chiesa, di promuovere la dignità umana» e «i valori democratici», «di portare giustizia ai meno privilegiati», «è un segno autentico di obbedienza alla volontà di Gesù».

Sui divorziati risposati è ora di cambiare

Mons. Bruno Forte, vescovo di Chieti-Vasto, ha innanzitutto spezzato una lancia in favore dell’Azione Cattolica – «strumento prezioso» per l’evangelizzazione – che in un passato non troppo lontano ha subìto una sorta di emarginazione nella Chiesa, che le ha preferito i «nuovi movimenti» (Cl, carismatici, neocatecumenali, ecc.); poi ha toccato un argomento molto sensibile nella Chiesa cattolica: richiamando «come sia drammatica la situazione dei figli di divorziati risposati che spesso vengono resi estranei ai sacramenti dalla non partecipazione dei loro genitori», ha considerato la necessità sia di «una decisa svolta nel senso della carità pastorale», sia di «avviare una riflessione sui modi e i tempi necessari per il riconoscimento della nullità del vincolo matrimoniale».

Sui divorziati rispostati ha sollevato l’attenzione anche mons. José Domingo Ulloa Mendieta, arcivescovo di Panamá. Ha premesso che, come ai tempi di Gesù, la «testimonianza dell’amore cristiano continua a possedere forza evangelizzatrice» e che, «affinché le nostre famiglie rispecchino questo volto di Chiesa domestica, è necessario che siano vere comunità di amore e di vita, di fede e di salvezza». Ma «per far ciò – ha segnalato – dobbiamo sviluppare e rafforzare la pastorale di accompagnamento ai matrimoni e alle famiglie», e al contempo «non dobbiamo trascurare le famiglie che si trovano in situazioni irregolari: esse costituiscono un’altra preoccupazione nella pastorale della Chiesa. Malgrado questa costante preoccupazione, la pastorale delle famiglie in situazione “irregolare” (divorziati risposati) non sembra trovare risposte adeguate al problema ed è spesso fonte di evidente insoddisfazione per i fedeli che vivono questa situazione e che si sentono incompresi, giudicati, condannati ed esclusi, nonostante continuino a credere nella misericordia di Dio padre e vogliano vivere in seno alla madre Chiesa».

«Dove abbiamo sbagliato?»

Mons. Socrates B. Villegas, di Lingayen-Dagupan (Filippine) nel suo intervento è stato durissimo: «L’evangelizzazione – ha fra l’altro detto – è stata ferita e continua ad essere ostacolata dall’arroganza dei suoi agenti. La gerarchia deve evitare l’arroganza, l’ipocrisia e il settarismo. Dobbiamo punire quanti tra noi sbagliano, invece di nascondere gli errori».

Chi, come il card. Wuerl nella sua Relatio, ha lamentato una incapacità della Chiesa a resistere alla secolarizzazione è stato il card. Antonio María Rouco Varela, arcivescovo di Madrid e presidente dei vescovi spagnoli. «La storia della secolarizzazione, iniziata nel XVII secolo, culmina nel secolo XX con il postulato della “morte di Dio” e con l’esaltazione del “Superuomo”». «La Chiesa – vescovi, sacerdoti, religiosi e laici – è stata all’altezza di questa sfida?», ha chiesto il cardinale. «Non si sono lasciati influenzare a volte dall’ideologia secolarista? Non ci è costato a volte mostrare ciò che siamo e chi siamo dentro e fuori nella “pubblica piazza della storia” (Benedetto XVI)?ۚ».

Mons. Jorge Herbas Balderrama, vescovo prelato di Aiquile (Bolivia), ha raccontato che «molti agenti pastorali (…), stretti collaboratori della comunità parrocchiale, sono entrati nella vita politica e, ricoprendo cariche di potere, hanno voltato le spalle alla Chiesa cattolica. Per questo ci domandiamo in che cosa abbiamo sbagliato come Chiesa nella loro formazione nella fede, o se siano cristiani più per tradizione e convenienza che per convinzione. Per rispondere a questa realtà, la Nuova Evangelizzazione deve cominciare evangelizzando innanzitutto gli evangelizzatori. (…). Allora si potrà passare da una pastorale conservatrice, con strutture che non favoriscono la trasmissione della fede, a una pastorale decisamente missionaria ed evangelizzatrice, integrandosi nella Chiesa, che è comunione e partecipazione, riflesso della comunione trinitaria».

Per mons. Santiago Jaime Silva Retamales, vescovo di Valparaíso e segretario generale del Consiglio episcopale latinoamericano (Colombia) «la Chiesa “di sempre”, chiamata, per evangelizzare, ad aprirsi a nuovi scenari, non può essere una comunità “tradizionale”, ma deve essere ancorata alla tradizione viva. Non può essere una comunità di ermeneutiche chiuse e interessate, bensì una comunità che si lascia interpellare dalla Parola di Dio e che ascolta in fecondo silenzio. Non può essere una comunità potente che “im-pone”, ma una che si “es-pone”».

Il preposito generale della Compagnia di Gesù, p. Adolfo Nicolás, si è fatto portavoce di un mea culpa ecclesiale molto significativo in materia di evangelizzazione: «Provengo da una tradizione di evangelizzazione e di spiritualità – ha detto – che incoraggia a “trovare Dio in ogni cosa”. Mi sembra che noi missionari non l’abbiamo fatto con la profondità richiesta e quindi non abbiamo arricchito la Chiesa Universale nella misura in cui la Chiesa era in diritto di attendersi da noi. Abbiamo cercato le manifestazioni occidentali della fede e della santità e non abbiamo scoperto in che maniera Dio ha operato presso altri popoli. E tutti ne siamo impoveriti. Abbiamo perso di vista indizi, prospettive e scoperte importanti».

Piccola miscellanea

Una soluzione proposta da vari vescovi, soprattutto africani e asiatici, per rivitalizzare la presentazione del messaggio evangelico è lo sviluppo delle “piccole comunità”, cellule primordiali – sono state definitive – di una struttura ecclesiale per vivere la fede, formarsi, evangelizzare e intraprendere azioni comunitarie. Le Comunità ecclesiali di Base sono state evocate dal vescovo tailandese mons. Francis Xavier Kriengsak Kovithavanij, di Bangkok, e dal congolese mons. Nicolas Djomo Lola, di Tshumbe, ma non dai vescovi latinoamericani dove pure le Ceb sono nate (Brasile) dando un notevole contributo all’evangelizzazione.

L’istituzione di un ministero del catechista, già formulata dall’Instrumentum laboris, è stata sollecitata da più vescovi, insieme alla richiesta di più ampio spazio per i laici. Fra questi, le donne per le quali il vescovo canadese mons. Brian Joseph Dunn, di Antigonish, ha chiesto «un deliberato e sistematico coinvolgimento delle donne, conferendo loro posizioni di guida ad ogni livello di vita ecclesiale, e cioè permettendo loro di essere designate come lettrici e accoliti e istituendo il ministero del catechista».

Mons Dunn è stato anche l’unico, a quanto finora risulta, ad affrontare il delicato tema delle vittime degli abusi sessuali nella Chiesa, segnalando la necessità di fornire loro «un’autentica opportunità di ascolto e comune discernimento per comprendere la profondità del dolore, della rabbia e della delusione derivanti da questo scandalo» con l’istituzione di un ufficio apposito in ogni diocesi, nonché «analizzando i motivi che hanno portato a questa crisi» e «mettendo a punto misure atte a creare ambienti sicuri per i bambini».

Particolare risalto è stato frequentemente dato alla necessità del sostegno alla famiglia “naturale”, alla pastorale per l’immigrazione; all’urgenza di un’inculturazione sostanziale – e non solo verbale, come evidentemente si denuncia – del messaggio evangelico e al dialogo interreligioso, in special modo con l’islamismo; alla formazione di sacerdoti, religiosi e religiose.

La tensione esistente fra teologia e istituzioni, fra profezia e gerarchia è emersa anche in questo Sinodo. Il card. Zenon Grocholewski, prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica, ha rilevato che «rimane ancora nella prassi poca chiarezza circa la relazione fra il ruolo della teologia e del Magistero della Chiesa». Secondo il cardinale, «il piu grande ostacolo per diventare teologo (o pastore) costruttivo, e quindi efficace nella prospettiva della nuova evangelizzazione, è senza alcun dubbio la superbia con il suo alleato naturale: l’egoismo. La mania di diventare grande, originale, importante, riduce non pochi ad essere “pastori che pascono se stessi e non il gregge” (cf. Ez 34, 8; cf. Sant’Agostino, Discorso sui pastori), in realtà diventando poco rilevanti nel Regno dei Cieli, controproducenti per la crescita della Chiesa e per l’evangelizzazione». Sulla stessa linea di forte critica, mons. Héctor Rubén Aguer, arcivescovo dell’argentina La Plata, ha detto: «Gli errori teologici e filosofici che circolano nei centri accademici, nei seminari e nei noviziati e che si diffondono attraverso la predicazione e la catechesi, suscitando confusione tra il popolo di Dio, vanno annoverati tra le cause della situazione attuale della fede. La nuova evangelizzazione richiede il superamento di questi difetti che indeboliscono la certezza della fede; per questo motivo, bisogna fare sì che la formazione degli agenti di pastorale corrisponda al magistero della Chiesa». (eletta cucuzza)

RELIGIOSE E RELIGIOSI AL SINODO: CARI VESCOVI, SU PACE E GIUSTIZIA NON CI SIAMO

36886. ROMA-ADISTA. Giustizia, ecologia, modo di trasmissione della fede: tre questioni che non sono trattate con la dovuta attenzione dall’Instrumentum laboris, lo “strumento di lavoro” che guida negli interventi e nella riflessione gli ecclesiastici riuniti nella XIII assemblea del Sinodo sull’Evangelizzazione (v. notizia precedente e Adista Notizie n. 37) fino al 28 ottobre, giorno in cui presenteranno le loro proposte, o proposizioni, a Benedetto XVI che, se lo riterrà opportuno, le utilizzerà per una Esortazione apostolica e/o altra regale disposizione. Molto autorevole la critica, in quanto porta la firma della Commissione mista “Giustizia, Pace e Integrità del creato” delle Unioni generali dei superiori religiosi e delle superiore religiose (rispettivamente Usg e Uisg), ed è espressa in una lettera diretta personalmente a ciascuno dei 262 “padri sinodali” perché ne tengano «in considerazione il contenuto». Lettera che peraltro fa intuire un disaccordo ben più ampio dei religiosi con l’Instrumentum (che, ricordiamo, è redatto in Vaticano sulla base delle risposte delle Conferenze episcopali ai Lineamenta, redatti in Vaticano, sul tema scelto per il Sinodo ordinario). Sul finire, vi si legge: «Queste sono alcune tra le tante osservazioni che vengono in mente studiando l’Instrumentum».

Per quanto riguarda la giustizia, i religiosi ricordano che, se nell’enciclica di Paolo VI Evangelii nuntiandi si afferma: «Tutto ciò che riguarda la comunità degli uomini – situazioni e problemi relativi alla giustizia, alla liberazione, allo sviluppo, alle relazioni tra i popoli, alla pace – non è estraneo all’evangelizzazione e questa non sarebbe completa se non tenesse conto del reciproco appello che si fanno continuamente il Vangelo e la vita concreta, personale e sociale dell’uomo»; nel documento di lavoro del Sinodo, «la relazione costitutiva tra evangelizzazione e proclamazione del Regno di Dio come questione di “giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo” (Rm 14,17) non è sottolineata in modo integrato nel documento».

Manca poi nell’Instrumentum, scrivono ancora i firmatari, un incoraggiamento alla «conversione ecologica» dei cristiani con «impegni precisi». Eppure la preoccupazione per il «deterioramento e la distruzione dei sistemi che sostengono la vita» è stata «ben espressa in molti interventi papali e del magistero ecclesiale. Giovanni Paolo II mette in luce il dovere dei cristiani nei confronti della natura e della creazione come “parte essenziale della loro fede” (Messaggio per la Giornata della pace del 1990)».

E c’è una terza questione il cui approccio, da parte del documento di lavoro del Sinodo, non è condiviso dai religiosi di “Giustizia, Pace e Integrità del Creato” e che sintetizzano con «trasmissione in contrasto con dialogo». Spiegano: «Altri documenti ecclesiali (p. es. Gaudium et spes, Evangelii nuntiandi) intendono l’evangelizzazione come “dialogo con il mondo”. Questo documento invece pone l’enfasi continuamente sulla “trasmissione della fede cristiana” ai diversi gruppi e settori. “Trasmissione” denota un “trasmittente” e un “ricevente”, con un evidente contrasto tra “soggetti” agenti e “oggetti” sui quali si agisce. Sembra esserci poco spazio per la reciprocità – è l’osservazione dei religiosi – ovvero per la possibilità di essere evangelizzati dalla creazione di Dio, dalle esperienze, in definitiva dal mondo che Dio vede come buono e amabile». (e. c.)

Articolo tratto da
ADISTA
La redazione di ADISTA si trova in via Acciaioli n.7 - 00186 Roma Telefono +39 06 686.86.92 +39 06 688.019.24 Fax +39 06 686.58.98 E-mail info@adista.it Sito www.adista.it



Sabato 27 Ottobre,2012 Ore: 14:25
 
 
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