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www.ildialogo.org CITTÀ DEL VATICANO: UNO STATO IN ATTESA DI DIRITTO. INTERVISTA AL GIURISTA FRANCESCO ZANCHINI,da Adista Notizie n. 22 del 09/06/2012

CITTÀ DEL VATICANO: UNO STATO IN ATTESA DI DIRITTO. INTERVISTA AL GIURISTA FRANCESCO ZANCHINI

da Adista Notizie n. 22 del 09/06/2012

36717. CITTÀ DEL VATICANO-ADISTA. Capro espiatorio o lucido stratega di un disegno di delegittimazione dei vertici vaticani e di cospirazione contro il papa? In questi giorni, dopo l’arresto di Paolo Gabriele, l’aiutante di camera di Benedetto XVI, in custodia cautelare dal 25 maggio scorso, le domande sono tante. Tra queste, però, anche alcune sfuggite agli organi di informazione e che riguardano le garanzie concesse all’indagato. La sua anomala carcerazione preventiva, l’arretratezza del sistema giudiziario vaticano, fermo a più di un secolo fa, il fatto stesso che lo Stato della Città del Vaticano non sia certo uno Stato di diritto nel senso moderno del termine, essendo una teocrazia. Il reato stesso contestato a Gabriele, che inizialmente sembrava la violazione della corrispondenza di un Capo di Stato che equivale ad attentato alla sicurezza dello Stato (fino a 30 anni di carcere), ma che sembra ora semplicemente quella di “furto aggravato” (fino a sei anni di reclusione più una multa).

A questo proposito, va forse sottolineato che una parte dei documenti pubblicati nel libro di Gianluigi Nuzzi, ma anche dai giornali, provenga dalla Segreteria di Stato, e non dagli appartamenti papali, come già indicava la dicitura «Pervenuta» stampigliata in alto a destra della lettera di Viganò a Bertone riprodotta da Il Fatto quotidiano nell’edizione del 28/1, v. Adista Notizie n. 5/12). Quel tipo di documenti, nel caso non siano stati portati in visione al papa, non possono essere stati sottratti da Gabriele. Franco Bechis, su Libero (26/5) sottolinea inoltre che ai documenti segreti del Vaticano avevano accesso anche i membri della Gendarmeria vaticana. E poi, rileva Bechis, «molti documenti riservati non avevano in sé portata esplosiva. Letti lì per lì forse non avevano nemmeno alcun tipo di interesse. Sono usciti però prendendo interesse, dopo molti mesi, quando qualche fatto di cronaca ne aveva valorizzato il collegamento. Si pensi al carteggio già datato sulla ricerca del nuovo vescovo di Milano, spuntato fuori solo nel bel mezzo del caso Roberto Formigoni in Lombardia. Parole banali hanno preso ben altro significato. Può un maggiordomo mite e ingenuo come è descritto Gabriele fare uso di tanta malizia e arguzia politica?».

Delle questioni “procedurali” e più in generale delle “garanzie” offerte dal sistema giudiziario della Città del Vaticano abbiamo parlato con Francesco Zanchini professore emerito di Diritto Canonico presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Teramo e avvocato della Rota vaticana. (valerio gigante)

Come avvocato abilitato al patrocinio nello Stato della Città del Vaticano, che idea si è fatto della giustizia vaticana?

Ho avuto modo negli anni di notare un andamento molto diverso tra giustizia civile e giustizia penale: la prima di norma estremamente corretta, e francamente piacevole per chi provenga dal caos dell’udienza italiana; la seconda, inquinata da una commistione tra interessi dell’esecutivo e ordine giudiziario, che ne menoma l’affidabilità pure quando a rendere giustizia si trovino magistrati competenti e meticolosi. Mi riferisco anzitutto all’uso terroristico della carcerazione preventiva (croce e delizia di tutte le procure di questo mondo, ma negli ordinamenti democratici garantisticamente circoscritta) al fine di ottenere la confessione dell’arrestato. Nello Stato della Città del Vaticano il papa regna, ma non governa. Polizia e promotore di giustizia [l’equivalente del nostro Pm, ndr] sono emanazione diretta della governance, che decide quando (ma accade quasi sempre) valersi degli organi corrispondenti dello Stato italiano per la repressione dei delitti commessi nella Città Leonina, in base all’art. 23 del Trattato del Laterano: delega di giurisdizione comodissima, date le dimensioni funzionali della magistratura interna. A tale delega la governance può però a sua discrezione rinunciare, quando il processo potrebbe portare alla luce qualche scorrettezza politico-amministrativa (i panni sporchi si lavano in famiglia). Su questo punto consultazioni immediate, quando il caso è delicato, si svolgono tra polizia interna (formata di solito da ex carabinieri e simili) e promotore di giustizia, non senza intervento del Governatorato. La valutazione, in tali casi, diretta all’uso o meno della delega esterna, è dunque squisitamente politico-discrezionale, fino al livello, del resto nobilissimo, della ragion di Stato. Agghiaccianti però alcune conseguenze, pur coperte da tanto di perizie balistiche e sentenze “di copertura” in caso di delitti di sangue; che sposano inevitabilmente “teoremi” come quello del duplice omicidio consumato dal coscritto Cédric Tornay sul comandante della Guardia svizzera Alois Estermann e sua moglie; delitto seguito da suicidio [tesi che, però, non persuase i periti della madre del coscritto; che in patria hanno ripetuto l’autopsia, concludendo che Tornay si trovava in ginocchio, quando qualcuno lo eliminò con un colpo di pistola alla nuca].

Della situazione di Gabriele, da esperto dei due diritti, che opinione si è fatto?

Vorrei sapere se e quando all’arrestato sia stata rivolto l’avvertimento che ogni sua dichiarazione sarebbe stata usata contro di lui e che aveva il diritto di nominare un avvocato. O se gli sia stato concesso di incontrare i parenti. Sono cose che contano, perché altrimenti il clima di assedio derivante dal trovarsi all’improvviso catturati in un contesto legale ignoto, retto da un arbitrio ineluttabile, rende possibile l’allacciarsi di un rapporto sado-masochistico con l’apparato di accusa, vissuto come potere onnipotente, inducendo atti patologici di collaborazione col sequestratore, come nella sindrome di Stoccolma. Ho pure letto che vi sarebbero state addirittura delle perquisizioni domiciliari svolte dalla gendarmeria in territorio italiano, seppure nelle vicinanze dello Stato della Città del Vaticano. Con quale diritto si è potuta violare l’integrità territoriale della sovranità italiana, con tanta disinvoltura? Sempre nel caso in questione, un uso terroristico dei mezzi inquisitori mi pare evidente, almeno da quel che raccontano le gazzette: prima si spara un’imputazione di delitto politico (trent’anni di pena, o poco meno, per attentato alla libertà del Capo dello Stato, ma l’addebito non è chiaro) e poi si ripiega sul furto. Bisognerebbe sapere se, frattanto, si sia ottenuta qualche ammissione di responsabilità, e si avrebbe la prova di questo uso intimidativo illecito dell’inchiesta. E poi: quanto si è aspettato (ammesso che un interrogatorio nelle forme del giusto processo ci sia stato) per portare il prevenuto davanti al giudice istruttore? Di quanto tempo hanno avuto bisogno polizia e promotore di giustizia, per torchiare il “maggiordomo” del papa? E in quale momento costui ha avuto la possibilità di conferire da solo col proprio difensore e di avvalersene di fronte agli organi dell’accusa?

Ha avuto qualche esperienza come difensore di cittadini vaticani indagati per reati penali? Che impressione ha ricavato del “sistema” guardandolo dal di dentro?

Non ho più trattato questioni penali dopo averlo fatto ai tempi del “rinnovamento” conciliare, a margine di un’esperienza decisiva, in termini di disillusione. Chiamato a difendere alcuni tecnici di telefonia imputati pretestuosamente di furto, tentai una difesa d’attacco, a tutela dei diritti umani degli imputati, sine die detenuti dal Pm pro-tempore con la minaccia di non uscire mai più dalle sante galere (il sospetto che mi muoveva era che, lungi dal trattarsi di furto, ci fosse di mezzo una rete di intercettazione assoldata da qualche corvo del tempo per monitorare alcuni “intoccabili”). Come unico risultato, gli imputati vennero “consigliati” di revocarmi il mandato in cambio di una derubricazione del reato e di una riduzione della pena ai domiciliari. Se poi, volati gli stracci, ci sia stato un puntuale regolamento di conti politico a ben altro livello, ovviamente non si seppe mai. Ma il quadro iniziale era angoscioso; e uno degli arrestati venne guidato a uno spioncino dal gendarme, il quale gli indicò la moglie per strada, che era venuta a chiedere un colloquio (che le fu negato): «Se vuoi rivedere ancora tua moglie, in vita tua, devi confessare!».

Quella dello Stato della Città del Vaticano resta una monarchia assoluta per diritto divino. Ci sono procedure opache o arbitrarie della giurisdizione di questo Stato così particolare e diverso da quelli informati ai principi della separazione dei poteri? E che garanzie di terzietà danno i giudici-ecclesiastici dei tribunali vaticani?

La verità è che lo Stato della Città del Vaticano è una fictio juris e noi tutti facciamo finta che esista. Fu comodo crearla, per rassicurare le “potenze cattoliche” che la libertà papale era ferma e certa; ma in realtà, non essendoci popolo, dichiarare la pubblicità dell’udienza dei suoi giudici è asseverare un mito, come ad esempio quello che lo Stato della Città del Vaticano avrebbe una Costituzione (la Legge sulle fonti del diritto, recentemente aggiornata, non essendo stata concessa ad alcun popolo di cittadini, dichiara solo le forme in base alle quali il Legislatore assoluto esprimerà in futuro la propria volontà, forme che cambierà se e quando gli farà comodo). In realtà, siamo di fronte a un’azienda di servizi interamente sottoposta alla funzione e al prestigio politico del vertice della Chiesa universale.

Per questo, se in Vaticano qualcuno ruba la questione è irrilevante; si pone solo quando qualcuno si mette in testa di dare fastidio a chi comanda per davvero, che è l’apparato di governance, finché il papa lo mantiene in carica. Allora sì sono dolori, e senza controlli seri, visto che i magistrati sono designati e stipendiati dal potere esecutivo. Così mentre si persegue la regola dell’efficienza, di quelle dell’etica non frega niente a nessuno, finché la barca di Pietro va.

Per il resto, la famiglia apostolica (e tutte le altre sigle inesistenti che gravitano nel sistema) è sempre stata una greppia cui ci si affeziona se se ne traggono vantaggi. Il che comporta che la gente ci sta, anche per pochi spicci; e che chi ruba riceve un rimprovero bonario (così fan tutti), o tutt’al più viene costretto a restituire il maltolto senza scandalo. Così oggi deve essere un problema per Benedetto XVI, indovinare da che parte arriva lo schiaffo del soldato. (v. g.)

Articolo tratto da
ADISTA
La redazione di ADISTA si trova in via Acciaioli n.7 - 00186 Roma Telefono +39 06 686.86.92 +39 06 688.019.24 Fax +39 06 686.58.98 E-mail info@adista.it Sito www.adista.it



Mercoledì 06 Giugno,2012 Ore: 15:22
 
 
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