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www.ildialogo.org L'OMBRA DELL’OPUS DEI DIETRO IL DELITTO ROVERARO? UN LIBRO-INCHIESTA,di Agenzia Adista n. 86 - 26 Novembre 2011

L'OMBRA DELL’OPUS DEI DIETRO IL DELITTO ROVERARO? UN LIBRO-INCHIESTA

di Agenzia Adista n. 86 - 26 Novembre 2011

36409. ROMA-ADISTA. Per oltre due anni, due inviati del quotidiano Il Sole 24 Ore, Angelo Mincuzzi e Giuseppe Oddo, hanno ripercorso la vita di Gianmario Roveraro, il finanziere milanese dell’Opus Dei ucciso nell’estate del 2006, e studiato i suoi rapporti d’affari. Dall’inchiesta è nato un libro, Opus Dei, il segreto dei soldi. Dietro i misteri dell’omicidio Roveraro (Feltrinelli 2011, pp. 224, € 14), che tenta di far luce sui tanti interrogativi che ancora avvolgono l’omicidio, ma anche sulle relazioni tra i protagonisti, nonché sul coinvolgimento, diretto o indiretto, della Prelatura personale dell’Opus Dei attraverso la galassia di società controllate da uomini dell’Opera che hanno intrecciato le loro vicende con l’attività di Roveraro e che gestiscono su mandato della Prelatura un ingente patrimonio immobiliare.

Roveraro fu trovato morto, ucciso da un colpo di pistola alla nuca e fatto a pezzi con un machete, nelle campagne parmensi, tra Solignano e Citerna, il 21 luglio del 2006, due giorni dopo essere stato sequestrato, a due passi dalla sua abitazione milanese, mentre era di ritorno da un incontro nella sede di Crocetta dell’Opus Dei, di cui era soprannumerario.

Per quella barbara uccisione sono stati condannati all’ergastolo in via definitiva Filippo Botteri (consulente finanziario parmigiano) e due suoi complici, Marco Baldi ed Emilio Toscani.

Le indagini accertarono che il finanziere fu caricato su di un’automobile e portato via nel modenese dove fu tenuto prigioniero all’interno di un casello idraulico. Da lì Botteri lo costrinse a fare una serie di telefonate affinché recuperasse la somma di un milione di euro per il suo riscatto. Secondo la ricostruzione processuale, quando fu chiaro che il denaro tardava ad arrivare, Botteri avrebbe ucciso il finanziere.

L’assassino è reo confesso, anche se ha ritrattato più volte le sue dichiarazioni. Inoltre, rilevano gli autori del libro, nell’auto che sarebbe stata usata per trasportare i resti del corpo di Roveraro non vennero trovate né tracce di sangue né resti di materiale organico. Strano che il cadavere, fatto a pezzi di notte e in aperta campagna e conservato in sacchi di plastica, non abbia lasciato tracce all’interno di un veicolo. E nemmeno sugli abiti, sulle mani o sulle suole dell’assassino o del suo complice.

Sulla dinamica dell’omicidio, al di là della verità giudiziaria, restano quindi forti dubbi. Così anche, se non sugli esecutori, sul movente e su eventuali mandanti. Su tutto questo il libro tenta di far luce. Aprendo molti interrogativi, segnalando i complessi intrecci tra Roveraro, l’Opus Dei e personaggi di spicco del mondo politico ed imprenditoriale, ma non fornendo una chiave interpretativa univoca dei fatti.

Roveraro, nato ad Albenga nel 1936, sposato con tre figli, dopo lo sport a livello agonistico  (fu campione italiano di salto in alto e partecipò alle Olimpiadi di Melbourne del 1956), si laureò in economia e si avviò alla finanza. Entrò nell’Opus Dei nel 1963. Nel 1974 divenne amministratore delegato di Sige, la società finanziaria dell’Imi (Istituto Mobiliare Italiano) che si occupava della gestione del risparmio delle imprese. Lì conobbe Ettore Gotti Tedeschi, altro soprannumerario dell’Opus Dei, con cui lasciò Sige per fondare, nel 1987, Akros, una banca che raccolse 275 miliardi da 210 azionisti (fra cui Fiat, Iri, Cir, Ferrero, Parmalat, Commercial Union, Banca Popolare di Milano e Cassa di Risparmio di Torino: insomma, il gotha del capitalismo italiano) e che arrivò ai primi posti in Italia nella gestione del risparmio e nell’intermediazione in Borsa. All’apice del successo, nel 1991, Roveraro subentrò al “laico” Giovanni Agnelli nel consiglio di amministrazione del Credito italiano. Un fatto che ebbe una forte risonanza, perché segnava, tra mille polemiche, una decisa vittoria della “finanza bianca” su quella “laica”, capeggiata da Enrico Cuccia e da Mediobanca. Nei primi anni ‘90, grazie alla Akros, Roveraro curò la quotazione in borsa, tra gli altri, di Benetton e della Parmalat di Calisto Tanzi. Nel 1994 Roveraro entrò però nell’inchiesta di Mani Pulite con l’accusa di corruzione e fu condannato in primo grado, con rito immediato ad 11 mesi. Nel 1997, intanto, la situazione economica e finanziaria della Akros (da cui Gotti Tedeschi era uscito nel 1992) era compromessa. E Roveraro è costretto ad uscire di scena. Alla fine degli anni ‘90 venne coinvolto nell’indagine sul dissesto della Federconsorzi, la Federazione Italiana dei Consorzi Agrari. Poi – proprio per il suo lavoro con Parmalat – entrò nell’inchiesta successiva al crack dell’azienda di Collecchio.

Insomma, Roveraro era un “pezzo da novanta” del mondo economico finanziario di matrice cattolica, uno dei più importanti banchieri italiani. Per molti, addirittura l’anti-Cuccia. Come è allora possibile, si chiede a più riprese il libro, che un uomo di affari di così alto livello e prestigio, dalla vita schiva ed irreprensibile (girava per strada col cilicio) abbia potuto invischiarsi in vicende di basso profilo finanziario, mettendosi in affari con uomini dei quali non avrebbe certo avuto bisogno, e che anzi potevano danneggiarne l’immagine e la credibilità?

A partire da questo interrogativo, i due giornalisti si soffermano in particolare su un affare finanziario finito male, il cosiddetto “affare Austria”. Nel 2001 Roveraro propose a Botteri una operazione finanziaria di safe keeping ad altissimo rendimento: si trattava di dare un bene in garanzia a una banca, per ottenere un finanziamento da investire in titoli ad alta redditività. Il guadagno stava nell’abilità di dare una garanzia minima, ma di ottenere un ingente finanziamento. Per far questo, Roveraro e Botteri acquisirono una società a Londra, la Engineering Data Service Ltd, tra i cui soci vi era Franco Todescato, amministratore della Austria International Consulting, poi arrestato nel 2003 per associazione a delinquere finalizzata alla contraffazione di titoli. A mettere in contatto Roveraro con Todescato fu Giuseppe Maffei, ingegnere romano vicino all’Opus Dei. Consulente finanziario della Aic è invece Fabio Gnudi, ex dipendente della Banca Nazionale dell’Agricoltura ed “esperto” di tecnica bancaria. I proventi dell’“affare Austria”, secondo quanto avrebbe esplicitamente affermato Roveraro (verbale di sommarie informazioni rese da Gnudi il 16/8/2006), sarebbero poi andati agli enti ed alle fondazioni che facevano capo all’Opus Dei.

Dopo la rottura con Gotti Tedeschi ed il fallimento della Akros, raccontano Mincuzzi ed Oddo, Roveraro era ormai tagliato fuori dal “giro che conta”. Manteneva però un forte senso di appartenenza alla Prelatura. Finché era stato al vertice della Sige e della Akros aveva in molte occasioni distribuito fondi in beneficenza all’Opera. Una volta uscito dal giro che conta poi, poiché le opportunità di reperire fondi cominciavano a scarseggiare e forse anche per rientrarvi, avrebbe accettato persino operazioni di piccolo cabotaggio, specie se a proporgliele era qualcuno dell’ambiente dell’Opus Dei.

Era già successo, raccontano i giornalisti del Sole 24 Ore, quando il commercialista Rocca, numerario dell’Opus Dei di Palermo, si era rivolto allo studio Cesarini-Gualtieri per un piano di salvataggio della famiglia Rappa, costruttori siciliani indagati per mafia. Roveraro si era messo a disposizione delle banche creditrici ed aveva assunto l’incarico di liquidatore delle società del gruppo. Per la stessa ragione, ipotizzano Mincuzzi e Oddo, il finanziere si imbarcò forse anche nell’“affare Austria”. Lo stesso Botteri sostenne di aver saputo da Roveraro che dell’operazione Austria sarebbe stato al corrente un direttore dell’Opera.

Del resto, l’Opus Dei ha sempre dichiarato di non disporre di altri mezzi se non degli stipendi dei numerari e delle donazioni di soprannumerari e simpatizzanti. E le fondazioni e le iniziative apostoliche che fanno capo alla Prelatura hanno continuo bisogno di soldi. Significative le parole dette da Roveraro, intervistato nel 2004 sul caso Parmalat, da Giuseppe Oddo e Angelo Mincuzzi su Tanzi. Alla domanda su come Tanzi, cattolico e devoto, avesse potuto macchiarsi di reati tanto gravi, il finanziere aveva risposto: «Era un uomo che faceva del bene, capace di gesti generosi, di beneficenze consistenti. Eppure ha truffato, ha truccato i conti, ha preso in giro tutti». (valerio gigante)

Articolo tratto da
ADISTA
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Martedì 22 Novembre,2011 Ore: 16:42
 
 
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