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www.ildialogo.org AUSTRIA: I VESCOVI RICHIAMANO ALL’ORDINE I 300 PARROCI “DISOBBEDIENTI”,da Agenzia Adista

AUSTRIA: I VESCOVI RICHIAMANO ALL’ORDINE I 300 PARROCI “DISOBBEDIENTI”

da Agenzia Adista

36286. VIENNA-ADISTA.  Un «appello all’unità»: è questa la risposta dell’arcivescovo di Vienna e presidente della Conferenza episcopale austriaca card. Christoph Schönborn all’«appello alla disobbedienza» - che è stato in Austria il tema caldo dell’estate - lanciato il 19 giugno scorso nel Paese dai circa 330 sacerdoti (sui 2mila totali, ma il sostegno, anche informale, pare ne coinvolga ben due terzi) della Pfarrer-Initative, che da anni chiedono al Vaticano riforme nella teologia e nella disciplina della Chiesa (v. Adista n. 55/11): ordinazione delle donne, di uomini sposati, comunione per i divorziati risposati, possibilità di avere un presidente laico a capo delle parrocchie, spesso ormai prive di sacerdoti. L’appello lanciato dai sacerdoti (il cui promotore è p. Helmut Schuller, già presidente Caritas nonché numero due di Schönborn tra il 1995 e il 1999), non è giustificato, ha scritto quest’estate l’arcivescovo di Vienna in una lunga lettera ai promotori dell’iniziativa, ed è un elemento di scandalo per i cattolici. «Molti lavoratori – afferma  – si chiedono come sia possibile che la Chiesa inciti a diffondere e praticare la disobbedienza quando sanno che se lanciassero un appello simile nei loro luoghi di lavoro avrebbero già perso da tempo il lavoro»; non è necessario essere sempre d’accordo con ogni decisione ecclesiastica, soprattutto in ambito disciplinare: «È anche lecito prendere talvolta decisioni diverse da parte della curia», ma quando il papa insiste sul rispetto di certi documenti, «la chiamata a disobbedire mette di fatto in discussione la comunità ecclesiastica nel suo insieme». Certo, ammette Schönborn, «è sempre difficile rinunciare a qualche idea o posizione. Ma chi dichiara nullo il principio dell’obbedienza dissolve l’unità».

Che si avvicini il momento del redde rationem per i preti “disobbedienti” pare dimostrato anche da un incontro svoltosi l’11 agosto scorso tra alcuni rappresentanti dell’iniziativa e Schönborn. Il porporato ha detto che si aspetta da essi che chiariscano se intendono seguire le linee guida della Chiesa e il magistero pontificio, oppure no. In quest’ultimo caso, ha affermato, essi dovrebbero valutare se continuare a restare nella Chiesa cattolica. Ha consegnato loro una sorta di “Confessione”, un elenco di domande, chiedendo loro di rispondere entro un termine ragionevole e spiegando che non stava parlando nella sua veste di presidente della Conferenza episcopale austriaca, ma come loro vescovo.

Una Chiesa sempre più divisa

Eppure, secondo quanto si ricava dal settimanale cattolico Die Furche (1/9), l’appello alla disobbedienza ha suscitato in Austria molte reazioni positive, non solo tra i cattolici (il 76% circa dei 2 milioni e mezzo di austriaci appoggia l’iniziativa, cfr. Der Standard, 29/8): alcuni religiosi come p. Martin Felhofer, abate del monastero premostratense di Schlägl (che auspica una seconda grande consultazione del mondo cattolico sul modello del “Dialogo per l’Austria” del 1998) o Maximilian Fürnsinn, gran priore del Santo Sepolcro, avevano espresso «simpatia per qualcuna, se non per tutte le richieste dei sacerdoti», anche se il fronte episcopale frena: mons. Egon Kapellari, vescovo di Graz, chiede infatti ai “disobbedienti” di «togliere il piede dal gas». Per la presidente dell’Azione Cattolica austriaca Luitgard Derschmidt l’appello ha aspetti positivi: la coscienza come guida, ha detto in un’intervista a Die Furche, si configura proprio come «un impegno autonomo del sacerdote». Derschmidt ha quindi espresso comprensione per i sacerdoti che hanno in qualche modo «fatto saltare il colletto romano»: la parola “disobbedienza” può avere un «grande impatto mediatico», ma l’iniziativa, ha sottolineato, ha come fine «non la disobbedienza, ma un’obbedienza più alta a Dio». Il punto è che l’appello non va molto lontano: quando si parla dei «credenti di buona volontà» tra i divorziati risposati ai quali non andrebbe negata l’Eucaristia, si ha la conferma – spiega la Derschmidt – che «il clericalismo non è stato ancora superato: né la Chiesa né i sacerdoti possono determinare la “buona volontà” dei credenti. La Chiesa deve prendere finalmente più responsabilità e prendere sul serio la coscienza dell’individuo e accettare ciò come una linea guida».

Quanto ad un nuovo ruolo dei laici che, secondo i “disobbedienti”, dovrebbero assumere la guida nelle comunità, la presidentessa dell’Azione Cattolica cita il Concilio Vaticano II e il Sinodo sui Laici del 1987, in cui era stato sottolineato che ogni battezzato ha il dovere di annunciare la Parola di Dio: la proclamazione da parte dei laici, dunque, non sarebbe un atto di disobbedienza ma piuttosto di obbedienza. E va ancora più avanti: citando Paolo ai Galati,  - siamo tutti «uno in Cristo», non ci sono più «ebreo né greco, schiavo né libero, né uomo né donna» -, la Derschmidt afferma che «si potrebbe aggiungere che non ci sono più “sacerdoti e laici” e la questione sollevata in merito alla abolizione dell’obbligo di celibato non si porrebbe più, così come la discussione riguardo il ruolo della donna.

Sull’autentico significato dell’obbedienza è intervenuto anche, sulle pagine del quotidiano Der Standard, p. Anton Kolb, docente di filosofia presso la Facoltà di Teologia cattolica di Graz: la PfarrerInitiative, ha scritto (27/8), «non ha abbandonato il principio dell’obbedienza, ma ha criticato un falso concetto di obbedienza, esagerata, incondizionata richiesta dai vescovi, che vorrebbero continuare a “governare” come un tempo». Ma è, invece, «biblicamente e teologicamente sbagliato far dipendere l’unità della Chiesa dall’obbedienza».

La polarizzazione nella Chiesa austriaca, insomma, appare estremamente delicata: e Schönborn promette che ci saranno «conseguenze» per chi decide di proseguire sul cammino della dissidenza. Secondo l’abate Fürsinn, però, il cardinale non può risolvere tutto da solo: «Bisogna riunirsi tutti intorno a un tavolo e discutere: Vescovi, abati, religiosi, rappresentanti della Pfarrerinitiative: ci vuole un organismo più ampio».

Sulla necessità di discutere per evitare un pericoloso stallo nella situazione ecclesiale sarebbe probabilmente d’accordo il presidente della Conferenza episcopale tedesca mons. Robert Zollitsch che, in un’intervista al settimanale tedesco Die Zeit (31/8), si è lamentato della lentezza con cui si discute di riforme nella Chiesa, specie per quanto riguarda la dolorosa situazione dei divorziati risposati. (ludovica eugenio)

Fonte: Adista n. 65 del 17 settembre 2011



Marted́ 13 Settembre,2011 Ore: 14:50
 
 
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