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www.ildialogo.org Accumulate, fratres accumulate,di Luis Bacigalupo

Accumulate, fratres accumulate

di Luis Bacigalupo

La Chiesa cattolica sta rastrellando nel mondo soldi per mettersi al riparo dalla crisi finanziaria. Ecco perché vuole appropriarsi dei beni dell’Università peruviana. da Adista Contesti n. 33 del 22/09/2012


L’autore è direttore accademico della cattedra di Proiezione sociale e estensione universitaria della Pucp. Tratto dal sito iberoamerica.net (26 agosto 2008). Titolo originale: Cuánto vale la PUCP para la Iglesia

In relazione alla crisi della Chiesa, io sono sempre in attesa di dissoluzioni che non giungono. Non che sia impaziente, so che gli avvenimenti a Roma hanno i tempi della lumaca e ipotizzo che ci saranno novità rilevanti solo a ottobre. Ma oggi non posso prolungare la mia autoimposta cura del silenzio. Nell’episodio peruviano di questa crisi, che è la lotta per la Pucp [Pontificia Università Cattolica del Perù, in realtà da un paio di mesi privata dei titoli di pontificia e cattolica, v. Adista Notizie n. 30/12] sono successe cose che meritano almeno un breve commento, per quanto indiretto.

Comincio col sottolineare che la lotta per la proprietà dei beni della Pucp è l’episodio locale di una strategia finanziaria che un settore della Chiesa intende portare avanti in tutto il mondo cattolico. Chi ha letto il famoso libro del giornalista Gianluigi Nuzzi, Sua Santità - quello che ha dato l’avvio allo scandalo dei Vatileaks - si sarà imbattuto nel capitolo in cui si rivela questa strategia, intitolato “Scacco a Benedetto XVI”. Vi si legge che il banchiere vincolato con l’Opus Dei, Ettore Gotti Tedeschi, quando ancora era presidente dello Ior, prospettò al papa e a Bertone la necessità di avere una strategia finanziaria di lungo periodo che permettesse alla Chiesa di superare la crisi economica dei Paesi occidentali. Questa crisi si ripercuoteva gravemente sui bilanci della Chiesa e, se non si fossero prese misure immediate, avvertiva Gotti Tedeschi, il futuro poteva comportare solo un impoverimento.

Gotti sottolineò inoltre l’avanzamento dei Paesi orientali nei mercati finanziari, soprattutto la crescita della Cina, e la preoccupazione che questo gli suscitava, perché, se questi Paesi fossero arrivati ad essere egemonici, avrebbero imposto al contempo il nichilismo e l’ateismo. Il mondo che deve essere evangelizzato si sta facendo ricco, mentre il mondo evangelizzatore si sta impoverendo. Con questi argomenti, Gotti chiese che la Chiesa si dichiarasse in emergenza. Quale uscita vedeva alla situazione di crisi da egli stesso dipinta a tinte fosche? Si doveva creare una “unità di crisi”, disse a Bertone, che possa rifondare l’organizzazione della Chiesa. La nuova struttura doveva partire da una amministrazione centralizzata dei beni cattolici in tutto il mondo perché potessero essere valorizzati adeguatamente, e su questa base si doveva procedere a migliorare i proventi, ridurre i costi e minimizzare i rischi.

Bertone accolse bene i suggerimenti di Gotti. Credeva come lui che si dovessero mettere in sicurezza i conti e i beni e razionalizzare le finanze della Chiesa in tutto il mondo. Chiese consiglio al suo entourage e manifestò apprensione per il metodo da seguire: non risultava chiaro al segretario di Stato quali criteri e standard comuni si dovessero applicare per evitare una non desiderata invasione di campo che lesionasse l’autonomia delle istituzioni cattoliche.

Il resto del capitolo è interessante, ma non ho intenzione di sintetizzarlo. Mi basta quanto sottolineato fin qui per formulare alcune supposizioni ragionevoli. Cipriani e Gotti sono uniti da una visione del problema che presumibilmente è quella dell’Opus Dei. Approfittando di questa impostazione emergenziale, Cipriani ha ottenuto che Bertone decretasse che la Pucp è una istituzione di diritto canonico pubblico, perché questo è l’unico modo che ha per appropriarsi dei suoi beni. Si vede inoltre che fa questo non tanto per capriccio, come può sembrare data la sua peculiare personalità, ma perché da oltre un decennio è stato allertato da economisti come Gotti Tedeschi del processo di impoverimento della Chiesa e sa che urge adottare misure di accumulazione di risorse. Il problema è che a differenza di Bertone - che sembra aver mostrato qualche scrupolo nella conversazione con Gotti - Cipriani ne è completamente privo.

I gesuiti peruviani e Bambarén, vescovo emerito, non potevano tacere senza offendere le loro coscienze. Tutti noi peruviani sappiamo che l’attuale diagnosi mondiale in campo ecclesiale si aggrava in Perù; fortunatamente però non tutti siamo disposti a mentire o a tacere per metterci in salvo dai problemi che si avvicinano.

E la crisi che giunge nel nostro Paese minaccia di essere peggiore di quella che già vive il clero cattolico in tante parti del mondo. Negli ultimi trenta anni gli evangelici sono cresciuti di oltre 10 punti percentuali, mentre i cattolici sono diminuiti del 30%. Se questi dati riflettono una tendenza assodata, non passerà molto tempo prima che si torni a sollecitare la giusta revisione dell’accordo fra il Perù e la Santa Sede, che assegna alla Chiesa cattolica una “collaborazione conveniente” che esce dalle borse di tutti i peruviani e non solo da quelle dei cattolici. È questione di tempo: presto o tardi anche le confessioni evangeliche con più seguito reclameranno un sistema di sovvenzioni per le persone, le opere e i servizi delle loro Chiese, assegnazioni personali che non siano soggette a tassazioni e esoneri e benefici tributari per le loro fondazioni. I risultati di questo dibattito sono imprevedibili.

Facciamo l’ipotesi, infine, che si scoperchi in Perù il calderone delle denunce di abuso sessuale: se il potere giudiziario ordinerà indennizzi come in altri Paesi, la Chiesa peruviana collasserà il giorno dopo.

Posso supporre che sia questo il livello di allarme diffuso fra i vescovi peruviani; ma non mi riesce di credere che tutti i vescovi avallino la spoliazione come metodo per munirsi di risorse finanziarie. Non mi stupisce che prendano le parti del cardinale quando pende su di loro l’imperativo di mostrare sempre una unità corporativa assoluta; ma certo mi preoccupa molto che per giustificarsi pretendano che sia lecita l’appropriazione per decreto di proprietà altrui; o che, peggio ancora, offendano, con gli stessi termini ingiusti che utilizza la stampa destrorsa, una istituzione educativa esemplare come la Pucp.

In tutto ciò, solo la ribellione di fronte alla prepotenza del cardinale può difendere il nostro carattere di istituzione educativa cattolica di diritto canonico privato, cioè una università che, se è della Chiesa, è però padrona assoluta dei suoi beni.

Articolo tratto da
ADISTA
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Giovedì 20 Settembre,2012 Ore: 17:03
 
 
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