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www.ildialogo.org La Chiesa chiusa,da Adista Contesti n. 33 del 22/09/2012

La Chiesa chiusa

da Adista Contesti n. 33 del 22/09/2012

In Brasile, sono sempre più numerosi i cattolici che migrano nelle denominazioni pentecostali perché la Chiesa guarda a se stessa e non alle esigenze delle persone


Intervista al teologo Faustino Teixeira a cura del sito Ihu on-line (Instituto Humanitas Unisinos), 25 agosto 2012. Titolo originale: O campo religioso brasileiro na ciranda dos dados. Entrevista especial com Faustino Teixeira

Se osserviamo i dati degli ultimi censimenti, «la tendenza decrescente del numero dei credenti cattolici è netta: nel 1970 erano il 91,1%, nel 1980 l’89,2%, nel 1991 l’83,3%, nel 2000 il 73,6% e nel 2010 il 64,6%. E le proiezioni statistiche indicano che nel 2030 i cattolici saranno ridotti a meno del 50%, mentre nel 2040 saranno in parità con il gruppo evangelico». È la constatazione del docente di Scienza della Religione all’Università Federale di Juiz de Fora, Faustino Teixeira, a commento dei dati del Censimento 2010.

Per il teologo è curioso rilevare come le strategie messe a punto dal Rinnovamento Carismatico Cattolico, con la presenza di preti cantori e la ricerca di un’azione più vivace nell’area mediatica non abbiano sortito gli effetti sperati. «Le iniziative realizzate - dice - si rivelano timide rispetto a quelle messe in campo dagli evangelici, come la Marcia per Gesù, che si ripete annualmente con grande successo». E aggiunge: «Secondo me, dovremo abituarci ad un Paese sempre più segnato da diversità religiosa e anche da distinte opzioni spirituali, religiose e no. Saper lavorare con questa pletora di affiliazioni costituisce una delle grandi sfide di questo nuovo millennio».

Qual è la mappa religiosa che si può tracciare in Brasile a partire dai dati divulgati nell’ultimo censimento?

Senza dubbio, una mappa segnata dalla diversità religiosa. Il censimento del 2010 evidenzia una diminuzione dei cattolici, passati dal 73,6% al 64,6% della popolazione, e la crescita degli evangelici, soprattutto pentecostali: dal 15,4% al 22,2%. In una popolazione di 190,7 milioni di persone, i cattolici sono 123,2 milioni e gli evangelici 42,2 milioni, dei quali 25,3 milioni di origine pentecostale. Nell’ultimo decennio si è verificato anche un aumento percentuale dei senza-religione, tuttavia minore rispetto alle attese: dal 7,4 all’8% (in numeri assoluti, 15,3 milioni).

Cristianesimo ancora preminente

Il Paese rimane di segno cristiano, giacché l’86,8% dei credenti, nell’ultimo censimento, si dichiara o cattolico o evangelico. Le altre tradizioni religiose in termini numerici sono ancora timide, sebbene la loro influenza possa essere maggiore rispetto a quello che i semplici dati indicano, come nel caso dello spiritismo che, malgrado abbia appena un 2% di adepti (3,8 milioni), ha una risonanza sociale ben maggiore.

Tradizioni religiose afro-brasiliane

Le due grandi espressioni delle tradizioni religiose afro-brasiliane, la umbanda e il candomblé, continuano sulla stesso registro statistico del censimento precedente, con uno 0,3% di seguaci (per la umbanda, 407mila e 300; per il candomblé, 167mila e 300). Le altre forme di religiosità rimangono all’interno di una fascia del 2,7%, incluse alcune che cominciano a beneficiare di una presenza più definita, come il buddismo (243mila e 900), l’ebraismo (107mila e 300), le nuove religioni orientali (155mila e 900) e l’islamismo (35 mila e 100). In questo blocco sono contemplate anche le credenze di tradizioni indigene, con 63mila seguaci.

Cosa si attendono le persone dalle religioni, tanto da transitare dall’una all’altra?

Di fatto, le religioni funzionano come un rifugio, che fornisce significato e senso alle persone. Come ha ben dimostrato Peter Berger, le religioni hanno il valore potenziale di situare o integrare esperienze-limite in un quadro di significato, fornendo un riferimento importante per la costruzione e il mantenimento dell’identità. Le persone transitano dall’una all’altra in cerca di significato per la loro vita, ed è facile constatarlo in Brasile. Per il brasiliano, come si legge in Guimarães Rosa, la religione deve essere «tanta», non è sufficiente fermarsi ad una: «È poca». Ha bisogno di ampliare il suo campo di protezione contro la sventura. I dati degli ultimi censimenti mettono in luce questa realtà della sperimentazione religiosa, ma non riescono ancora a fotografare con precisione la dichiarazione di multipla appartenenza religiosa nel Paese: malgrado sia qualcosa di molto comune in Brasile, il censimento ha raccolto solo 15mila e 300 dichiarazioni in questo senso.

Cattolicesimo come “granaio”

Il cattolicesimo esercita nel Paese il ruolo di “donatore universale”, ossia «il principale granaio nel quale altri credi si riforniscono di adepti» (P. Montero e R. Almeida). Questo passaggio, questa mobilità sono molto vivi fra gli evangelici - soprattutto fra i pentecostali - che circolano per le denominazioni in continua crescita negli ultimi decenni in Brasile. A titolo di esempio, nella ricerca realizzata nel 1992 dal Nucleo di Ricerca dell’Istituto di Studi della Religione (Iser), nell’area metropolitana di Rio de Janeiro, si constatò la creazione in media di cinque nuove chiese a settimana e una chiesa al giorno nel triennio 1990-1992. Un’altra ricerca realizzata dall’Iser nel 1994 mise in evidenza che circa il 70% degli evangelici della regione di Rio «non è nato, né è cresciuto in una casa evangelica». Ossia, sono fedeli che sono migrati da altre tradizioni religiose, soprattutto dal cattolicesimo (61%).

Passaggio religioso

È un fenomeno molto vivo anche fra quanti si dichiarano senza religione. Questo gruppo è composto, soprattutto, da persone che provano delusione per le affiliazioni tradizionali, si sentono “sbandati” e vanno alla ricerca di vincoli sociali e spirituali. Per loro quello che conta di più sono gli “elementi soggettivi”, e cercano una nicchia di senso, in armonia con il loro “foro interno”, che possa rispondere alle loro aspettative personali. In una recente intervista concessa all’Instituto Humanitas Unisinos (Ihu), la sociologa Silvia Fernandes ha contestualizzato molto bene la questione: «Sempre meno sentiamo dire “tizio si è convertito”, è più comune “tizio è ancora di tale religione”». Insomma, la transitorietà dell’adesione religiosa è un segno di questi tempi.

In venti anni, la popolazione cattolica è diminuita del 22%. In proporzione, perciò, la Chiesa cattolica ha perso più di un quinto dei suoi fedeli. Secondo lei, a cosa è dovuto?

È un fenomeno che si è andato accentuando ormai da tempo. Se osserviamo i dati degli ultimi censimenti, questa tendenza è netta: nel 1970, i cattolici erano il 91,1% della popolazione; nel 1980, l’89,2%; nel 1991, l’83,3%; nel 2000, il 73,6% e nel 2010, il 64,6%. E le proiezioni statistiche indicano che nel 2030 i cattolici saranno ridotti a meno del 50%, mentre nel 2040 saranno in parità con il gruppo evangelico. Non è molto semplice indicare le ragioni all’origine di tale situazione. Si può azzardare l’ipotesi che la strategia missionaria della Chiesa cattolica negli ultimi decenni presenti crepe importanti. Si constata che il repertorio dottrinale è sfasato rispetto ai segni dei tempi. C’è molta resistenza nella Chiesa cattolica ad attualizzare la riflessione e a modernizzare la posizione pastorale in settori che sono cruciali, come l’azione nella storia, il dialogo ecumenico e interreligioso e la morale. Si nota una chiara asfissia della congiuntura ecclesiastica negli ultimi 35 anni, mentre non si avvertono venti di rinnovamento ecclesiale.

Ed è curioso constatare come le strategie messe a punto dal Rinnovamento Carismatico Cattolico, con la presenza di preti cantori e la ricerca di un’azione più vivace in campo mediatico non abbiano sortito gli effetti sperati. Le iniziative portate a compimento si rivelano timide di fronte ad altre realizzate dagli evangelici, come la Marcia per Gesù, che viene ripetuta annualmente con grande successo.

Ingenuo ottimismo

Un altro dato singolare in questo senso è l’incapacità dei settori ecclesiastici cattolici di percepire con chiarezza la dimensione della crisi in corso. Dati alla mano, reagiscono con ingenuo ottimismo: dicono che quelli che restano cattolici sono di fatto più convinti e che il cattolicesimo privilegia non la quantità, ma la qualità; o magari cercano di sottolineare la vitalità del cattolicesimo. È quello che si è verificato con la reazione di molti ecclesiastici di fronte ai dati dell’ultimo censimento.

Ai dati del censimento dell’Istituto Brasiliano di Geografia e Statistica (Ibge) si è cercato di contrapporre i dati dell’ultimo censimento realizzato dal Centro di Statistica Religiosa e Ricerche Sociali (Ceris) sulla Chiesa cattolica in Brasile nel primo semestre del 2011 rispetto al 2010. Secondo i dati del Ceris, il cattolicesimo in Brasile è «vivo e vegeto», come dimostra la considerevole crescita di vocazioni sacerdotali e l’aumento del numero di parrocchie sul territorio nazionale. Il documento indica che c’è «uno sviluppo nel numero dei fedeli» e che «le nuove comunità religiose hanno risvegliato il fascino della fede cattolica».

Chi legge attentamente i dati del censimento dell’Ibge e le riflessioni sociologico-antropologiche che ne sono state tratte non può che rimanere sorpreso da cotanta ingenuità. Il sociologo ed ex consulente della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile, Pedro Ribeiro de Oliveira, in un’intervista a Ihu segnala: «Pensare che aumentare il numero delle parrocchie voglia dire aumentare la presenza della Chiesa nel mondo è, secondo me, un equivoco di grande portata. E il secondo equivoco è dire che la Chiesa è viva perché è aumentato il numero dei sacerdoti. La Chiesa è semmai più clericale, non più vitale. La vitalità della Chiesa è stata sempre l’attività dei laici».

Questa analisi è corretta, e viene da un perspicace analista della Chiesa cattolica brasiliana. Concordo pienamente con lui quando dice che la vitalità di una Chiesa si misura con la capacità di riunire le persone, di entusiasmarle nel lavoro pastorale. E questo non si vede oggi con chiarezza. Quello che c’è è una Chiesa che parla a se stessa, che non esercita il suo imprescindibile ruolo pubblico e che perde il suo potenziale di contagio evangelizzatore.

Il cattolicesimo è diminuito maggiormente nelle regioni della “ricezione di migranti”, nelle periferie agrominerarie del nord e del centro-ovest e delle grandi città urbane del sud-est. A cosa è dovuto questo fatto e cosa ha fatto la Chiesa cattolica per accompagnare la mobilità territoriale e, soprattutto, la mobilità religiosa?

Di fatto, è in queste regioni che si verifica una crescente presenza dei pentecostali. Se guardiamo attentamente al grafico presentato dall’Ibge vediamo che essa si localizza sui fronti di occupazione delle regioni centro-ovest e nord, nelle grandi metropoli litoranee del sud-est, in particolare negli Stati di Rio de Janeiro, São Paulo e Espirito Santo. In città dello Stato di Rio come Duque de Caxias, Nova Iguaçu e Belfort Roxo, il numero degli evangelici ha già superato quello dei cattolici. I quali hanno una loro presenza più definita nelle regioni del nord-est, del sud e nello Stato di Minas Gerais. La Chiesa cattolica ha fatto molta difficoltà a capire la dinamica di questa mobilità religiosa, mancando di strumenti per reagire a tale situazione. Quello che alcuni documenti dell’istituzione segnalano come essenziale della missione cattolica è «andare incontro agli smarriti», contraddicendo in qualche modo l’idea da essa stessa difesa di una Chiesa che è viva e attiva.

Caduta del numero delle religiose

Fra i dati interessanti emersi con il censimento del Ceris vi è il deciso calo del numero delle religiose in Brasile, che sono passate dalle 35.039 del 1961 alle 33.386 del 2010. Bisogna sottolineare il ruolo importante delle religiose nel lavoro di evangelizzazione. La Chiesa cattolica parla di cercare quelli che si sono allontanati, con un discorso che però non li interessa, o non li motiva. Da lì, tutta la “disaffezione” in corso. La Chiesa, che era forte nella dinamica popolare, nella diffusione creatrice nelle campagne e nelle periferie, ha smesso di incentivare o appoggiare l’importante lavoro delle Comunità ecclesiali di base, che avevano una portata significativa in termini di evangelizzazione. Come si dice a ragione, la Chiesa cattolica ha optato per i poveri, ma non ha portato avanti sul serio questa opzione, privilegiando un lavoro rivolto all’interno e clericalizzante. Le chiese cattoliche sono chiuse, murate nei loro confini; si proteggono dagli altri in quanto scomodi e limitano il tempo per l’accoglienza dei poveri e degli esclusi. Lavoro che vedo svolto con efficacia dalle Chiese pentecostali, che arrivano in angoli irraggiungibili per l’attuale pastorale cattolica.

In parallelo, la popolazione evangelica è cresciuta dal 15,4% del 2000 e al 22,2% del 2010.

La forte crescita pentecostale non è un fenomeno esclusivo del Brasile. Come ha mostrato Peter Berger in una riflessione sulla descolarizzazione del mondo, i due maggiori fenomeni verificatisi sulla scena religiosa mondiale sono la diffusione dell’islamismo e l’esplosione pentecostale. La presenza pentecostale, segnalata da Harvey Cox con l’immagine del «fuoco dal cielo», è un fenomeno impressionante e che merita attenzione. La sua crescita in Brasile è spaventosa, anche se si riscontra al suo interno una polverizzazione a causa delle costanti divisioni e della creazione di nuove Chiese in ogni momento e negli spazi più esigui.

Dispute

Alcune Chiese pentecostali storiche, come l’Assemblea di Dio, mostrano un inaudito vigore, con una presenza capillare nel Paese: è la Chiesa evangelica di denominazione pentecostale più numerosa, oggi con 12,3 milioni di adepti, seguita dalla Congregazione Cristiana del Brasile con 2,2 milioni di fedeli. Fra le Chiese evangeliche originali non ce n’è una altrettanto numerosa, ad eccezione della Chiesa battista che riunisce 3,7 milioni di adepti. Si stanno sviluppando, però, negli ultimi anni, dispute acerrime fra fedeli di alcune denominazioni pentecostali, ad esempio fra la Chiesa Universale del Regno di Dio (Iurd) e la Chiesa Mondiale del Potere di Dio. In base all’ultimo censimento, la Iurd ha perso 228mila fedeli nell’ultimo decennio, interrompendo un ritmo di crescita che è stato notevole negli anni ’90.

Come vede il futuro delle religioni in Brasile dopo la divulgazione dei dati del censimento?

Dovremo adattarci ad un Paese sempre più segnato dalla diversità religiosa e da varie opzioni spirituali, religiose e no. Saper lavorare con questa pletora di affiliazioni costituisce una delle grandi sfide di questo nuovo millennio. Affrontare la diversità religiosa come un valore ed una ricchezza è anche una provocazione per le diverse Chiese cristiane. Niente è più problematico oggi che continuare a difendere la precaria idea che le altre religioni siano destinate a trovare il proprio compimento non in se stesse, ma in una ipotetica religione che ingloberebbe in sé il dominio della verità. Niente di meno plausibile oggi di una tale idea, che purtroppo continua a prosperare nel repertorio della Chiesa cattolica dopo la Dominus Iesus. Mi piace molto un passaggio del Direttorio per l’applicazione dei principi e norme sull’ecumenismo del 1993, dove si dice che i cattolici «saranno molto attenti a rispettare la fede viva delle altre Chiese e comunità ecclesiali che predicano il Vangelo, e si compiaceranno del fatto che la grazia di Dio opera in mezzo a loro» (n. 206). È sempre più comune la considerazione che una tale prospettiva di apertura e riconoscimento della dignità della differenza debba essere estesa alle altre tradizione religiose.

Come può essere descritta la “disaffezione religiosa”? In cosa consiste?

Pedro Ribeiro de Oliveira, in un’intervista a Ihu, ha riesumato questa espressione sociologica che si applica molto bene a quei 15,3 milioni di persone che nell’ultimo censimento si sono dichiarate senza religione. È interessante notare che, nell’ambito dei senza religione, quelli che si dichiarano atei o agnostici sono una minoranza, rispettivamente 615mila e 124,4mila. La gran parte dei senza religione si è liberata degli antichi lacci e mantiene una propria religiosità con le risorse della soggettività più che con l’apporto della tradizione. Ci sono anche quelli che si sono disaffezionati alle tradizioni di appartenenza e cercano strade alternative. Rappresentano un segmento più soggetto o disponibile alle sperimentazioni, composto da persone che transitano per diverse appartenenze, sempre assetate di vincoli sociali e spirituali.

Articolo tratto da
ADISTA
La redazione di ADISTA si trova in via Acciaioli n.7 - 00186 Roma Telefono +39 06 686.86.92 +39 06 688.019.24 Fax +39 06 686.58.98 E-mail info@adista.it Sito www.adista.it



Giovedì 20 Settembre,2012 Ore: 16:58
 
 
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