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www.ildialogo.org In Francia, un clero sempre pių anziano pone problemi di assistenza e sostentamento: una sfida per i vescovi.,di Laurence Desjoyaux

Preti da parte
In Francia, un clero sempre pių anziano pone problemi di assistenza e sostentamento: una sfida per i vescovi.

di Laurence Desjoyaux

Adista Contesti n. 8 del 03/03/2012


Tratto dal quotidiano cattolico francese La croix (9 febbraio 2012). Titolo originale: L’eglise cherche à mieux accompagner ses pretres agés

La metà dei preti francesi ha più di 75 anni. La constatazione è dura ma «il picco dell’invecchiamento dei preti è di fronte a noi» sottolinea Jean-Michel Coulot, segretario generale aggiunto della Conferenza episcopale francese che lavora proprio sulla questione dei preti anziani.

Come per la popolazione in generale, emergono i problemi legati all’invecchiamento e alla perdita di autonomia. Per la Chiesa, però, questa riflessione è tanto più importante perché i preti hanno dedicato tutta la loro vita al servizio dei fedeli e il numero di quelli in pensione non smette di aumentare rispetto a quelli “attivi”.

La Conferenza episcopale francese ha appena organizzato un colloquio a porte chiuse sul tema, riunendo rappresentanti di tutte le diocesi francesi. Di fatto, il diritto canonico stabilisce chiaramente che spetta a ogni vescovo occuparsi dei preti incardinati nella sua diocesi fino al termine della loro vita.

L’articolo 384 precisa anche che egli ha il dovere di tutelare i loro diritti e fare in modo che abbiano i mezzi necessari alla loro vita spirituale e intellettuale. Secondo l’articolo 538, il vescovo si impegna a procurare loro «un alloggio e mezzi di sussistenza convenienti osservando le regole dettate dalla Conferenza episcopale».

Residenza a domicilio, più difficile da organizzare

Concretamente, le diocesi si trovano di fronte a una duplice problematica. Da una parte, lo sviluppo delle politiche pubbliche sull’invecchiamento favorisce la residenza nel proprio domicilio, giudicata più umana e soprattutto meno costosa. Questa logica implica un forte investimento da parte delle loro famiglie. In tale contesto, i preti, in quanto celibi e senza figli, sono più svantaggiati degli altri.

D’altra parte, le case di riposo tradizionali tendono a specializzarsi nell’accoglienza di persone anziane in situazioni di grave perdita di autonomia. Diventano spesso istituzioni di accoglienza di persone anziane non autonome fortemente medicalizzate (note con la sigla Ehpad). La Chiesa ha difficoltà finanziarie a seguire questa corsa alla medicalizzazione, tanto più che le norme attuali sono molto rigide.

«Andiamo verso un movimento a lungo termine di dissoluzione delle case di riposo in quanto tali, poco o per nulla medicalizzate, che accoglievano generalmente i preti anziani, come gli istituti diocesani o quelli tenuti dai religiosi», spiega Coulot.

Per le diocesi, questi sviluppi delle politiche pubbliche sono sinonimo di costi gravosi. Sono chiamate a finanziare in parte gli aiuti alla vita quotidiana, a causa dell’assenza di una famiglia, come in cucina o per le faccende domestiche e una  residenza Ehpad ha un costo compreso tra i 2500 e i 4000 euro al mese a persona.

Un progressivo allontanamento dal presbiterio

«La casa diocesana può fungere da residenza intermedia tra il proprio domicilio e la casa di risposo medicalizzata», constata Robert du Marais, direttore della casa di Montvinay, vicino a Grenoble (Isère), che accoglie una dozzina di preti ancora autonomi alloggiati in camere o in appartamenti indipendenti. Queste «case alloggio» che raggruppano diverse persone anziane rappresentano un buon compromesso tra la preoccupazione dell’autonomia e la mutualizzazione dei servizi.

Parallelamente alla problematica del luogo in cui vivere, la Chiesa riflette su un accompagnamento che risponda alla vocazione specifica del prete e al suo stile di vita celibe al centro della vita parrocchiale. Spesso molto indipendente, ha avuto l’abitudine di intrattenere numerose relazioni sociali ed ecclesiali.

«L’allontanamento dalla parrocchia può essere un’autentica lacerazione. Il prete è costretto a lasciare un servizio nel quale si sentiva utile, riconosciuto, persino adulato», sottolinea mons. Michel Bonnet, presidente onorario della Mutuelle Saint-Martin. «Salvo che in caso di problemi di salute, bisogna rendere il taglio con il ministero presbiterale meno radicale», insiste. «In accordo con il clero locale, il prete può anche continuare ad amministrare i sacramenti  e ad occuparsi di missioni più adatte alla sua età, come la direzione spirituale o la responsabilità di una cappellania in una casa di riposo».

I preti anziani, principali attori dei loro progetti di vita

Per evitare situazioni estreme in cui il prete arriva a rifiutarsi di cambiare missione, «occorre che l’autorità diocesana li prepari in anticipo ad un cambiamento di vita», afferma Bonnet. In un documento consegnato ai vescovi in occasione della loro assemblea plenaria a Lourdes lo scorso aprile, il gruppo di lavoro “preti anziani” propone di creare delle équipe multidisciplinari incaricate di seguirli.

Costituite da un rappresentante episcopale, un medico, un assistente sociale e dall’economo diocesano, esse permettono di affrontare l’invecchiamento nella sua globalità. Certe diocesi sperimentano già questa formula. A Soissons (Aisne) nel 2010 è stata creata una «commissione Simeone».

A Creteil, nella regione parigina, dopo diversi anni di esitazione, dal 2009 è al lavoro un’équipe multidisciplinare. Odile Hourcade, assistente sociale del gruppo, si considera come un “interfaccia” tra preti anziani, diocesi e diversi servizi statali.

«La creazione del mio ruolo corrisponde a una riflessione di fondo sull’accompagnamento dei preti», spiega. Mentre prima doveva rispondere a situazioni d’emergenza, ora può mettere in pratica un vero protocollo. Prende contatto con tutti i preti con più di 75 anni. «Hanno compreso che spettava a loro costruire un progetto di vita per gli anni che hanno ancora davanti», spiega. «Siamo qui per aiutarli».



Lunedė 27 Febbraio,2012 Ore: 22:46
 
 
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