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Una analisi del sito Pontifex sulla crisi della Chiesa Cattolica

Questo articolo è tratto dal sito Pontifex, ma dal titolo e dai contenuti, se visto esattamente dall'emisfero opposto, rappresenta una acuta analisi del ritorno all'era pre-conciliare cui stiamo assistendo da anni.
Unico punto che sembrano non cogliere è che questa situazione è stata abilmente impostata sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, cosa che Pontifex ignora, attribuendo al medesimo idee e pratiche progressiste e protestantizzanti. (S.S.)

Le cause remote della crisi post-conciliare ?

Pontifex.RomaCome è noto, in questi mesi va facendosi sempre più serrato il dibattito sul Concilio e il Post-Concilio. Al di là di quanti, nel corso degli ultimi quarant’anni, hanno a vario titolo criticato il Vaticano II, e soprattutto le gravi deviazioni dottrinali, morali, liturgiche e disciplinari che ne sono derivate, va riconosciuto che uno dei più autorevoli Prelati ai quali si deve la messa in discussione di questo evento, è stato certamente il Cardinale Joseph Ratzinger, poi asceso al Soglio di Pietro come Benedetto XVI. Già da prima della sua elezione al Sommo Pontificato, infatti, egli aveva avuto modo di esprimere le proprie perplessità sul Concilio, tanto sotto il profilo dottrinale, quanto sotto quello morale e non solo, cogliendo alcuni aspetti controversi di un’assise che, nella vulgata dei suoi fautori, doveva essere accettata sine glossa, come un superdogma. Troviamo esplicitato il pensiero di Joseph Ratzinger in numerosi scritti, nei quali riscontriamo osservazioni dure ...

... ma incontestabili sulla gravissima crisi che ha colpito la Chiesa nel cinquantennio che ha seguito la celebrazione del Concilio Ecumenico Vaticano II. È su questa crisi che vorrei soffermarmi, analizzandone non solo e non tanto gli effetti più appariscenti, quanto piuttosto le cause remote, che a mio avviso meritano un’approfondita riflessione.

La crisi post-conciliare era in incubazione fin dalla fase preparatoria del Vaticano II: per questo Pio XII era così fermamente ostile all’indizione del Concilio ed aveva avocato a sé la Prefettura di quasi tutti i Dicasteri romani, ben sapendo cosa si stava organizzando sul fronte teologico, disciplinare, ma, in particolare, sociale e politico. E difatti il Vaticano II fu atto politico ancor prima che religioso, e questo elemento continua a sfuggire sia ai fautori del Post-concilio, sia ai suoi avversari. Già durante la sua celebrazione, i Vescovi di tutto il mondo credevano in buona fede di partecipare ad un momento di trionfo della Cattolicità, e non alla sua capitolazione.

Essi erano convinti di essere i protagonisti del Concilio, non i meri esecutori di decisioni prese nelle Commissioni, in cui le votazioni procedevano con le modalità di un collettivo marxista: basta scorrere le pagine dei diari di Monsignor Annibale Bugnini per rendersi conto dei sistemi scorretti che consentirono di presentare all’approvazione dei Padri, documenti che nulla avevano a che vedere con gli schemi preparatori. Il Vaticano II fu atto politico perché, a chi ne aveva preso le redini, non interessava dare valutazioni circa i gradi di impegno del Magistero, circa la pastoralità o la dogmaticità del Concilio, circa il grado di ossequio da tributargli. Importava solo farlo, il Concilio, e farlo con l’appoggio della stampa e dell’opinione pubblica, dimostrando che dopo secoli di governo monarchico, la Chiesa sapeva essere democratica, assemblearista, soggiogata alla maggioranza del numero e svincolata dalla dittatura di un Papa del quale si voleva sminuire il potere, trasformandolo in una sorta di ‘primus inter pares’.

Fu in questa temperie che si arrivò alla deposizione della tiara da parte di Paolo VI, atto che compendiava un trend democratizzante di cui ancor oggi subiamo le conseguenze. La lobby progressista non voleva definizioni dottrinali, ma esattamente il contrario: eliminare alla radice il concetto stesso di canoni, dottrina, formule teologiche, sostituendolo con una profluvio di espressioni equivoche, manipolabili, volutamente interpretabili in un senso e nel senso contrario: vedasi il famigerato subsistit in, ad esempio. Fu proprio questa equivocità a permettere l’approvazione di documenti controversi - Dignitatis humanae, Lumen gentium - che potevano esser suscettibili di interpretazione cattolica, ed al tempo stesso ammiccavano al protestantesimo, al relativismo, al modernismo, all’umanismo massonico.

Quanti insistono ad interrogarsi se prestare o meno ossequio al Vaticano II, se considerarlo pastorale o dogmatico, non hanno dunque colto il problema nella sua essenza: il Concilio celebrato a Roma tra il 1962 al 1965, fu un Concilio anomalo, volutamente svincolato dalle norme disciplinari e dalle basi dottrinali di un qualsiasi altro Concilio ecumenico. Sia chiaro: chi ha preso le redini del Vaticano II sapeva benissimo che, al di là delle disquisizioni teologiche sul valore disciplinare del Concilio stesso, esso avrebbe rappresentato un evento epocale - e tale fu senza dubbio - e che ciò che sarebbe successo dopo non sarebbe stato più giudicato sulla base delle vecchie categorie canoniche. Si sapeva benissimo che, in seguito alla valanga conciliare, il cattolicesimo ancien régime sarebbe scomparso, sepolto dall’idea democratica instaurata anche nella Chiesa; così nessuno avrebbe dovuto chiedersi cosa c’era prima del Concilio, perché la damnatio memoriæ sarebbe stata di tale peso da non consentire alcuna possibilità di vera restaurazione. Ma va detto, con altrettanta chiarezza, che il pretesto democratico non ha assolutamente garantito un reale potere alla base dei fedeli o del clero; al contrario, esso ha consolidato il potere di pochi personaggi, spesso dissimulati dietro anonimi organismi consultivi che avevano usurpato al Papa e alle Congregazioni Romane.

Anche nella realtà politica europea, il parallelo è inquietante: le sedicenti democrazie, non consentono alcuna possibilità di governo popolare, ma rinforzano invece il potere di lobbies economiche e filosofiche dalle quali nessuno, in condizioni di concreta democrazia, vorrebbe mai esser governato.

L’evento conciliare ha naturalmente avuto un effetto principalmente emotivo sul clero e sui fedeli, al di là della reale consapevolezza della portata dottrinale di questo o quel documento. Tutto era cambiato, tutto era diverso, tutto era permesso di quanto sino ad allora era proibito o deprecato. Così quantomeno si leggeva sulla stampa, compresa quella cattolica; così si diceva dai pulpiti; così si insegnava negli Atenei; nei Dicasteri romani si procedeva a nomine di Prelati coerenti con il nuovo corso e si epuravano i refrattari; nelle Commissioni si portava a compimento l’opera con la riforma liturgica, già iniziata negli anni Cinquanta, e pure in quel caso non si voleva assolutamente dare un documento normativo definitivo, da osservare scrupolosamente, ma semplicemente concretizzare anche nel culto pubblico della Chiesa, il clima di anarchia generale, l’apoteosi dell’ad libitum.

Solo alla luce di questo si comprende come mai furono così pochi i Messali stampati in latino: era chiarissimo che le petizioni di principio della Sacrosanctum Concilium sulla lingua latina e sul canto gregoriano, non avevano minimamente scalfito i progetti di chi voleva protestantizzare la liturgia cattolica per protestantizzare in toto il Cattolicesimo. Di queste riflessioni si sono fatti portavoce esimi esponenti della Curia Romana. Si pensi alla citazione estremamente indicativa di Monsignor Bugnini, principale autore della liturgia riformata, riportata da Monsignor Nicola Bux nel suo libro Come andare a Messa e non perdere la Fede: «Dobbiamo togliere dalle nostre preghiere cattoliche e dalla liturgia cattolica ogni cosa che possa essere l’ombra di una pietra d’inciampo per i nostri fratelli separati, ossia i protestanti».

Osserva Monsignor Bux, auspicando la pubblicazione dei diari segreti di Bugnini: «Delle sue responsabilità, Annibale Bugnini risponderà al Signore, ma sarebbe importante conoscere meglio il ruolo che, nell’ambito della riforma liturgica, ricoprirono i sei esperti protestanti, che ebbero una funzione molto maggiore di quella di semplici osservatori”.

Certamente la pubblicazione dei diari segreti di Bugnini potrebbe solo aggiungere elementi di ulteriore condanna di un vero e proprio colpo di stato, dinanzi al quale non osò proferir verbo, come davanti al mitico basilisco, anche Paolo VI: è una verità storica che, per quanto dolorosa, non può essere taciuta. Fatto sta che presentare il Concilio come un superdogma, è stato utile per far leva sul Clero e sul popolo cristiano, fino ad allora abituati ad obbedire alla Sacra Gerarchia, che si considerava preposta alla difesa del depositum fidei. Ma agli alti livelli si sapeva benissimo che, proprio in nome di quell’obbedienza, si stava scardinando il principio di autorità, da cui essa promanava.

E invece l’obbedienza richiesta nell’abbandonare la liturgia romana non veniva parimenti pretesa nel rispettare il dettato conciliare, ad esempio laddove esso impone di mantenere il latino in tutta la liturgia.

I Cardinali Alfredo Ottaviani e Antonio Bacci, membri del Coetus Internationalis Patrum, nel loro Breve esame critico del Novus Ordo Missae, avevano dato voce ai tanti Presuli che avevano votato la Costituzione sulla Sacra Liturgia. Al tempo stesso, il Vaticano II, con il comodo passe-partout della pastoralità, si era svincolato dalla visione canonicistica tradizionale e doveva costituire solo il brogliaccio su cui portare definitivamente a termine la nascita di una nuova Chiesa, diversa da quella pre-conciliare. In questo senso, fu determinante il ruolo dell’autorità o, se si preferisce, la sua latitanza, quando si trattava di punire i più esagitati interpreti del Concilio; e come recita l’adagio - nullum jus sine poena -, è evidente che la mancata applicazione delle norme canoniche e delle leggi ecclesiastiche, trovava ieri, e trova ancor oggi, un ottimo incentivo allo sfascio, proprio nella mancanza di punizioni per chi non le rispetta. Indicativamente, la severità delle sanzioni, delle sospensioni a divinis e delle scomuniche non è venuta meno contro quanti, in questo capovolgimento della fede e della preghiera, volevano rimaner ben saldi a quanto era stato loro insegnato prima del Vaticano II.

E’ significativo che proprio nel suo ultimo libro, Luce del mondo, Papa Benedetto XVI accenni a questo problema. Rispondendo ad una domanda sulla piaga della pedofilia nel Clero, il Pontefice afferma: «È interessante, a questo proposito, quello che mi ha detto l’arcivescovo di Dublino. Diceva che il Diritto penale ecclesiastico, sino alla fine degli anni Cinquanta, ha funzionato; certo, non era completo, ma in ogni caso veniva applicato. A partire dalla metà dagli anni Sessanta, semplicemente non è stato più applicato. Dominava la convinzione che la Chiesa non dovesse essere una Chiesa di diritto, ma una Chiesa dell’amore; che non dovesse punire. Si spense in tal modo la consapevolezza che la punizione può essere un atto d’amore. In quell’epoca, anche persone molto capaci, hanno subito uno strano oscuramento del pensiero. Oggi dobbiamo imparare nuovamente che l’amore per il peccatore e l’amore per la vittima stanno nel giusto equilibrio per il fatto che io punisco il peccatore nella forma possibile ed appropriata. In questo senso, nel passato c’è stata un’alterazione della coscienza, per cui è subentrato un oscuramento del diritto e della necessità della pena.

Ed in fin dei conti, anche un restringimento del concetto di amore, che non è soltanto gentilezza e cortesia, ma che è amore nella verità. E della verità fa parte anche il fatto che devo punire chi ha peccato contro il vero amore». In considerazione di queste autorevoli parole, sarebbero da riprendere alcuni casi paradigmatici, che citeremo tra gli innumerevoli, solo perché più recenti. Il primo concerne la lettera della Congregazione per il Culto Divino a Kiko Arguello, a Carmen Hernandez e a padre Mario Pezzi, del 1 Dicembre 2005 (prot. 2520/03/L), con cui si ordinava, senza giri di parole: «Nella celebrazione della Santa Messa, il Cammino Neocatecumenale accetterà e seguirà i libri liturgici approvati dalla Chiesa, senza omettere né aggiungere nulla». E ancora: «Sul modo di ricevere la Santa Comunione, si dà al Cammino Neocatecumenale un tempo di transizione (non più di due anni) per passare dal modo invalso nelle sue comunità di ricevere la Santa Comunione (seduti, uso di una mensa addobbata posta al centro della Chiesa invece dell’altare dedicato in presbiterio) al modo normale per tutta la Chiesa di ricevere la Santa Comunione. Ciò significa che il Cammino Neocatecumenale deve camminare verso il modo previsto nei libri liturgici per la distribuzione del Corpo e del Sangue di Cristo».

Ad oggi gli adepti del movimento continuano imperterriti a celebrare i loro riti senza essersi adeguati alle direttive del Papa! Il secondo caso è ancora più sconcertante, perché coinvolge la Conferenza Episcopale Italiana. Come sappiamo, Benedetto XVI ha ordinato di modificare, nelle traduzioni in lingua volgare, le parole della Consacrazione «per voi e per tutti» in «per voi e per molti», conformemente all’originale latino «pro vobis et pro multis». La Congregazione per il Culto Divino, con lettera del 17 ottobre 2006, scriveva: «Alle Conferenze Episcopali di quei Paesi in cui la formula “per tutti” o il suo equivalente è attualmente in uso, si chiede di iniziare presso i fedeli, nei prossimi uno o due anni, la catechesi necessaria su questo argomento, al fine di prepararli all’introduzione di una precisa traduzione in lingua volgare della formula pro multis (e cioè “per molti”) nella prossima traduzione del Messale Romano che i Vescovi e la Santa Sede approveranno per i loro Paesi».

Eppure, pensate, nell’ambito dei lavori di redazione del nuovo Messale della CEI, non si è ritenuto di metter mano all’unico punto su cui la Santa Sede aveva dato disposizioni precise! Ci si chiede per quale ragione un organo sottoposto all’autorità suprema del Pontefice possa, in un atto ufficiale, ignorare la direttiva di un Dicastero Romano! Se la disobbedienza non viene punita adeguatamente - in ragione della gravità della trasgressione, dell’entità del danno che ne deriva, della posizione che ricopre il trasgressore e, non ultimo, dell’offesa al legislatore - è quasi preferibile non legiferare: nullum jus sine poena, appunto. Ciò malgrado, in pieno post-Concilio, l’Arcivescovo di Genova, il Cardinale Giuseppe Siri, ha dato egregio esempio di uso dell’autorità: quando i Salesiani si permisero di contravvenire alle disposizioni che vietavano l’erezione di altari posticci versus populum in tutte le Chiese dell’Arcidiocesi, egli colpì con l’interdetto la loro Chiesa finché non avessero obbedito.

E così fecero nel giro di qualche giorno. Ma non pare che altri Vescovi abbiano esercitato con altrettanta doverosa sollecitudine il proprio munus di pastori, e vien da pensare che certe forme di imbarazzante populismo, quali l’abbandono delle insegne e delle vesti prelatizie, siano rivelatrici di una volontà di abdicazione rinunciataria e poco consona al ruolo di un Prelato. Ma è proprio questa la causa remota del post-Concilio: l’aver sostituito il concetto di autorità - con le sue immediate implicazioni giuridiche, canoniche e disciplinari - con un vago concetto di paternità senza nerbo, iniziando proprio dalla liturgia. Oggi non vi è più l’idea della colpa, del peccato, della santa collera divina, della penitenza e dell’espiazione. E se questo vale verso Dio, non può non valere anche per ogni autorità spirituale e temporale. Ecco il vulnus che ha impedito dopo il Vaticano II il governo stabile, senza tempeste, della Chiesa. Paradossalmente, godono di maggior autorità i media, di quanta non ne possa esercitare il Papa.

A conferma di ciò, ricordiamo l’impatto mediatico (emozionale, si potrebbe dire) di molti atti compiuti da Pontefici del passato, con i quali sono state portate a compimento, non importa se consapevolmente o meno, le istanze dei novatori, forse oltre le loro stesse aspettative. Senza alcune discutibili iniziative e tutte le riunioni ecumeniche che ne sono seguite, la società moderna non avrebbe fatto proprio il relativismo umanista della Massoneria, men che meno i Cattolici. In molti casi, in passato, per una beata illusione di poter mantenere il potere politico e spirituale sulle masse anche senza l’appoggio delle leggi nazionali, il Vaticano era convinto di dar prova di liberalità e di apertura mentale, ma è evidente oltre ogni dubbio che se i politici cattolici non fossero stati indottrinati dalla Gerarchia in materia di libertà religiosa, ecumenismo e laicità dello Stato, difficilmente le Nazioni oggi verserebbero nello sfacelo ch’è sotto gli occhi di tutti.

Il merito va completamente al Concilio e al Post-concilio: il rapporto di causalità è inoppugnabile. noppugnabile al pari del corrispondente liturgico della seguente nuova dottrina: come prima della riforma la festa di Cristo Re esprimeva nel culto la dottrina della Regalità Sociale di Cristo, così nel post-concilio essa è stata proiettata in una visione escatologica, e sono state soppresse le strofe dell’inno Te sæculorum Principem in cui si allude al dovere delle Nazioni di sottomettersi al soave giogo di Cristo e si deplora la scelesta turba che non vuole che Egli regni. o stesso movimento ecumenico, che troviamo riproposto nel post-Concilio esattamente nella stessa forma in cui prima del Concilio era stato più e più volte condannato, conobbe un’evoluzione ulteriore: se all’inizio aveva come scopo l’unione delle varie denominazioni cristiane, successivamente si allargò alle religioni monoteiste, alla Sinagoga, all’Islam, alla più disparata forma di idolatria o di animismo. poi, come lamentarsi del decadimento morale dei fedeli e della débâcle dottrinale del Clero, se proprio in un momento delicatissimo come il Sessantotto, si aboliva l’Index Librorum Prohibitorum e si sopprimeva l’Imprimatur per le opere di argomento religioso? Senza censura ecclesiastica, si è consentito a tanti sedicenti teologi, esegeti e moralisti di pubblicare libri infetti che hanno diffuso errori e vere e proprie eresie. Fu o non fu in nome dello spirito del Concilio che si privò la Chiesa di uno strumento di difesa efficace proprio quando essa era sotto attacco?

Ancora i metodi rivoluzionari: libertà di stampa e soppressione della censura. Salvo epurare o ostracizzare dalle riviste cattoliche e dagli Atenei i filo-monarchici ed i girondini del momento, ossia i tradizionalisti (Monsignor Spadafora e Monsignor Piolanti, per citarne un paio) ed i fautori ante litteram dell’ermeneutica della continuità (come il Cardinal Siri), quelli che pur accogliendo il Concilio, lo volevano interpretare comunque nell’alveo della Tradizione. Ma si può considerare nell’alveo della Tradizione ciò che è nato per scalzare la Tradizione stessa, e per sostituirsi ad essa come un vitello d’oro? Nel campo liturgico, Benedetto XVI non ha rinnegato Joseph Ratzinger: ne abbiamo avuto prova non solo in numerosi interventi magisteriali, ma soprattutto nell’esempio silenzioso eppure chiarissimo delle liturgie papali, a partire dalla nomina del nuovo Maestro delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice, Monsignor Guido Marini.

Le stravaganze al limite del folklore, cui abbiamo assistito attoniti nel corso del precedente Pontificato (certamente non per colpa di Giovanni Paolo II ma di chi era preposto alla cura delle Cerimonie Liturgiche), sono state sostituite da un’impostazione più accurata delle funzioni, dall’uso di paramenti sacri più vicini alla tradizione romana, dall’abbandono della discutibile pratica di comunicare i fedeli nel palmo della mano, ripristinando la Comunione in ginocchio e sulla lingua.

Negli ultimi mesi, non è solo il Santo Padre che comunica in questo modo, ma vi si attengono tutti i sacerdoti che distribuiscono la Comunione ai fedeli nel corso delle Messe papali. Le celebrazioni nella Cappella Sistina si svolgono addirittura all’antico altare, senza ricorrere ad una mensa posticcia che, pur vietata dalle norme liturgiche, era stata adottata persino nel cuore della Cristianità. Assieme a tutto questo, la valorizzazione del latino e del canto gregoriano ha fatto riscoprire una dimensione del sacro che un cinquantennio di abusi e di innovazioni aveva fatto dimenticare ai più.

Con Benedetto XVI, nel campo della dottrina, l’ecumenismo ha poi finalmente registrato una rilevante correzione di rotta; il relativismo ed il razionalismo sono stati condannati con maggior forza; pur con una certa prudenza, si è distinto il laicismo anticattolico dalla laicità dello Stato; lo scisma della Fraternità Sacerdotale San Pio X è stato ricomposto con la revoca della scomunica e con incontri che procedono proficuamente a tutt’oggi; il vero ecumenismo cattolico - che mira alla conversione dei pagani, degli eretici e degli scismatici in seno all’unica Chiesa di Cristo - ha conosciuto un momento importante nel ritorno di una parte della gerarchia anglicana alla comunione con Roma; alcuni punti controversi nella formulazione del Concilio sono in via di soluzione grazie alla ermeneutica della continuità inaugurata dall’attuale Pontefice, con la quale si vuole ricondurre il Vaticano II nell’alveo della Tradizione. Abbiamo appreso, proprio il mese scorso, che il Papa ha accettato di recarsi ad Assisi per il XXV anniversario dell’Incontro Interreligioso voluto dall’ormai Beato Giovanni Paolo II.

In molti, dentro e fuori la Chiesa, hanno iniziato subito a stracciarsi ingiustificatamente le vesti, vedendo nella decisione del Santo Padre un pericoloso ritorno al passato. Ma possiamo essere certi, conoscendo Benedetto XVI, che tale incontro rappresenterà la versione corretta e ortodossa delle precedenti, anche se - proprio per la nefasta influenza del messaggio mediatico che alcuni ne vorrebbero trarre -, questo richiederà una grande forza di comunicazione da parte del Papa, con il riaprirsi della solita e puntuale guerra aperta contro la Chiesa non appena svolge il suo ruolo di Mater et Magistra. Nel campo morale e disciplinare, intanto, è stata ribadita la dottrina immutabile sulla contraccezione, sul rispetto della vita nascente, sulla manipolazione genetica, sull’indissolubilità del Matrimonio, sul crimine dell’eutanasia e, ad intra, si è data una risposta autorevole, efficace ed immediata allo scandalo della pedofilia nel Clero: quello che poteva essere un colpo magistrale inferto alla Chiesa Cattolica, si è rivelato un’occasione di purificazione e di riscoperta della santità sacerdotale.

Pure i provvedimenti disciplinari relativi alla formazione dei Seminaristi, nel frattempo, lasciano auspicare una maggiore severità nell’ammissione agli Ordini Sacri, oggi più che mai indispensabile proprio in considerazione della rilassatezza dei costumi del mondo contemporaneo.

Nomine importanti nel Sacro Collegio e nei Dicasteri Romani hanno infine garantito al Sommo Pontefice la collaborazione di Prelati di grande formazione, di certa dottrina, di solida spiritualità e di sicura fedeltà al Soglio di Pietro.

Vecchia email di S.C.
Fonte (non più presente):
http://www.papanews.it/dettaglio_approfondimenti.asp?IdNews=16019



Luned́ 18 Luglio,2011 Ore: 16:49
 
 
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