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www.ildialogo.org La beatificación de Juan Pablo II,di Juan José Tamayo, teólogo

La beatificación de Juan Pablo II

di Juan José Tamayo, teólogo

Riportiamo di seguito il testo del teologo spagnolo Juan José Tamayo sulla beatificazione Giovanni Paolo II. La traduzione in italiano è di Stefania Salomone. Di seguito anche il testo in spagnolo.

 

La beatificazione di Giovanni Paolo II
 
Juan José Tamayo, teologo
 
Ecco un altro capitolo della evoluzione di Benedetto XVI dal neoconservatorismo al fondamentalismo
 
Fonte: El País
Il Papa continua l'opera di smantellamento del Concilio Vaticano II, che ha iniziato all'ombra del suo predecessore
 
Domani, 1 maggio 2011, Benedetto XVI beatificherà il suo predecessore Giovanni Paolo II. Fin dal suo annuncio, questa beatificazione ha causato angoscia e stupore in settori importanti della Chiesa cattolica. Capisco il disagio, poiché alcune delle azioni di Giovanni Paolo II sono state tutt'altro che esemplari come ci si aspetterebbe invece da una persona elevata alla gloria degli altari e presentata come un modello di virtù per i cristiani.
Mi riferisco al suo modo autoritario di guidare la Chiesa, al suo rigore morale, al trattamento repressivo riservato a teologi e teologhe in disaccordo con il Magistero ecclesiastico, molti dei quali sono stati sospesi dai loro incarichi e le loro opere sottoposte a censura, al silenzio e alla comprovata complicità nei casi di pedofilia, in particolare nei confronti del fondatore dei Legionari di Cristo, Marcial Maciel, al quale ha sempre riservato un trattamento preferenziale con il beneplacito del cardinale Ratzinger, il suo braccio destro, e così via.
La chiave per la beatificazione di Wojtyla è l'apprezzamento del suo successore, Ratzinger
Con questi due ultimi papi siamo passati dalla Chiesa popolo di Dio alla Chiesa piramidale. Ma questo non rappresenta una sorpresa. Con questa beatificazione, Papa Benedetto XVI non ha fatto null’altro che mettere in pratica il vecchio detto: la gratitudine è la virtù dei forti. L'elevazione di Karol Wojtyla al rango di beato è il miglior segno di apprezzamento che potesse rendere al suo predecessore, che lo ha nominato a capo della Congregazione per la Dottrina della Fede e che gli conferì potere assoluto nelle questioni dottrinali, morali e amministrative. Inoltre, è stato Giovanni Paolo II che gli ha spianato la strada nominandolo suo successore in pectore. Come avrebbe potuto l’attuale papa mancare di beatificare l'autore di una tale ascesa nei ranghi ecclesiastici?
Se non fosse stato per Giovanni Paolo II, Joseph Ratzinger oggi sarebbe un irrilevante arcivescovo emerito. Ma il destino ha voluto che il papa polacco chiamasse al suo fianco l’arcivescovo tedesco e lo nominasse Inquisitore della Fede, fatto che ha rappresentato una svolta copernicana nella vita del cardinale Ratzinger. Per quasi un quarto di secolo è stato il funzionario più potente della curia romana attraverso le cui mani sono passate le questioni più scottanti del mondo cattolico, dal controllo della dottrina ai casi di pedofilia sui quali ha decretato la massima segretezza, imponendo a vittime e carnefici un silenzio che li ha resi complici della copertura crimini orrendi contro persone inermi.
Giovanni Paolo II e il cardinale Ratzinger hanno vissuto un idillio per quasi cinque decenni, con una divisione di ruoli che hanno sempre rispettato. Il primo con la vocazione da attore fin da giovane, ha esercitato questo ruolo alla perfezione, diventando così uno dei più grandi attori del Novecento ricevendo il plauso di milioni di telespettatori in tutto il mondo dalla sua elezione papale al suo funerale. Il secondo, invece, ha esercitato il ruolo per il quale era stato appositamente addestrato, l'ideologo e sceneggiatore dello spettacolo che il papa avrebbe dovuto rappresentare e che mise per iscritto nel suo libro intervista Rapporto sulla fede, la cui idea centrale era la restaurazione della Chiesa Cattolica.
La sceneggiatura comprendeva la revisione del Vaticano II e l'inversione di marcia della Chiesa cattolica, la restaurazione dell'autorità papale, svalutata nel periodo post-conciliare, l'affermazione del dogma cattolico, la nuova evangelizzazione, la re-cristianizzazione dell'Europa, il ritorno alla tradizione, i vincoli alla riforma liturgica, la confessionalità della politica e della cultura, la difesa della morale tradizionale con tutte le sue rigidità in aree che fino ad allora erano state oggetto di dibattito all'interno e al di fuori del cattolicesimo, come la famiglia, il matrimonio, la sessualità, l'inizio e la fine della vita, e così via.
Il panorama ecclesiale descritto dal cardinale Ratzinger in una intervista di Vittorio Messori, in seguito pubblicata in un libro con il predetto titolo Rapporto sulla fede, non potrebbe essere più cupo: "E 'innegabile che gli ultimi 20 anni siano stati decisamente dannosi per la Chiesa Cattolica. I risultati che sono seguiti al Concilio sembrano opporsi crudelmente alle speranze di tutti, a cominciare da quelle di Papa Giovanni XXIII e poi quelle di Paolo VI. I cristiani sono, ancora una volta, una minoranza, più che in qualsiasi altra epoca fin dall’antichità.
I Papi e i Padri conciliari si aspettavano una nuova unità cattolica e invece è sopravvenuta una tale divisione che – come disse Paolo VI – si è passati dall’auto-critica all'auto-distruzione. Si sperava in un nuovo entusiasmo, e si è finiti nella chiusura della noia e dello sconforto. Ci aspettavamo un salto in avanti, e siamo andati incontro ad un processo progressivo di decadenza che si è sviluppato in gran parte sotto il segno del presunto spirito conciliare, causandone il discredito."

 
Nella sceneggiatura entrava, invece, la politica della nomina dei vescovi senza la quale non sarebbe stato possibile la restaurazione della chiesa progettata all'unisono da Giovanni Paolo II e dal cardinale Ratzinger. Gradualmente, i vescovi conciliari sono stati sostituiti da prelati preconciliari, i vescovi impegnati col popolo hanno fatto spazio ai vescovi la cui principale preoccupazione era l'ortodossia, i vescovi legati alla Teologia della Liberazione hanno ceduto il passo agli obbedienti a Roma. Tutto questo avrebbe garantito il successo della nuova strategia neo-conservatrice.
Wojtyla e Ratzinger si conoscevano fin dai tempi del Concilio Vaticano II, in cui entrambi avevano partecipato, il primo come vescovo, il secondo come consulente teologico del cardinale Joseph Frings, arcivescovo di Colonia. Wojtyla era allineato con l’ala conservatrice. Ratzinger è stato parte del gruppo moderatamente riformista.
Entrambi hanno dato il loro apporto ai documenti conciliari. Si sperava quindi che, acquisendo successivamente posizioni di responsabilità nelle alte sfere, attuassero le riforme approvate dal Concilio Vaticano II nei vari ambiti della vita ecclesiale: vita e organizzazione della chiesa, teologia, liturgia, utilizzo del metodo storico-critico per lo studio dei testi sacri, il dialogo con il mondo moderno, la presenza della Chiesa nella società e, soprattutto, la creazione della "Chiesa dei poveri", proposta nodale di Giovanni XXIII. Non è stato questo, tuttavia, il percorso seguito da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.
Quando raggiunsero il soglio pontificio incominciarono una lenta demolizione dell'edificio costruito dai Padri conciliari tra il 1962 e il 1965, allontanandosi dal progetto di Chiesa delineato accuratamente nelle costituzioni, nove decreti e tre dichiarazioni che compongono il Magistero conciliare.
Il cambiamento non avrebbe potuto essere più evidente: si è passati dalla Chiesa popolo di Dio e comunità dei credenti, alla Chiesa gerarchico-piramidale, dalla corresponsabilità al governo autoritario, dal pensiero critico al pensiero unico, dall’autonomia delle chiese locali al controllo centrale, dalla gerarchia come servizio alla gerarchia come esercizio di potere, dalla teologia come intelligenza della fede in dialogo con altre sfere del sapere alla teologia come comprensione di fede in dialogo con le altre conoscenze a la teologia come una glossa del Magistero ecclesiastico, dall’etica della responsabilità al rigorismo morale, dal dialogo multilaterale all’anatema.
La beatificazione di Giovanni Paolo II è, a mio parere, un ulteriore esempio della direzione che Benedetto XVI ha impostato, dal neoconservatorismo al fondamentalismo.

 
Juan José Tamayo è direttore del Dipartimento di Teologia e Scienze delle Religioni presso l’Università Carlos III di Madrid.

 
Testo in spagnolo
 
La beatificación de Juan Pablo II
 
Juan José Tamayo, teólogo
 
Se escenifica otro capítulo de la evolución de Benedicto XVI desde el neoconservadurismo al integrismo
 
Fuente: El País
El Papa continúa la obra de desmantelamiento del Vaticano II que inició bajo la sombra de su predecesor
Mañana, 1 de mayo de 2011, Benedicto XVI beatificará a su predecesor Juan Pablo II. Desde su anuncio, esta beatificación ha causado malestar y sorpresa en importantes sectores de la Iglesia católica. Entiendo el malestar, ya que no pocas de las actuaciones de Juan Pablo II fueron todo menos ejemplares e imitables como se espera de una persona a quien se eleva a los altares y se presenta como modelo de virtudes para los cristianos.
Me refiero a su manera autoritaria de conducir la Iglesia, a su rigorismo moral, el trato represivo dado a los teólogos y las teólogas que disentían del Magisterio eclesiástico -muchos de los cuales fueron expulsados de sus cátedras y sus obras sometidas a censura-, al silencio e incluso la complicidad que demostró en los casos de pederastia, especialmente con el fundador de los Legionarios de Cristo, Marcial Maciel, a quien dio siempre un trato privilegiado con el beneplácito del cardenal Ratzinger, su brazo derecho, etcétera.
La clave de la beatificación de Wojtyla es el agradecimiento de su sucesor, Ratzinger
Con estos dos últimos Papas se ha pasado de la Iglesia pueblo de Dios a la Iglesia piramidal Lo que no encuentro justificada es la sorpresa. Con esta beatificación, Benedicto XVI no ha hecho otra cosa que poner en práctica el viejo refrán: es de bien nacidos ser agradecidos. La elevación de Karol Wojtyla al grado de beato es la mejor muestra de agradecimiento que podía rendir a su predecesor, que le nombró presidente de la Congregación para la Doctrina de la Fe y le concedió un poder omnímodo en cuestiones doctrinales, morales y administrativas. Más aún, fue Juan Pablo II quien le allanó el camino nombrándolo sucesor in péctore. ¿Cómo el Papa actual no iba a beatificar al autor de tamaño ascenso en el escalafón eclesiástico?
Si no hubiera sido por Juan Pablo II, Joseph Ratzinger sería hoy un arzobispo emérito sin relevancia alguna. Pero quiso el destino que el papa polaco llamara al arzobispo alemán a su lado y le nombrara Inquisidor de la Fe, para que la vida del cardenal Ratzinger diera un giro copernicano. Durante casi un cuarto de siglo fue el funcionario más poderoso de la curia romana por cuyas manos pasaban los asuntos más importantes del orbe católico, desde el control de la doctrina hasta los casos de pederastia sobre los que decretó el más absoluto secreto, imponiendo a víctimas y verdugos un silencio que le convirtieron en cómplice y encubridor de delitos horrendos contra personas indefensas.
Juan Pablo II y el cardenal Ratzinger vivieron un idilio durante casi cinco lustros con un reparto de papeles que siempre respetaron. El primero, con vocación de actor desde su juventud, ejerció esa función a la perfección, se convirtió en uno de los grandes actores del siglo XX y recibió los aplausos de millones de espectadores de todo el mundo desde su elección papal hasta su entierro. El segundo ejerció el papel para el que estaba especialmente capacitado, el de ideólogo y guionista de la obra que le tocaba representar al papa y que puso por escrito en el libro-entrevista Informe sobre la fe, cuya idea central era la restauración de la Iglesia católica.
El guión incluía la revisión del concilio Vaticano II y el cambio de rumbo de la Iglesia católica, el restablecimiento de la autoridad papal, devaluada en la etapa posconciliar, la afirmación del dogma católico, la nueva evangelización, la recristianización de Europa, la vuelta a la tradición, el freno a la reforma litúrgica, la confesionalidad de la política y de la cultura, la defensa de la moral tradicional en toda su rigidez en materias que hasta entonces eran objeto de un amplio debate dentro y fuera del catolicismo, como la familia, el matrimonio, la sexualidad, el comienzo y el final de la vida, etcétera.
El panorama eclesial descrito por el cardenal Ratzinger en la entrevista con Vittorio Messori, publicada luego como libro bajo el título antes citado Informe sobre la fe, no podía ser más sombrío: “Resulta incontestable que los últimos 20 años han sido decisivamente desfavorables para la Iglesia católica. Los resultados que han seguido al Concilio parecen oponerse cruelmente a las esperanzas de todos, comenzando por las del papa Juan XXIII y, después, las de Pablo VI. Los cristianos son, de nuevo, minoría, más que en ninguna otra época desde finales de la antigüedad.
Los papas y los padres conciliares esperaban una nueva unidad católica y ha sobrevenido una división tal que -en palabras de Pablo VI- se ha pasado de la autocrítica a la autodestrucción. Se esperaba un nuevo entusiasmo, y se ha terminado con demasiada frecuencia en el hastío y en el desaliento. Esperábamos un salto hacia adelante, y nos hemos encontrado ante un proceso progresivo de decadencia que se ha desarrollado en buena medida bajo el signo del presunto espíritu del Concilio, provocando de este modo su descrédito”.
Dentro del guión entraba el cambio en la política de nombramiento de obispos, sin la cual no podía llevarse a cabo la restauración eclesial diseñada al unísono por Juan Pablo II y el cardenal Ratzinger. Poco a poco fueron sustituidos los obispos conciliares por prelados preconciliares, los obispos comprometidos con el pueblo dieron paso a obispos cuya preocupación principal era la ortodoxia, los obispos vinculados a la teología de la liberación dieron paso a los obedientes a Roma. De esa manera se garantizaba el éxito de la nueva estrategia neoconservadora.
Wojtyla y Ratzinger se conocían desde la época del concilio Vaticano II, en el que ambos participaron, el primero como obispo, el segundo como asesor teológico del cardenal Joseph Frings, arzobispo de Colonia. Wojtyla se alineó con el sector conservador. Ratzinger estuvo del lado del grupo moderadamente reformista.
Ambos dieron su apoyo a los documentos conciliares. Se esperaba por ello que, ubicados posteriormente en los puestos de la máxima responsabilidad eclesiástica, llevaran a la práctica las reformas aprobadas por el Vaticano II en los diferentes campos del quehacer eclesial: vida y organización de la Iglesia, teología, liturgia, recurso a los métodos histórico-críticos en el estudio de los textos sagrados, diálogo con el mundo moderno, presencia de la Iglesia en la sociedad y, sobre todo, la creación de la “Iglesia de los pobres”, propuesta estrella de Juan XXIII. No fue ese, sin embargo, el camino seguido por Juan Pablo II y Benedicto XVI.
Cuando accedieron al papado fueron desmontando poco a poco el edificio construido por los padres conciliares entre 1962 y 1965 y alejándose del proyecto de Iglesia diseñado cuidadosamente en las cuatro Constituciones, los nueve Decretos y las tres Declaraciones que conforman el Magisterio conciliar.
El giro no podía ser más notorio: se pasó de la Iglesia pueblo de Dios y comunidad de creyentes a la Iglesia jerárquico-piramidal, de la corresponsabilidad al gobierno autoritario, del pensamiento crítico al pensamiento único, de la autonomía de las realidades temporales a su sacralización, de la secularización al retorno de las religiones, de la autonomía de la Iglesia local a su control, de la jerarquía como servicio a la jerarquía como ejercicio de poder, de la teología como inteligencia de la fe en diálogo con otros saberes a la teología como glosa del Magisterio eclesiástico, de la ética de la responsabilidad al rigorismo moral, del diálogo multilateral al anatema.
La beatificación de Juan Pablo II constituye, a mi juicio, una muestra más del paso que Benedicto XVI ha dado desde el neoconservadurismo al integrismo.

 
Juan José Tamayo es director de la Cátedra de Teología y Ciencias de las Religiones de la Universidad Carlos III de Madrid.
 

 



Lunedì 02 Maggio,2011 Ore: 16:32
 
 
Commenti

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Autore Città Giorno Ora
claudio bellavita torino 16/5/2011 08.55
Titolo:la santità non necessariamente va d'accordo con la storia
Non sono un teologo, se mai ho una cultura storica, ma penso che il giudizio storico c'entri poco con le qualità che fanno un santo.
Nell'analisi storica che fa il teologo spagnolo, manca un approfondimento sull'allineamento della chiesa alla politica della CIA in america latina, cominciata prima di papa Woijtila, ma da lui perseguito con rigore di sterminio della teologia della liberazione.Risultato: diffusione delle sette e reazione anticlericale dei governi che si sono liberati della tutela americana.
Manca anche la critica al silenzio della chiesa sul problema della droga, dove solo l'assunzione dello spaccio libero da parte dello stato può mettere fine al narcotraffico, all'economia criminale che si sta impadronendo degli stati, e alla microcriminalità diffusa dei drogati. Con queste misure , si ridurrebbe il debito pubblico e l'inflazione in modo decisivo.
Manca anche la critica alla mancata presa di coscienza che in 100 anni la popolazione mondiale è passata da 2 a 7 miliardi di abitanti, con il consumo pro capite in continuo aumento e il tutto sta divorando il pianeta. Ma la Chiesa continua a combattere il preservativo e a condannare ogni pratica omosessuale.
Dopo di che, uno può anche essere santo, per i suo martirio personale, perchè qualche suora grida al miracolo: ma è un esempio personale.

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