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www.ildialogo.org Lettera aperta di Alberto Simoni ad Enzo Bianchi,di Alberto Bruno Simoni op

Lettera aperta di Alberto Simoni ad Enzo Bianchi

di Alberto Bruno Simoni op

Caro Enzo,
         le parole che ti rivolgo nascono da un senso di sorpresa che ho provato nel leggere due tuoi articoli “minori” ma per me rivelativi di una situazione, sulla quale mi permetto qualche osservazione di carattere generale. Mi riferisco a quanto dici su Jesus di aprile (Una Chiesa affaticata, “afflicta”) e su “La Stampa” del 16 aprile 2011 (Oggi alla Chiesa manca il respiro).
         E’ la situazione che da qualche tempo va sotto il nome di “disagio” e che tu stigmatizzi in questo modo: “Non si può certo negare: molte componenti della chiesa appaiono e si dicono stanche, comunque prive di attesa”, mentre fai riferimento, citando, a “un diffuso senso di frustrazione all’interno stesso della chiesa”. Certamente nulla di nuovo, ma la sorpresa derivava dal fatto che abitualmente nei tuoi interventi di approfondimento sei esplicativo e risolutivo, nel senso che i discorsi hanno una loro positiva risoluzione innovativa; mentre questa volta prendi in considerazione non solo la “concezione ideale” della chiesa, ma la sua “espressione reale, nella sua esistenza terrestre” (Ecclesiam suam, n.43).
         Evidentemente hai toccato un nervo scoperto nella mia percezione delle cose, che mi porterebbe a guardare all’andamento e ai destini delle spinte innovative nella chiesa e ad interrogarci sui propri fallimenti, se le cose stanno come si dice. E cioè come si legge in Lc 7,32 a proposito di “bambini che, seduti in piazza, gridano gli uni agli altri così: «Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto!»”. Sembra che si siano creati questi due mondi e se per molti anni erano quelli del flauto o dell’apparato a lamentarsi di quanti non ballavano (ripensiamo al dissenso, alla contestazione…), ora sono quelli del lamento a denunciare che gli altri non piangono.
         Tanto è vero che assistiamo, come tu dici, ad “un progressivo dilatarsi della forbice tra la sovraesposizione dei vertici ecclesiastici e l’afasia dell’opinione pubblica nella chiesa. È l’immagine che la chiesa dà di se stessa che in un certo senso autorizza l’osservatore esterno a identificarla con le figure più rappresentative del suo episcopato. Non si tratta quindi di un deplorevole malcostume giornalistico, quanto piuttosto di un serio campanello d’allarme sullo stato di salute della chiesa italiana e sul suo impatto nella società civile”.
         Ecco, caro Enzo, mi chiedo per chi suona questo campanello d’allarme e se non sarebbe necessario cambiare atteggiamento e strategia, mettendo in discussione se stessi nel proprio impegno di “esprimere” un’altra chiesa reale ed ovviare al problema di “sovraesposizione dei vertici ecclesiastici e l’afasia dell’opinione pubblica nella chiesa”. Non serve più a nessuno essere grilli parlanti del malcontento, del disagio, del malessere, e magari da posizioni acquisite di rilievo, se chi ha messo mano all’aratro poi si è voltato indietro e se vuole che a spingerlo siano altri, magari quelli che impongono i pesi senza però toccarli con un dito. Quanti cedimenti e abbandoni, e quante occasioni perdute per condurre l‘impresa a cui eravamo chiamati! Quante soluzioni di nicchia a buon mercato, che il sistema ha inglobato e omologato a proprio vantaggio!
         Non voglio farla troppo lunga, ma mi verrebbe da riproporre una rilettura del n.8 della Lumen gentium, per farne un punto di riferimento e di riflessione comune. Ma vorrei cogliere da una tua citazione del libro recensito una indicazione di marcia ben precisa verso “una nuova stagione di presenza cristiana nella società: “Sono questi tempi di marginalità per la chiesa i più preziosi: la bellezza del Vangelo infatti appare limpidamente quando esso non ha altro sostegno se non la propria, intrinseca fecondità».
         Aggiungerei questo: non sono solo tempi di marginalità per la chiesa e della chiesa, ma di marginalità “nella chiesa”, non soltanto come dato di fatto ma come scelta. E’ inutile e patetico continuare a reclamare ascolto in alto da posizioni ben garantite, al tempo stesso in cui non diamo ascolto alle tante voci che vengono dal basso o dal di fuori. Una volta si sarebbe detto che si diventa funzionali al sistema, mentre un cambiamento di sistema per ora può avvenire soltanto “in spe”, e cioè nella distinzione di carismi e compiti diversi, nella differenziazione e articolazione interna alla stessa chiesa, nella destinazione distinta dei ministeri, misurandosi tutti con il problema vitale del credere. Se davvero è la fede che sta al cuore e a cuore nelle chiesa! Ma tutto questo richiede un prezzo di libertà, di perseveranza, di insignificanza.
         E forse andrebbe riattivata anche all’interno una beatitudine alquanto declassata o applicata solo all’esterno: “Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi” (Mt 5,11-12). Antidoto alla afasia?
        Perdona se mi sono permesso di prendere spunto da tuoi scritti per intavolare un discorso più ampio, che mi porto dentro e che forse è solo mio. Ma se credi di darmi liberamente un po’ di ascolto, potrò essere utilmente confortato o smentito nei miei pensieri. Quello che invece conta è la speranza riposta nella Pasqua del Signore, che auguro a te e ai tuoi fratelli piena di benedizione. Fraternamente.
Alberto Bruno Simoni op 

Articolo tratto da:

FORUM 258 (22 aprile 2011) Koinonia

http://www.koinonia-online.it

Convento S.Domenico - Piazza S.Domenico, 1 - Pistoia - Tel. 0573/22046



Sabato 23 Aprile,2011 Ore: 17:57
 
 
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Crisi chiese

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