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www.ildialogo.org Una chiesa equilibrista,di Augusto Cavadi, Palermo

Inchiesta sulla chiesa cattolica siciliana
Una chiesa equilibrista

di Augusto Cavadi, Palermo

Troppo moderatismo e poca radicalità evangelica tra il clero e i fedeli siciliani nonostante non manchino i buoni esempi. E la congregazione per la causa dei santi resiste alla canonizzazione di don Pino Puglisi


Pubblicato su Left del 05/11/10 Estratto da pagina 4
Ci sono quelli che sfilano sinceramente addolorati, con le fiaccole in mano, quando la mafia consuma delitti e stragi, ma non si scandalizzano minimamente quando i mafiosi e gli amici dei mafiosi, quasi sempre frequentatori di sacrestie e santuari, corrompono gli amministratori, inquinanio l'aria e devastano le coste con mostruosità abusive
Come sta la Chiesa cattolica si­ciliana? Non differentemente dalla Chiesa in Italia, anzi nel mondo: costituisce uno dei più affa­scinanti miraggi del contemporaneo. Appare, infatti, come un blocco uni­tario, granitico, compatto: e, invece, è un arcipelago di isole e isolotti in­credibilmente differenti gli uni dagli altri. Zoomiamo sulla nostra regione: schematizzando brutalmente, clero e fedeli si distribuiscono su tre aree. Una minoranza è schierata, per par­tito preso, con chiunque sventola la bandiera del conservatorismo, del tradizionalismo: sono le parrocchie vicine all'Opus Dei, a Comunione e li­berazione, ad Alleanza cattolica. Don Aldo Nuvola (prima di essere colto in fragranza di reato per atti osceni in luogo pubblico, appartato con un gio­vane in un vicolo del centro storico di Palermo) aveva organizzato nella sua parrocchia-bene una veglia di pre­ghiera prò Curraro alla vigilia della sentenza del processo di primo grado. «Vogliamo sperare» - dichiarava dal pulpito domenicale della Chiesa di S. Francesco Saverio all'Albergheria, don Cosimo Scordato, con la sua im­mancabile vena ironica - «che l'altro ieri i nostri fratelli abbiano pregato affinché i giudici, illuminati dallo Spi­rito santo, sappiano valutare con og­gettività colpe e pene». Con Scordato, con il parroco di Bagheria Michele Francesco Stabile, con don Salva­tore Resca a Catania e diversi altri, ci spostiamo nell'area per così dire op­posta della Chiesa siciliana: un'area, minoritaria come la conservatrice, di preti e laici cattolici schierati senza remore dalla parte di chi non sop­porta più lo stato di cose esistenti. Mentre i nostalgici non hanno sponde fra l'episcopato siciliano e si devono appellare direttamente a papa Rat­zinger e ai suoi fedelissimi della curia romana (quando Benedetto XVI ha rilanciato la messa in latino, l'arcivescovo di Palermo monsignor Romeo tentò di dissuadere i suoi preti dal se­guire i consigli vaticani: col risultato che alcuni di questi disobbedirono al vescovo vicino in l'orza dell'autorità del papa lontano, il quale punì il ge­rarca rimandando all'ottobre del 2010 una nomina cardinalizia che, secondo prassi, sarebbe spettata anni prima), i progressisti hanno dei referenti fra i vescovi: Miccichè, titolare della diocesi di Trapani, ha invitato i suoi parroci a non accettare finanziamenti regionali per non perdere la libertà di critica («Stiamo vendendo la primo­genitura per un piatto di lenticchie»); Mogavero, titolare della diocesi di Mazara del Vallo, ha ripetutamente bollato come incoerenza la discrasia fra parole pubbliche e comportamenti privati del premier e, in occasione della visita-pagliacciata di Gheddafi, ha chiesto di poter recarsi in Libia per vedere con i propri occhi in che modo vengono trattati gli emigranti africani che tentano di approdare sulle coste siciliane. Se tradizionalisti e progres­sisti costituiscono due minoranze, esattamente come nel resto della so­cietà, anche nella Chiesa isolana l'area più affollata è una sorta di palude centrale (e, naturaliter, centrista): vescovi, preti, suore, battezzati che oscillano di caso in caso nel giudizio e nelle scelte (anche elettorali) o che, per evitare di oscillare, irrigidiscono le gambe in "prudente"' immobilismo. Sono quelli che non approvano le or-gette di Berlusconi ma che - turandosi il naso - lo votano per paura dei "co­munisti" sfegatati come Prodi, Bindi o Di Pietro. Sono quelli che sfilano sin­ceramente addolorati, con le fiaccole in mano, quando la mafia consuma delitti e stragi, ma non si scandaliz­zano minimamente quando i mafiosi e gli amici dei mafiosi, quasi sempre frequentatori di sacrestie e santuari, corrompono gli amministratori, in­quinano l'aria, devastano le coste con mostruosità abusive. Sono quelli che provano brividi di ribrezzo all’idea che un adulto possa abusare sessualmente di un minore ma ritengono assoluta­mente legittimo che il vescovo di Agri­gento nel 2006, monsignor Carmelo Ferraro, abbia chiesto 200mila euro di risarcimento (per danno d'imma­gine arrecato alla diocesi) all'ex se­minarista Marco Marchese che aveva denunziato sulla tv nazionale l'omertà ecclesiastica di cui aveva goduto don Bruno Puleo, suo abusatore (condan­nato per patteggiamento dall'autorità giudiziaria e punito dall'autorità ec­clesiastica con un semplice trasferi­mento da una sede all'altra). Anche questa Chiesa equilibrista (forse più per difetto di formazione civica che per malafede) ha i suoi agganci nell'episcopato. SÌ pensi a figure di difficile collocazione come monsignor Pennisi, vescovo di Piazza Armerina: serio conoscitore di don Luigi Sturzo e della dottrina sociale cattolica, sotto protezione da parte delle forze dell'ordine per alcune minacce ricevute da ambienti maliosi, da una parte; ma, dall'altra, improvvisato (e improv­vido) difensore di Berlusconi quando - in contralto con quegli esponenti della Chiesa siciliana che ne denun­ziavano le contraddizioni politiche e personali - si affrettava a proclamare il divieto evangelico di giudicare il prossimo, specie quando queste cri­tiche potevano favorire schieramenti politici antagonisti (a suo parere non meno riprovevoli della compagine governativa).
Il futuro della Chiesa cattolica in Sici­lia? Difficile arrischiare previsioni senza frammezzarle di timori e di speranze. Ma anche per un osservatore emoti­vamente distaccato, che non ha verso l'arcipelago cattolico né particolari simpatie né particolari risentimenti, l'impresa non è agevole. Comunque non dovrebbe essere sbagliato preve­dere che l'ondata lunga della secolariz­zazione - che ha investito l'Occidente negli ultimi cinquantanni e che non ha risparmiato il Meridione italiano - perseveri ancora per molto tempo: con conseguente calo del 43 per cento dei battezzati e dei cresimati, ancor di più che per i matrimoni sacramentali, per non parlare delle vocazioni al celibato "religioso" di frati, suore e preti. Chi vive a contatto ogni giorno con le nuove generazioni, constata l'abisso che si va scavando tra la Chiesa istituzionale e il senso comune della gente. Paradossal­mente, mentre nel Settentrione italiano dei giovani - sia pure in misura minore - optano per il ministero presbiterale in prospettiva di una missione di evange­lizzazione e di promozione umana nel Terzo e nel Quarto mondo, questo fe­nomeno di riserva non pare si registri da Roma in giù: così, cadute le vecchie motivazioni (la carriera ecclesiastica come strumento dì ascesa sociale per sé e per la propria famiglia d'origine) e assenti le nuove (di carattere etico-po­litico), le parrocchie restano senza clero locale e devono ricorrere a importare "personale" dall'Africa e dall'America del Sud.
Un antico adagio teologico sostiene che il sangue dei martiri e seme di nuovi cristiani. In effetti, vicende come l'impegno di don Pino Puglisi contro il sistema di dominio mafioso, hanno suscitato qualche energia giovanile, e una Chiesa seriamente impegnata sulla scia del parroco del quartiere Brancaccio potrebbe attrarre qualche "vocazione" un po' più vivace, rispetto alla media degli attuali candidati al sacerdozio (molto meno problematici e intraprendenti dei loro confratelli oggi sessantenni e settantenni). Ma una simile strada implicherebbe una vera e propria conversione dal mode­ratismo cattolico mediterraneo alla radicalità evangelica: una conver­sione che l’attuale Congregazione per la causa dei santi non sta certo favo­rendo, opponendo resistenza alla ca­nonizzazione, come martire, di padre Puglisi. Proclamarne in maniera esemplare la santità significherebbe, in effetti, per i vertici della Chiesa mo­dificare profondamente l'immagine stereotipa del prete: non più (come di norma sino a oggi) un funzionario del sacro che distribuisce caramelle ai piccoli e panettoni ai poveri a Na­tale ma un discepolo dì Gesù che - a imitazione del Maestro di Nazareth - prende apertamente le difese dì chi è meno ricco, meno potente, meno raccomandato, meno curato, meno tollerato dalla società.


Mercoledì 10 Novembre,2010 Ore: 15:54
 
 
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