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www.ildialogo.org Lettera aperta ad un Vescovo,A cura di Sabrina Nesti

Crisi chiese
Lettera aperta ad un Vescovo

A cura di Sabrina Nesti

Premessa
La presente lettera è stata partorita in una notte di tanti interrogativi, dubbi – forse - legittimi di un cristiano normalissimo, piccolo e peccatore come me, che si scontra con le scelte di una Chiesa che sembra, sempre più spesso, non rappresentare più il luogo dove un cristiano normalissimo, piccolo e peccatore, può trovare rifugio, comprensione, accoglienza ed amore.
Una Chiesa - intesa qui come sistema e gerarchia di uomini - che non riesce ancora a condividere i propri percorsi con coloro ai quali questi percorsi poi chiede di condividere (i laici), che non riesce a spiegare i come ed i perché di certe scelte, perché troppo spesso i perché non sono chiari e trasparenti e quindi il confronto con la gente, che dovrebbe venire naturale e spontaneo, diventa poi difficile e pericoloso.
Perché oggi la gente è sempre meno “gregge” e sempre più “persona” ed ha bisogno di verità e di testimonianza.
Perché c’è sempre più l’urgenza di una “Chiesa Casa” e non di una “Chiesa Chiusa”, dove si possa far crescere i sogni e sviluppare i carismi, nel confronto delle diversità e nel rispetto di tutti.
L’episodio che ha fatto nascere questa “lettera aperta ad un Vescovo” è quello delle modalità e dei perché relativi ad un trasferimento di un giovane prete, che qui non citeremo per nome ma che vuole essere rappresentativo e caso emblematico di un “modus operandi” fuori tempo e fuori pentagramma, un trasferimento - improvviso ed inaspettato - da una parrocchia ad un’altra, mai comunicato alla Comunità, dai perché non chiari e di vago sentore bigotto e censorio, semplicemente perché il “presbiter quisdam” ha il coraggio di essere diverso, accogliente ed aperto come lo era Gesù nei confronti degli ultimi e perché ha avuto il giovanile ardire di parlare, anche durante la Messa, con il linguaggio della gente, per essere vicino alla sua gente, per essere compreso dalla sua gente Anche a dispetto di qualche “benpensante”...
E nonostante i mille progetti iniziati, nonostante le attività intraprese in un difficile terreno di periferia, da lui iniziato faticosamente a dissodare tre anni fa, ai primi germogli la verde pianta viene estirpata perché il giovane prete deve essere rimesso in riga, deve essere ri-allineato e conformato ad una ortodossia incomprensibile alla gente, fredda e distante da tutto ciò che anche Gesù ha per tre anni insegnato e predicato e per cui è morto in croce.
Questa lettera, scritta di getto, in un preciso momento storico della vicenda e inizialmente strettamente personale, non ha ancora ricevuto una risposta….è stata poi un po’ trafficata, letta e condivisa da altri, e molti mi hanno espresso, con affetto e partecipazione, piena adesione a quanto in essa contenuto. Alcuni mi hanno detto che questo poteva addirittura diventare l’inizio di un dialogo locale sul tema, più ampio del fatto in sé, e che poteva aprire le porte ad una riflessione più alta.
Ed allora mi sono detto che parole private ogni tanto possono anche diventare di tutti, se esprimono un “idem sentire”, un sentimento comune che serve a dare avvio ad un processo di riflessione e cambiamento .
Perché, alla fine, l’episodio di un trasferimento non è il cardine centrale di queste poche (o troppe) righe: riferimenti a nomi e cognomi sono stati tolti. Il fulcro è rappresentato dalla insopprimibile necessità per un cristiano, piccolo e peccatore come molti, di avere oggi una “Chiesa altra”, che ha modalità “altre” di approccio e di rapporto con il mondo dei laici ed anche nei propri processi interni, che rifletta e testimoni lo spirito del Vangelo nella sua nuda e sconvolgente bellezza.
  
Lettera aperta ad un Vescovo
Eccellenza Monsignor Vescovo xxxxx,
Caro xxxxx, Pastore della Chiesa xxxxxx, …posso chiamarLa così?
mi chiamo xxxxx, ho 43 anni, livornese, sposato, due figli, dirigente da circa dieci anni a………………….., nella Sua Pisa.
Non sono qui per parlare di me, anche se era necessaria una minima presentazione.
Ciò che conta, in questa mia con la quale mi intrometto nella Sua giornata piena di impegni sperando di cogliere viva e durevole la Sua attenzione per almeno quindici minuti, è che da sempre la “mia” Parrocchia, la “mia” comunità è ….San xxxxx.
Lì ho ricevuto i primi sacramenti; lì per anni ho fatto con entusiasmo e passione l’animatore di gruppi giovanili, il catechista, il volontario; lì, con mia mamma e mia sorella, ho pianto mio padre, che se ne è andato troppo presto e lì ho sposato xxxxx e battezzato i miei figli xxxxx e xxxxx.
E lì ho conosciuto preti – amici - che, ognuno con la sua Bellezza ed il suo Inferno, hanno contribuito a tratteggiare a colori ed in bianco e nero il volto di Cristo dentro di me, lasciandovi una impronta comunque indelebile per la mia vita e per la mia storia personale.
E’ per questo motivo che oggi sento ancora mio quello “scomodo” quartiere popolare dove abito da più di 35 anni.
E’ per questo che sento profondamente mie le vicende di una Comunità che da anni cammina, talvolta corre, sovente claudica ed inciampa, ma che sempre si rialza di fronte alle alterne vicende che Dio le sottopone come prova.
Arrivo al dunque, che peraltro si sarà già immaginato.
La “promozione-rimozione” di Don xxxxxx.
Le premetto che, chi Le sta scrivendo, Le scrive a titolo strettamente personale.
Rispetto la linea che la Comunità di San xxxxx ha deciso di adottare nell’interlocuzione con la Sua persona sull’argomento in questione, ma stanotte sento il bisogno di esprimerLe alcune cose in modo personale, più…diretto e, forse, meno mediato dagli inevitabili formalismi o dai toni necessariamente “ecumenici” che una Comunità deve adottare quando parla “istituzionalmente” con il proprio Pastore della Diocesi.
La prego, pertanto, di capirmi ed eventualmente, anche di scusarmi e perdonarmi per l’inevitabile schiettezza e passionalità con la quale tinteggerò queste mie righe…
Don xxxxxx nella nostra Parrocchia ha rappresentato un sospirato arcobaleno di novità dopo tanta pioggia, un concreto segno che Dio non si è mai dimenticato di questa comunità, donando negli anni persone speciali (ricordo Don E., Don E., Padre P., Don F…) che hanno tracciato, chi più chi meno, una vocazione della Comunità ben precisa e sempre più delineata, che già si era manifestata e concretizzata nel contributo scritto che la Comunità di San xxxxx dette durante l’ultimo Sinodo, sulla Pastorale della “Strada”.
Non voglio, in questa sede, parlarLe anche io troppo di Don xxxxx e di quello che ha fatto o non ha fatto.
Lei lo conoscerà benissimo, credo ed, almeno, lo spero.
Molti in questi giorni Le decanteranno le sue doti di prete “nuovo”, che parla al cuore dei giovani e della gente, che incarna con l’esempio personale la figura di un crocefisso con le braccia aperte (e non con le braccia chiuse e conserte…) e che fa dell’accoglienza , della gioia, della semplicità, dell’entusiasmo e dell’irruenza evangelica un’omelia vivente con un linguaggio che tutti capiscono e che tutti apprezzano (salvo qualche “anonimo – o non anonimo – veneziano” che evidentemente non ha di meglio da fare che dare spazio alla “maldicenza di alto rango”, senza chiedersi prima se il proprio agire non è più simile a quello dei farisei e degli scribi, piuttosto che non a quello di Gesù e della sua rabbia di fronte ai profanatori del Tempio….).
Molti, nell’occasione, forse, non si dimenticheranno di parlare del parroco, che, con la sua umiltà, mitezza e bontà, necessita però di avere accanto l’aiuto di un ciclone positivo, concreto e fattivo quale Don xxxxxx è.
Vorrei invece parlarle del diritto di un cristiano, peccatore e piccolo come me, di poter ancora sognare, nel 2010, una Chiesa che non è sistema di potere ed impenetrabile gerarchia ma che è Famiglia, dove ci si confronta, ci si parla, ci si comprende.
Dove ogni tanto il papà spegne la televisione ed ascolta i figli, a cena.
Del diritto di un cristiano, peccatore e piccolo come me, di rimanere davvero male e, perché no, anche di… indignarsi di fronte al comportamento di un Vescovo che, senza prima porsi in ascolto delle voci, di tutte le voci, della Sua comunità (del suo gregge oserei dire, ma temo che il paragone con le pecore svaluti l’intelligenza dei suoi interlocutori, che non sono solo capaci di… belare ma anche ormai di dire la propria in modo maturo intelligente e rispettoso), prende delle decisioni dirompenti e devastanti per un percorso e per un progetto parrocchiale appena sbocciato e fatto germogliare in questi anni come una fragile piantina, con il sacrificio di tempo e di passione di tanti.
Un progetto pastorale che è anche un…. “Grande Sogno” e che in questi tempi difficili, duri, faticosi aveva bisogno di incoraggiamento, di appoggio e di conforto.
Non di essere - di fatto - estirpato dall’oggi al domani come pericolosa gramigna.
Vorrei parlarLe del diritto di un cristiano, peccatore e piccolo come me, di avere oggi (e domani…) una Chiesa diversa, per sé e per i suoi figli.
Una Chiesa, certo, da costruire tutti insieme.
Una Chiesa che ancora ci troviamo, nonostante tutto, a “difendere” nel mondo della vita “normale” e che ogni domenica professiamo ancora come “Una Santa Cattolica ed Apostolica” ma che, al di là dei discorsi o dei proclami (che oramai conosciamo a memoria), nelle testimonianze di tante, troppe piccole e grandi cose di tutti i giorni, assomiglia sempre meno al Vangelo e sempre meno a Cristo, assomiglia sempre meno alla Sua essenziale radicalità, alla Sua voglia di dialogo con l’Uomo – chiunque e comunque esso sia - alla Sua spiazzante misericordia verso tutti, verso gli scomodi, verso i non allineati, verso le imbarazzanti Maddalene e verso i viscidi Pubblicani, verso i troppi Giuda e verso i moderni “Pagani” metropolitani….
Vorrei parlarLe anche della delusione, della rabbia e della tristezza di un cristiano, peccatore e piccolo come me.
Rabbia e tristezza che è spesso anche quella sofferta preghiera recitata con i denti serrati, di cui la Bibbia trabocca…..
Vorrei parlarLe della voglia dei cristiani di levare pugni stretti e serrati, alzati al cielo, in attesa vana di un dialogo vero ed aperto, che sembra impossibile o quantomeno improbabile… del sentirsi sempre più stranieri in quella che una volta era terra amica, la Chiesa…Madre, e troppo spesso, matrigna.
Mi creda, almeno questa volta non ci veda la tentazione di crearsi una “Istituzione Chiesa” su misura ma ho davvero il timore che, in questi tempi difficili, il giogo messo senza Amore sulle spalle delle persone inizi ad assomigliare sempre più a quello stesso giogo che Gesù vedeva imporre dai farisei ed ai sacerdoti del suo tempo e che le regole e i divieti vengano prima della gioia, del perdono, dell’accettazione vera e profonda, prima ancora della …persona..
Ho visto molti venire in Parrocchia in questi anni, chiedere sacramenti e poi anche rimanere, e dare di se stessi tutto, perché lì si sentivano davvero accolti per la propria unicità ed umana povertà, indipendentemente dalla perfezione ed impeccabilità del… “curriculum” ecclesio – parrocchial - sacramentale.
Prima letteralmente scacciati e messi alla porta da altre Parrocchie, da altri preti (ahimè testimoni di questa Chiesa…) sicuramente per il sistema reputati migliori e più “a disegno” di un Don xxxxx qualsiasi, ma sicuramente meno espressione di un Cristo a braccia aperte sulla croce, che così abbraccia tutti: il centurione, il ladrone ed anche chi gli porge da bere l’aceto.
Sono uomo di azienda e conosco le logiche del mondo del lavoro, delle multinazionali, del mondo dell’Impresa: spesso queste logiche sono dure, spietate e totalmente inumane, si cerca di trasformarle “da dentro” e di essere ogni giorno comunque testimoni di “resurrezione”, come agnelli in mezzo ai lupi, ed è…. difficile, molto difficile.
Ma si sa, il mondo stritola e si sa chi è il “Signore” di questo mondo…
Ma la Chiesa no: quella non l’accetto.
La Chiesa è immagine di Gesù sulla terra e Gesù è Amore.
Certo, la Chiesa è imperfetta, è formata da uomini e per questo fallaci…
Ma siamo in altro contesto, dobbiamo navigare in altre onde , in altri stili, in altri percorsi.
Ma sono queste le cose che danno fastidio e che mettono in crisi di…cittadinanza il cristiano nella Chiesa.
Non mi va dovermi adattare all’idea che anche la “Casa Chiesa” non può che essere un posto fatto di uomini intristiti dal potere, dove la parola di un Amministratore Delegato o di un Direttore Generale è davvero ottusamente “irrevocabile” e dove le logiche che devono essere seguite sono quelle della “Ragion di Stato”, del mantenimento degli equilibri per far sì che nulla cambi ed i centri di potere rimangano immutati.
Non accetto di sentir dire – come ho sentito dire di recente - dalle persone in una Assemblea Parrocchiale che, poiché il Vescovo ha ormai deciso una cosa su Don xxxxx, sulla sua vita e su quella di molte, molte altre persone, il Vescovo non può assolutamente tornare indietro.
Perché ha detto che la sua decisione è… “irrevocabile”.
Ma stiamo scherzando?
Mi creda, se un cristiano peccatore e piccolo, ma comunque cristiano, non avesse fede nelle cose impossibili – nell’Incarnazione, nella Resurrezione ed….anche in quella di far cambiare idea ad un Vescovo - che cosa ne sarebbe di lui? Potrebbe sperare di cambiare anche un centimetro del suo piccolo mondo e cercare di lasciarlo un po’migliore di come l’ha trovato?
Le lettere che Le giungeranno o che Le sono già giunte Le chiederanno, con mitezza e rispetto, di indicare una nuova strada per la Parrocchia San xxxxx del “dopo xxxxxx”, cercando di mantenerne viva la sua “naturale” vocazione e chineranno virtualmente il capo - in modo “filiale” - di fronte alla Sua scelta, che sicuramente Lei avrà preso con discernimento e che ha sicuramente dei fondamenti, siano giusti o sbagliati, condivisibili o non condivisibili.
Per me, che sono felicemente padre e che vorrei che un domani i miei figli non chinassero sempre il capo in modo “filiale” di fronte a scelte mie sì, ma forse anche sbagliate o affrettate, lasciandoli liberi di dire la loro e aiutandomi così a riflettere, con rispetto ed amore, se non è magari il caso di ripensarci, per me non ha senso chinare il capo di fronte ad un qualcosa che non capisco e che quantomeno non mi è stato spiegato, e che non sembra avere altra logica che quella di voler “conformare” un giovane innamorato di Gesù in un tiepido e “conformato” triste servo (inutile….) della Chiesa e delle sue regole.
Spezzare le ali ad un’aquila o far morire una farfalla vuol dire privare la grandezza del cielo di un qualcosa di molto bello, anche se di molto… ingestibile. Ci vuole coraggio e maturità per lasciare al cielo in piena libertà, un’aquila o una farfalla. Ma solo così l’aquila sarà davvero aquila e la farfalla davvero farfalla.
Pensi, Eccellenza, che io, cristiano peccatore e piccolo, piccolissimo, sono qui a chiederLe il gesto che nessuno Le ha chiesto perchè lo ritiene “impossibile”, il gesto che nessuno si aspetta, il gesto alto, intelligente, umile, profondo e tipico dei grandi uomini, che è quello di tornare sui propri passi, rivedere le proprie scelte, dire con un lieve ed illuminato sorriso “ho… sbagliato”.
Perché tutti sbagliamo. E quando lo ammettiamo siamo più forti, più veri (oltre che più simpatici).
Perché anche Pietro ha rinnegato tre volte e poi ha pianto contrito, perché anche Tommaso non ha creduto sulla parola e poi ha fatto la professione di fede più bella della Storia, perché anche il grande Papa Wojtyla (Santo subito) ha detto, appena arrivato,…”se sbaglio, corriggetemi”.
E Lei sa bene che Don xxxxxx è nonostante tutto, obbediente, e che non ha nessun “… sassolino da togliersi dalle scarpe” (La Nazione del 5.5), se non fosse anche perché lui di scarpe non ne porta e non ne ha mai portate…
Lui non vorrebbe che io Le dicessi queste cose ma sicuramente anche lui, viva Dio, mi perdonerà.
Concludo questa mia, ringraziandoLa di essere giunto fino a qui nella lettura e dell’attenzione prestatami, Le confesso che scrivendo un po’ di “sana incavolatura” iniziale mi è passata, non sono uso scrivere a Vescovi e Monsignori e per cui ho dovuto anche io necessariamente filtrare le emozioni al setaccio delle parole e della sintassi.
Ci ho anche messo dentro un po’ di preghiera, che per un cristiano, peccatore e piccolo come me, non è assolutamente poco.
Il fatto è che oggi tutti noi abbiamo bisogno di testimoni gioiosi, entusiasti e credibili, che ci portino a ripensare al volto di Gesù così come il Vangelo ce lo presenta e non come noi (e la Chiesa…) talvolta l’abbiamo distorto, appannato addirittura cancellato e sostituito.
Don xxxxxx sarà pure un pò “sui generis” ma è un innamorato pazzo di Gesù così com’è ed anche Gesù, per il suo tempo, lo era parecchio “sui generis”….sicuramente dopo aver parlato a Nazareth nel Tempio qualche “pia donna” o qualche “pio uomo” avrà scritto una letterina avvelenata all’equivalente del Vescovo di allora, “stracciandosi le vesti” perché il figlio del falegname Giuseppe aveva osato parlare in pubblico e dire fesserie e bestemmie in un luogo sacro.
Non sono io, cristiano peccatore e piccolo, a dire di che cosa ha bisogno la Chiesa del 2000 per essere testimone credibile di Cristo. Per carità.
Però so di che cosa ho bisogno io, cristiano peccatore e piccolo, che ancora fa parte di questa Chiesa: di persone e di preti come Don xxxxxx, che con il loro coraggio, il loro anticonformismo, la loro libertà di pensiero, la loro fede, la loro voglia di esserci “qui ed ora”, il loro amore per i giovani, per i più deboli, per i diseredati, per gli scomodi, per gli “emarginati” e con - in tutto questo - la loro gioia ed il loro entusiasmo di dare, dare, dare, mettono in crisi il mio egoismo e a dura prova la mia poca fede, risvegliando pian piano quel sentimento che fu di Zaccheo (come me peccatore e, a quanto si ricorda, pure piccolo…), che vinta la pigrizia, spenta la televisione, uscito in strada, gli venne voglia di salire su di un sicomoro per vedere che cosa stava succedendo, che hai visto mai magari quel giorno è proprio il giorno in cui il Cristo si autoinvita a cena a casa tua…..
Non la faccio più lunga di così.
Se gradirà rispondermi, ne sarò onorato.
Se queste mie righe dovessero essere un inconsapevole mezzo e strumento dello Spirito Santo per far cambiare dei destini e delle decisioni che i più dicono immodificabili (ma che cosa c’è nella vita di davvero …irrevocabile?...) allora potrei gridare davvero al miracolo. Mi chiamo indegnamente Francesco, e se ben ricordo il mio omonimo predecessore Santo d’Assisi andò dal Saladino alle Crociate per chiedere semplicemente di interrompere la guerra. Si deve credere alle imprese impossibili….
Se invece queste mie righe l’avessero solo irritato, indispettito o addirittura offeso, ecco: non era quello il mio intento, e comunque me ne scuso profondamente ed in anticipo.
Ne sarei dispiaciuto, questo sì, perché in quest’ultimo caso il mio smarrimento su di una crisi di “cittadinanza” aumenterebbe, non sapendo a questo punto dove rifugiarmi e dove trovare possibilità di confronto, se non nella Chiesa, ma…. davvero in quale Chiesa?
Non resterebbe che volgere lo sguardo verso il Cielo, affidarsi a Lui e chiedere: “…Signore, da chi andremo? “
Ma credendo giusto chiudere sulla vicenda di che trattasi con un omnicomprensivo “sia fatta la Volontà di Dio” (….e non degli uomini), confido comunque nello Spirito Santo (dove soffia è lì che deve soffiare), nella sua capacità di discernimento, comprensione, intelligenza ed infine nel suo amore di Pastore per il suo gregge livornese, forse un po’ troppo ribelle, ma sicuramente vivo, schietto e sincero.
Avrei davvero timore solo dell’indifferenza, della freddezza e del silenzio, che è la tomba del dialogo, dell’amore e la fine di ogni percorso.
Spero che non sia così.
Anzi, ne sono certo.
La ringrazio ancora per l’attenzione e La saluto,
Cordialmente xxxxx, della parrocchia San xxxxx.


Giovedì 17 Giugno,2010 Ore: 15:10
 
 
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