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www.ildialogo.org SEPPELLIRE È MEGLIO CHE IGNORARE: LA RELAZIONE INTRODUTTIVA DEL SINODO FA STRAME DEL CONCILIO,da Adista Notizie n. 37 del 20/10/2012

SEPPELLIRE È MEGLIO CHE IGNORARE: LA RELAZIONE INTRODUTTIVA DEL SINODO FA STRAME DEL CONCILIO

da Adista Notizie n. 37 del 20/10/2012

36881. CITTÀ DEL VATICANO-ADISTA. Chi immaginava che il 50° anniversario dell’apertura del Concilio sarebbe stata una festa di compleanno su invito gioioso, ospitale e partecipato dei vertici della Chiesa cattolica, può anche smettere gli abiti da intrattenimento e vestirsi in gramaglie: si tratta più che altro di un funerale, anzi di un seppellimento tutt’altro che celebrativo, forse senza benedizione della salma e in terra sconsacrata. Questa è la sensazione di chi legge la relazione introduttiva (Relatio ante disceptationem) ai lavori del Sinodo sull’evangelizzazione del cardinale arcivescovo di Washington, Donald William Wuerl (presidente della Commissione dottrinale dell’episcopato Usa, recentemente autore della censura alla teologa suor Elizabeth Johnson, v. Adista nn. 30, 32, 35, 46, 82 e 93/11). L’assemblea sinodale si è aperta il 7 ottobre, in coincidenza, giorno più giorno meno, con quello che, mezzo secolo fa, fu l’inizio del Concilio Vaticano II (11 ottobre 1962), e può ben rappresentare il primo evento-memoria delle celebrazioni ufficiali dell’anno anniversario: è nel contesto del Sinodo che il papa ha concelebrato l’11 ottobre il ricordo dell’apertura del Vaticano II (ed insieme il 20° della promulgazione del Catechismo della Chiesa Cattolica). E nell’aula dei lavori due giorni prima era stata proiettata in anteprima la sintesi di un documentario sul Concilio, prodotto dal Pontificio Consiglio delle Comunicazioni sociali.

Eppure ciò che mette in evidenza Wuerl non è la grazia del Concilio (a parte i passi dei documenti conciliari sull’evangelizzazione, quattro, cinque citazioni in tutto, mentre nell’Instrumentum laboris – di cui la relazione dovrebbe essere presentazione – ne compaiono almeno 27), quanto l’incapacità degli uomini di Chiesa dopo il Concilio (certo, mai si dice a causa di esso) di non lasciarsi prendere nel vortice della cultura vigente, della secolarizzazione. Dunque, il Concilio come crepa destabilizzatrice della bimillenaria roccia cattolica.

Maglie larghe per la secolarizzazione

«La situazione attuale» della crisi della cristianità – secondo la spietata analisi (l’8/10) del relatore – affonda le sue radici proprio negli sconvolgimenti degli anni ‘70 e ‘80, decenni in cui esisteva una catechesi veramente scarsa o incompleta a tanti livelli di istruzione». Wuerl spiega che «l’ermeneutica della discontinuità», ovvero il punto di vista di chi reputa il Concilio in rottura con la tradizione precedente, «ha permeato gran parte degli ambienti dei centri di istruzione superiore» e «ha avuto anche riflessi in aberrazioni nella pratica della liturgia. Intere generazioni si sono dissociate dai sistemi di sostegno che facilitavano la trasmissione della fede». «È stato come se – esemplifica – uno tsunami di influenza secolare scardinasse tutto il paesaggio culturale, portando via con sé indicatori sociali come il matrimonio, la famiglia, il concetto di bene comune e la distinzione fra bene e male. In un modo tragico poi, i peccati di pochi – e il riferimento qui sembra soprattutto agli innumerevoli casi di pedofilia dei preti – hanno incoraggiato una sfiducia in alcune delle strutture insite alla Chiesa stessa». «La secolarizzazione ha modellato due generazioni di Cattolici».

E in tutto ciò è stata operata la «separazione intellettuale e ideologica di Cristo dalla sua Chiesa»: questa «è una delle prime realtà che dobbiamo affrontare nel proporre una Nuova Evangelizzazione della cultura e della società moderna». «La Nuova Evangelizzazione inizia con ciascuno di noi nell’impegno di rinnovare ancora una volta la nostra comprensione della fede», «una nuova fiducia nella verità del nostro messaggio. Purtroppo, per troppo tempo – continua forte nella critica il card. Wuerl – abbiamo visto questa fiducia erosa dalla sostituzione di un sistema di valori laici che negli ultimi decenni si è imposto come uno stile di vita superiore e migliore rispetto a quello proposto da Gesù, dal suo Vangelo e dalla sua Chiesa. Nella cultura educativa e teologica che riflette l’ermeneutica della discontinuità, troppo spesso la visione del Vangelo è stata offuscata e una voce sicura e confidente ha aperto scuse per tutto ciò in cui crediamo». Oggi che «molti di coloro che cercano qualche garanzia sul valore e sul senso della vita sono convinti dal messaggio chiaro, inequivocabile e fiducioso di Cristo presente nella sua Chiesa», «abbiamo bisogno di superare la sindrome dell’imbarazzo che alcuni hanno individuato nella mancanza di fiducia nella verità della fede e nella saggezza del Magistero che caratterizza la nostra epoca».

Secondo il relatore del Sinodo bisogna superare anche una debolezza concettuale: «I princìpi stessi della nostra fede sono minacciati se le persone hanno difficoltà con la loro struttura concettuale. Il secolarismo e il razionalismo hanno creato un’ideologia che soggioga la fede alla ragione. La religione diventa una questione personale. La dottrina in materia di fede è ridotta a posizioni idiosincratiche senza alcuna possibilità di rivendicare mai la verità universale». «La tentazione per l’evangelizzatore, e forse anche per i pastori – denuncia il cardinale di Washington – è quella di non confrontarsi con questi ostacoli concettuali e invece porre la propria attenzione e le proprie energie su priorità più sociologiche o su iniziative pastorali o addirittura sviluppare un vocabolario distinto dalla nostra teologia». Ma se «è importante che la Nuova Evangelizzazione sia attenta ai segni del tempo e parli con una voce che raggiunge la gente di oggi, deve però farlo senza staccarsi dalla radice della vivissima tradizione di fede della Chiesa già espressa in concetti teologici».

La salvezza nella Chiesa cattolica

E su un punto deve battere la nuova evangelizzazione, afferma il card. Wuerl: «Deve fornire una chiara spiegazione teologica della necessità della Chiesa per la salvezza. Questo è un aspetto delicato della nostra predicazione che troppo spesso è stato trascurato nella catechesi. È dilagante in gran parte della cultura moderna il sentimento che la salvezza si ottiene attraverso un rapporto diretto con Gesù distinto dalla Chiesa». Nient’affatto, sostiene il cardinale tanto per ribadire, in perfetta controtendenza conciliare, che “fuori della Chiesa non c’è salvezza”: la Chiesa «deve parlare della volontà salvifica universale di Dio e allo stesso tempo riconoscere che Gesù ha offerto un percorso chiaro e unico per la redenzione e la salvezza. La Chiesa non è uno tra i molti modi per raggiungere Dio, considerati tutti ugualmente validi». No!, è la convinzione del cardinale: «Mentre Dio vuole che tutti siano salvi, è proprio per la sua volontà salvifica universale che Dio ha mandato Cristo per farci figli adottivi e portarci all’eventuale gloria eterna».

Gli evangelizzatori di oggi, sostiene poi il relatore al Sinodo, devono distinguersi per «il coraggio, il legame con la Chiesa, un senso di urgenza e la gioia». Riferendosi al primo requisito, ricorda che «abbiamo tanti esempi di pacifico coraggio: San Massimiliano Kolbe, Beata Teresa di Calcutta, e prima di loro Beato Miguel Pro e i martiri recenti di Lituania, Spagna, Messico e la testimonianza più lontana dei santi di Corea, Nigeria e Giappone». Il cardinale di Washington dimentica di citarne altri, illustri (anche per martirio, pur se la Chiesa non lo ha “ancora” riconosciuto loro), quali mons. Oscar Romero, i gesuiti dell’Uca (fra cui il teologo Ignacio Ellacuría), il guatemalteco mons. Juan Gerardi, tutti assassinati per il coraggio della loro infaticabile denuncia, spesso condotta senza il fraterno supporto delle strutture ecclesiastiche. Sarà per incolpevole disattenzione o perché non si vuole riconoscere loro, oltre al coraggio, il «legame con la Chiesa»? (eletta cucuzza)

Articolo tratto da
ADISTA
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Sabato 20 Ottobre,2012 Ore: 15:22
 
 
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