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www.ildialogo.org “CHIESA DI TUTTI, CHIESA DEI POVERI”: 100 REALTÀ ECCLESIALI AUTOCONVOCATE A ROMA PER RICORDARE IL CONCILIO,da Adista Notizie n. 34 del 29/09/2012

“CHIESA DI TUTTI, CHIESA DEI POVERI”: 100 REALTÀ ECCLESIALI AUTOCONVOCATE A ROMA PER RICORDARE IL CONCILIO

da Adista Notizie n. 34 del 29/09/2012

36850. ROMA-ADISTA. Il primo motivo di sorpresa sono stati i numeri: più di 800 persone assiepate per un’intera giornata, quella del 15 settembre scorso, sugli spalti dell’auditorium dell’Istituto Massimo all’Eur, per partecipare ad un convegno che intendeva ricordare il Concilio Vaticano II, a 50 anni dal suo inizio, e riflettere sul suo significato per la Chiesa di oggi. Un fatto di per sé già significativo. Che diventa però ancora più straordinario se si pensa che l’evento è stato organizzato da ben 104 tra associazioni e riviste della “base” cattolica, che si sono “autoconvocate” a Roma senza nessuna sponda “istituzionale”. Anzi, nel silenzio assoluto di tutti i media ecclesiastici, da Avvenire (che all’evento ha dedicato poche righe, il 18 settembre, ben 3 giorni dopo la fine del convegno), alla Radio Vaticana, passando per il Sir e l’Osservatore Romano. Eppure, già il fatto che realtà composite e diverse come Adista, Mosaico di Pace, le Comunità Cristiane di Base, il Cipax, Noi Siamo Chiesa, la Rosa Bianca, Nigrizia, I viandanti, Agire Politicamente, insieme a tante comunità e parrocchie da tutte le parti d’Italia si ritrovassero insieme per una giornata di studio e riflessione sull’evento conciliare avrebbe dovuto costituire una notizia. Ma quei media che pure si definiscono “voce” del mondo cattolico hanno deciso diversamente, in perfetta sintonia con una gerarchia ecclesiastica che sembra voler archiviare in fretta – e in sordina – un anniversario che pone ai credenti diverse domande, e molti dubbi, su come il Vaticano II sia stato recepito ed attuato, specie negli ultimi decenni. In questo senso, il fatto che la convocazione del Sinodo dei vescovi cada dal 7 all’11 ottobre è quantomeno vantaggioso, per le gerarchie ecclesiastiche, al fine di dirottare opinione pubblica cattolica ed informazione religiosa verso temi diversi e distanti da quelli che la celebrazione dei 50 anni del Concilio potrebbe porre al dibattito ecclesiale.

Nonostante ciò, e sebbene l’approvazione di un documento finale avrebbe forse dato più forza e concretezza alle istanze emerse, la più ambiziosa iniziativa organizzata dalle realtà ecclesiali di base negli ultimi anni è stata un successo. Di numeri, di contenuti, di prospettive. Segno evidente che tra il “popolo di Dio in cammino” cresce l’esigenza di spazi di confronto e protagonismo laicale. Un’esigenza che si avverte per la verità già da alcuni anni, almeno da quando i casi di Piergiorgio Welby (cui l’allora vicario del papa per la diocesi di Roma, il card. Camillo Ruini, vietò, nel dicembre 2006, la celebrazione dei funerali religiosi) e quello di Eluana Englaro, la revoca della scomunica al vescovo lefebvriano Williamson, la riedizione del Messale di San Pio V, l’alleanza organica con il berlusconismo, iniziarono a scuotere le coscienze di singoli credenti e di intere comunità parrocchiali e religiose, soprattutto di persone che non avevano mai fatto parte di realtà ecclesiali organizzate, men che meno dell’area del cosiddetto “dissenso”. Nel 2008 sembrò che l’iniziativa del “Vangelo che abbiamo ricevuto” potesse raccogliere e dare voce a questo cattolicesimo del “disagio”. Questo, almeno, era l’auspicio di molti di coloro che presero parte al primo incontro fiorentino. Le edizioni successive, soprattutto quelle di Napoli e Roma, hanno invece evidenziato che la necessità di dare una maggiore continuità al lavoro dei laici cattolici che si erano ritrovati assieme a discutere e progettare una Chiesa diversa, fondata sulla “Parola” prima ancora che sulla “Legge”, non poteva (o voleva) essere raccolta dai promotori dell’iniziativa. Così quando a Napoli, nel 2010, durante il terzo incontro, cadde nel vuoto la proposta di creare una “rete” stabile di collegamento tra le tante realtà ecclesiali che si ritrovavano sul terreno comune della difesa dei valori del Concilio e della Costituzione, fu chiaro che quell’esperienza era destinata a rimanere un laboratorio teorico, senza una immediata incidenza sul piano politico-ecclesiale.

In questo senso, l’assemblea romana e le iniziative che seguiranno (alcune già calendarizzate) sembrano destinate a raccogliere il testimone del “Vangelo che abbiamo ricevuto”, che pure si ritroverà a breve a Brescia, per il V Incontro nazionale, il 27 e 28 ottobre. Difficile che in quella sede non ci si confronti anche con il significato e la portata dell’enorme successo dell’iniziativa romana. (valerio gigante)

IL CONCILIO È DOMANI. RELAZIONI E DIBATTITO ALL’ASSEMBLEA DI ROMA

36851. ROMA-ADISTA. La scelta di organizzare il 15 settembre l’assemblea nazionale “Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri” (v. notizia precedente) aveva destato più di qualche dubbio nella fase preparatoria, perché i lavori del Concilio iniziarono l’11 ottobre 1962. Se alla fine il convegno si è invece tenuto in quella data, con qualche settimana di anticipo rispetto all’inizio delle “celebrazioni ufficiali” dell’evento conciliare, è perché i promotori hanno inteso sottolineare come principio ispiratore del Vaticano II fosse stato «anche il messaggio radiofonico di Giovanni XXIII dell’11 settembre 1962 che conteneva quella folgorante evocazione della Chiesa come “la Chiesa di tutti e particolarmente la Chiesa dei poveri”». E “Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri” è stato infatti il filo conduttore della riflessione di tutta la giornata dei lavori, che ha visto alternarsi relazioni ed interventi di testimoni del Concilio così come di comunità, di gruppi e di singole persone. Tra queste, quelli di Rosanna Virgili, Giovanni Turbanti, Carlo Molari, Cettina Militello, Raniero La Valle, Giovanni Franzoni, Felice Scalia, Adriana Valerio, oltre ai saluti inviati all’assemblea dal card. Loris Capovilla, già segretario di Giovanni XXIII e di mons. Luigi Bettazzi, arcivescovo emerito di Ivrea ed ex presidente di Pax Christi, che fu tra i padri conciliari. A portare personalmente il suo saluto ai partecipanti c’era anche Paolo Ricca, teologo, esperto di ecumenismo e docente emerito della Facoltà Valdese di Teologia di Roma, che al Concilio partecipò in qualità di osservatore per conto dell’Alleanza Riformata Mondiale. Ricca ha raccontato la straordinaria novità che per le Chiese che avevano aderito alla Riforma rappresentò il Vaticano II: se prima, ha detto, eravamo considerati eretici e scomunicati, dopo il Concilio «siamo diventati per una mutazione genetica imprevedibile, ma graditissima, “fratelli separati”». Prima del Concilio, «eravamo stati considerati strumenti di perdizione». Dopo, le nostre Chiese sono diventate «strumenti di salvezza di cui lo Spirito Santo non rifiuta di servirsi per compiere la sua opera». «Cose straordinarie, cose formidabili, che purtroppo non sono più state ripetute. Per noi quindi il Concilio sta davanti e non dietro».

Continuità dentro la storia

La biblista Rosanna Virgili, cui era stata affidata la prima relazione, ha analizzato l’incipit del discorso di apertura pronunciato da Giovanni XXIII ai padri conciliari, il celebre “Gaudet Mater Ecclesia”, approfondendo soprattutto il senso della profezia, di «ciò che ancora deve venire; che c’è già, ma ancora deve venire» contenuta in quella esclamazione. Tre parole soprattutto la teologa ha inteso fossero contenute in questo annuncio di gioia e speranza per la Chiesa, già in parte realizzato nel Concilio: la libertà, la verità e la carità. «La libertà da ogni ingerenza di poteri laterali», «una carità che sia accoglienza, che sia povertà perché senza povertà non c’è carità che sia dunque amore». Infine la verità, che non può darsi se non nella libertà e nella carità, una verità «capace di pentimento, capace di conversione». In questo senso, la Chiesa, ha detto Virgili, deve lasciar parlare i profeti: «Non escludiamo quelli che magari hanno una parola diversa. Lo stile proprio della comunione nella Chiesa non può essere quello del consenso ma quello del contrasto. Perché no? Un contrasto costruttivo, come era nella chiesa primitiva»: «Questi conflitti non hanno fatto altro che far nascere la Chiesa, farla crescere, farla progredire, e quindi ben vengano i contrasti. L’acquiescenza è il contrario di una ubbidienza, di un’autentica fedeltà».

Rispetto alla vexata quaestio continuità-rottura, che da alcuni anni (ma soprattutto dal celebre discorso di Ratzinger alla Curia Romana, del 22 dicembre 2005) contrappone le diverse ermeneutiche del Concilio, si è soffermata invece la relazione di Carlo Molari, tra i più autorevoli teologi italiani. «Ciò che è consegnato alla Chiesa da trasmettere non è prima di tutto un bagaglio di nozioni, bensì una storia da vivere e da testimoniare nel suo valore salvifico. La continuità perciò non riguarda le idee o le immagini con cui gli uomini esprimono il mistero di Dio, bensì la sequela di Cristo, cioè l’accoglienza fedele della Parola e dello Spirito che fanno crescere i figli di Dio». Insomma, ha insistito Molari, «la continuità del cammino della Chiesa non è data dalle idee dei suoi soggetti, bensì dalla direzione delle scelte nella storia, dalla fedeltà al Vangelo del soggetto Chiesa. Essa cammina nella storia: pur restando se stessa può e deve modificare modelli, prospettive, impegni e propositi. Oggi la continuità del cammino ecclesiale è il nostro passo scandito nella storia. Dalla grazia di Dio e dalla nostra fedeltà dipende che esso proceda nel tempo».

Un nuovo Concilio?

Il giornalista Luigi Sandri, “storico” esponente della Comunità di S. Paolo, ha ripercorso le vicende di tutte quelle voci che dalla base, ma anche dalla gerarchia cattolica, hanno in questi ultimi anni auspicato e chiesto la celebrazione di un nuovo Concilio, realmente ecumenico, da celebrare assieme alle altre Chiese cristiane per affrontare quelli che il card. Martini, nell’intervento al Sinodo del 1999, definiva i “nodi disciplinari e dottrinali” che incombono irrisolti sull’intera Chiesa cattolica, come la carenza di ministri ordinati, la posizione della donna nella società e nella Chiesa, la partecipazione dei laici ad alcune responsabilità ministeriali, la sessualità, la disciplina del matrimonio, la prassi penitenziale, i rapporti con le Chiese sorelle, il rapporto tra democrazia e valori e tra leggi civili e legge morale. «Quando si dice Vaticano III – ha chiarito Sandri – non si intende che la futura Assemblea debba celebrarsi là dove si tenne la II della serie; si tratta di un’etichetta convenzionale, per dire che si vuole un Concilio. Che, evidentemente, si chiamerebbe Messicano I ove fosse celebrato a Puebla (Jon Sobrino auspica che si svolga nel continente latino-americano dove gran parte della popolazione è crocifissa dall’opprimente neoliberismo), Filippino I se celebrato a Manila, e Kenyano I se a Nairobi». Riguardo ai partecipanti, «tutti i gruppi di base escludono un Concilio solamente episcopale, ma lo immaginano con una forte presenza anche di preti, e di laici, uomini e donne».

Cettina Militello, docente di Ecclesiologia, Liturgia e Mariologia presso diverse facoltà ecclesiastiche, nella relazione che ha aperto la sessione pomeridiana dei lavori, dopo aver auspicato un’autoconvocazione permanente della Chiesa, sullo stile di quanto i promotori dell’assemblea romana sono riusciti a realizzare, si è invece dichiarata fredda sull’idea di un nuovo Concilio, non certo per l’autorevolezza della sede in cui verrebbero discussi ed affrontati i problemi contemporanei, ma perché, ha detto, si archivierebbe in maniera definitiva l’idea che il Concilio ha già elaborato una serie di risposte a quei quesiti, risposte che sono ora consegnate nelle mani del popolo di Dio. «Basta con l’ermeneutica del Concilio, attuiamo il Concilio!», ha quindi esclamato Militello auspicando la realizzazione di una reale sinodalità all’interno della Chiesa, diversa da quella sorta di immensa diocesi mondiale al cui vertice c’è il papa in cui si è oggettivamente trasformata la Chiesa cattolica, omologando i carismi e la soggettualità delle Chiese locali.

Il dovere della parresia

Del ruolo del mondo religioso rispetto al mandato conciliare, ed in particolare di quello dei gesuiti, Ordine religioso al quale appartiene, si è invece interrogato p. Felice Scalia. I tempi nuovi che viviamo, ha detto Scalia, richiedono risposte nuove, mentre la Chiesa sembra sottovalutare i problemi posti dal mondo contemporaneo, e continua a proporre una «teologia astratta, che non interessa i giovani e non dà risposte». Tali contraddizioni, ha aggiunto Scalia, attraversano da sempre anche la Compagnia di Gesù. Negli anni del Concilio, ad esempio, forte era la contrapposizione tra chi sosteneva gli schemi preparatori della Curia romana ed i sostenitori della nouvelle theologie. Anche l’esito del Vaticano II fu vissuto in modo diverso nell’Ordine: alcuni accolsero con sollievo e speranza i documenti conciliari; altri rifiutarono le conclusioni dell’assise. In pochi anni dall’Ordine uscirono più di 10mila persone. C’era chi riteneva che il Concilio avesse detto troppo, ma anche chi pensava che avesse detto troppo poco. Dentro queste contraddizioni si situò il generalato di p. Arrupe, mentre l’America Latina costringeva la Chiesa e l’Ordine a rivedere il proprio rapporto con il potere; ad essere, insomma, veramente povera tra i poveri. Ma Giovanni Paolo II, ha spiegato Scalia, «perseguiva invece una politica di appoggio ai governi sedicenti cristiani, benché oppressivi ed assassini, nell’illusione che contro l’uomo potessero operare solo gli atei marxisti». Osteggiò e infine costrinse alle dimissioni padre Arrupe, delegittimò e smantellò la Chiesa popolare latinoamericana. In questo processo di restaurazione delle grandi intuizioni conciliari fu «basilare – ha detto Scalia – il patto tra Wojtyla e Reagan per lotta alle Comunità ecclesiali di Base ed alla Teologia della Liberazione, nonché il sostegno a movimenti, come Solidarnosc nell’Europa dell’Est, che favorissero la caduta del marxismo». I risultati di questo processo sono sotto gli occhi di tutti e i gesuiti, come tutti le congregazioni religiose, sono in crisi numerica, sintomo di una crisi più profonda. E allora, si è chiesto Scalia, «un Ordine che ha un rapporto particolare col papa, oggi deve tacere sulle derive anticonciliari di tante decisioni pontificie o, in nome di una lealtà allo stesso papa, deve denunciare lo scandalo e lo sconcerto di una Chiesa che oggi pare divisa?».

Vincere la paura che soffoca il Concilio

«Come possiamo noi, che siamo omosessuali, realizzare in pienezza la nostra vocazione cristiana?», si è chiesto invece, nel suo intervento, Gianni Geraci, del gruppo Guado di Milano, in rappresentanza dei tanti gruppi di gay credenti sparsi in Italia. «Una domanda – ha chiarito Geraci – la cui risposta si può leggere tra le righe di due documenti del Concilio Vaticano II». Nella costituzione Gaudium et spes innanzi tutto. «Se infatti è vero che i padri conciliari si sono occupati dell’amore umano nell’ottica del matrimonio eterosessuale è anche vero che l’evidenza che hanno dato alla mutua donazione dei coniugi all’interno della relazione di coppia si può applicare anche alle persone omosessuali e, in particolare, agli omosessuali credenti, che sono chiamati a testimoniare nella loro vita il fatto che sia possibile, anche per loro, vivere delle relazioni di coppia fondate sulla fedeltà, sulla responsabilità e sulla ricerca del bene del bene comune». Ma anche nella dichiarazione Dignitatis Humanae, «quando si sottolinea la responsabilità che i credenti hanno di formare e di ascoltare una coscienza retta per trovare, nel concreto, le strade che possono portarli a vivere pienamente la loro vocazione cristiana». Con questa certezza, ha concluso, «dobbiamo andare avanti senza preoccuparci degli strilli che vengono da quanti vogliono affossare il Concilio. Con questa stessa certezza dobbiamo riappropriarci della Fede di cui tentano di espropriarci. Con questa stessa certezza dobbiamo vincere la paura che sta soffocando la Chiesa cattolica romana e che la sta progressivamente allontanando dal Vangelo».

La successione laicale

Le conclusioni le ha tirate Raniero La Valle, in un intervento intenso e commosso: ha detto di aver pensato spesso, durante i lavori dell’assemblea, allo «sconosciuto seduto nell’ultima fila dell’auditorium». «Ho pensato – ha detto La Valle – che quello sconosciuto poteva essere ciascuno di noi, anzi che potesse essere questa assemblea stessa, perché noi siamo i discepoli che sono rimasti. Noi non siamo gli apostoli, non siamo gli evangelisti, non siamo i dottori, non siamo dei reduci, noi siamo i discepoli». Ma come discepoli, «anche noi siamo dentro una successione; non c’è solo la successione apostolica, che da Pietro e dagli altri apostoli arriva fino ai nostri vescovi e al papa: c’è anche una successione laicale, che dai discepoli anonimi che Gesù amava» è «giunta fino a noi; e questa successione discepolare non è meno importante dell’altra, perché anch’essa fa parte della Tradizione che viene da Gesù e che insieme alla Scrittura porta con sé la divina rivelazione e rende attuale per ogni generazione la parola di Dio». Ed è proprio in forza dell’impatto che questa Chiesa dei discepoli ha avuto nella Chiesa del Vaticano II, ha detto La Valle, «che noi pensiamo che questo ruolo dei discepoli debba continuare; pensiamo che esso debba essere presente e vivo nella ricezione del Concilio e nella sua trasmissione alle giovani generazioni», nella responsabilità «dei discepoli di oggi verso la Chiesa e l’umanità di domani».

In questo quadro si pongono le iniziative già in cantiere e quelle ancora da programmare, da prendere «insieme o autonomamente», partecipando, «come ognuno vorrà e potrà, all’itinerario internazionale che culminerà nel 2015». Primo appuntamento «i cinquant’anni dall’enciclica Pacem in terris, che appartiene anch’essa all’ispirazione e all’anima del Concilio, e ne è un privilegiato strumento interpretativo». (valerio gigante)

CONFUSI E FELICI. E CON TANTI PROGETTI IN CANTIERE. VITTORIO BELLAVITE COMMENTA IL SUCCESSO DELL’ASSEMBLEA

36852. ROMA-ADISTA. Sulle ragioni e le prospettive, oltre che sui risultati e gli obiettivi raggiunti, dell’assemblea del 15 settembre Adista ha interpellato Vittorio Bellavite, coordinatore di Noi Siamo Chiesa, tra coloro che più si sono impegnati affinché la sinergia tra le tante realtà ecclesiali che si sono incontrate a Roma potesse realizzarsi. (valerio gigante)

Quali sono, secondo te, le ragioni dell’intensa e numerosa partecipazione al convegno?

Ti dirò sinceramente che siamo un po’ frastornati dopo sabato. Ora stiamo cercando di esaminare con attenzione tutte le caratteristiche delle presenze registrate. Comunque, mi pare che l’assemblea abbia testimoniato che esiste nel nostro Paese, come in tanti altri, un’area “conciliare”, ancora diffusa e frammentata, che probabilmente si è ampliata negli ultimi dieci anni per l’insofferenza per le sbagliate “campagne” dei vescovi italiani e per la gestione del Vaticano con i suoi scandali e le sue retromarce rispetto al Concilio. Ha significato molto per i presenti il riferimento al cambiamento del proprio modo di vivere la fede e di concepire il modo di stare nella Chiesa che ha le sue radici nel Concilio. Ha contribuito l’assoluta novità dell’assemblea del tutto organizzata dal basso in modo artigianale e l’intuizione che si sarebbero ascoltati discorsi veri e non la solita minestra riscaldata di tanti altri incontri diocesani. È così partito un tam-tam sull’importanza di esserci, di incontrarsi, anche di vivere delle emozioni, di riconoscersi reciprocamente, di non sentirsi isolati nel proprio impegno di base.

Quale itinerario avete immaginato per dare seguito al percorso iniziato a Roma e che intende arrivare fino al 2015, anno in cui si celebrerà il cinquantesimo anniversario della conclusione del Concilio Vaticano II?

Le presenze e lo svolgimento dell’assemblea hanno più che confermato l’attesa per un sistema di contatti permanente, di relazioni reciproche, di sinergie all’interno dell’area che si richiama veramente al Concilio per il futuro della Chiesa. Il percorso che abbiamo in mente, ma che approfondiremo presto (allargando l’attuale Comitato Promotore sulla base di criteri di rappresentatività), prevede che incontri e documenti sul Concilio, già in cantiere o ipotizzati dalle varie associazioni e riviste promotrici del 15 settembre, siano conosciuti da tutti, circolino, facilitino convergenze, distribuzione di tematiche da approfondire in modo da realizzare, a livello locale, iniziative a rete, tipo quelle già realizzate a Milano da anni. Questi incontri potrebbero riconoscersi esplicitamente nel percorso “Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri” (anche usandone il logo) che si concluderà nel dicembre del 2015 con la grande assemblea mondiale già convocata a Roma a 50 anni dalla conclusione del Concilio. Per accompagnare e facilitare questo percorso abbiamo ipotizzato un Coordinamento nazionale leggero, l’apertura di un sito Internet e un incontro nazionale annuale. Per il 2013 due sollecitazioni esplicite ci vengono dai 50 anni dalla Pacem in terris, in aprile, e dai 1.700 anni dall’editto di Milano (per una riflessione sulla fine dell’era costantiniana e sul rapporto tra Chiesa e potere). Su tutto ciò apriremo una discussione.

Ti sei fatto un’idea sui motivi per cui l’assemblea di Roma sia stata totalmente ignorata dalla stampa cattolica istituzionale?

La stampa cattolica ufficiale, probabilmente in base a direttive esplicite della Cei, da tempo ha deciso di ignorare l’esistenza dell’area “conciliare” della Chiesa in Italia. L’informazione, anche in modo molto critico, sulla sua esistenza e su quanto essa sostiene significherebbe farla conoscere a un’opinione più vasta (penso ad Avvenire che va in ogni parrocchia o istituto religioso, oltre che ad un’opinione cattolica tradizionale). Questa direttiva viene applicata con grande costanza e rigore e - diciamolo pure - senza pudore. Era del tutto prevedibile che sarebbe stata seguita anche in questa occasione. È una scelta professionalmente censurabile, ma che risponde alla logica speculare di gran parte della stampa laica e degli altri media che parlano delle cose di Chiesa solo quando la notizia riguarda il papa, la Cei e le loro politiche. Tv2000 (la tv dei vescovi) non c’era e alla redazione Tg1 non è stata concessa la troupe. Notizie dell’assemblea sono state date solo dall’Unità, dal Manifesto e da Radio Radicale (Avvenire ha scritto un trafiletto di poche righe tre giorni dopo, trascrivendo i nomi pubblicati sul programma). Ma siamo in buona compagnia. L’autocensura ha colpito anche il card. Martini, dal momento che la stampa cattolica ha del tutto ignorato l’ultima sua intervista pubblicata sul Corriere, rendendo così manifesta l’ostilità nutrita nei suoi confronti dai vertici ecclesiastici negli ultimi trenta anni. (v. g.)

Articolo tratto da
ADISTA
La redazione di ADISTA si trova in via Acciaioli n.7 - 00186 Roma Telefono +39 06 686.86.92 +39 06 688.019.24 Fax +39 06 686.58.98 E-mail info@adista.it Sito www.adista.it



Sabato 29 Settembre,2012 Ore: 07:18
 
 
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Concilio Vaticano II 50 anni dopo

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