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www.ildialogo.org VENTI DI CAMBIAMENTO,di Javier Vitoria

VENTI DI CAMBIAMENTO

di Javier Vitoria

Adista Documenti n. 20 del 26/05/2012


L’uso del concetto dei “segni dei tempi” è assai recente nella Chiesa. Ha solo 50 anni. Il 25 dicembre 1961, Giovanni XXIII lo introdusse per la prima volta nel linguaggio del magistero, in un contesto storico cruciale per la Chiesa, mediante la Costituzione Humanae Salutis che convocava il Concilio Vaticano II. «Seguendo la raccomandazione di Gesù, quando ci esorta a distinguere chiaramente i segni... dei tempi (Mt 16,3) – scrive papa Roncalli –, crediamo di intravedere, in mezzo a tanto buio, non pochi segnali di tempi migliori per la Chiesa e per l’umanità».

1.1. L’USO

(…) La Costituzione Pastorale sulla Chiesa nel mondo attuale postulerà il discernimento dei “segni dei tempi”, come compito proprio di tutto il Popolo di Dio, con una triplice e fondamentale finalità: a) rispondere agli interrogativi di ogni generazione; b) percepire la presenza e i piani di Dio nella storia; e c) rendere accessibile all’umanità di oggi la verità rivelata. (…).

1.1.1. Ascoltare, discernere e interpretare i segni dei tempi

Il Vaticano II afferma tassativamente che è un compito proprio di «tutto il Popolo di Dio» ascoltare, discernere e interpretare i segni dei tempi, pur riconoscendo ai vescovi e ai teologi un ruolo principale in questo compito [cfr GS 44a]. Indirettamente il Concilio ricorda che il discernimento ecclesiale della volontà di Dio (…) è un’esigenza intrinseca della sequela di Gesù, che nessuno nella Chiesa deve dimenticare, impedire o negare.

Conseguentemente, bisogna ritenere improprie della tradizione conciliare alcune delle affermazioni del Codice di Diritto Canonico sui Consigli di pastorale diocesani. Secondo l’ecclesiologia di comunione del Vaticano II, il Consiglio di pastorale dovrebbe essere l’organo principale di espressione della comunione e della corresponsabilità di questa Chiesa locale o diocesi. (…). Logica vuole che sia questo il luogo ecclesiale per eccellenza in cui convocare questa porzione del Popolo di Dio per ascoltare, discernere e interpretare in modo corresponsabile i segni dei tempi, al fine di annunciare e instaurare il Regno di Dio in quel territorio (…). Sembra pertanto inaccettabile sia che la costituzione del Consiglio di pastorale dipenda dall’arbitrio del vescovo e non sia qualcosa di normativo nella vita delle Chiese locali, come avviene per il Consiglio presbiterale che invece lo è, sia che il voto del Consiglio sia meramente consultivo e non deliberativo. (…).

Siamo di fronte all’immagine canonica di una Chiesa piramidale molto distante da quella conciliare. La gerarchia, ai suoi distinti livelli, è in condizione di fare e disfare a suo piacere. Nulla glielo impedisce. Per una ragione semplicissima: non esistono controlli giuridici dell’esercizio del suo potere. (…). I difensori di tale struttura sono soliti nascondersi dietro l’affermazione che la Chiesa non è una democrazia, per poi dilungarsi su una serie di ragionamenti pseudoteologici. Ogni giorno che passa questo discorso mi sembra più tedioso e più estraneo alla sensibilità degli uomini e delle donne di oggi, così come sempre più inconsistente mi appare la sua giustificazione teologica e sempre meno evangelici gli interessi a partire dai quali si elabora e si porta avanti. (…).

1.1.2. «Il principio di vita» della Chiesa

(…) Il rischio di soffocare lo Spirito è crescente nella Chiesa cattolica romana. Si è rinunciato al dialogo come unico mezzo evangelico per cercare la verità e creare comunione e si è optato per l’imposizione attraverso il rullo compressore del potere e della minaccia, che nulla ha a che vedere con Gesù (cfr Lc 22,24-27). Si cerca di affossare le questioni dibattute all’interno della Chiesa (per esempio, la bioetica, il ruolo della donna, l’elezione e la designazione dei vescovi, la democratizzazione delle strutture ecclesiali, la figura storica dei presbiteri, il modello di evangelizzazione e di presenza pubblica della Chiesa, ecc.) con la forza di un potere dispotico e la rinuncia all’esercizio dell’autorità evangelica della verità. Con l’imposizione e il dispotismo assunti a metodo, non esistono le condizioni per il discernimento dei segni dei tempi che chiedeva Gesù (cfr Mt 16,3). (…). Quanti operano in questo modo possono farlo con le migliori intenzioni, come Pietro quando rimproverò Gesù sul cammino di Cesarea di Filippo (cfr Mc 8,27-33); o accecati da interessi di dominazione religiosa, come coloro che accusavano Gesù di cacciare i demoni con il potere di Beelzebùl (cfr Mt 12,22-28). Il risultato finale è sempre lo stesso: spezzano la canna infranta e spengono il lucignolo fumigante contro lo Spirito del Servo (cfr Mt 12,20). (…).

1.1.3. Dimensione pneumatica e carismatica della ecclesiologia

Sono convinto che questo modo di procedere si debba a un variegato timore che attanaglia la Chiesa ufficiale. E non dimentichiamo che, secondo il Nuovo Testamento, il contrario della fede è la paura. (…). Il denominatore comune di tutti gli aspetti che tanta paura incutono è il fatto che la loro mera presenza mette in discussione il potere e i privilegi dei funzionari dell’apparato ecclesiastico. Questi, come i farisei e i sadducei dell’epoca di Gesù, chiedono un segno dal cielo (…). Ma i segni della novità del Regno e del suo Spirito che Dio ci offre sono sempre “terreni” o umani, poiché in caso contrario non sarebbero per noi; necessariamente ambigui, perché rivelano e occultano, allo stesso tempo, la presenza di Dio nella storia; controversi, poiché non sono quelli che noi esseri umani naturalmente ci aspettiamo; e infine impuri, poiché invariabilmente macchiati dal fango della storia umana.

L’istituzione ecclesiale ha bisogno di recuperare nella pratica la fede nell’azione dello Spirito che vivifica, anima e orienta tutto il Popolo di Dio. In una parola, la dimensione pneumatica e carismatica dell’ecclesiologia. (…).

I sintomi della negazione pratica della dimensione pneumatica della Chiesa sono quelli dell’unilateralità nel processo decisionale, dell’imposizione del silenzio ai dissenzienti, della repressione di ogni novità, del divieto di sperimentazione nell’azione pastorale ed evangelizzatrice, della riduzione dello spazio di libertà, ecc. Indicatori tutti questi di una Chiesa istituzionale dalle pretese illimitate ed equiparabile nel suo funzionamento alle istituzioni mondane di carattere autocratico.

In fedeltà alla sua dimensione pneumatica, la Chiesa cattolica deve urgentemente stabilire, in tutti i suoi livelli, mezzi veri ed efficaci di ricerca e di discernimento comunitario dei segni dei tempi, che aprano il cammino di una riforma di cui, come istituzione terrena ed umana, ha costante bisogno.

1.2. IL SIGNIFICATO

A partire dal Vaticano II fino ad oggi, l’espressione “segni dei tempi” è diventata tendenzialmente una delle categorie fondamentali della teologia emergente postconciliare, per definire in particolare le relazioni tra la Chiesa e il mondo. Non sempre, tuttavia, si utilizza con lo stesso significato. Generalmente si considerano segni dei tempi quei fenomeni sociali e culturali che, in conseguenza della loro generalizzazione e frequenza, caratterizzano una determinata epoca esprimendo le necessità e le aspirazioni dell’umanità. Sono fenomeni di grande impatto che indicano forme di esistenza umana più giuste e più degne. (…). È questo il significato abituale di tale concetto nei testi del Vaticano II. Soprattutto nella Gaudium et Spes. Fino all’evento conciliare, la Chiesa era rimasta ostile alla modernità. Insensibile e immutabile di fronte ai cambiamenti sperimentati nel mondo, viveva chiusa in se stessa per non contaminarsi e non cadere nella tentazione del cambiamento. La questione dei segni dei tempi ebbe due effetti benefici per la Chiesa:

1) Si percepì come un segnale di allarme. Qualcosa non funzionava bene nella Chiesa. I cambiamenti del mondo moderno erano una richiesta implicita di cambiamenti al suo interno.

2) Si accettò come un’indicazione per il riconoscimento positivo dei valori della modernità (democrazia, diritti umani, sviluppo economico, trasformazioni sociali di segno socialdemocratico, razionalità scientifica, ecc.), e come un impulso per un migliore adattamento ecclesiale alle società moderne.

Implicitamente, la questione dei segni dei tempi è diventata un antidoto contro quella paura dei “venti di cambiamento” che conduce sempre indefettibilmente a soffocare lo Spirito.

Ma c’è un altro uso di tale nozione che mi sembra più decisivo per la vita della Chiesa. In base al significato di Mt 16,1-3, l’espressione “segni dei tempi” dovrebbe riservarsi ai segni del Regno di Dio. Sono d’accordo con Luis González-Carvajal, quando afferma che i segni dei tempi «non sono, pertanto, segni dei tempi attuali, ma segni degli ultimi tempi. Di conseguenza, non tutti i tratti caratteristici di un’epoca sono “segni dei tempi”, ma unicamente quelli in cui si manifesta la salvezza».

1.2.1. Il discernimento

(…) Il Popolo di Dio indaga e discerne i segni dei tempi per giudicare la storia alla luce del Regno di Dio che Gesù ha annunciato e reso presente. Per intravedere, cioè, quale sia lo stato della giustizia e del diritto nel mondo (Ger 23,5;33,15; Is 11,4-5); per valutare se vi siano buone notizie per i poveri su questa terra (Lc 4,16-19); per verificare se nel XXI secolo Dio rovesci i potenti dai loro troni ed innalzi gli umili, se ricolmi di beni gli affamati e rimandi i ricchi a mani vuote (Lc 1,51-53); per comprovare se la fraternità umana cammini secondo quanto previsto dal Dio del Regno (…). L’esercizio del discernimento conciliare dei segni dei tempi “ha fatto aprire gli occhi” alla Chiesa, la quale è passata dalla condanna del mondo moderno alla sua benedizione. (…). La capacità di cogliere segnali del Regno in mezzo alle ambiguità del nostro presente deve impregnare la vita ecclesiale dal basso verso l’alto. La Chiesa non è il recinto in cui lo Spirito si manifesta in maniera esclusiva e viene amministrato burocraticamente. La Chiesa dei «segni» è come un radar che scopre e segnala quelle realtà del nostro mondo in cui lo Spirito del Regno si sta manifestando, molto spesso senza che i loro stessi protagonisti ne siano consapevoli. I comportamenti ecclesiali non dovrebbero tornare a riflettere un’ecclesiologia della “fortezza”, protetta dal mondo e ad esso contrapposta, ma irradiare un’ecclesiologia che segnali il passaggio di Dio nella storia, giacché, come ha ricordato il Vaticano II, il suo Regno è già presente parzialmente tra noi (GS 39).

1.2.2. Il Regno di Dio

Non intendo in nessun modo confondere il Regno attuale di Dio nel mondo con la sua meta universale. Sarebbe unilaterale contemplare il Regno di Dio unicamente nella sua consumazione escatologica, proprio come è erroneo identificare il Regno di Dio con le sue anticipazioni storiche. Il Regno di Dio opera nella storia in maniera occulta e conflittuale. Le sue anticipazioni sono l’immanenza del Regno escatologico di Dio, mentre il Regno futuro è la trascendenza di queste anticipazioni oggetto di fede e di esperienza. Tale visione impedisce tanto di collocare il Regno di Dio in un oltre che non abbia relazione con la vita terrena quanto di identificarlo con una situazione determinata della storia. Senza la controfigura trascendente del Regno di Dio, le sue anticipazioni perdono il loro orientamento. Senza le anticipazioni immanenti del Regno, il suo futuro trascendente si trasformerebbe in una mera illusione “utopica”. Per questo la Chiesa nel suo servizio al Regno di Dio deve porre in pratica l’obbedienza alla volontà di Dio che trasforma il mondo e la preghiera per la venuta del Regno. Così facciamo ogni volta che recitiamo il Padre Nostro. (…).

1.3. I SEGNI DEL REGNO NELLE «ESPERIENZE DI CONTRASTO»

Tale concezione qualitativa o kairologica del tempo non deve significare che l’indagine e il discernimento dei segni dei tempi debbano essere realizzati esclusivamente nelle qualità positive di ogni epoca. Tale comportamento sarebbe un gravissimo errore, frutto di una concezione fondamentalista dei “venti di cambiamento” e di una visione ottimista del progresso, tanto disprezzate da W. Benjamin o da J. B. Metz. La Chiesa deve apprendere a decifrare ciò che nella negatività del nostro mondo appare come segno (in pericolo o negato, apparentemente vinto o crocifisso) del Regno di Dio. Per svelarlo e difenderlo.

Tale esercizio è richiesto dalla saggezza della croce. Gesù di Nazareth è il Segno Primordiale del Regno, che rende intellegibili agli occhi della fede i segni di Dio. Ma il Segno dei segni è stato a suo tempo segno di contraddizione (cfr. Lc 2,34) e di divisione tra le persone (cfr. Gv 7,43). (…). Questa saggezza invita costantemente la Chiesa a indagare e discernere i segni degli ultimi tempi in queste esperienze umane chiamate “esperienze di contrasto” che indicano ciò che Dio non vuole o la dimensione diabolica del nostro mondo che si oppone al Regno di Dio. La luce del Crocifisso smaschera quello che le forze dominanti del nostro mondo negano o nascondono della realtà, ricorrendo a discorsi “sensati e ragionevoli” per giustificare e consolidare il loro dominio. Svela quello che realmente sta avvenendo nel mondo ma resta occulto per desiderio dei potenti. È proprio questa saggezza della croce ad impedire che il discernimento dei segni dei tempi sia un compito innocuo per la Chiesa (…). Secondo il Vangelo apocrifo di Tommaso, Gesù dice: «Chi sta vicino a me, sta vicino al fuoco; chi sta lontano da me, sta lontano dal Regno». Il pericolo e la minaccia costituiscono, ricorda J. B. Metz, la situazione di base della Chiesa nel mondo: «Lì dove il cristianesimo è più radicato e si fa più sopportabile, lì dove risulta più facile da vivere e si trasforma per molti in una sublimazione simbolica di quello che avviene e di quello che determina il mondo, lì il suo futuro messianico è debole. Al contrario, lì dove risulta difficile da sopportare ed esprime ribellione; lì, pertanto, dove promette più pericolo che sicurezza, più sradicamento che protezione, lì si trova chiaramente più vicino a colui che sembra aver detto: “Chi sta vicino a me, sta vicino al fuoco; chi sta lontano da me, sta lontano dal Regno”».

1.3.1. Anticipazioni storiche del Regno di Dio

La saggezza crocifissa dei segni del Regno non evita il sentimento di perplessità che tanto spesso provoca la constatazione dell’apparente inevitabilità di quanto accade e la persistenza delle ingiustizie strutturali, che tantissime vittime umane e tantissimi danni ecologici produce. Ma concede la sua energia divina per il superamento di questo stato d’animo, attraverso la scoperta delle possibilità praticabili di un futuro ancora inedito che ogni momento storico racchiude.

Questa saggezza identifica segni di vita del Crocifisso nei “corridoi della morte” del nostro mondo e apre alla scoperta più grande: nelle crepe di questo sistema di morte vi sono segni di vita; in questo immenso mare pieno di naufraghi vi sono persone che si ingegnano e si organizzano per navigare; nell’occhio dell’uragano già si avvistano “isole di speranza” verso cui dirigersi; all’interno della prigione sorgono “zone liberate”; in mezzo all’apatia generalizzata c’è ancora capacità di indignazione civica; nelle nostre società di servi si inventano reti di libertà; nei quartieri della periferia della cultura soddisfatta si promuovono pratiche alternative per il villaggio globale... Tutte queste realtà sono anticipazioni storiche del Regno di Dio. Imbattersi in esse rende più facile restare saldi senza gettare la spugna o bruciarsi. Questo incontro rinnova energie. (…).

1.4. I POVERI E IL DISCERNIMENTO DEI SEGNI DEI TEMPI

Luís González-Carvajal propone tre criteri ermeneutici per il processo di discernimento del segno dei tempi: l’analisi sociologica, l’analisi teologica e la ricerca della sua capacità significativa nel nostro universo spirituale o, almeno, per quegli uomini e quelle donne che soffocano la verità nell’ingiustizia (Rom 1,18).

Analisi sociologica. La teoria della conoscenza ci ha insegnato che non esistono letture neutrali o innocenti della realtà. Neppure dei segni dei tempi. Tutto dipende dal colore del cristallo con cui si guarda, recita un aforisma spagnolo. Tutto dipende dal dolore con cui si guarda, rettificherà a ragione Mario Benedetti. Tutti i nostri sguardi sono preceduti da una lente di contatto chiamata precomprensione, “fabbricata” con materiali diversi: i nostri interessi vitali e di gruppo (senza interesse non c’è possibilità alcuna di conoscenza), il nostro bagaglio culturale e ideologico, la nostra situazione sociale e anche la nostra stessa psicologia. (…). In questo senso si può affermare che non c’è uno sguardo ideale extraterritoriale a partire da cui osserviamo quel che avviene intorno a noi. Non c’è, pertanto, sguardo senza condizionamenti. L’attuale crisi economica non si contempla dalla Germania allo stesso modo che dalla Grecia (…); una sentenza giudiziaria di sgombero non è vista dalla banca allo stesso modo che dalla casa pignorata.

Analisi teologica. (...) Sicuramente lo sguardo del Vaticano II sul mondo moderno e la sua ricerca dei segni dei tempi sono stati condizionati da una grande empatia cosciente verso la modernità, ma anche e in maniera più incosciente dall’eurocentrismo, dalla mentalità borghese e dalla visione democristiana della realtà. La storia successiva mostra chiaramente come la ricezione del Concilio si sia realizzata – per alimentare o soffocare lo spirito conciliare – a partire da condizionamenti diversi. (…).

Discernimento. (…) Secondo quanto constatato dallo stesso Gesù storico (cfr Mt 11,25), la situazione dei poveri offre una prospettiva privilegiata per la percezione e il discernimento dei segni del Regno (…): la Chiesa di oggi deve assolutamente fondare sulla situazione delle vittime generate dalla globalizzazione capitalista l’esercizio del discernimento dei segni dei tempi. In questo luogo “aprirà gli occhi” e troverà il migliore accesso alla rivelazione dei segnali del Regno di Dio. Tutti preludono a venti di cambiamento che attraversano frontiere religiose e culturali affinché un altro mondo sia possibile e non solo necessario; affinché il “villaggio globale” realizzi in tutte le sue parti uno stadio superiore di sviluppo umano integrale, un dispiegamento globale della giustizia, della libertà, della fraternità e della pace; affinché gli esseri umani lo siano in un modo diverso, vivendo a un livello più umano.

Articolo tratto da
ADISTA
La redazione di ADISTA si trova in via Acciaioli n.7 - 00186 Roma Telefono +39 06 686.86.92 +39 06 688.019.24 Fax +39 06 686.58.98 E-mail info@adista.it Sito www.adista.it



Marted́ 22 Maggio,2012 Ore: 15:30
 
 
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