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www.ildialogo.org CHI SONO I CATTOLICI DELLA “SETTIMANA SOCIALE”,di Alberto Bruno Simoni op

CHI SONO I CATTOLICI DELLA “SETTIMANA SOCIALE”

di Alberto Bruno Simoni op

Considerazioni sparse con proposta finale


La “Settimana sociale” di Reggio C. sta partendo con la retorica del caso “per arrivare a declinare nella realtà italiana di oggi l’impegno dei cattolici a favore dell’intera società”, “Una mappa per il bene comune”, “A Reggio per dare un supplemento di speranza” (titoli di Avvenire del 14 ottobre). L’unica cosa che non si chiede è chi siano questi cattolici e cosa se ne dice intorno.
Su Europa del 13 ottobre A.M.Valli si chiede: “Nel gergo, sempre un po’ malato di ecclesialese, che accompagna questi appuntamenti, oltre ad «agenda» e a «speranza», la terza espressione che torna in continuazione è «bene comune». I cattolici, si dice, devono lavorare per la costruzione del bene comune. Già, ma come? Attraverso il recupero di un’identità, anche politica, forte e riconoscibile, oppure portando a sintesi esperienze ed ispirazioni diverse? Se il dibattito entrerà nel merito sarà già un successo”.
Ecco un altro modo di porre il problema, che per la verità era già stato messo sul tavolo da Ruggero Orfei (Vedi Forum 229): “Forse è di qualche utilità intervenire su un tema spesso evocato, ma alla fine mai definito nei suoi termini. Si tratta non tanto di una generica questione cattolica che in sostanza nessuno solleva, ma dell’oggetto umano, antropologico, umano e culturale che s’indica con il termine «cattolici» quando questi vengono evocati sul terreno proprio della politica quasi che si tratti di un’entità precisa. L’evocazione è sempre abbastanza impropria perché i punti di vista dell’indicazione che è proposta sono generalmente variabili. C’è un uso ufficiale, come, ad esempio, quando si parla di «settimana sociale dei cattolici italiani», che poi presi a caso e, interrogati anche nelle parrocchie, non sanno di che cosa si tratti”.
Se per la verità parlassimo del Meeting di Rimini, sapremmo chi ne è artefice e dove mira. Se poi si considerasse l’iniziativa in atto “Il vangelo che abbiamo ricevuto” – Firenze e Napoli – ne conosciamo i promotori e chi si muove, ma non è dato capire dove si vuole andare a parare, per cui ciascuno torna a svernare nelle proprie tende in attesa di nuove primavere.
Se si parla invece di “Settimana sociale”, ufficialmente è tutto chiaro e scontato e la macchina fa il suo corso trionfale, ma in realtà è difficile dire chi siano questi cattolici che prendono a cuore le sorti del Paese e dove lo vogliano portare, soprattutto se consideriamo dove e come ci troviamo dopo Settimane e Convegni ecclesiali a ripetizione, tanto che quella di Reggio intenderebbe declinare la nozione di bene comune di cui si era occupata a Pistoia la Settimana del centenario, per confezionare una “agenda della speranza” in linea con il Convegno di Verona.
Ma, prima di cercare nel documento preparatorio della Settimana di Reggio una risposta alla domanda su chi sono i cattolici che la interpretano, qualche osservazione sul significato delle “Settimane sociali” ce la suggerisce Gianpaolo Romanato in un suo intervento al seminario preparatorio di Genova il 3 maggio 2010 (La questione cattolica nell’Italia che cambia).
Ecco prima di tutto il clima in cui nacquero le Settimane sociali: “L’arroccamento attorno alla protesta del papato isolò il cattolicesimo italiano, quasi lo staccò dal flusso degli eventi nazionali, lo rinchiuse dentro le proprie istituzioni. All’ombra della cultura intransigente nacquero in Italia giornali, scuole, istituti di credito ed enti con finalità sociali, nuove congregazioni religiose e inedite proiezioni missionarie, mentre le vecchie forme religiose cambiavano e si rinnovavano in profondità. La parrocchia, da luogo di culto devozionale divenne in centro propulsore di molteplici attività e il sacerdote, per così dire, scese dall’altare entrando nel vivo delle questioni del tempo.
I cattolici si abituarono a pensarsi come una realtà civile e politica distinta e separata dal resto del Paese, protetti e riparati dalle proprie istituzioni, dalla propria ideologia, da una cultura dell’assedio che dava forza ma limitava inesorabilmente gli orizzonti. E dalla separazione alla contrapposizione il passo fu breve. Fu una grande trasformazione, che riceverà ulteriori impulsi quando l’enciclica Rerum Novarum, nel 1891, aprirà all’azione del cattolicesimo organizzato gli spazi sterminati della questione sociale. Il risultato di tutto ciò fu una generale politicizzazione dei cattolici i quali, loro malgrado, si trovarono ad essere un partito, cioè una parte rispetto al tutto della nazione, inevitabilmente contrapposta alle altre, e una parte che scendendo nell’agone politico diventava antagonista e competitrice nella lotta per il potere”.
Le “Settimane sociali” nascono dunque su questo terreno, ed allora è d’obbligo chiedersi se vogliano essere la stessa cosa o se – in caso contrario – intendano presentarsi in modo nuovo abbandonando questa ideologia. Per dirimere la questione ci viene incontro ancora il prof. Romanato: “Nella complessa storia italiana la questione cattolica è passata attraverso tre fasi. La prima fase è stata quella dello scontro e dell’opposizione, per riprendere una vecchia espressione di Spadolini. La seconda fu quella del popolarismo, che pose semi fecondi ma si concluse troppo in fretta, prima che quella seminagione potesse dare risultati. La terza fase, quella del governo del Paese, composta di luci e di inevitabili ombre, terminò malamente, come sappiamo, in circostanze che hanno enfatizzato solo gli errori e le colpe, oscurando tutto il positivo di una storia che si era prolungata per quasi mezzo secolo”.
Tutto qui, come se niente altro fosse successo col Vaticano II, che risulterebbe quasi un contraltare da tenere in disparte rispetto all’altare di sempre! E allora delle due una: o una “questione cattolica” e un “mondo cattolico” non esistono più e se ne può parlare solo storicamente, o esistono ancora come ideologia, e allora è giocoforza ammettere che sono una carta simbolica anti-Vaticano II, magari riassorbito e digerito secondo modelli di cristianità, di chiesa mondo a sé, di magistero sociale.
Se ora, attraverso il linguaggio del Documento preparatorio, cerco di capire chi sono questi cattolici non è per il gusto di sottilizzare, ma per mettere in guardia dal pericolo strisciante di esequie solenni con cui il Vaticano II viene celebrato per essere seppellito. È questione di rendersene conto e di crederci, ma non mancano segni e prove che le cose stanno proprio così. Basta farci attenzione e non avere paura di guardare in faccia la realtà, abituati come siamo alle mistificazioni!
Vi si dice chiaramente: “Questo Documento è stato pensato per l’ultima fase del lavoro preparatorio e per avviare le giornate di Reggio Calabria. Esso non pretende di essere un testo di sintesi o di riepilogare l’insegnamento della Chiesa e l’esperienza sociale dei cattolici. Ciò che vuole offrire e condividere sono alcune buone ragioni perché proceda l’opera di discernimento necessaria alla declinazione, oggi, in Italia, della nozione di bene comune” (n,1). Poco prima il richiamo era alla “forza e la piena attualità della nozione di bene comune maturata nella esperienza storica dei cattolici e nel Magistero della Chiesa” (n.1).
“Ciò che intendiamo offrire al confronto ecclesiale e pubblico è un contributo che, nella prospettiva dell’insegnamento sociale della Chiesa, provi a definire i contorni e gli interrogativi - base di un’agenda realistica per la ripresa del Paese… Da cattolici, nell’Italia di oggi, abbiamo ritenuto di dover affrontare e proporre la fatica di elaborare   un’agenda di speranza per il futuro del Paese»” (n.6).
Al n. 8 si dice che “l’operazione con la quale ci apriamo e partecipiamo a quella visione e a quell’ispirazione è essenzialmente ecclesiale… A essa, in modi vari e diversi, partecipa tutto il popolo di Dio. La storia del movimento cattolico italiano, e la storia stessa delle Settimane Sociali, ne costituiscono un esempio importante”. Mentre al n. 11 se ne chiarisce subito il senso in senso restrittivo: “È chiaro che per i cattolici il discernimento, operazione spirituale ed ecclesiale, richiede l’esercizio della funzione del Magistero, ma è stato davvero importante poter sperimentare come tale servizio ci abbia messo a disposizione quella presentazione e quell’approfondimento della nozione di bene comune cui ci siamo appena riferiti. In queste condizioni, è più facile comprendere come il servizio del Magistero e la libertà e la responsabilità dei credenti impegnati nell’animazione delle realtà temporali si sostengano reciprocamente e crescano insieme”.
Risentendo ancora della sindrome di accerchiamento delle origini, al n. 12, leggiamo parola un po’ sibilline : “Questa scelta pone di fronte a una sfida anche culturalmente ardua, se è vero che si tratta anche di contestare l’idea di uno spazio pubblico impermeabile alle ragioni dell’esperienza cristiana”. E a questo proposito si dice ancora che “una sottolineatura è necessaria: cercare problemi significa anche cercare soggetti. Se per immaginare una qualsiasi alternativa basta anche solo una teoria, per immaginare un’alternativa realistica è indispensabile la presenza di soggetti reali dotati delle risorse necessarie per concepirla, aderirvi e almeno provare a perseguirla. Come dire: dove la vita, la famiglia, la dignità della persona, il lavoro, la conoscenza e la creatività sono più a rischio? E - nello stesso tempo - dove la loro energia e la loro responsabilità possono generare alternative per più bene comune?”.
Si lascia intuire quali siano questi soggetti nuovi, tanto che “L’agenda ha alcuni destinatari principali molto precisi. Anzitutto, le Chiese particolari che sono in Italia… Quest’agenda è anche destinata alle tante persone, donne e uomini di buona volontà operanti in Italia, verso i quali come cattolici nutriamo sentimenti di viva amicizia e con i quali sentiamo di dover e poter condividere la cura del bene comune, come singoli, associazioni e istituzioni… Certamente un’agenda come quella che presentiamo può essere un contributo importante all’azione del laicato cattolico. I laici, infatti, non solo sono a pieno titolo coinvolti nella vita della Chiesa e della società civile, ma sono invitati a farsi promotori di proposte e iniziative e non solo a esprimere esigenze. Al laicato italiano, che per tanti versi deve sviluppare ulteriormente il proprio ruolo nella Chiesa e nella società, può essere utile disporre di un cantiere di discernimento sempre aperto e di una breve lista di alternative prioritarie da aggiornare costantemente”.
Quando poi, all’ultimo capitolo, si parla di “Eucarestia e città” si ha tutta l’impressione che si vogliano mettere toppe nuove su un vestito vecchio. Ma in realtà sono troppi i paletti, gli a-priori, le affermazioni di principio e le certezze di partenza, che lasciano pensare ad una tipologia di cattolico identitario e depositario naturale di tutte le soluzioni, una sorta di prolungamento o di longa manus del Magistero. Qualcosa di alquanto diverso - se non proprio contrario - al tipo di chiesa prospettata dal Vaticano II, di cui non si fa parola.
Il punto di sempre è qui: se il genere di cattolici che emerge da questo documento sia l’unico ad esclusione di qualunque altro o sia soltanto l’espressione di un modo di essere chiesa forse il più accreditato, ma senz’altro non unico. E se posso avanzare un suggerimento, non sarebbe male che quanto o quanti si muovono sotto il nome de “Il Vangelo che abbiamo ricevuto” diventassero il luogo e l’espressione di un modo di essere chiesa tanto distinta quanto unita. L’unità senza distinzione non è che omologazione e confusione!
Alberto Bruno Simoni op
Pistoia, 14 ottobre 2010

Articolo tratto da:

FORUM Koinonia 228 (12 ottobre 2010)

http://www.koinonia-online.it

Convento S.Domenico - Piazza S.Domenico, 1 - Pistoia - Tel. 0573/22046



Venerdì 15 Ottobre,2010 Ore: 16:36
 
 
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