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Un «Appello» che fa discutere

Il dibattito nella Chiesa Valdese dopo l'uscita allo scoperto della "destra valdese" capeggiata dal senatore del PDL Lucio Malan. Dal settimanale Riforma


Pubblichiamo ampi stralci delle lettere giunte in redazione
Un «Appello» che fa discutere
L’«Appello al Sinodo per la fedeltà alla nostra Confessione di fede», pubblicato su Riforma del 30 luglio ha suscitato varie e appassionate reazioni

Come annunciato sul n. 31 del 20 agosto, abbiamo ricevuto molte lettere in commento all’«Appello al Sinodo per la fedeltà alla nostra Confessione di fede» (Riforma del 30 luglio). Non pos­siamo, per motivi di spazio, pubblicare integralmente le lettere: ci limitiamo ad ampi stralci, scusandoci con i lettori e le lettrici.

Il diritto di appellarsi
Florestana Piccoli Sfredda
(Rovereto) osserva che «senza alcun dubbio, tutti hanno pie­no diritto a ricevere il battesi­mo, qualora richiesto, indi­pendentemente dalla identità sessuale dei genitori; tutti pe­raltro hanno altresì diritto, in caso di posizioni controverse, di appellarsi al Sinodo o forse ancor prima, in nome della li­bertà di coscienza, alla pro­pria coscienza di credenti, non riconoscendoci nel magi­stero di una Chiesa; ricono­sciamo però incontrovertibil­mente che la nostra fede pog­gia saldamente sulla Parola di Dio, trasmessa dalla Scrittura e a noi Valdesi mutuata attra­verso la Confessione di Fede del 1655».
Questione omosessuale?
Attilio Costantino (Torino) è rimasto colpito, nella parte finale dell’Appello, dal richia­mo «ad esaminare la “que­stione omosessuale”»: «Fra le tante “questioni” che hanno diviso il nostro Paese durante la sua storia (la questione ro­mana, quella meridionale, quella agraria) non pensavo permanesse una “questione omosessuale” da additare ad­dirittura al Sinodo, convinto com’ero (ammesso che sia una “questione”) che anche nel nostro paese, dove pure i tabù faticano a morire, fosse ormai superata, e l’omoses­sualità, vista come una va­riante dell’identità sessuale, fosse finalmente legittimata e accolta senza diffidenze e ri­serve. Ma forse le cose non stanno così, e dispiace che l’appello rivolto al Sinodo per il rispetto dell’“ortodossia” valdese la proponga un po’ brutalmente». Costantino ri­chiama un articolo di Paolo Ricca apparso qualche anno fa su Riforma, «nel quale Ric­ca con sapienza e misura sot­tolineava la differenza fra l’omosessualità intesa come “scelta” (come un tempo si credeva) e l’omosessualità come “condizione” (come s’è compreso)».
Attacchi inopportuni
A nome del Consiglio del XVI Circuito, Pino Testa (Rie-si) esprime preoccupazione «per le forme inusuali che stanno animando la discus­sione su alcuni avvenimenti accaduti di recente all’inter­no della Chiesa valdese, e nello specifico in una della Sicilia», e rileva che «certe prese di posizione (che assu­mono un atteggiamento di neo integralismo evangelico) non aiutano a chiarire i fatti, ma provocano solo divisioni all’interno della Chiesa». Te­sta richiama l’atto 30 della Conferenza del IV Distretto, che evidenziava «da una par­te la legittimità della scelta del Consiglio di Chiesa di Trapani e Marsala, in un qua­dro di piena condivisione co­munitaria, di accogliere la ri­chiesta di celebrare tale be­nedizione, in assenza di una esplicita indicazione sinoda­le, e dall’altra la forte neces­sità di garantire che su tale delicata questione, come in generale sulle questioni più rilevanti, le scelte delle singo­le chiese si inseriscano in cammini unitari». La Confe­renza distrettuale «ha chiesto di aprire un dibattito e una riflessione per approfondire la questione, senza la neces­sità di lanciare appelli alla mobilitazione, quasi fosse una nuova crociata per far pulizia degli eretici e degli in­fedeli. Dopo la benedizione dell’unione avvenuta a Mar­sala i mezzi di informazione hanno dato ampio rilievo al fatto, rendendolo di dominio pubblico, ma nessuna delle comunità del nostro Circuito ha rilevato niente di “scanda­loso” nell’avvenimento. Anzi diversi articoli hanno rilevato come da una Chiesa evange­lica valdese del “profondo Sud” sia venuto un forte se­gnale di piena e integrale ac­cettazione dell’altro, nel ri­spetto del comandamento d’amore che supera tutte le divisioni e le definizioni che, di fatto, ci impediscono una reale apertura verso il mondo esterno e finiscono con il re­legare solo all’interno della Chiesa la predicazione della grazia e dell’amore di Dio verso l’umanità intera». La lettera si conclude esprimen­do fraterna solidarietà al pa­store Alessandro Esposito e al professor Paolo Ricca, «fatti oggetto di scandalosi e inop­portuni attacchi personali, quasi rei di eresia».
Uno strumento politico
Alcuni membri del Consi­glio della Chiesa valdese di Imperia (Caterina Garibbo, Laura Volpi, Gemima Lami, Marianne Bertoni, Gianmaria Grimaldi) espongono le loro considerazioni in merito all’appello, affermando tra l’altro che «il tono dell’Appel­lo si adatti meglio a una “pa­storale cattolica”». In merito alla negazione della Trinità da parte di un pastore «ci appel­liamo alla responsabilità per­sonale dello stesso che dovrà semmai rispondere del suo enunciato agli organi compe­tenti. Per quanto attiene alle “interpretazioni personali”, la Chiesa valdese ha sempre ri­spettato le scelte individuali, purché coerenti con l’inse­gnamento biblico». A propo­sito della benedizione di una coppia lesbica avvenuta a Trapani i firmatari sottolinea­no che «se vogliamo vera­mente difendere i nostri valo­ri e le nostre scelte non ci dobbiamo fermare di fronte a un gesto, ma leggere al di so­pra del medesimo il senti­mento che lo ha ispirato». In­fine ritengono l’Appello «un sottile strumento politico-so­ciale che offende tutti coloro che vogliono una Chiesa libe­ra, democratica, laica e ispira­ta nelle sue scelte soltanto all’amore verso gli altri come ci ha insegnato Gesù».
E le coppie eterosessuali?
Riflettendo sulla benedi­zione delle coppie omoses­suali, Agostino Garufi (Me­stre) afferma: «In linea di principio non avrei opposi­zioni da fare nel caso specifi­co di coppie che vogliono vi­vere cristianamente il loro rapporto con l’intenzione e l’impegno di mantenerlo sta­bilmente con reciproca fe­deltà», ma fa due osservazio­ni: «La prima è che non riten­go giusto che singoli pastori, di loro personale iniziativa, sia pure d’accordo con il Consiglio della loro chiesa lo­cale, procedano alla celebra­zione di questo “rito”, senza che il Sinodo abbia approva­to precisamente l’esecuzione di tali atti, ancora tanto di­scussi, che coinvolgono tutta la nostra chiesa». In secondo luogo, «non capisco perché nella nostra chiesa non pare che attualmente ci sia la stes­sa sensibilità, attenzione, apertura e disponibilità an­che per la benedizione delle coppie eterosessuali che non intendono contrarre il matri­monio civile». Non si tratta necessariamente di coppie «che vogliono aggirare la leg­ge statale, non celebrando il matrimonio civile allo scopo di continuare a godere della pensione del coniuge morto, frodando così lo Stato (…). Oggi le situazioni sono molto diverse e non tutti gli etero­sessuali che formano stabili coppie di fatto non vogliono celebrare civilmente il matri­monio per il suddetto deplo­revole scopo». Si crea insom­ma «una discriminazione all’inverso, essendo sensibili, aperti e accoglienti verso gli omosessuali, mentre si rima­ne distratti e disattenti verso gli eterosessuali, che pur non volendo celebrare il matri­monio civile, potrebbero chiedere, da credenti, la be­nedizione della loro relazione di coppia, come la chiedono gli omosessuali credenti».
I costi della pubblicità
Giorgio Rochat (Torre Pel-lice) evidenzia tre cose che non gli piacciono nell’appel­lo. La prima è che «comprare uno spazio pubblicitario sul nostro settimanale per un appello al Sinodo (invece di pubblicarlo gratis, ma con ri­lievo minore) è un brutto se­gno dei tempi. Dipendiamo già dalla pubblicità a tutti i li­velli per la nostra vita quoti­diana, dobbiamo accettarla anche per la vita della nostra chiesa? Il prossimo passo sarà un’inserzione pubblici­taria sulle reti televisive Me-diaset? Spero almeno che la pubblicazione dell’appello sia stata fatta pagare bene, diteci quanto» [Nota del re­dattore: la risposta a questa specifica domanda è: otto­cento euro più Iva, secondo le attuali tariffe pubblicita­rie]. In secondo luogo, per Rochat «Lucio Malan, mem­bro della chiesa valdese di San Giovanni, ha tutto il di­ritto di suscitare dibattiti sul­la vita e le scelte della nostra chiesa. Ci sono però proble­mi di immagine e di discre­zione. Il senatore Malan è uno dei più vicini collabora­tori del presidente Berlusco­ni, ha una figura politica na­zionale. Poteva evitare di as­sumere la paternità dell’ap­pello al Sinodo che la stampa gli riconosce. L’appello ac­quista così una colorazione politica che forse non merita­va, diventa un aspetto del ri­fiuto del governo Berlusconi di riconoscere i diritti degli omosessuali, in pieno accor­do con la chiesa cattolica. Anche un anticipo della nuo­va tornata elettorale? Espo­nenti politici valdesi come Valdo Spini e Paolo Ferrero hanno sempre evitato di uti­lizzare il loro ruolo nelle vi­cende della nostra chiesa». Terza osservazione: «L’appel­lo al Sinodo discute con pie­na legittimità di problemi ge­nerali, ma poi muove pesanti accuse personali ai pastori Esposito e Ricca. Non dice che Esposito ha negato di avere pronunciato le affer­mazioni incriminate, né dà conto delle ampie risposte che Ricca ha dato al senatore Malan su Riforma. È davvero sgradevole prendere atto dei costi della pubblicità. I pasto­ri guadagnano molto meno dei senatori, quindi Esposito e Ricca non potranno mai pagare gli spazi pubblicitari per rispondere a Malan al suo livello». In una nota fina­le, Rochat si chiede poi per­ché Malan si occupi solo di omosessualità, dimenticando «l’adulterio, assai più diffuso e tollerato a ogni livello».
Visione elitaria
Gino Lusso (Verolengo – To), premettendo che i con­tenuti dell’appello «meritano indubbiamente una attenta e approfondita analisi teologi­ca, scritturale, storica ed eti­ca da parte del Sinodo», sot­tolinea «le modalità abnormi poste in essere da detto ap­pello. Come tutti ben sappia­mo, le modalità che portano gli argomenti all’analisi del Sinodo sono chiaramente e rigidamente fissate dai vigenti regolamenti e hanno quale linea maestra la prioritaria discussione attraverso i diffe­renti livelli comunitari. Io credo che uno dei patrimoni più cari della nostra comu­nità sia proprio quel com­plesso di norme che ne guida armonicamente la sua vita, con un massimo di democra­ticità, cercando di minimiz­zare personalismi e settari­smi (…). A mio parere, l’ap­pello, non solo nell’aspetto formale, ma nella sostanza più profonda, viola intenzio­nalmente i dettami previsti da tutte le nostre norme re­golamentari. Da esso si evin­ce indifferenza e dispregio totale per una discussione democratica, preferendo una visione elitaria che ignora e disdegna i livelli di confronto previsti dai nostri regolamen­ti e ritiene di avere quale uni­co interlocutore l’organo co­munitario verticale. Tale vi­sione, al di là di ogni altra considerazione sul contenu­to della nota, mina e disgrega profondamente i rapporti che regolano la nostra vita comunitaria».

Il presente articolo è tratto da Riforma - SETTIMANALE DELLE CHIESE EVANGELICHE BATTISTE, METODISTE, VALDESI Anno 146 - numero 33 - 3 settembre 2010. Ringraziamo la redazione di Riforma (per contatti: www.riforma.it) per averci messo a disposizione questo testo



Martedì 31 Agosto,2010 Ore: 16:01
 
 
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