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www.ildialogo.org La giustizia riparativa in ambito penale: un caso pratico,di MARCO MARENGO

Il perdono come giustizia (II – parte)
La giustizia riparativa in ambito penale: un caso pratico

di MARCO MARENGO

Premessa:
nel post 56 ho analizzato, da un punto di vista prevalentemente teorico, le forme e i modelli di giustizia riparativa fornendone una definizione convenzionale ed esponendone i pregi e le funzionalità. Principale oggetto di attenzione è stato in quella sede lo strumento della c.d. mediazione penale reo-vittima, ed è proprio della concreta applicazione di esso che darò conto ora attraverso la presentazione di un caso concreto. Non è stato possibile individuare un caso italiano dal momento che nel nostro Paese questo genere di diversione rispetto alle strade della giustizia tradizionale è quasi del tutto imbattuta, se non nell’emisfero della giustizia penale minorile. Pertanto considererò la storia di Shad, un uomo pakistano caduto vittima di una grave violenza a sfondo razziale nel centro della città di Nottingham. Lo scopo di questa ulteriore partizione del mio scritto è di dimostrare come questo strumento possa essere impiegato con ottimi risultati anche in ordine all’integrazione di gravi reati contro la persona, ma anche quello di porre l’attenzione sulla sempiterna mancanza di attenzione che nel nostro sistema di giustizia penale, vetusto e reo-centrico, viene concessa alla vittima del reato.
In primo luogo una breve presentazione del caso di specie. Nel tardo pomeriggio di un caldo giorno d’estate Shad stava percorrendo il centro della città di Nottingham a bordo della sua bicicletta. Egli racconta che ad un tratto la sua attenzione viene catturata da un uomo che, con fare minaccioso, inveisce violentemente con insulti a sfondo razziale verso due donne pakistane. La sua prima reazione, racconta ancora egli stesso, è quella di bloccare il mezzo per osservare la scena ed essere pronto ad intervenire laddove necessario, ma questo gesto di interessamento, dopo alcuni minuti, viene notato dall’offensore che con atteggiamento di sfida si dirige verso di lui perpetrando anche nei suoi confronti insulti e invettive a sfondo razziale (anche Shad è pakistano). Mantenendo la calma Shad rimonta sulla bicicletta per allontanarsi, ma proprio in quel momento viene colpito violentemente in pieno volto da un pugno che lo tramortisce. I testimoni raccontano che anche dopo il primo colpo l’uomo continuerà ad inveire sul viso di Shad con calci e pugni, prima di darsi alla fuga. Le ferite riportate al volto dopo l’accaduto hanno richiesto 5 ore di intervento chirurgico per ripristinarne la fisionomia originale, oltre ad aver causato danni permanenti all’occhio destro che non riprenderà mai completamente le sue funzioni.
La sensibilità, la preparazione culturale e probabilmente la stessa indole pacifica e bonaria della vittima, sono state fondamentali per la riuscita del programma di restorative justice applicato al caso in esame, e questo ci richiama l’attenzione sulla necessità che l’utilizzo di un siffatto strumento sia sempre volontario e non sostitutivo dei modelli tradizionali di giustizia penale, pur essendo in grado di imprimervi un decisivo vettore di cambiamento. Egli stesso racconta infatti come già dopo alcuni giorni di ricovero in ospedale avesse intimamente deciso di giungere a perdonare il suo aggressore, che peraltro di lì a poco sarà catturato e identificato: Glenn, un uomo con precedenti per aggressione a mano armata e già ricercato.
Fondamentali per comprendere l’inadeguatezza del processo penale tout court ad occuparsi della vittima del reato, sono le dichiarazioni di Shad circa le sensazioni provate durante il primo grado del procedimento a carico di Glenn: “The trial was the most difficult thing i went through. […] I knew that Glenn was pleading not guilty, and his lawyer really laid into the witnesses – myself included – to discredit their evidence. I started to feel that I was nothing more than a bystander in this process, even though I was the victim”. (Il processo è stata la cosa più difficile che ho affrontato. […] Sapevo che Glenn dichiarava di non essere colpevole, e il suo avvocato davvero agiva sui testimoni – io stesso compreso- per discreditare la loro evidenza. Ho iniziato a sentire che non ero niente più di uno spettatore nel processo, anche se ero la vittima.)
Durante il secondo grado del procedimento Glenn decide di confessare il suo crimine e, si legge ancora nelle dichiarazioni rese dallo stesso Shad, per la prima volta riesce a guardare la sua vittima negli occhi. È a questo punto che nella mente dell’offeso inizia a farsi strada il desiderio di incontrare il suo aggressore, ma egli dovrà scontrarsi con l’ostruzionismo della burocrazia e delle istituzioni in genere. La sua storia allora riceve rapidamente l’attenzione dei media, e a seguito di questa circostanza egli viene contattato da un organizzazione chiamata “The Forgiveness Project”. Questo genere di organizzazioni sono fondamentali nell’ambito di un sistema di giustizia riparativa ben congegnato, anche in forza della loro possibilità di avvalersi di personale specializzato esse sono in grado di imprimere una forte accelerazione al processo di mediazione. Il programma proposto a Shad prevedeva, in particolare, di visitare nell’arco di tre giorni una serie di carceri per incontrare gruppi di detenuti e confrontarsi con essi, un’esperienza tanto fondamentale per la vittima, quanto per questi ultimi.
Anche dopo aver avuto accesso a questo programma, chiamato “Restore”, Shad continuava a conservare il desiderio di confrontarsi faccia a faccia con il proprio aggressore ma, anche dopo le continue pressioni per poter organizzare l’incontro, ben quattro anni dovettero passare prima che gli fosse concesso anche soltanto di inviare delle lettere a Glenn. I due danno quindi inizio ad una corrispondenza epistolare nel corso della quale Shad afferma di avvertire nel suo interlocutore un profondo e sincero rimorso per quanto accaduto.
Dopo anni di tentativi volti ad organizzare un incontro tra reo e vittima, finalmente Shad viene indirizzato ad un’altra organizzazione chiamata “REBUILD”, la quale gli affida per la prima volta un mediatore (o “facilitatore”), il Dr. Colin Wilson. Da questo momento le cose improvvisamente cambiano: in pochi mesi l’incontro viene predisposto e si tiene nell’aprile del 2014.
We shook hands, and then, spontaneously, we hugged. It was totally unexpected, and I became very emotional and started crying […]”, (Ci siamo stretti la mano, e quindi, spontaneamente, ci siamo abbracciati. Era tutto inaspettato, e io mi sono emozionato e ho iniziato a piangere.) dichiarerà lo stesso Shad. Nel corso della mediazione il Dr. Colin chiederà ai due di raccontarsi vicendevolmente del proprio passato e ad entrambi di ripercorrere il giorno del commesso reato per poi passare a parlare del futuro: Glenn chiederà a Shad di poter continuare a scrivergli, il quale si offrirà altresì di andare a visitarlo di tanto in tanto; appresa inoltre l’intenzione dell’ormai ex detenuto di abbandonare la città di Nottingham, lo stesso Shad si offrirà di aiutarlo. Il risultato dell’incontro è ben riflesso nelle parole di quest’ultimo: “By the end of the meeting, it felt like we had become friends. That chapter had closed, and a new one had begun”. (Alla fine dell’incontro, ho sentito che eravamo diventati amici. Un capitolo si è chiuso, e uno nuovo si è aperto.)
In questo modo e con queste modalità la giustizia riparativa introduce un fondamentale elemento di umanità in situazioni che, sia per il reo che per la vittima, sono sempre connotate di una forte componente di disumanità. Dovrebbe pertanto anche il nostro legislatore cominciare a riflettere sulla possibilità di implementare o, nel caso della giustizia penale minorile, sviluppare sistemi come questo nel nostro ordinamento giuridico, in modo tale da affiancare il sistema tradizionale e renderlo così più attento alla prospettiva della vittima e maggiormente teso alla realizzazione del completo ristoro dell’offeso, oltre a consentire un notevole abbattimento della recidiva, obiettivi che la sola sanzione detentiva e/o pecuniaria, pur nel combinato disposto con le misure di sicurezza che costituiscono il c.d. “secondo binario” del sistema sanzionatorio italiano, non sono più o non sono mai state in grado di perseguire con compiuta efficienza.



Mercoledì 30 Luglio,2014 Ore: 18:07
 
 
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