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Il carcere è inadeguato al recupero dei detenuti

Intervista di Carlo Castellini, al prof. Carlo Alberto Romano, docente di criminologia presso la facoltà di giurisprudenza di Brescia e presidente dell’associazione di volontariato “Carcere e Territorio”, di Brescia, che ha sede in via Spalti San Marco, 19.


D.  “LE NOSTRE CARCERI PER META’ SONO FUORILEGGE”: ci può spiegare prof. CARLO ALBERTO, questa triste affermazione del nostro ministro di Grazia e Giustizia, on. ANGELINO ALFANO?
R.Le nostre carceri sono per metà fuorilegge perché non si sono adeguate come regolamento alla legislazione del Consiglio dei Paesi europei.
D. Alcuni riferendosi alle carceri hanno parlato di “DISCARICHE UMANE” e di “LUOGHI SENZA SPERANZA”: come si è arrivati a questa insostenibile situazione carceraria?
R. Perché manca una vera concezione del recupero del detenuto in attesa di giudizio, del carcerato in maniera definitiva. Si arriva quindi a questa situazione insostenibile perché si utilizza il carcere come controllo sociale, e non come riabilitazione della persona; questo avviene soprattutto a scapito delle persone più deboli e indifese.
D. Perché si dice che il sistema carcerario “FA ACQUA DA TUTTE LE PARTI”? Brescia, però, fa un po’ eccezione: ci può illustrare per quali motivi?
R. Si dice allora che questo sistema carcerario fa acqua da tutte le parti perché non è in grado di adempiere al DETTATO COSTITUZIONALE, che richiede la piena riabilitazione e recupero del detenuto e sia nella sua rieducazione; ma questo non avviene per una serie di motivi: a) primo, per la scarsezza di risorse di varia natura; b)secondo, le strutture carcerarie sono obsolete e non sono all’altezza di un efficace recupero dei detenuti. VERZIANO, è una casa circondariale e di reclusione, con strutture però che sono inadeguate; CANTON MOMBELLO, ha ancora strutture superate, che rendono praticamente invivibile la vita ai carcerati, che rende difficile, per non dire impossibile, un percorso efficace di recupero del detenuto.
D.  Il DIRETTORE della CASA CIRCONDARIALE DI CANTON MOMBELLO,  DOTT. SSA MARIA GABRIELLA LUSI, nel convengo di studio presso il Centro San Carlino, ha descritto la situazione generale interna deficitaria; Lei però, in maniera molto vivace, ha sottolineato come la soluzione dei vari problemi, non consista proprio nella costruzione di un nuovo carcere, perché questo non risolverebbe ancora il problema di fondo: qual è questo problema di fondo?
R. Abbiamo calcolato che con l’arrivo di nuovi detenuti in attesa di giudizio, si giunge a circa 800 nuovi ingressi; come facciamo a recuperare o rieducare un carcerato? Cosa deve fare un ente di rieducazione? Allora bisogna assolutamente attivare strumenti diversi. Il solo edificio, per nuovo che sia, non risolve il problema. Bisogna concepire e realizzare un sistema carcerario in maniera diversa.
D. Ogni tanto, nelle carceri, qualcuno si toglie la vita; nessuno di noi può tirarsi fuori: come e che cosa fare per prevenire questi gesti estremi?
R. Il problema di fondo che dobbiamo affrontare è il livello e la qualità della vita dentro il carcere. Alla luce di questo vanno considerati i casi di suicidio soprattutto dei minori; poi vi sono strutture inadeguate e sovraffollamento delle carceri, che hanno superato abbondantemente quota 64 mila. Come dicevo prima: rispetto del dettato costituzionale, ma anche scelta di strumenti alternativi soprattutto realizzo dell’art. 27. Nella sostanza: la persona cioè non deve essere solo riabilitata attraverso il carcere, ma soprattutto attraverso la sua valorizzazione con il lavoro sociale,volontario, che inserisce il detenuto in maniera graduale nel tessuto sociale. Oggi, purtroppo, le nostre strutture carcerarie, non possono offrire strumenti alternativi, ma anche nuovi strumenti di giustizia.
D. Nel suo intervento al SAN CARLINO, lei ha parlato di alcuni primati che le carceri bresciane possono vantare: li potrebbe illustrare brevemente?
R. Ho parlato di alcuni primati conseguiti dalle carceri bresciane, per la qualità delle risorse presenti sul territorio bresciano, e per il buon rapporto di collaborazione con le istituzioni; grazie anche alla presenza di gruppi di volontariato, maschile e femminile, che sono confluiti nel VOL. CA. (volontariato della Caritas) e di CA. TE (Carcere             e Territorio): e poi vi sono una serie di iniziative sportive e culturali, che mettono i detenuti nella condizione di aprirsi all’esterno, a contatto con la società: queste rappresentano ormai una positiva tradizione di cui andiamo orgogliosi.
D. Un altro carcere, di cui si parla molto è quello di BOLLATE, all’immediata periferia della città di Milano: cosa manca alle carceri bresciane per mettersi sulla falsariga del CARCERE DI BOLLATE? Mezzi finanziari? Risorse umane? Iniziativa politica?
R. MARIA GABRIELLA LUSI, vice rettore del Carcere di BOLLATE ( MILANO), che ha presentato come un fiore all’occhiello l’integrazione graduale attraverso lo strumento del lavoro sociale e l’inserimento nella società. Noi, qui a Brescia, dobbiamo e possiamo ancora progredire in questo senso. Non è sempre facile trovare datori di lavoro e imprenditori disponibili ad accogliere nelle loro aziende detenuti che desiderano il proprio riscatto. C’è ancora tanto lavoro da fare in questo senso.
D. Perché quello degli AGENTI DI POLIZIA PENITENZIARIA è considerato un lavoro difficile? Preparazione inadeguata? Scarsa remunerazione? Impossibilità di aggiornamento? Rischio personale? O che altro?
R. E’ certamente un lavoro non facile, quello dell’AGENTE PENITENZIARIO, perché esige una preparazione specifica che non viene fornita; non è un lavoro come un altro; non è facile la vita di relazione con un detenuto, che vede nell’agente carcerario a volte un nemico da temere più che un collaboratore che ti aiuta; questo tipo di lavoro genera un controllo sociale; a volte viene giudicato come un lavoro di ripiego: per questo non sono pochi gli aspetti personali e sociali di cui dobbiamo tenere conto.
D. Si sta parlando di una MAPPATURA ITALIANA DELLE CARCERI, in cui si parla della possibilità di apprendere un lavoro, di svolgere un’attività, per imparare un mestiere che può tornare utile, una volta scontata la pena: a Brescia, che cosa stiamo facendo, in questo senso?
R. Posso accennare alla presenza di Corsi di Lingua italiana pèr adulti dei corsi Eda (Educazione degli adulti); abbiamo anche creato l’opportunità di accedere all’Università per chi vuole e può; (noi lo chiamiamo POLO UNIVERSITARIO); quest’anno abbiamo avuto alcuni laureati: LETIZIA, ERICA, CARMELO. Abbiamo dato vita anche ad altre iniziative di cultura, come il Premio Letterario E. CASALINI. Dal punto di vista invece del lavoro siamo messi piuttosto male: anche se per i risultati raggiunti la nostra ASSOCIAZIONE CARCERE E TERRITORIO, ha avuto un ambito riconoscimento con l’assegnazione del PREMIO BULLONI.
D. Le nostre strutture carcerarie sono ancora valide per la rieducazione del detenuto, atte a redimerlo, e per la riabilitazione del delinquente? O si tratta di un libro dei sogni?
R. Queste strutture carcerarie sono inadeguate per il recupero dei detenuti condannati e privati della libertà. Bisogna considerare e concepire la rieducazione del carcerato con altre modalità e strumenti alternativi: soprattutto di valorizzazione e promozione del rapporto con la comunità, che il carcere ha loro tolto.
D.  LIDIA MAGGI, Pastora della Chiesa Battista, di VARESE, responsabile del DIPARTIMENTO DEI DIRITTI UMANI DELLE CHIESE BATTISTE ha affermato che:”LE NOSTRE PRIGIONI SONO LA FOTOGRAFIA DI UNA GIUSTIZIA PUNITIVA, LUOGHI DOVE E’ QUASI IMPOSSIBILE IL RECUPERO DI UNA PERSONA”: osa c’è di vero in questa affermazione?
R. Ha ragione. Non è possibile attuare una piena riabilitazione del detenuto con queste strutture carcerarie.
D.  La ventilata PROPOSTA di costruire un nuovo carcere nella zona di VERZIANO-FLERO, quali problemi, almeno in parte, potrebbe incominciare a risolvere? (Penso al sovraffollamento, ai suicidi in carcere, recupero e riabilitazione, spazi condivisi, ecc?)
R. Vi sono alcuni aspetti pratici e logistici: il sovraffollamento. Come risolvere il problema? Io dico e sono convinto che la costruzione di un nuovo carcere non risolverebbe e migliorerebbe la condizione dei detenuti in carcere. E’ la mentalità e una nuova cultura pedagogica e riabilitativa del carcere che deve cambiare.
D.  Nella Sua relazione presso la Chiesa di San Cristo, a Brescia, su quali concetti chiave ha impostato il suo il Suo discorso argomentativo?
R. E’ assolutamente necessario e urgente trovare delle misure alternative al carcere, che è soprattutto PRIVAZIONE DELLA LIBERTA’. “NON ESISTONO AMORI BRUTTI, E CARCERI BELLI”.
D.  LA LEGGE DELL’INDULTO, APPROVATA IN Parlamento e presto applicata, quali problemi a risolto di quelli sopraccennati, e quali invece di nuovi ha creato?
R. La LEGGE SULL’INDULT0 non ha risolto i problemi delle carceri e dei detenuti; è necessario un inserimento vero nella società attraverso un servizio sociale e lavoro. Alla fine l’INDULTO ha creato un problema in più, senza averne risolto alcuno.
D.  CARCERE E TERRITORIO: è UNO SLOGAN? UN PROGETTO AMBIZIOSO? Che cosa dire alla gente per far capire che il problema riguarda anche la società di quelli fuori?
R. Il carcere e il territorio: il nostro progetto intende far comprendere agli abitanti vicini al carcere ed alla società in generale, che il carcere non è un luogo senza speranza, ma che per ogni detenuto viene offerta una possibilità di vero riscatto, e riabilitazione per potersi inserire di nuovo, gradualmente in quella società, della quale è stato privato. Questo è il senso di quelle iniziative di integrazione di cui abbiamo parlato sopra.
D.   DERELITTI E PENE, DI REMO BASSETTI: parla di una nuova concezione del carcere? Voleva evocare qualche titolo famoso? C’è giustizia in carcere?
R. DERELITTI E PENE, DI REMO BASSETTI: non vuole evocare solo il titolo di qualche libro divenuto famoso per via letteraria; ma ricordare che comunque la legge è eguale per tutti, ma che deve essere data la possibilità di recupero e di riscatto, e che i detenuti non vengano abbandonati a sé stessi.
D.  ANCHE CAMOSCI E GIRACHIAVI: TITOLO MENO DECIFRABILE; però le chiavi rievocano comunque un tipo di potere che apre e che chiude le porte DEL  carcere, ma anche della libertà dell’individuo e in fine del suo destino: cosa dire?
R. CAMOSCI E GIRACHIAVI: questo titolo meno decifrabile del precedente; il concetto di chiavi può ricordare il potere di chiudere e di aprire alla libertà dell’individuo; insomma la chiave come diritto di vita e di morte.
 
(intervista di Carlo Castellini)
   Sede di ACT, Associazione Carcere e Territorio, 22 aprile 2010, ore 10-11,
 
Una foto collettiva dell'associazione ACT. Da sinistra ci sono: Federico Margini, Luisa Ravagnani, Alberto Saldi, Prof. Carlo Alberto Romano, Presidente di ACT, Claudio Bianchi, Michela Arcai, Camilla Bolzoli, Sandro Zucchelli, Domenico Servillo.
Grazie da parte di Carlo Castellini, per il sito www.ildialogo.org.

 



Domenica 04 Luglio,2010 Ore: 17:35
 
 
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