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www.ildialogo.org Il laboratorio della Scuola di Pace di Napoli e della Redazione di Tempi di Fraternità,di Mario Arnoldi, mario.arnoldi @tempidifraternita.it

XXXII INCONTRO NAZIONALE COMUNITÀ CRISTIANE DI BASE
Il laboratorio della Scuola di Pace di Napoli e della Redazione di Tempi di Fraternità

di Mario Arnoldi, mario.arnoldi @tempidifraternita.it

La società multiculturale condizionata dal potere dei media e dall'ingerenza delle gerarchie cattoliche


Ringraziamo la redazione di Tempidi Fraternità (www.tempidifraternita.it ) per averci messo a disposizione questo articolo pubblicato sul numero di gennaio 2011.

Il XXXII Incontro delle “Comunità Cristiane di Base” si è svolto dal 30 ottobre al 1° novembre 2010 a Bòrgaro Torinese. È prassi che l’Incontro annuale si svolga in re-gioni diverse d’Italia. Il tema dell’incontro era “In un tempo di sopraffazione e di precarietà... date ragione della speranza che è in voi”. La prima parte ha analizzato l’attuale situazione economico sociale politica e personale di grande difficoltà; la seconda parte, propositiva, sol-lecitava a sviluppare la speranza che genera ogni progetto costruttivo. In altre sedi (per es. www.cdbitalia.it) ci saranno ampie relazioni delle tre giornate. In questo articolo riferiamo del II laboratorio (i laboratori erano quattro), coordinato dai rappresentanti della Scuola di Pace di Napoli e dalla redazione di Tempi di Fraternità. Il laboratorio verteva sulla società multiculturale e i condizionamenti dei mass-media e delle gerarchie ecclesiastiche cattoliche.
La Scuola di Pace di Napoli
La mattina hanno gestito il laboratorio Corrado Maffia ed alcuni collaboratori e collaboratrici della Scuola di Pace di Napoli, che svolgono, come volontariato, un ottimo lavoro con gli stra-nieri. Hanno iniziato con qualche esercizio di socializzazione e di conoscenza con gli immi-grati presenti e con tutti gli altri del gruppo. In cerchio, in piedi, eravamo una cinquantina, dap-prima abbiamo battuto le mani più volte con mo-dalità e rimandi diversi. Poi, sempre in cerchio, una persona si avvicinava a un’altra, le stringe-va la mano presentandosi col proprio nome e, in un giro successivo, ripeteva lo stesso gesto presentandosi col nome dell’altro, con lo scopo di riconoscersi a vicenda.
Quindi seguivano esercizi di scambi lingui-stici dietro i quali prendeva corpo in modo effi-cace la comprensione tra italiani e stranieri. In-fine, dopo una breve introduzione del respon-sabile del gruppo, è iniziata una lunga e fruttuosa
discussione in cui si incrociavano le esperienze dei presenti, tutti operatori tra gli stranieri, gli aspetti teorici e pratici del rapporto con l’altro e con gli immigrati, l’uso degli strumenti adatti a far comunicare e integrare chi viene da lon-tano, e innumerevoli altri approcci.
La redazione di Tempi di Fraternità e il testo 1 Cor 12,14 ss
Il pomeriggio noi della redazione di Tempi di Fraternità abbiamo gestito il gruppo, rilan-ciando l’onda degli intereventi del mattino, con l’innesto di due brani biblici.
Gianfranco Monaca ha letto il testo di Paolo da 1 Corinzi 12,14 ss. “Ora il corpo non risulta di un membro solo, ma di molte membra. Se il piede dicesse: ‘poiché io non sono mano, non appartengo al corpo’, non per questo non fa-rebbe più parte del corpo. (…) Dio ha disposto le membra in modo distinto nel corpo, come egli ha voluto. Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo. (…) Dio ha disposto il corpo in modo che le varie membra avessero cura le une delle altre. Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insie-me; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui”.
Il commento al testo metteva in risalto come Paolo, apostolo neofita di Gesù, aveva aperto a tutte le genti la possibilità di fruire del messag-gio di Gesù e del suo Vangelo, proclamando “non c’è più né giudeo né greco, né libero né schiavo, né uomo né donna” (1 Cor. 1,22). Tutti uguali, tutti diversi, concludeva. E questo tema ha dato l’avvio a una successione di interventi e di comunicazione di esperienze sull’eguaglian-za e sulla diversità. Alcune voci della comunità S. Paolo di Roma hanno parlato dell’esperien-za dell’incontro di ragazzi afghani che ritrova-no la loro identità senza contrapporsi agli ita-liani che li ospitano, e dell’esperienza dei corsi di recupero di matematica. Hanno aggiunto che le diffe-renze dei comportamenti degli stranieri vengono accet-tate e sono l’inizio di un percorso nuovo. Per questo è opportuno partire dalle differenze per giungere a delle convergenze. Tutti diversi, tutti uguali hanno affermato, suggerendo il capovolgimento dell’assunto di partenza. Roberto di Genova, che ha lavorato in diversi paesi e continenti, sottolineava come gli stranieri nei centri d’ac-coglienza sono trattati in modo disumano e presentava la sua esperienza a Genova caratterizzata da grande acco-glienza. Anna di Verona, molto attenta al lavoro della Scuola di Napoli, diceva come a lei interessassero in modo particolare le donne straniere e che a Verona avevano allestito la Casa delle donne. Federica di Torino parlava di identità multipla e in movimento sia di noi sia degli stranieri. Alberto da Bologna raccontava che con sua moglie e altri lavorava con gli stranieri in carcere. Leonardo, medico chirurgo, che ha lasciato un primariato per andare a lavorare nei paesi del sud del mondo, ha esposto alcune gravi situazioni di quei paesi. Le anima-trici della scuola di Napoli hanno posto l’accento, ac-canto alle attività descritte il mattino, sull’utilità del mezzo della musica e della danza ai fini dell’integrazione: incontri in cui si ballava la “tamurriata” hanno coinvolto stranieri di tutte le nazioni. Un operatore di Olbia de-scriveva l’incontro religioso con gli islamici: si legge in-sieme un brano del Vangelo e uno del Corano. Carla di Genova proponeva la necessità di comunicare con i sen-timenti, di “meticciarsi” col cuore. E Severino di Ivrea, cappellano delle carceri, annunciava con gioia la nascita di una comunità di base.
Un nuovo “input”alla discussione: il testo di Luca 10, 25-37
Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso. ‘E chi è il mio prossimo?’” Gesù risponde in parabola dicendo che un sacerdote lasciò un uomo mezzo morto, incappato nei briganti, ai bordi della strada e non lo soccorse e che un levita si comportò allo stesso modo. “Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, lo vide e n’ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui (…). ‘Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?’ Quegli rispose: ‘Chi ha avuto compassione di lui’. Gesù gli disse:‘Va’ e anche tu fa lo stesso’”.
La discussione, pressoché incontenibile, sia pure ordi-nata, ha continuato la scia delle esperienze e aperto un nuovo capitolo. Un primo intervento evidenziava che, così come il brano di Paolo terminava con l’invito a condivi-dere la sofferenza e la gioia degli altri, allo stesso modo
il brano di Luca si conclude col termine ‘prossimo’, che è da riferirsi non tanto agli altri, quasi con un pizzico di paternalismo, ma a noi stessi; noi dobbiamo farci prossi-mo a chi soffre. Giovanni Franzoni, fondatore della co-munità San Paolo di Roma, rifletteva sulla coscienza civile ed etica del Samaritano.
Alessio toccava un tasto vero e delicato: la religione e la cultura possono dividere invece di unire. Infatti se la mia cultura e il mio dio sono quelli veri non posso che oppormi a te che coltivi altre culture e altri dei. La storia e l’attualità ci confermano questa situazione. Altri dice-vano come ora si sta facendo strada una corrente di pen-siero che afferma come tutte le culture e le religioni sia-no percorsi autonomi e validi di accostamento al bene comune e alla divinità per il credente. È la via del plura-lismo religioso. L’amico del Marocco racconta la sua esperienza di incontro coi suoi connazionali, nel dialo-go, nel gioco, nella musica, ecc. che gli permette di ritro-vare la sua identità e allo stesso tempo di vivere con una certa serenità nella terra che lo ospita. Vittorio Bellavite, responsabile nazionale del movimento ‘Noi Siamo Chie-sa’, sintetizza la sua posizione con l’espressione “libere religioni in libero stato”. Gli interventi si susseguivano, è impossibile purtroppo riferirli tutti.
Il potere dei media e l’ingerenza delle gerarchie cattoliche
I temi del condizionamento dei media e dell’ingerenza delle gerarchie rimangono infine affidati alla lettura per-sonale delle tracce di discussione contenute nella ‘cartelletta’ dell’Incontro. Il grande bisogno di comuni-care esperienze provenienti da ogni parte d’Italia ha tol-to spazio a nuovi interventi.
Una recente ricerca della facoltà di Scienze della co-municazione dell’Univ. La Sapienza di Roma, dice la scheda, ha analizzato un totale di 5684 servizi di tele-giornale: di essi solo 26 servizi affrontano l’immigrazio-ne senza legarla al contempo a un fatto di cronaca o al tema della sicurezza. Fenomeno migratorio associato a sicurezza è il paradigma interpretativo privilegiato dai media. Inoltre, oltre i tre quarti delle volte (76,2%), per-sone straniere sono presenti nei telegiornali come autori di reati. Emerge allo stesso tempo una diversità di tratta-mento sulla base della nazionalità dei protagonisti delle notizie. Queste sono le principali informazioni della ri-cerca…
Le gerarchie cattoliche, affermava l’altra scheda, oscil-lano tra illuminate sollecitazioni a trattare in modo uma-no i Rom, i Sinti, gli stranieri tutti e un palese smarri-mento quando è chiesto loro di ospitare nei loro locali gli stranieri senza dimora…
Dando luogo ulteriormente alla speranza, si può dire che i laboratori del prossimo Incontro avranno molti arre-trati e molto materiale da tradurre in proposte operative.


Lunedì 03 Gennaio,2011 Ore: 22:07
 
 
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