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www.ildialogo.org Come mi sono innamorata dell’Iran?,di Daniela Zini

Come mi sono innamorata dell’Iran?

di Daniela Zini

Ebbene, credo che all’origine di questo Amore vi sia una zia fantastica e molto fantasiosa, che, inconsapevolmente, ne gettò il germe nel mio cuore di bambina, quando, per l’ottavo compleanno, mi fece dono di un’edizione integrale delle Mille e una notte.
Quel giorno, nella mia camera, accarezzai, a lungo, stretti al mio cuore, quei quattro volumi, che mi attraevano più di ogni altro libro sullo ...scaffale di legno lungo il muro alla mia sinistra: La maschera di ferro, I tre moschettieri, La collana della Regina, Venti anni dopo, Il tulipano nero, I miserabili …
Tutti i giorni, per due mesi, assetata di conoscenza, trascorsi interminabili ore ad abbeverarmi di quel magico Regno.
Coup de foudre!
Chi non conosce Shahrazad che da secoli non ha cessato di nutrire l’immaginario collettivo?
E come dissociare la figura di Shahrazad da quella di Shahriar?
Di origine indo-persiana, le Hezar Afsanè o Alf Layla wa Layla, assimilate dalla cultura araba e rivelate all’occidente, nel 1705, grazie alla traduzione di Antoine Galland, suscitando un gusto per l’orientalismo in tutta Europa, sono annoverate tra i testi più universalmente diffusi.
Il Re Shahriar scopre l’infedeltà di sua moglie e fa uccidere la sposa.
Ma di più…
Ogni notte giace con una vergine e l’indomani la fa uccidere, tanto è l’odio che nutre per le donne dopo aver scoperto il tradimento della propria moglie con uno schiavo negro. Il Regno vive nel terrore, ognuno teme che la sorella, la figlia, la moglie si veda obbligata a dividere il talamo del Re e morire. Nessuno osa opporsi a questo Re assassino. Nessuno, tranne una giovane temeraria: Shahrazad. Questa giovane era conosciuta non per la bellezza né per la sua sensualità, come si induce a credere, ma per la sua intelligenza, il suo sapere letterario, filosofico e scientifico. Shahrazad, lungi dall’essere una cortigiana, è, innanzitutto, un’intellettuale. Shahrazad che auspica che questa carneficina cessi, ma soprattutto teme che la propria sorella minore subisca questa sorte, idea un piano che, spera salvi le donne del Regno. Si offre in sacrificio convincendo suo padre a lasciarle sposare il Re. Suo padre non ha altra scelta che lasciar fare. Shahrazad confida nella sua conoscenza di un enorme tesoro di narrativa popolare. Ottenuto, quindi, il permesso di allietare le veglie con i suoi racconti, iniziandone sempre di nuovi e opportunamente interrompendoli, tiene desta la curiosità del Re che così rinvia la sua condanna finché nell’animo di lui all’odio subentra l’Amore.
Due sono le qualità della giovane: il coraggio con cui, mossa da pietà, affronta il pericolo di essere anche lei sacrificata e l’intelligenza che le ha consentito di apprendere un numero straordinario di storie e le permette di riferirle con garbo e abilità. Shahrazad è la donna nella quale gli innamorati vedono aspetti diversi secondo il proprio modo di sentire l’Amore e concepire la Vita. È la donna, al cui contatto, i caratteri si precisano, le passioni si sviluppano fino a raggiungere l’esaltazione. È la donna intelligente che afferra il senso delle elucubrazioni del marito, è la donna sensibile che si compiace dell’Amore suscitato dalla sua personalità e lo incoraggia, ma, al tempo stesso, è una sensuale che non rinuncia all’Amore puramente fisico.

Possiedo radici vaghe e culture multiple perché da quando sono nata mi hanno spostata o mi sono spostata da un luogo all’altro.
Da piccola ne ho sofferto. Oggi ne sono felice, perché le radici forti alimentano una gabbia di soffocanti predestinazioni. L’educazione cattolica delle scuole private mi aveva reso una bambina cupa, profondamente infelice, che non mi somigliava. Tutte le cose che mi rendevano viva erano peccato, veniale o mortale: leggere libri messi all’indice, fare scorribande con i miei amici fino a tarda sera.
Mi liberai dalla religione cattolica.
La scoperta di altre culture, altri racconti di storia, altre divinità trasformò il mio sguardo sul mondo da assoluto a relativo. Non eravamo la verità, noi europei, noi cristiani, noi cultura greco-romana. Eravamo una minoranza nel mondo. Se il potere era solo nostro, era un potere d’élite, privo di democrazia. Se il regno dei cieli era solo cattolico, era un regno disumano, giacché escludeva la maggioranza degli uomini, delle donne e dei bambini del pianeta. La scoperta della relatività della verità, della relatività della storia, della relatività dello stesso concetto di religione o cultura o nazione è stata per me la via maestra verso la libertà. Scoprivo che libertà era innamorarsi senza rimorso delle piccole verità che ogni cultura contiene e che qualsiasi relazione può contenere.

Designata dal fato – il mio padrino mi aveva, profeticamente, dato il diminutivo di Firouzeh – nondimeno, ero cresciuta ignara del mio destino, fino al giorno in cui la mia vocazione mi fu rivelata.
La piccola scintilla, accesa, si era nutrita, in segreto, di sogni e fantasticherie per divenire patto sacro e, trasformarsi, poi, in fiamma tanto viva da illuminare il mio percorso nei meandri di quel mondo incantato, e farmi approdare sulle sue coste, il 2 maggio 2003.
Tuffata nelle dorate e cavalcanti dinastie dei Medi, Achemenidi, Parti, Sasanidi, Safavidi, Abbasidi, Qajar, su su fino ai Pahlavi, riemergevo senza fiato al richiamo dell’armonioso Hafez e deviavo subito verso le quartine del passionale Omar Khayyam. Un mondo sconosciuto calava il suo ponte mobile nel mio cuore, eroico come quello romano dentro la pagina agiografica degli storici, eppure carnale dentro il ritmo di una lingua enfatica che cantava con Sa’di i sapori rubati a una terra eternamente assetata di acqua e di sacro.
Il mio viaggio aveva uno scopo, ne ero come posseduta, ma l’ignoravo completamente. La mia solitudine non mi faceva paura. Una luce, come un raggio di sole veniva a illuminare la rotta davanti a me.
Mi rivelò a me stessa.
Incoraggiata dagli stessi Amici, mi misi a scrivere.
Provavo un piacere immenso a parlare davanti a un uditorio così attento e, ben presto, iniziai a vedere la mia vita sotto una nuova luce. I suoi accadimenti mi apparivano come gli anelli di una catena.
La mia immaginazione si impadronì avidamente di questa idea.
Mi sentii forzata, nulla poteva impedirmelo.
Immagini a lungo dimenticate si levarono da un passato imprecisato, immagini dettagliate, colorate di sfumature vive.
Suoni, odori, sapori ritornarono.
La punta delle mie dita toccava oggetti familiari.
Rivivevo antiche emozioni e me ne sentivo addolorata. A volte sorridevo con me stessa, a volte le lacrime rigavano le mie gote.
Lavoravo alacremente, con passione. Questa forma di contentezza mi era stata fino allora sconosciuta, le ore volavano. Scrivevo e quando un passaggio era terminato lo leggevo ai miei Amici.
Il mio libro avanzava a poco a poco, secondo l’ispirazione del momento. Non pensavo a un pubblico né all’eventualità di una sua pubblicazione. Quello che facevo, lo facevo per me.
Viaggiando, per anni, in lungo e in largo per l’Iran e assimilandone, senza mai lasciare la mia terra d’origine, la lingua, i miti, i riti e i cibi, mi sono chiesta se esistano davvero una cultura occidentale e una cultura orientale o piuttosto, provenendo entrambe dallo stesso magma iniziale, che ha dato vita alle varie etnie e alle varie classi sociali all’interno delle singole etnie, chiamiamo cultura l’insieme di elementi specifici che il potere di turno ha fatto emergere dal magma, ha valorizzato secondo canoni precostituiti, ha rafforzato attraverso le leggi e ha tramandato nell’educazione attraverso una deliberata manipolazione dei documenti storici, letterari, filosofici e religiosi.
Non è necessario uscire dai confini del proprio Paese per scoprire un’altra visione del mondo.
Si può rivelare uno straniero il proprio padre, il proprio fratello, il proprio marito, il proprio figlio.
Alla fine di questo viaggio una certezza ha trovato dimora dentro di me.
La scelta primaria di ogni essere umano, che va al di là del proprio sesso, della propria etnia, della propria lingua, della propria cultura, della propria religione e della propria classe sociale, è :

“Da quale parte stare?”

Dalla parte dei potenti o degli oppressi?
Dalla parte dei colonialisti o dei colonizzati?
Dalla parte di chi scrive la storia, il vincitore di turno, o dalla parte di chi non ha voce pur avendo fatto ugualmente la storia?
A quali popolazioni e a quali classi sociali si riferiscono i nostri governi occidentali quando parlano dei popoli orientali e dei loro bisogni?
Le vere rivoluzioni, quelle che non si limitano a cambiare la forma politica e gli uomini di governo, ma che trasformano le istituzioni e danno luogo ai grandi trasferimenti della proprietà, lavorano a lungo sotterranee prima di scoppiare alla luce del giorno sotto l’impulso di qualche circostanza fortuita. La rivoluzione islamica, che colse alla sprovvista con il suo impeto irresistibile le sue vittime, non meno degli stessi autori e beneficiari, ebbe una lenta preparazione per più di un secolo. Nacque dalla concordanza, che tendeva a farsi di giorno in giorno più profonda, tra la realtà delle cose e le leggi, tra le istituzioni e i costumi, tre la lettera e lo spirito.

Vi sono paesi che muoiono giovani e si arrestano giovani: tutto ciò che segue al loro periodo di vigore riguarda la sopravvivenza e la resurrezione.
L’Iran non si è mai ripreso dalle estenuanti fatiche delle sue avventure imperiali.
E, solo ora, iniziamo a capire ciò che in questo paese commuove e, a volte, sconvolge: in contatto diretto con la realtà, il peso bruto dell’oggetto, l’emozione o la sensazione forte e semplice, antica e sempre nuova, dura o dolce come la scorza o come la polpa di un frutto.
Questa terra così celebrata è meravigliosamente immune da artifici letterari; lo stesso preziosismo di certi suoi Poeti non la tocca. Questa terra da cui sono scaturiti tanti capolavori non viene sentita come l’Italia, subito patria privilegiata delle arti, ma vi pulsa la vita come il sangue in un’arteria. Poche regioni sono state più devastate dal favore delle guerre di religione, di razze e di classi; sopportiamo il ricordo di tanti furori in espiabili solo perché qui ci appaiono più nudi, più spontanei e meno ipocriti che altrove, quasi innocenti nel confessare il piacere che prova l’uomo a fare del male all’uomo.
Non vi è paese più dominato da una religione possente che favorisce il più delle volte la bigotteria e l’intolleranza, ma non vi è neppure paese ove si senta di più, sotto il broccato delle devozioni o sotto la pietra dei dogmi, sorgere il fervore umano.
Non vi è paese più legato, ma anche nessuno più libero, da questa rudimentale e suprema libertà fatta di privazione, di povertà, di indifferenza, del gusto di vivere e del disprezzo di morire.

Non credevo certo che avrei potuto dire come Chateaubriand:

“Mes livres ne sont pas des livres, mais des feuilles détachées et tombées presque au hasard sur la route de ma vie.”
Daniela Zini
Copyright © 2011 ADZ



Martedì 19 Aprile,2011 Ore: 14:21
 
 
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