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www.ildialogo.org Riflessioni dopo il "No nucleare day",di Alfonso Navarro

Riflessioni dopo il "No nucleare day"

di Alfonso Navarro

Il No Nucleare day del 26 giugno nel suo svolgimento ha evidenziato elementi problematici sui quali mi provo a tracciare degli spunti di riflessione. Non so se potremo discuterne domani, 6 LUGLIO, alla riunione degli antinucleari convocata per le 17.00 in via Borsieri, 12 - Milano.
A mio avviso, emerge la necessittà dell'autonomia, non pregiudicante livelli unitari più ampi e generici, di una componente di "ecologia sociale" nel  movimento antinucleare che, per farla breve, insista sui seguenti punti:
1- l'impostazione da democrazia cognitiva, per la quale il problema è troppo serio per essere delegato ai soli esperti.
2- il legame tra nucleare civile e nucleare militare.
3- l'approccio "NO PIL" che deve proporre il nucleare come vicenda emblematica dell'assurdità della logica economica attualmente prevalente.
4- la combinazione tra conflittualità e costruttività, che include la pratica del "consumo critico".
di Alfonso Navarra - Fermiamo chi scherza col fuoco atomico
(Diseguito la riflessione)
 
 
1 - Nelle fila del movimento esiste il freno oggettivo di un antinuclearismo che si autodefinisce scientifico e pragmatico (nonché liberale e/o liberista): in realtà è solo culturalmente subalterno allo scientismo corrente, e predisposto politicamente ai compromessi con la lobby nucleare, che agisce sia in campo scientifico che industriale.
Nell'evento in esame andavano in questo senso gli interventi di Michele Bortoluzzi (radicale) e di Marco Masini (ingegnere nucleare, consigliere comunale verde" a Rozzano).
Più in generale, a questa posizione può essere ricondotta un amplissimo arco di forze: da parte del PD a Legambiente, dalla CGIL a molti esponenti stessi del Comitato "Si alle rinnovabili - No al nucleare".
Lo sbocco strategico quasi inevitabile dei discorsi tipo:
- il nucleare è frutto del provincialismo berlusconiano, forse è solo una boutade pubblicitaria, invece di puntare sulla 3^ generazione obsoleta dovremmo caso mai guardare alla 4^ (come starebbero facendo - sic - in America e come stiamo studiando in Italia), con cui risolveremo i problemi della sicurezza e delle scorie...
(La 4^ Generazione in realtà è solo un "esperimento" che vede l'Italia, in quanto membro Euratom, capofila di una delle 6 filiere, ELSY, quella raffreddata a piombo, di cui, a Milano, in particolare, si occupa il POLITECNICO nell'ambito del consorzio universitario CIRTEN. <Una figura di spicco è Marco Ricotti, vedi notazione sotto>. La Del Fungo Giera Energia S.p.A. è il coordinatore tecnico del progetto che si basa su brevetti originari dell'azienda).
è, a mio parere, il "modello Variati" di Vicenza esteso a livello nazionale: si finirà, più o meno alla lunga, per trattare sulle "compensazioni"...
2 - Un altro elemento su cui fare chiarezza è l'economicismo imperante, che si attacca alla mitologie delle cifre: come se fosse serio disquisire sui costi "oggettivi" del Kwh nucleare di fronte a scenari intrinsecamente caratterizzati da incertezza ed aleatorietà, non foss'altro che per il peso determinante delle dinamiche strettamente geopolitiche, in quanto l'energia non è una semplice merce, è un bene "strategico" in senso forte.
I dati ufficiali in sè sono del tutto opinabili: cito spesso in proposito il best seller di Joseph Stglitz , premio Nobel dell'economia, sui bilanci truccati dell'intervento in Iraq, intitolato: "La guerra da 3000 miliardi di dollari".
Oltretutto in questo caso dell'inquinamento radioattivo credo valga proprio la pena di ricordare che esistono condizioni non stimabili sul piano strettamente economico (e che pongono limiti invalicabili al "prezzamento delle risorse naturali"): a questo fa riferimento il mio paradosso dei cocopro "sorveglianti" per centinania di migliaia di anni le scorie di cui si potrebbe impadronire oggi Al Qaeda, domani chissà chi.
3- Il "Popolo Giallo" non è - evidentemente - amato da "Repubblica", pur avendo montato una mobilitazione non disprezzabile in piazza Fontana, paragonabile a Milano a quella contro la legge bavaglio in piazza Cordusio: non ha quindi futuro mediatico, a differenza del "Popolo Viola". Oltre tutto, dal punto di vista dell'attivismo sociale, il tema richiede livelli di competenza e di esperienza non certamente specialistici ma che comunque non si improvvisano, mentre nella semplice critica a Berlusconi chiunque può dire genericamente la sua, anche con approccio paragonabile a quello di un tifoso che "tiene" per la sua squadra di calcio. Penso che la mobilitazione antinucleare si svolgerà secondo modalità più conosciute e canoniche, a partire dalle singole realtà territoriali, Nimby o non Nimby, "incazzate" per l'invasione di una Grande Opera - la centrale nucleare - percepita come devastante e pericolosa. E sarebbe opportuno che tale mobilitazione venisse portata avanti senza che le solite avanguardie ideologizzate fomentassero divisioni introducendo, ad esempio, discriminanti "antifasciste" spesso mal concepite - fanno di tutta la destra un fascio - e peggio gestite (ad un certo punto abbiamo temuto che l'intervento in piazza Fontana dell'esponente di "Fare Verde", innocua associazione ecologista, sarebbe stato impedito dai centri sociali).
A mio avviso, da quanto sopra schematicamente esposto, emerge la necessittà dell'autonomia, non pregiudicante livelli unitari più ampi e generici, di una componente di "ecologia sociale" che, per farla breve, insista sui seguenti punti:
1- l'impostazione da democrazia cognitiva, per la quale il problema è troppo serio per essere delegato ai soli esperti.
2- il legame tra nucleare civile e nucleare militare.
3- l'approccio "NO PIL" che deve proporre il nucleare come vicenda emblematica dell'assurdità della logica economica attualmente prevalente.
4- la combinazione tra conflittualità e costruttività, che include la pratica del "consumo critico".
Esaminamo quest quattro punti uno per uno.
1- Il protagonista della lotta antinucleare deve essere la cittadinanza attiva consapevole, non gli esperti "verdi" di riferimento, ai quali va lasciato solo un ruolo di servizio e supporto. Questo perchè è precisa convinzione di chi scrive - nutrita dall'humus collettivo in cui si è sviluppato il suo impegno - che i problemi con cui si confronta la società contemporanea sono "complessi": vale a dire determinati da più fattori interdipendenti, con dinamiche a tempi "stratificati", con la posibilità degli "insiemi emergenti", ed in cui l'elemento soggettivo di chi li vive sulla propria pelle è decisivo e costituente. Le competenze sono settoriali e specialistiche, appartengono ai soggetti professionalizzati; ma la complessità è globale ed olistica, rimanda alla responsabilità della società nel suo insieme, di un insieme che però è punto di arrivo della interazione dialogica dei singoli cittadini. L'esperto è veramente a conoscenza solo di singoli e parziali aspetti del problema: nel campo nucleare, per esempio, chi sa di dosimetria è un medico specializzato che nulla può dire nel merito della soluzione di un meccanismo ingegneristico; l'economista che si occupa del prezzo dell'uranio ha ben poco da suggerire al fisico tecnologo che presiede all'arricchimento dello stesso... e così via. Possiamo e dobbiamo affermare, in linea teorica, che la famosa casalinga di Voghera sul problema nucleare nella sua generalità ha la stessa "competenza" dell'ingegnere che si occupa dei sistemi di raffreddamento delle centrali. Altrimenti dovremmo affidare l'esame e la soluzione dei problemi solo agli "esperti scientifici", come ci suggerisce l'ideologia tecnocratica dominante, in base al presupposto che solo chi sa è in grado di prendere le decisioni nell'interesse di tutta la società. La pretesa infondata è, appunto, che costoro sappiano quanto è sufficiente per arrogarsi tutta la responsabilità della decisione, spacciando per "scientifico" un riduzionismo da "materialismo volgare" (avrebbe detto il filosofo di Treviri): si amputa il reale di quanto non è quantificabile e manipolabile, e quindi, nella "oggettivazione" e "reificazione" della società ridotta a materia passiva, si espunge dal suo sviluppo quanto è invece determinato dal comportamento umano in relazione a principi, valori, scelte "qualitative". Qui sta la radice del gravissimo rischio totalitario che stiamo correndo e che fa parlare di mondo T.I.N.A. (There is no alternative): il tecnocrate (politico, economista, manager, scienziato), impone il suo schema intellettuale, limitato, spacciandolo di fatto per verità assoluta; ed in questo schema donne ed uomini reali e concreti vengono ridotti a numeri e cose (si pensi al caso Fiat di Pomigliano). E' una operazione che dobbiamo, dal basso, sapere individuare e denunciare, anche e soprattutto quando ci opponiamo a singoli aspetti della politica tecnocratica: perchè non possiamo liberarci da questo modello, tendenzialmente totalitario, della crescita e della potenza dei macroapparati facendo leva sulla logica della delega agli esperti che ne costituisce il motore e la giustificazione.
2- Sulla necessità di collegare, nella "battaglia" antinucleare i due aspetti, quello civile e quello militare, sono intervenuto con tanta insistenza e ripetitività da ingenerare - temo - il sospetto che si tratti di un "pallino" personale da parte mia. Il legame dei "fratelli gemelli" andrebbe invece ribadito e sottolineato con l'azione pratica per cogliere i seguenti obiettivi: a) capire l'essenza autentica dell'avversario con cui ci si confronta onde poterlo sconfiggere. Qui vale il detto antico del famoso stratega cinese Sun Tzu, autore del celeberrimo "L'arte della guerra": "Conosci il tuo antagonista, conosci te stesso, e vincerai ogni battaglia". Se non si riesce a cogliere la natura di "fratello minore" del nucleare civile, derivato di quello militare, non si individua la causa della spinta (internazionale) che sta portando al suo rilancio e - sottovalutando l'intensità di tale spinta - ci si condanna a reagire tardi e male, quindi a perdere; b) intervenire sugli - almeno - tre livelli in cui si attua il legame "atomo civile" - "atomo bellico": quello scientifico-tecnologico, quello industriale (di modello di sviluppo), quello legato al gioco internazionale della potenza; c) dare respiro e profondità "umanistica" alla propria azione, non nel senso di una collocazione ideologica al livello di buoni sentimenti da "anime belle", ma come espressione di quanto è più elementare e concreto nei bisogni dei "corpi vivi" di contro alla razionalità astratta di una brama di profitto e di potenza degenerate nella follia e nell'insensatezza assolute.
3- Nell'impegno antinucleare, in special modo in questo periodo di crisi economica e sociale, è fondamentale affrontare la dimensione economica, ma non collocandosi sul falso terreno dei fondamentalisti del mercato, come se andasse presa sul serio la prospettiva di risparmiare sulle bollette. Può valere in questo senso per tutti lo scritto di Amory Lovins su "L'illusione nucleare", testo del maggio 2008 in cui lo scienziato, uno dei massimi esperti mondiali nel campo dell'efficienza energetica, significativamente afferma: "L'energia nucleare è talmente antieconomica che non vale nemmeno la pena di discutere se essa sia sicura e pulita. Essa indebolisce l'affidabilità del sistema elettrico e la sicurezza nazionale, distogliendo immense quantità di denaro pubblico da opportunità dieci volte migliori realizzabili in tempi dieci volte inferiori". In questo studio Lovins dimostrerebbe che per ogni euro investito si produrrebero circa 15 KWh (chilowattora) per via di carbone o di gas, e soltanto 10 KWh per via nucleare; mentre invece la resa per via eolica sarebbe di 20 KWh; e quella per "efficienza energetica" (spesso detta, con brutta espressione, "risparmio energetico") consentirebbe invece di produrre ben 35 KWh. E' un genere di ragionamenti, quello appena esposto, forse importante per interessare e coinvolgere la mentalità comune (si ritiene che la gente abbia sostituito il portafoglio al cuore e al cervello) ma che, ripeto, non ritengo strategicamente conducente come approccio al problema. C'è da dubitare che i tempi siano maturi per attaccare la problematica in modo più radicale, "olistico" e profondo, abbandonando l'ossessione di porre il "quanto costa" in cima a tutto: ma nei tempi lunghi è solo la ricerca della verità che può pagare portandoci su terreni più avanzati. Per essere espliciti, il sottoscritto si è convinto, dopo aver approfondito la natura del problema, che tirare in ballo l'economia di fronte alla questione nucleare sia del tutto insensato; e che la stessa questione nucleare sia di per sè rivelatrice di quanto difettosa ed ingiusta sia la visione dell'economia che, spesso inconsapevolmente, seguiamo ed a cui ci atteniamo, persino quando ci atteggiamo a suoi critici. Qui mi riferisco ad esempio al fatto che proprio la sinistra che si professa filomarxista, se non proprio esplicitamente seguace del pensatore di Treviri, sembra aver dimenticato la vera lezione di Carlo Marx: le categorie sociologiche del conflitto sociale spiegano le "leggi dell'economia", che non sono affatto oggettive; e non accade invece l'inverso, vale a dire che è l'economia "neutra" a determinare il conflitto sociale. E' una lezione esplicitamente contenuta nei passi del "Capitale" che definiscono il valore della forza lavoro, la merce più importante di tutte in quanto capace di produrre il "plusvalore", quale corrispondente al valore dei beni "socialmente convenuti" per la sua riproduzione ("sussistenza"). Questo ragionamento marxiano significa, ad esempio, che la formazione dei prezzi, che è in rapporto con i costi, va sì riferita congiunturalmente al gioco economico della domanda e dell'offerta; ma più strutturalmente il valore di scambio di un bene o di un servizio lavorativo è determinato dalla sua stima sociale, a partire dal costo del lavoro, che è oggetto di valutazioni conflittuali, di quanto i lavoratori riescono ad imporre come bisogni necessari alla loro vita dignitosa e al mantenimento della famiglia, di un gioco di rapporti di forza in scontri relazionali collettivi.
Per parlare come si mangia, non c'è nulla di economicamente oggettivo nel fatto che il lavoro di una casalinga sia valutato zero come corrispettivo in denaro: qui occorre guardare all'organizzazione e ai valori di una società "patriarcale" come si affermano storicamente e si riproducono nelle situazioni di conflitto, agito o subito. La società patriarcalizzata paga zero il lavoro domestico, una società più condizionata dalla lotta delle donne lo remunera e garantisce per esso un trattamento pensionistico. La società "liquida" che flessibilizza e precarizza il lavoro paga 5 euro all'ora il telefonista di un call-center e centinaia di volte di più il tempo e lo sforzo del suo manager, considerando non parassitario il giocare al casinò della Borsa. Ma anche in questo non c'è nulla di oggettivo, c'è solo una cultura ed una organizzazione sociale che svalutano il lavoro subordinato, soprattutto se non è in grado di farsi valere sindacalmente; e portano invece sugli scudi il marketing e la speculazione da parte dei possessori di denaro organizzati per il controllo sulle leve del potere.
Lo stesso dicasi per il cosiddetto prezzamento di quelle che, dagli economisti, vengono definite "risorse naturali": è solo la nostra cultura distorta, espressione di rapporti di dominio imposti da una storia violenta, che ci fa considerare pari a zero il valore dell'aria che respiriamo e degli ecosistemi che colonizziamo. La natura con i suoi cicli "lavora" per noi in senso proprio contribuendo in modo più che determinante a produrre quei beni che soddisfano i nostri bisogni; l'economia che professiamo disconosce questo contributo, sfrutta e privatizza le risorse considerate res nullius (il caso limite è la brevettazione del DNA), ci rende schiavi di una crescita consumistica fine a sè stessa, che crea le premesse per la povertà, se va bene, delle generazioni future. I beni comuni, cominciamo a pensarlo e ad inverarlo in alcune lotte, vanno salvaguardati e valorizzati, non privatizzati e dissipati. Ma dobbiamo pensare, parlare ed agire con più coerenza rispetto a questo assunto che ancora non abbiamo compreso fino in fondo. I costi di un bene o di un servizio sono legati ai prezzi dei fattori produttivi; ma questi prezzi non vanno considerati come grandezze assolute di tipo fisico, bensì come convenzioni contingenti, da mettere in relazione con circostanze del conflitto sociale e culturale. Questo io proporrei di non dimenticarlo mai quando si parla di costi, di prezzi, di grandezze economiche come il famoso Prodotto Interno Lordo - PIL. Lo dico perchè non escluderei affatto che, all'interno di certe coordinate culturali e sociali sull'economia, come quelle espresse dall'odierno PIL valutato su base monetaria, il nucleare civile potrebbe risultare persino economicamente conveniente.
La domanda: costa più un Kwh di produzione solare o uno di produzione nucleare è, per quanto si è detto, posta malissimo, in un contesto sociale distorto, che non ha la minima idea di cosa sia la "ricchezza reale", che brucia senza criterio il "capitale naturale" su cui ignora di reggersi, che accumula forze distruttive - e non forze produttive - perchè pregiudica una base di risorse limitate e non rinnovabili. Forse, allora, citando il pur datato Marx e la relatività del valore, non siamo andati troppo indietro, troppo lontani, ed usciti fuori tema, se la questione è la critica dell'economia politica corrente, che è all'ordine del giorno a causa delle difficoltà e delle sofferenze di settori via via crescenti della società. Un po' di pazienza ancora e le considerazioni che sono andato svolgendo più quelle che seguono magari riescono ai vostri stessi occhi a far quadrare il cerchio dei nessi logici. Se è vero che tutta la biosfera si fonda su processi chimici e se è vero che i processi di trasmutazione nucleare comportano energie milioni di volte superiori, riempire di radioattività concentrata il Pianeta risulta incompatibile con la presenza di esseri viventi. La produzione artificiale di migliaia di tonnellate di plutonio, portato inevitabile dell'attuale ciclo nucleare, costituisce una aggressione mortale alla biosfera, alla vita di noi tutti, alla possibilità che esistano generazioni future, che nulla può giustificare. In questo contesto ha senso logico porsi la domanda: quanti miliardi di dollari (o di euro, o di yen, o di remimbi), vale la vita sulla Terra? Nel mondo capovolto della ricchezza monetaria e della crescita infinita è chiaro che sì; ma personalmente preferirei ragionare - ed invitare a ragionare - con la logica della ricchezza reale e delle realtà - naturali ed umane - che non hanno prezzo. Ricchezza reale è la nostra Gaia, il pianeta vivente, l'equilibrio degli ecosistemi che si è formato in miliardi di anni, le donne e gli uomini come corpi intelligenti e desideranti e non come risorse di una contabilità economica astratta.
Il nucleare è quindi "antibiotico", antiumano ed ecocida: se è vero, come è vero, e se è chiaro, come è chiaro, questo lato della faccenda, perchè allora addentrarsi in una foresta oscura e pressocchè impenetrabile, nonchè depistante, alla ricerca dei costi "autentici" del nucleare. Una domanda seria è invece questa e dobbiamo porla pubblicamente: quanti posti di lavoro - socialmente utili - possiamo creare se investiamo i 30-40 miliardi che ci accingiamo a buttare nel "cesso" delle spese atomiche nello sviluppo delle fonti rinnovabili?
4- Sul punto della combinazione, nella lotta antinucleare, tra opposizione e programma costruttivo, partirei con l'individuazione di una qualche analogia con la grande campagna in corso contro la privatizzazione dell'acqua. Non dobbiamo dare l'impressione che stiamo facendo discorsi puramente teorici sui massimi sistemi e su problemi globali che esulano completamente dalla nostra portata. In questo ci aiuta l'aggancio con le pratiche del consumo critico, che permetteno di proiettare scelte quotidiane, apparentemente piccole, in un orizzonte di costruzione dell'alternativa visibile e vivibile. E' l'idea alla base della Campagna, lanciata ma interrotta, e che occorrerebbe riprendere, "IL NUCLEARE NON LO PAGHIAMO": richiedere il rimborso degli oneri nucleari - componente A2 - che paghiamo sulla bolletta elettrica (circa l'1,5 dell'importo, quasi 500 milioni di euro l'anno) ed, allo stesso tempo, boicottare l'ENEL e tutte le società che stanno puntando sullo sviluppo dell'atomo. Ma con una scelta positiva: scegliendo il fornitore giusto di energia oppure, installando dei pannelli solari sul tetto di casa nostra, diventare il “fornitore ecologista” di noi stessi. Solo bere dal rubinetto ci fa sentire, in un certo senso, dei disobbedienti. Lo stesso succederebbe se accendessimo la luce e fossimo consapevoli che non stiamo pagando l’Enel o l’Edison (che è di proprietà EDF).
Resta quindi per noi sempre valida l’idea che chi consapevolmente boicotta l’apparato nucleare nelle sue varie forme (militari e civili, statale e private) è un obiettore alle spese militari e nucleari.
E’ un soggetto che si oppone alla guerra e alla sua preparazione nella sua forma più indiscriminata e totale.
E’ un soggetto che vuole pagare per la pace anziché per la guerra e che perciò punta ad un modello alternativo di società – nella libertà e nella giustizia - e di difesa: a partire dall’attuazione del nostro articolo 11 della Costituzione.
 
(Per coordinare organizzativamente questo progetto sopra accennato il primo passo da compiere è fare partire lo "Sportello SOS ENERGIA" in via Borsieri - Milano).
Ultima proposta, per mettere un punto a questo avvio di ragionamento: una iniziativa che considero importante, e sulla quale penso di raccogliere e caratterizzare la componente di "ecologia sociale", è un convegno: "Quarta Generazione: mito o realtà del nucleare pulito". Mi piacerebbe che lo organizzassimo, Kronos, gli obiettori alle spese militari, i "grillini", Zerogas, ieccetera, in ottobre - novembre, proprio al Politecnico di Milano, invitando come contraddittori i ricercatori impegnati in ELSI, IRIS e progetti nucleari vari (in primis Marco Ricotti).
La Milano "solare" e dello snellimento "verde" dell'economia deve lanciare la sfida alla Milano che pretenderebbe di "crescere" sull'EXPO e sui piani nucleari: perchè abbiamo da ridare respiro alla speranza di un futuro vivibile e pulito, in tutti i sensi.
Note
Marco Ricotti
Docente di Impianti nucleari al Politecnico di Milano
Marco Ricotti si è laureato in Ingegneria nucleare nel 1990 e ha conseguito il PhD in Scienza e tecnologia negli impianti nucleari nel 1993 al Politecnico di Milano. Dal 2005 è professore straordinario di Impianti nucleari, Dipartimento di Energia, al Politecnico di Milano. Dal 2005 è membro del Consiglio direttivo del Cirten (Consorzio inter-universitario per la ricerca tecnologica nucleare). Dal 2008 è vicedirettore del Dipartimento di energia del Politecnico di Milano. È stato consulente presso società di ingegneria nel settore impiantistico, dedicandosi a studio e progettazione di reattore integrale modulare (progetto internazionale Iris) e di reattore di IV generazione (progetto internazionale Elsy), a aspetti di sicurezza nei reattori innovativi, studi teorici e sperimentali per sistemi di sicurezza passivi e componenti di reattore, simulazione numerica e modelli per la dinamica del reattore, il controllo, le analisi di sicurezza e le valutazioni economiche. È autore di oltre 100 contributi tra pubblicazioni su riviste internazionali e presentazioni a congressi internazionali.
 


Mercoledì 07 Luglio,2010 Ore: 17:12
 
 
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