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www.ildialogo.org LA BIBBIA SULLE STRADE DELL’UOMO. E DEL COSMO. DA MESSINA UN INVITO ALLA RESPONSABILITÀ VERSO LA MADRE TERRA,di Agenzia Adista n. 98 del 18/12/2010

LA BIBBIA SULLE STRADE DELL’UOMO. E DEL COSMO. DA MESSINA UN INVITO ALLA RESPONSABILITÀ VERSO LA MADRE TERRA

di Agenzia Adista n. 98 del 18/12/2010

DOC-2313. MESSINA-ADISTA Nella ricerca di un’etica ecologica che dia risposte alla crisi che il Pianeta sta attraversando che ruolo può avere il cristianesimo? In che misura la Bibbia può offrire un’opportunità di evangelizzazione ambientale, aiutando ad intendere l’intima comunione tra l’essere umano e il creato? Ed è sufficiente leggere le Scritture a partire da una nuova sensibilità o si richiede invece un cambiamento di paradigma religioso? Sono queste alcune delle sollecitazioni emerse dalla terza edizione de “La Bibbia sulle strade dell’uomo” - una due giorni di riflessione biblica organizzata da un folto gruppo di realtà di Messina (la Chiesa valdese, la Caritas diocesana, l’Associazione Ecumenica Segretariato Attività Ecumeniche, il Centro Servizi per il volontariato, la Comunità Emmanuel, l’associazione Nuovi Orizzonti, l’associazione Terra e Cielo, la Facoltà di Giurisprudenza e la Cattedra di Filosofia Teoretica dell’Università di Messina oltre che il Dipartimento di Studi Giuridici dell’Università “Magna Graecia” di Catanzaro) - svoltasi il 19 e 20 novembre scorsi presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Messina sul tema “Da dominatori a custodi del creato” (lo scorso anno era stato approfondito il passo della Genesi “In Te saranno benedette tutte le famiglie della Terra”, mentre nell’edizione del 2008 il tema “Anche voi siete stati stranieri. La Chiesa dalla parte dei poveri”, v. Adista nn. 92/08 e 2/10). Un tema, quello della custodia del creato, su cui si sono confrontati, tra gli altri, Simone Morandini della Fondazione Lanza, Centro Studi in Etica, la giornalista Claudia Fanti della nostra agenzia e Daniele Garrone della Facoltà valdese di Teologia di Roma.

Se, nel corso della storia, si è imposta una visione fortemente antropocentrica - Dio avrebbe creato l’essere umano come “Signore della creazione”, con il compito di soggiogare la natura e di domarla a suo piacere -, sia Morandini che Garrone hanno sottolineato quegli elementi del testo biblico che non possono essere ridotti a una logica di dominio. Elementi che, secondo Garrone, mostrano come la  “regalità umana sul creato non sia illimitata, dispotica, incontrollata”. Non a caso, afferma il teologo valdese, “il climax della creazione è il sabato”, non l’essere umano: è il sabato “come momento anti-inerziale, anentropico”, che dimostra come “neppure l’Onnipotente ha avuto un agire illimitato”.

Completamente diverso il punto di partenza di Claudia Fanti che, sulla scia della riflessione della Commissione Teologica Internazionale dell’Asett (Associazione di teologi e teologhe del Terzo Mondo), ha evidenziato la responsabilità delle religioni nella costruzione e nella trasmissione di quel paradigma culturale che ha desacralizzato il pianeta e trasformato gli esseri umani in predatori planetari per diritto divino, resi “a-naturali”, a causa della loro collocazione su un piano radicalmente altro, quello della storia della caduta-redenzione-salvezza in cui la natura non gioca alcun ruolo, e “anti-naturali”, in virtù della convinzione della necessità di fuggire dal mondo e di andare oltre la materia “per divinizzarsi”. Ed è dunque solo con idee nuove, con immagini nuove, solo con una nuova visione della natura, dell’essere umano, di Dio, che gli esseri umani potranno trasformarsi “da inquilini incoscienti a custodi intelligenti e responsabili”. Da qui la necessità di dare ascolto “alla profezia contenuta nella stessa voce dell’universo e dei nuovi processi scientifici”: un nuova narrazione sacra, una nuova rivelazione, che questa volta viene dal cosmo, dalla natura, e che obbliga le religioni a riconsiderare il loro antico racconto, fino ad aprirsi non solo ad una nuova immagine dell’essere umano, che non viene “da sopra, né da fuori, ma da dentro e da sotto, dalla Terra, dal Cosmo”, come “il fiore dell’evoluzione cosmica”, ma anche ad una nuova immagine di Dio. Che non è più il Dio dai tratti antropomorfi che da “lassù” esercita il suo governo su di noi, intervenendo ‘miracolosamente’ nel dominio della natura, ma è un Dio al tempo stesso trascendente e immanente, “come l’anima di quel corpo che è la natura”, e che può essere percepito nella stessa realtà cosmica. Una nuova rivelazione, ha concluso Claudia Fanti, che è, soprattutto, un invito ad assumere atteggiamenti di rispetto, di venerazione, di comunione nei confronti dell’universo, facendo sì che l’atteggiamento amorevole della cura diventi, come afferma il monaco benedettino Marcelo Barros, “il cammino spirituale di ognuno di noi, ideale politico per scegliere i nostri rappresentanti politici, criterio per organizzare nel mondo una nuova Etica”.

È quella “responsabilità di governare” di cui ha parlato anche Daniele Garrone, ricordando come solo l’essere umano possa “distruggere e guarire”, cosicché “la prima cosa da fare è quella di rimettere al centro la politica nel senso più alto e più nobile del termine, come responsabilità di governo a cui non possiamo sfuggire”. Ed è quanto chiede con forza, a livello mondiale, nazionale e locale, la dichiarazione conclusiva della due giorni teologica. Di seguito, ampi stralci degli interventi di Simone Morandini e di Daniele Garrone (tratti dal registratore e non rivisti dagli autori) e il testo del documento finale. (ingrid colanicchia)


DALLA CREAZIONE AL DILUVIO: LA RESPONSABILITÀ PER IL CREATO

 di Daniele Garrone

(...) Genesi 1 da una parte e Genesi 2 e 3 dall’altra sono due racconti più o meno contemporanei, entrambi di epoca persiana, e in una certa tensione dialettica tra di loro. (...). In base alla lettura tradizionale, quello di cui parla Genesi 1 sarebbe andato perduto con la caduta, tanto che i commentatori protestanti rinunciano persino a spiegare cosa sia l’imago Dei, perché tanto l’umanità l’avrebbe persa con il peccato originale, che avrebbe corrotto tutto (diversamente da quanto sostengono i cattolici, per i quali ha solo offuscato le facoltà umane). Quanto a Genesi 2 e 3, non si tratta del racconto di una caduta - di un salto genetico, si potrebbe dire - ma, piuttosto, di una sorta di romanzo di formazione, che spiega cosa succede quando si diventa adulti, quando, cioè, si è molto più liberi e molto più forti ma si hanno anche molti più guai.

L’umanità come statua vivente di Dio

Veniamo alla nozione di imago Dei. Oggi prevale tra gli esegeti, sia cattolici che protestanti, l’interpretazione in base a cui non si tratta di una qualità dell’umano, ma di una funzione. Il termine ebraico per immagine è quello della raffigurazione plastica, della statua: facciamo l’umanità a nostra immagine perché funga da nostra statua nel mondo. Abbiamo scoperto una miriade di testi dell’Antico Vicino Oriente che ci hanno permesso di chiarire cosa ci sia dietro questa idea della statua. Sia in testi mesopotamici che in testi babilonesi, si parla del re come della vivente statua della divinità: il re, che governa il mondo come rappresentante di Dio, per raffigurare questa sua funzione, collocava la sua statua anche nelle province più remote dell’impero. L’operazione che compiono questi sacerdoti del V secolo, o forse già della fine del VI secolo, intorno al tempio di Gerusalemme è quella di riscrivere la cosmogonia babilonese, attribuendo all’umanità questa funzione di luogotenenza di Dio, quindi di collaborazione nella gestione della creazione.

Si è parlato di quanta ideologia maschile sia confluita nella storia dell’interpretazione di questi testi: io credo che non troveremo mai nei testi biblici quello che corrisponde al nostro pensiero di oggi, ma che dobbiamo piuttosto lavorare sulle stranezze e sulle contraddizioni. Trovo molto intrigante che persino dei sacerdoti maschi, in questa loro riscrittura della cosmogonia babilonese, attribuiscano questa funzione all’umanità, maschile e femminile. Adamo non vuol dire uomo, ma l’umanità, una, fatta di maschi e di femmine. E si deve sottolineare il fatto che questa umanità sia tutta l’umanità, non Israele: qualunque essere umano venuto al mondo è titolare di questa attribuzione che viene fatta nel I capitolo della Genesi. E, se si leggono in sequenza tutti i testi della Genesi che appartengono a questo stesso filone sacerdotale, non si può affatto dire che questa funzione sia compromessa o revocata dopo la cosiddetta caduta o dopo il diluvio. Perché dopo il diluvio, al cap. 9, quando si vieta l’omicidio, si dice ciò è dovuto al fatto che l’umanità è stata creata per essere l’immagine di Dio.

Questa idea del conferimento di un’autorità di governo regale, ancorché datata, ancorché molto legata agli schemi del Vicino Oriente, escludeva essa stessa un’idea di sfruttamento illimitato, di potere arbitrario, di violenza incontrollata, perché è vero che il sovrano dell’Antico Vicino Oriente aveva un potere enorme, ma questo potere era legato ad un’idea di giustizia: il sovrano, con la sua regalità, doveva garantire la giustizia, che, in tutto l’Antico Vicino Oriente, ma soprattutto nella Bibbia ebraica, è un concetto di relazione - a ciascuno il suo, che ad ognuno tocchi quello che gli spetta -. Se il re regna giustamente, diventa un mezzo attraverso cui la benedizione, cioè la riuscita del creato, fluisce nel mondo. Già solo questa antichissima idea di regalità connessa alla giustizia e tramite di benedizione - non solo per i sudditi, ma per tutto l’umano e il suo habitat, per le piante e per gli animali - ci dovrebbe far riflettere. (...).

Il sabato, il climax della creazione

Veniamo al dominium. “Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro”. Anche i pesci sono stati benedetti e così gli uccelli, ma pesci ed uccelli sono stati benedetti senza che lo sapessero, mentre qui “Dio li benedisse e disse loro”: essi sanno di essere benedetti. Si tratta, appunto, di una benedizione, quindi gli imperativi che seguono non rimandano solo ad un linguaggio prescrittivo.

I primi termini di questa benedizione sono “crescete, moltiplicatevi e riempite la terra”. Si sa quale etica natalista sia stata costruita su questi verbi, fino a sostenere che la sessualità umana troverebbe la sua unica legittimazione morale nel fatto di essere prescritta per la riproduzione. Se così fosse, il Dio creatore sarebbe più darwinista di Darwin: si sarebbe, cioè, limitato ad inventare un meccanismo che assicuri la propagazione della specie. Si tratta, invece, di benedizioni. E gli auspici che ci si possa riprodurre e moltiplicare sono sempre rivolti a gruppi umani piccoli e minacciati: è la promessa fatta ad Israele. Credo che questa prospettiva sia opposta alla nostra, in cui c’è un’umanità potentissima in grado di distruggere tutto. In questi capitoli della Genesi, al contrario, si immagina un mondo addirittura pensato da altri come un intreccio di forze divine in parte minacciose, popolato da animali anche pericolosi, in cui questo primo maschio e questa prima femmina si trovano di fronte a una terra sconfinata, incomprensibile e spesso ostile.

Si parla poi di “sottomettere e dominare”. Sono di nuovo termini regali, di governo, e non voglio né abbellirli né demonizzarli. Si può perlomeno sottolineare il fatto che in alcuni passi della Bibbia ebraica si dica che non si deve dominare “con asprezza”. Si tratta sempre di rapporti subordinati, da superiore a inferiore, ma si introduce questa espressione: non si deve farlo con asprezza.

Mi sembra che nel testo stesso vi siano alcuni elementi che fanno immediatamente pensare che questa regalità umana sul creato non sia illimitata, dispotica, incontrollata. Qui non è detto che il creato esiste in funzione dell’uomo, cosa che verrà detta di lì a poco. E il climax della creazione è il sabato, non la creazione degli esseri umani. Che il dominio non fosse illimitato si deduce anche dal fatto che quest’uma-nità è pensata come vegetariana. Quindi, perlomeno, il dominio umano non implica l’uccisione degli animali, la quale viene invece concessa dopo il diluvio, per quanto la macellazione sia consentita come limite massimo della violenza. Si potrebbe dire che si tratta semplicemente del mito di fondazione di un’abitudine religiosa ebraica, ma se invece fosse qualcosa di più? Essendo l’uccisione degli animali a scopo alimentare un comportamento borderline, si deve avere coscienza di essere molto vicini a un tabù: per questo va ritualizzata. Non è un caso che la tradizione ebraica non abbia mai approvato la caccia sportiva.

Riguardo poi al sabato, di cui non si parla mai, credo che qui vi sia un’idea grandiosa: neanche il Creatore, di cui l’umanità è eventualmente luogotenente, neanche lui, l’Onni-potente, ha avuto un agire illimitato. C’è una sospensione, il fare si interrompe: è il sabato come momento anti-inerziale, anentropico. Pensiamo agli sviluppi della legislazione sabbatica, che peraltro non vanno romanticheggiati: preso atto che nella vita reale si producono situazioni di impoverimento e di schiavitù per debiti, perché di questo si tratta nell’anno sabbatico e poi nel giubileo, si dice che almeno ogni 7 anni, almeno ogni 50 anni, dobbiamo interromperne l’irreversibilità. Se non avessimo dei sabati, cioè dei momenti in cui ricominciare da capo, la deriva sarebbe inevitabile.

Età adulta

Oggi si interpreta il testo di Genesi 2 e 3 non come la descrizione di una mutazione strutturale, ontologica, dell’es-sere umano, ma come un’eziologia: si vuole spiegare, cioè, perché la vita umana, che potrebbe essere come in Genesi 2, sia in realtà segnata da contraddizioni come in Genesi 3. È una lettura della condizione umana dell’adulto, che, diventando libero e autonomo, si imbatte anche nella possibilità di sbagliare. Se fosse quello che abbiamo sempre pensato, un dramma epocale che scardina tutto il bene della creazione, io non credo che Dio avrebbe reagito come reagisce in Genesi 3, laddove, dopo questo terribile evento, si limita a dire: sono diventati come uno di noi, per la conoscenza del bene e del male; non li faccio più stare nel Giardino perché magari si mettono in testa di diventare pure immortali. L’unico parallelo che riesco a trovare per questo tono di Dio è la reazione di un padre di un adolescente, che ha dato dei divieti ma che in un certo senso ritiene inevitabile che verranno violati, e dice: benvenuto tra noi, adesso sei molto più grande e molto più libero, ma comincerai anche tu a vedere che dietro questa libertà c’è anche dell’infelicità. (...).

Dio ha creato l’umanità come la sua statua vivente, ma il problema è che questa statua può anche fare quello che ha fatto in Genesi 3, cioè non accettare una libertà iscritta in un limite fondante, perché è chiaro che il frutto vietato di quell’albero è ciò che separa l’autonomia e la libertà dal delirio di onnipotenza. E allora, se le cose del creato non sono più come nel giardino dell’Eden, non è per un oscuro destino a cui bisogna rassegnarsi, come diceva la mitologia mesopotamica, ma è perché noi siamo così, perché la statua ha delle risorse che sono quasi come quelle di Dio, ma anche la possibilità di gestirle male.

La responsabilità di governare

(...) Si dice che una delle cose terribili che la storia del-l’interpretazione di questi testi avrebbe fatto è quella di avere desacralizzato la natura. Io mi chiedo se non dovremmo ripensare ciò dialetticamente. Il creato non è sacro, semmai va consacrato, dice Israele; e quand’era sacro era tutto divino, era tutto inaccessibile, era tutto spaventoso. Io credo che la natura, presa di per sé, non sia più morale e meno nichilista del nostro progresso e che le acquisizioni migliori dell’homo sapiens sapiens siano contro natura. Il problema della sovrappopolazione, per esempio, non si darebbe in natura. È contro natura il fatto che noi vogliamo che tutti vivano fino a 90 anni, che nessuno muoia più per parto, che tutte le malattie siano curate, che vogliamo persino la democrazia. Allora c’è un “contro natura” che è delirio di onnipotenza e c’è un “contro natura” che è legato al fatto che Dio ci ha dato il cervello.

Infine, io credo che tra il dominio illimitato e l’idea un po’ bucolica di starcene tra le braccia di questa madre terra a custodire semplicemente il giardino, non si debba sfuggire alla responsabilità di governare. Non solo perché qui lo dice Dio, ma perché le abilità che abbiamo vanno assunte e governate e dipende da noi che tipo di governo scegliere. Assumiamoci il potere ma anche la responsabilità che ci deriva dal fatto che, per esempio, noi un cane lo possiamo operare e guarire, ma un cane non può operare e guarire noi. Noi possiamo distruggere e guarire. E quindi, anche di fronte alla crisi ecologica, credo che la prima cosa da fare sia quella di rimettere al centro la politica nel senso più alto e più nobile del termine, come responsabilità di governo a cui non possiamo sfuggire.
 


 

UNA TEOLOGIA PER LA CUSTODIA DELLA TERRA
 di Simone Morandini

 

(...) È vero che la questione ambientale esige di mettere in campo una varietà di saperi, ma scelgo di delimitare il mio intervento a una riflessione che si interroga sul contributo che una teologia e un’etica credente possono offrire per la crisi in cui ci troviamo. (...). Il premio Nobel per la chimica Paul Crutzen parla della nostra era come dell’“antropocene”, l’era in cui gli esseri umani sono diventati uno dei principali fattori dell’evoluzione biologica e geologica del nostro Pianeta. E nella storia dell’ambiente del XX secolo scritta dallo storico americano McNeill, dal titolo “Qualcosa di nuovo sotto il sole”, il XX secolo è considerato quello in cui l’impronta umana sul Pianeta è divenuta drammaticamente visibile. Qualcosa di nuovo sotto il sole, dunque: la percezione chiarissima di quanto consistente e pesante sia il potere di cui oggi dispongono gli esseri umani e di quanto forte sia l’impatto di tale potere sulla struttura ecosistemica del nostro pianeta.

In questo senso, numerose sono le eziologie della crisi ambientale che viviamo. Esiste ad esempio la prospettiva ecofemminista che associa strettamente il dominio sulla natura al dominio del maschio sulla donna. (...) Esiste una riflessione che privilegia la dimensione economica individuando nel capitalismo il fattore che avrebbe potenziato questa volontà di sfruttamento delle risorse naturali. Esiste una tradizione che sottolinea il contributo problematico della scienza e della tecnica. Ne esiste un’altra che accentua il ruolo delle religioni e in particolare del cristianesimo. (...).

Io vorrei accennare a un ulteriore livello: esiste una crisi ecologica perché siamo esseri umani, cioè esseri in cui l’evo-luzione biologica, che condividiamo con gli altri esseri viventi, oltrepassa l’evoluzione culturale. La nostra modalità non è quella di adattarci all’ambiente ma di adattare l’ambiente a noi stessi. Le grandi rivoluzioni che hanno attraversato la nostra storia sono state fondamentalmente questo: l’accesso a ulteriori modalità di adattare a noi l’ambiente circostante, spostando il limite della necessità al di là dell’orizzonte immediato del giorno dopo. Una parte dell’umanità non deve più preoccuparsi di cosa mangerà e di come si scalderà domani, perché può contare su un modo di accesso organizzato e collettivo alle risorse del Pianeta. Ma l’orizzonte della necessità, pur se allontanato, non è stato eliminato: crisi ecologica significa sostanzialmente scoprire che non possiamo pensare a una crescita illimitata su un pianeta finito.

Tutto questo è in fondo l’espressione del nostro essere culturali, declinato in modo tale da mettere in pericolo le stesse basi biologiche. (...).

Teologia sotto accusa

Che c’entra la teologia con tutto questo? C’entra, perché è stata tirata per i capelli in tale questione fin dall’inizio. Secondo Lynn White, per esempio, il cristianesimo sarebbe la religione più antropocentrica e come tale matrice fondamentale di quell’antropocentrismo avido e sfruttatore cui si dovrebbe in ultima analisi la crisi ecologica. Capita spesso alla teologia di finire sul banco degli imputati: alle volte riesce a reagire in modo fecondo, altre volte invece si chiude in difesa. Su questo punto, penso sia vero il primo caso e vorrei provare ad offrire qualche flash su come sono cambiate le carte nella teologia e nelle Chiese cristiane in questi 40 anni che ci separano dall’articolo di White.

Non so quanto White leggesse la teologia a lui contemporanea: se lo avesse fatto avrebbe trovato ottimi argomenti a sostegno della sua posizione. In un testo del 1966 del Consiglio ecumenico delle Chiese - lo cito proprio perché è al Cec che, a partire dagli anni ‘70, si deve maggiormente l’elabora-zione di una riflessione sul rapporto tra teologia ed ecologia -, si afferma che Dio non pone limiti al dominio dell’uomo sulla natura, al di là del fatto che tale dominio deve essere realizzato sotto la signoria di Dio. L’uomo è responsabile della sua gestione della natura per rendere possibile una vita umana più piena per tutti. C’è qui il riferimento a un limite, indicato però in maniera quasi formale, “sotto la signoria di Dio”, e c’è l’e-sigenza della finalizzazione verso la giustizia interumana e la solidarietà. Manca però completamente ogni riferimento alla declinazione ecologica del limite: il mondo è posto a completa disposizione degli esseri umani. Ho citato un testo, ma ce ne sono altri: la teologia occidentale negli anni ‘60 era davvero caratterizzata da una forte solidarietà ecumenica in una sorta di oblio del pensiero della creazione. (...). Una rimozione che ha delle eccezioni limitate ma significative. (...). Si tratta di figure, isolate nelle rispettive comunità, che si sono incaricate di recuperare un messaggio delle Scritture che non può essere ridotto alla logica del dominio. Si potrebbe elencare tutta una serie di testi della tradizione sapienziale profondamente innervata di pensiero della creazione e di senso del limite (...). Si pone quindi un interrogativo: perché una tradizione radicata in un testo così robustamente ecologico si è trovata poi così debole e sfornita su un versante tanto significativo?

Il cristianesimo, portatore sano di germi gnostici

Una risposta molto facile è quella che viene da una parte della tradizione cattolica, secondo cui il problema sarebbe legato alla modernità (...). In questa prospettiva, che io non condivido, a perdere il senso del limite sarebbe l’uomo ateo, l’uomo che dimentica Dio quale garante della limitatezza umana: è qui che si innesterebbe la crisi ecologica. Per certi aspetti tale approccio potrebbe anche funzionare: non c’è dubbio che la crisi ecologica non si dispieghi prima della modernità e che i suoi effetti si facciano sentire, anzi, alcuni secoli dopo. Mi sembra però un po’ troppo semplice, perché, come ci ricordava Garrone, Bacone era un cristiano che perorava lo studio della natura in nome della necessità di costruire uno spazio abitabile per gli esseri umani, in nome della carità interumana. Gettare sulle spalle della modernità le responsabilità della crisi ecologica non è una strategia che io possa considerare accettabile.

Un’interpretazione molto interessante è quella offerta da Hans Jonas, un autore rilevante per noi su più di un versante: il suo Il principio responsabilità. Un'etica per la civiltà tecnologica è uno dei testi più robusti dell’etica ambientale europea contemporanea (...). Jonas coglie il fatto che lo gnosticismo è, nonostante le apparenze, una matrice importante della modernità. Il cristianesimo ha un rapporto complicato con lo gnosticismo, una dottrina dalle significative valenze antimondane, espressione di un radicale disagio rispetto al nostro essere gettati nel mondo, da cui l’essere umano sarebbe chiamato a fuggire. Il cristianesimo ha condannato più volte in diversi concilii posizioni di questo tipo, ma, di fatto, nella spiritualità cristiana, infiltrazioni gnostiche ce ne sono, e di potenti. Pensiamo a un’espressione come fuga mundi, riempita di contenuti non necessariamente anti-cristiani ma, nella sua forma, terrificante. Fuggire il mondo? Allontanarsi dalla creazione di Dio per incontrare Dio? Potremmo dire che il cristianesimo ha attraversato 2000 anni della sua storia come una sorta di portatore più o meno sano di germi gnostici, condannati ma non eliminati. Un portatore sano che talvolta manifesta alcuni sintomi ma la cui presenza nella storia non è riducibile ad essi. (...). Questa componente gnostica si esprime nella modernità in modo diverso: se il mondo non è in sintonia con me, cambio il mondo. Se il mondo è radicalmente impregnato di negatività - e questa è la dimensione gnostica -, devo cambiare radicalmente il mondo.

Il rapporto fra cristianesimo, modernità, dinamica ecologica diventa più complesso: se la modernità, da un lato, porta effettivamente in sé un potenziale eversore nei confronti della creazione, dall’altro ha in sé una positiva dinamica del sogno di una natura finalmente abitabile dagli esseri umani. Anche la modernità presenta un carattere ambivalente e la tecnica abita questa ambivalenza: si vuol cambiare la natura perché, se non la cambiamo, ci schiaccia, e, d’altra parte, e-siste un abuso della tecnica che è stato devastante per vaste aree del nostro Pianeta.

Una nuova attenzione per il creato

Attraversiamo quindi una storia, e una storia del cristianesimo, profondamente ambivalenti. È in questo contesto che, a partire dagli anni ‘60-‘70 e poi con più forza dagli anni ‘80-’90, la teologia ha provato a declinare una parola decisamente diversa per misurarsi con la sfida postale da una terra in crisi. Tra le tante figure che bisognerebbe evocare, mi limiterò a citarne due: quella di un teologo evangelico estremamente noto, Jürgen Moltmann, e quella di un teologo cattolico quasi sconosciuto in Italia, Denis Edwards, autore di uno dei testi più interessanti a riguardo, L’ecologia al centro della fede.

(...) Quello che interessa a Moltmann è sottolineare la di-mensione della comunionalità, della relazionalità, come caratteristica propria del mondo quale ci appare nella percezione ecologica e, d’altra parte, della natura stessa di Dio: il Dio trino è un Dio caratterizzato dal suo essere attraversato da relazioni, non il Dio altro che semplicemente è al di là del mondo, ma piuttosto colui che, pur mantenendo la sua trascendenza, si pone in una relazione quasi pericoretica con il mondo, nello Spirito. Lo Spirito è colui che fa vivere la comunione tra Dio e la creazione. Una creazione che - e questo è il secondo elemento della riflessione di Moltmann - va sempre colta nella sua dinamica escatologica. La bontà della creazione di Dio non può essere colta a pieno nel suo essere presente: è certamente già reale ora, ma in forma o-paca, contraddittoria, attraversata dal grido e dalla macerazione. Una creazione per la quale il dispiegarsi pieno della bontà, di questa efficacia completa dell’agire creatore di Dio, è escatologico, è al futuro. Non a caso una delle prime opere di Moltmann è La teologia della speranza. (...). La morte di Cristo non è soltanto la morte solitaria di un uomo, ma è la morte di chi condivide il gemito della creazione e che proprio per questo, nella sua Pasqua, apre una primavera di speranza per la creazione tutta.

L’altra figura che vorrei citare è quella di Denis Edwards, il cui interesse è quello di comprendere l’agire di Dio che si dispiega attraverso le dinamiche dell’evoluzione cosmica e biologica, di accentuare la presenza di Dio attraverso le dinamiche evolutive. E anche lui, come Moltmann, sottolinea il ruolo dello Spirito che, per Edwards, è il compagno della creatura sofferente, colui che è vicino ad ogni creatura ed è contemporaneamente “levatrice” di nuova creazione - interessante l’uso di un termine femminile -, colui che genera la promessa di una terra senza male e senza dolore di cui ci parla l’Apocalisse. È chiaro che al centro della riflessione di Edwards, come anche in buona parte di quella di Moltmann, c’è il grande testo di Romani 8: la sofferenza della creazione, che geme e soffre nelle doglie del parto, è anche un protendersi, in qualche misura sotto l’azione dello Spirito di Dio, verso una pienezza di liberazione.

Il primo luogo in cui è stata percepita la sfida ecologica è il Consiglio ecumenico delle Chiese (...). Nel 1975 il Cec utilizzava come uno dei tre assiomi della sua etica sociale la nozione di sostenibilità, prima organizzazione internazionale a usare questo concetto. In parallelo a questo attivo impegno del Cec sul versante della costruzione di una società giusta, partecipativa e sostenibile e su quello dell’attenzione all’integrità della creazione (compresa l’attenzione per i singoli viventi), si sono mossi su questa stessa linea, ad esempio, la Federazione luterana mondiale, l’Alleanza riformata mondiale e anche il mondo evangelico. Per quanto riguarda il mondo ortodosso, è sufficiente evocare la figura di Bartolomeo I, definito il Patriarca verde. (...).

Infine, il mondo cattolico, il quale si è mosso molto lentamente su questi temi (...), ma poi, gradualmente, li ha assunti in misura molto ampia. Mi limito a citare pochi testi: i messaggi per la Giornata della pace 1990 (Pace con Dio creatore, pace con tutto il creato) e 2010 (Se vuoi costruire la pace custodisci il creato); il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa del 2004, che dedica una ventina di pagine proprio alla salvaguardia dell’ambiente e, soprattutto, la Caritas in Veritate del 2009, che dedica ai temi ambientali i capitoli dal 48 al 51, la parte più riuscita di un documento che secondo me presenta luci ed ombre. Forse l’affermazione più forte del-l’intero documento è nel capitolo 50, laddove si parla di un “dovere gravissimo” - è il linguaggio della teologia morale - di lasciare la terra alle prossime generazioni in condizioni tali che esse stesse possano abitarla e ulteriormente coltivarla. Il contenuto di questo dovere è quello che sostanzialmente viene definito sostenibilità: l’esigenza di costruire una forma di vita in grado di soddisfare i bisogni della generazione presente senza precludere analoga possibilità per le generazioni future. È un approccio antropocentrico, perché parla comunque di generazioni umane, quella presente e quelle future, ma di un antropocentrismo relazionale, che sa cogliersi in relazione con gli altri viventi, non ripiegato su se stesso ma disponibile a cogliere il valore delle altre realtà intorno a sé.

Ma l’attenzione per il creato è uscita dai documenti per passare anche nella pratica concreta delle comunità locali. La rete interdiocesana Stili di vita, nata da 5-6 diocesi del Nord-est allo scopo di costruire stili di vita più sostenibili nelle comunità cristiane locali, attualmente è presente in 27 diocesi del Nord Italia. E recentemente si è costituita una rete interdiocesana del Centro-sud. (...).
 


 

DA DOMINATORI A CUSTODI DEL CREATO
 di Dichiarazione della III edizione di “La Bibbia sulle strade dell’uomo”

Noi donne ed uomini di Messina riuniti per la due giorni biblica, accompagnati dalla Parola di Genesi 2,15, avvertiamo, personalmente e comunitariamente,  come siamo lontani dal vivere la condizione di custodi della nostra Madre Terra, delle creature che la abitano e dell’ecosistema che la sostiene.

Sentiamo quanta violenza e sopraffazione regolino oggi  i rapporti tra gli uomini e l’ambiente che li circonda. In particolare, riconosciamo come l’economia sia retta a livello mondiale, nazionale e locale da logiche fondate sul guadagno ad ogni costo; essa concorre alla distruzione dell’habi-tat, trascurando che invece siamo chiamati a custodire gelosamente, teneramente e amorevolmente quanto abbiamo ricevuto per dono dalla nascita con l’impegno responsabile di mantenerlo, custodirlo e condividerlo con l’uomo di oggi e di domani.

I disastri che sempre più di frequente si verificano in lo-calità lontane (Haiti, Pakistan, ecc.) sembrano accanirsi con i più poveri. Già oggi sono oltre 600 milioni gli esseri umani che subiscono le conseguenze negative di uragani, alluvioni, siccità, scioglimenti di ghiacciai, innalzamento delle temperature. Né i governi mondiali, a Copenhagen ieri, a Cancun oggi (29 nov.-10 dic. prossimo) sembrano mettere in dubbio le scelte che sacrificano interi continenti, le loro popolazioni, le risorse naturali, ritenendo queste illimitate e, comunque, indispensabili per mantenere i livelli di consumo delle nazioni più ricche. Riteniamo che non ci possa essere vera pace senza giustizia sociale e senza redistribuire i beni, le ricchezze, i saperi, le scienze e le tecnologie fra tutti i popoli.

È già tardi forse! Proprio per questo è urgente ascoltare la voce della terra che geme e  operare una conversione ecologica e una conversione dell’economia, come previsto dal-l’Accordo, siglato alla Conferenza dei popoli sul cambiamento climatico e dei diritti della Madre Terra, a Cochabamba, nel cuore della Bolivia. Ci sentiamo, perciò,  vicini a tutte le comunità che nelle diverse parti del mondo lottano per la difesa della terra e per ottenere una vita più umana.

Anche nel nostro Paese, governato da politiche scellerate di sviluppo senza regole, senza programmi, senza attenzione per le aree più arretrate, senza una speranza nel presente e per il futuro senza prospettive per migliaia di giovani senza lavoro, sentiamo come vi sia bisogno di una rinascita, di una nuova stagione che metta al centro della politica e dello sviluppo i principi di uguaglianza, di solidarietà, di sviluppo locale e sostenibile, di restituzione ai meno abbienti di ricchezze immobilizzate, parassitarie e speculative. Tutto ciò nella considerazione che la terra in cui viviamo ci è madre e tutti gli uomini, cittadini e stranieri, sono fratelli e sorelle, come pure le creature animali e vegetali. Costituiscono ancora patrimonio pubblico, cioè della comunità e non dei privati, l’aria e l’acqua, e tali debbono restare per tutta l’umanità. 

Nella nostra città (e provincia), crediamo che le popolazioni colpite dall’alluvione non possano essere lasciate sole, né essere aggirate con vane promesse; mentre vanno accolte, ed in tempi brevi, le richieste di tornare alle loro case, ai loro paesi, al loro lavoro. Vanno fermate immediatamente quelle costruzioni che stanno violentando i nostri torrenti, le nostre colline, abbrutendo il volto della nostra bella città. E come non essere preoccupati del progetto megalomane che vorrebbe costruire un ponte sullo Stretto? Si sciupa ancora denaro pubblico, da oltre un trentennio, a favore  della Società dello Stretto che ha prodotto progetti ormai superati, mai sicuri e, alla fine, inutili per la città e per il Paese.

Noi donne ed uomini di fede, e alla ricerca di un senso di umanità, di fraternità con tutto il creato, pensiamo che vi sia bisogno di politiche e di politici migliori, al governo del Paese, della nostra Regione e della nostra città, più attenti a quei valori della nostra Carta Costituzionale che tra i suoi principi fondamentali iscrive la pace (art. 11 Cost), la dignità umana (art. 2 Cost), l’uguaglianza  e la giustizia sociale (art. 3), il rispetto e la tutela del paesaggio e del patrimonio artistico (art. 9), la salute (art. 32) e che propone un modello economico ispirato all’interesse generale, alla funzione sociale, e fondato, nelle iniziative sia pubbliche che private, sulla programmazione che sola può orientare a fini sociali (artt. 41, 42, 43 e 44 Cost.).    

Vogliamo scegliere, a partire da noi stessi, di vivere una vita più armoniosa, più sobria nello stile personale e nei consumi, di praticare la raccolta differenziata dei rifiuti e di usare beni che siano eticamente prodotti. Segnaliamo la necessità del credito agevolato per le giovani coppie e le famiglie in difficoltà, sì da sfuggire alla morsa delle mafie che attraverso il pizzo e l’usura soffocano i nostri territori e che producono inquinamenti, monnezze, disoccupazione e morte.

Si renderà necessario, altresì,  interrompere ogni rapporto con le banche “armate” le quali utilizzano i risparmi delle famiglie per finanziare le industrie di guerra o per ripulire denaro sporco delle multinazionali e delle economie illegali.

Invitiamo le nostre comunità a coltivare anche nei confronti dell’ambiente - nell’abitare, nell’accedere ai servizi, nell’uso dei mezzi pubblici, piuttosto che quelli privati, nella riduzione degli sprechi energetici dell’acqua, della luce, dei rifiuti - il senso di responsabilità e il dovere etico e civile, cambiando ogni atteggiamento e comportamento che miri ad ottenere privilegi, favori e accomodamenti, o peggio, il-legalità ed ingiustizie.

 Proponiamo alle famiglie messinesi di dare il loro diretto e personale contributo per prendersi cura degli spazi verdi, delle vie, dei condomini della città perché tutti e ciascuno si possa restituire alla nostra comunità la bellezza che pure ha saputo mantenere, anche dopo eventi tragici e che oggi è minacciata dall’incuria, dalla inciviltà, dalla mala politica e dalla speculazione.

Riteniamo, in sintonia con altre reti sociali in Italia e nel mondo, che occorre in fretta cambiare il sistema se vogliamo che cambi il clima e salvare la casa comune e quanti vi abitano.



Giovedì 16 Dicembre,2010 Ore: 16:17
 
 
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