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www.ildialogo.org Con la Notifica al teologo Andrés Torres Queiruga, un altro colpo alla credibilità della Chiesa,da Adista Documenti n. 14 del 14/04/2012

Una "quasi scomunica"
Con la Notifica al teologo Andrés Torres Queiruga, un altro colpo alla credibilità della Chiesa

da Adista Documenti n. 14 del 14/04/2012

DOC-2427. MADRID-ADISTA. Se un risultato ha ottenuto la “Notifica su alcune opere del prof. Andrés Torres Queiruga” diffusa dalla Commissione per la Dottrina della Fede della Conferenza episcopale spagnola lo scorso 29 marzo, è quello di aver inferto un altro duro colpo alla credibilità della Chiesa. In un Paese diventato tremendamente inospitale per la ricerca teologica, come indica il caso di José Antonio Pagola  (v. Adista nn. 7, 51, 58 e 65/08; 61/09; 44/11) e quello recentissimo di Juan José Tamayo (v. Adista n. 12/12) l’indignazione per il provvedimento nei confronti del teologo galiziano, uno dei più prestigiosi teologi spagnoli e anche uno dei più noti a livello internazionale, è realmente un fiume in piena. Anche perché, come scrive José Manuel Vidal su Religión Digital (1/4), «condannando la sua teologia, stanno condannando tutta la teologia», che si vorrebbe ridotta sempre più a un’inutile eco degli interventi magisteriali, il cui valore, sottolinea la Notifica, «non è frutto di una teologia opinabile, ma dell’assistenza dello Spirito Santo».

Non si tratta, in realtà, di una nota di condanna, quella nei confronti di André Torres Queiruga, essendo l’obiettivo del documento solamente quello di «salvaguardare aspetti essenziali della dottrina della Chiesa per evitare la confusione nel Popolo di Dio». Ma è inevitabilmente destinata a suonare tale, dal momento che, come scrive Xabier Pikaza  nel suo blog (http://blogs.periodistadigital.com/xpikaza.php), «il grande pubblico non distingue tra cartellino giallo e cartellino rosso». «Purtroppo – riconosce anche il teologo domenicano Martín Gelabert Ballester, che lo stesso Queiruga ha voluto fosse presente al colloquio con la Commissione per la Dottrina della Fede - la nota corre il rischio di venire interpretata come una condanna della sua teologia al di là dell’intenzione esplicita» dei suoi autori, e così «di fatto» alcuni settori l’hanno interpretata, rallegrandosene. Eppure, è convinto Gelabert, l’opera di Queiruga non è che «un tentativo di comprendere meglio la fede tenendo conto delle nuove problematiche poste dalla situazione e dalla cultura attuali».

In particolare, quel che dichiara nel suo documento la Commissione per la Dottrina della Fede, guidata dal vescovo di Almeria mons. Adolfo González-Montes, è che gli scritti teologi di Torres Queiruga «non sempre sono compatibili con l’interpretazione autentica che ha dato la Chiesa alla Parola di Dio scritta e trasmessa». Tant’è che la Notifica (approvata dalla Commissione permanente della Conferenza episcopale il 29 febbraio) segnala ben sette errori dottrinali, relativi, tra gli altri, alla «distinzione tra il mondo e il Creatore» e alla «possibilità che Dio intervenga al di là delle leggi che Egli stesso ha stabilito», all’unicità e universalità della mediazione salvifica di Cristo e della Chiesa, alla resurrezione in quanto «avvenimento storico (miracoloso) e trascendente». Questioni su cui il teologo non ha avuto modo di difendersi, se è vero che, per quanto la Commissione parli di «un dialogo lungo e minuzioso con l’Autore», questo si è risolto in un unico colloquio a giochi fatti, quando ormai, cioè, la decisione del provvedimento era stata adottata. Di «procedimento ecclesialmente irregolare che ha spezzato le norme fondamentali della fraternità cristiana» parla lo stesso Torres Queiruga, evidenziando il modo in cui è stata calpestata la «reputazione di un teologo che ha dedicato, e pensa di continuare a farlo, la sua vita allo studio e all’annuncio della fede». «Tutto il mio lavoro – dichiara a Religión Digital (1/4) - è stato sempre guidato da una grande cura di preservare la fede della Chiesa, cercando di ripensarla con spirito costruttivo, affinché risulti fondata, comprensibile e vivibile per gli uomini e le donne di oggi». Quanto sia ingiusta e infondata la Nota basterebbero a dimostrarlo le stesse citazioni in essa riportate, il cui contenuto, commenta il teologo galiziano, «in nessun’altra nazione europea con una seria tradizione teologica» verrebbe messo in discussione, al contrario delle interpretazioni offerte nel documento, che «passerebbero con molta difficoltà un esame serio di teologia».

Sconcertante, in particolare, è il fatto che, per ribattere agli argomenti di Torres Queiruga, i censori - come evidenzia il teologo José María Castillo nel suo blog Teología sin censura (josemariacastillo.blogspot.com) - non siano ricorsi alla Bibbia, ai Padri della Chiesa o ai grandi teologi (delle 80 note del documento, solo in una si incontra una citazione di Tommaso d’Aquino), ma agli insegnamenti del Catechismo della Chiesa cattolica e ai documenti della Congregazione per la Dottrina della Fede, della Conferenza episcopale spagnola o della Commissione Teologica Internazionale. «In sostanza – commenta Castillo – il pensiero dei censori non ci dice che questo: il Magistero Ecclesiastico afferma che questo è vero o che questo è sbagliato perché lo stesso Magistero dice che è vero o che è sbagliato. In tal modo, la Rivelazione, che i censori vogliono difendere, in realtà viene scavalcata. E sostituita dal Magistero. E questo, dal punto di vista della storia della teologia cristiana, è grave. Perché, in definitiva, ciò che si fa in questo modo è porre il Magistero al di sopra della Rivelazione divina».

Talmente ingiusta è la nota contro Queiruga che, sottolinea José Manuel Vidal, non è più possibile «continuare a sopportare»: «È il momento - afferma - di esprimere la nostra indignazione. La mistica della resistenza attiva deve condurci a dire chiaramente ai nostri pastori che “così, no”». «Dovrebbero rendersi conto – si legge in un comunicato di Redes Cristianas, uno degli innumerevoli messaggi di solidarietà nei confronti del teologo – del danno che provocano con queste ingiuste condanne all’immensa maggioranza della Chiesa, popolo di Dio, che ha sempre attribuito maggiore importanza alle buone pratiche che alle ipotesi teologiche». Di seguito ampi stralci della Notifica. (claudia fanti)

NOTIFICA SU ALCUNE OPERE DI ANDRÉS TORRES QUEIRUGA  di Commissione per la Dottrina della Fede

INTRODUZIONE

1. In ripetute occasioni sono giunti alla Conferenza episcopale spagnola pareri sulla conformità degli scritti del prof. Andrés Torres Queiruga con l’insegnamento della Chiesa cattolica. Dopo uno studio della sua abbondante produzione letteraria, la Commissione episcopale per la dottrina della fede ha tenuto un dialogo lungo e minuzioso con l’Autore, in seguito al quale ha considerato necessario offrire un chiarimento sul suo pensiero teologico, prendendo a riferimento alcune delle sue opere dedicate alla Rivelazione, al dialogo tra le religioni e alla Resurrezione.

2. Un tratto caratteristico degli scritti del prof. Torres Queiruga è la preoccupazione di “ripensare” l’insegnamento tradizionale della Chiesa con un duplice obiettivo: rendere comprensibile all’uomo di oggi l’esperienza espressa dall’annuncio cristiano e dalle formulazioni della fede; e presentare un’immagine di Dio che, anziché suscitare paura, permetta di riconoscerlo come “tutto amore” (...). Tale preoccupazione è senza dubbio lodevole, purché non riduca la fede cristiana alle categorie della cultura dominante che potrebbero eliminare o oscurare la novità introdotta dall’incarnazione del Figlio di Dio.

IL COSIDDETTO “NUOVO PARADIGMA”

3. La preoccupazione per riformulare il dogma porta Torres Queiruga a proporre un “nuovo paradigma”, in base a cui una nozione corretta della creazione dovrebbe rispettare e fondare l’autonomia delle leggi della natura, cosicché non sarebbe più necessario accettare “interventi puntuali” di Dio nel mondo. Ciò conduce l’Autore a rifiutare i miracoli e persino la resurrezione di Gesù Cristo come miracolo suscettibile di prove empiriche.

4. L’insegnamento della Chiesa sostiene la chiara distinzione tra il mondo e il Creatore come fondamento della possibilità che Dio intervenga al di là delle leggi che Egli stesso ha stabilito. Come ricordava Giovanni Paolo II rispetto ai miracoli di Cristo, «è chiaro che il vero ostacolo per accettarli come dati sia di storia che di fede radica nel pregiudizio antisoprannaturale (...). È il pregiudizio di chi vorrebbe limitare il potere di Dio o restringerlo all’ordine naturale delle cose, quasi come un suo auto-obbligarsi ad attenersi alle proprie leggi. Ma questa concezione stride contro la più elementare idea filosofica e teologica di Dio, Essere infinito, sussistente e onnipotente (…).

5. In questo nuovo paradigma non appare chiara la distinzione tra creazione e salvezza. Spiega l’Autore: «Ma se prendiamo sul serio la relazione Creatore-creatura, dobbiamo ritenere che alla “natura” di questa appartiene Dio (…) come fondamento trascendente del suo stesso essere. Dio non è “fuori”, poiché come Creatore sostiene sempre la creatura; e, creando per amore, non è mai passivo né indifferente ad essa, ma è presenza salvifica e illuminante da sempre e per ogni uomo e donna».

6. (…). La spiegazione teologica dell’Autore sarebbe accettabile ammesso che non riduca la grazia e la beatitudine a un mero sviluppo della natura, come se l’esistenza cristiana consistesse semplicemente nel rendere esplicito ciò che è già implicito. La Rivelazione esprime la novità della vita comunicata dallo Spirito Santo, presentandola come “una nuova creazione”  (…). Di fatto, la conservazione delle creature da parte di Dio non esaurisce tutta l’azione divina (...); e tanto meno la creatura può raggiungere il suo fine ultimo senza l’aiuto della grazia» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 308).

PROBLEMI RELATIVI ALLA RIVELAZIONE

7. Per esporre il suo paradigma, l’Autore distingue tra la fede della Chiesa e le diverse interpretazioni che possono darsi di essa (...). A suo giudizio, «superata la concezione della “rivelazione come dettato”, siamo consapevoli del carattere necessariamente interpretato di tutta la rivelazione biblica; ancor di più, della pluralità di “teologie” che la abitano, con la conseguente mediazione della cultura dell’ambiente (…)».

8. L’insegnamento cattolico sulla Rivelazione, espresso con l’autorità del Concilio Vaticano II, afferma che il linguaggio religioso non è semplicemente l’espressione di una determinata esperienza di Dio, ma offre un’informazione oggettiva su di Lui. Se così non fosse, le formulazioni dogmatiche della Chiesa dipenderebbero completamente dalla cultura ambientale e si lridurrebbero a mere approssimazioni alla verità su Dio, che rimarrebbe sempre occulto nel suo apofatismo radicale. La Chiesa ha mostrato i limiti del nostro linguaggio su Dio, ma ha messo in guardia da tali estremi.

9. A partire da tali premesse, la Rivelazione, secondo l’Autore, va intesa come un “diventare consapevoli” di ciò che già è nella persona: «Come Socrate, il profeta o il fondatore religioso non “introducono” negli ascoltatori qualcosa di esterno che è loro estraneo, ma li aiutano ad assumere, a “dare la luce” a quello che essi già sono nella loro realtà più intima, a partire dalla presenza viva e operante di Dio nella creazione e nella storia (…)».

10. Il prof. Torres Queiruga vuole rompere con una concezione della Rivelazione come dettato e la intende come una scoperta di Dio già presente (...): «Dio non necessita “arrivare”, perché già c’è sempre. (...)». «Risvegliata dalla parola (ex auditu), la persona riconosce e confessa da se stessa e in se stessa (fides) la presenza rivelatrice di Dio» (…).

11. Nell’Istruzione pastorale della Conferenza Episcopale Spagnola Teología y secularización en España. A los cuarenta años de la clausura del Concilio Vaticano II (30-3-2006), n. 9, i vescovi spagnoli affermano: «Risulta incompatibile con la fede della Chiesa considerare la Rivelazione, come sostengono alcuni autori, come una mera percezione soggettiva con cui “ci si rende conto” del Dio che ci abita e cerca di manifestarsi a noi. (…). È necessario riafferrmare che la Rivelazione presuppone una novità, perché fa parte del disegno di Dio che “si è degnato di redimerci e ha voluto renderci figli suoi”. Per questo, è erroneo intendere la Rivelazione come lo sviluppo immanente della religiosità dei popoli e considerare che tutte le religioni sono “rivelate”, secondo il grado raggiunto dalla loro loro storia, e, in questo stesso senso, vere e salvifiche».

12. Per quanto l’Autore affermi che il “divenire consapevoli” non deve intendersi come una mera percezione soggettiva e deve essere considerato qualcosa di profondamente reale, è difficile vedere nella sua spiegazione in che modo la Rivelazione comunichi una verità salvifica con contenuti oggettivi, muovendo la comprensione e la volontà umane ad accettare una verità che superi la ragione. (…).

LA PROSPETTIVA DEL COSIDDETTO “PLURALISMO ASIMMETRICO”

13. L’Autore propone una teologia del “pluralismo asimmetrico” per comprendere la relazione del cristianesimo con le altre religioni, le quali sarebbero espressione di esperienze religiose di differente valore rispetto al cristianesimo; da qui il carattere asimmetrico di questo pluralismo religioso, nel quale Cristo appare come culmine dell’esperienza religiosa. Secondo questa teologia, il carattere di pienezza del cristianesimo non esclude che le religioni non cristiane possano aver colto aspetti del Mistero di Cristo che risultino complementari al cristianesimo. Con la conclusione che non si dovrebbe fare del cristianesimo la realizzazione storica «perfetta e compiuta in tutti gli aspetti (...)». Una comprensione tale della pienezza della Rivelazione in Cristo (...) non sembra compatibile con quanto il Nuovo Testamento dice di Cristo come Parola definitiva del Padre (…).

14. Questa teologia del pluralismo asimmetrico intende in modo analogico il concetto di “parola di Dio”, riconducendo ad esso le “rivelazioni” presenti nelle religioni non cristiane. La Dichiarazione “Dominus Iesus” circa l'unicità e l'universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa, seguendo il Concilio Vaticano II, riconosce che i testi sacri contengono elementi «attraverso i quali moltitudini di persone, nel corso dei secoli, hanno potuto e ancora oggi possono alimentare e conservare il loro rapporto religioso con Dio», di modo che «non raramente riflettono un raggio di quella Verità che illumina tutti gli uomini». Tuttavia, «la tradizione della Chiesa riserva la qualifica di testi ispirati ai libri canonici dell'Antico e del Nuovo Testamento, in quanto ispirati dallo Spirito Santo» (...).

15. In base a ciò, la Chiesa riconosce quanto di positivo può esserci in altre tradizioni religiose, ma mantiene sempre il carattare pieno e definitivo della Rivelazione di Gesù Cristo. Va ricordare ciò che la Congregazione per la Dottrina della Fede ha affermato riguardo all’opera di p. Dupuis: «Deve essere creduto fermamente che Gesù Cristo è mediatore, compimento e pienezza della rivelazione. Pertanto, è contrario alla fede della Chiesa sostenere che la rivelazione di o in Gesù Cristo sia limitata, incompleta e imperfetta. Sebbene la piena conoscenza della rivelazione divina si darà solamente il giorno della venuta gloriosa del Signore, la rivelazione storica di Gesù Cristo offre già tutto quello che è necessario per la salvezza dell’uomo e non ha bisogno di essere completata da altre religioni (…)».

16. La considerazione delle religioni non cristiane proposta dal prof. Torres Queiruga si intende all’interno del suo schema “non interventista”, giacché sarebbe ingiusto se Dio si rivelasse agli uni più che agli altri, di modo che tutte le differenze in tal senso devono essere attribuite a “diversità di comprensione”, a causa della quale gli uni “diventano consapevoli” prima che altri. Il prof. Torres Queiruga propone persino l’abbandono della categoria biblica dell’elezione, per ciò che può implicare in termini di favoritismo (…).

LA RESURREZIONE DI GESÙ CRISTO

17. A partire dai suoi principi teologici, Torres Queiruga propone un’interpretazione della Resurrezione in cui «ciò che è in gioco non sono ritocchi, ma la ristrutturazione dell’intero quadro della comprensione», in modo che«risponda ai parametri della cultura contemporanea». (...). A suo giudizio, un’interpretazione letterale delle testimonianze bibliche non è accettabile, perché sono state scritte in un momento in cui «l’ambiente culturale era totalmente ricettivo nei confronti di una comprensione delle manifestazioni del divino nella vita umana» e a partire da una mentalità «capace di produrre, leggere e accettare questo tipo di narrazioni». A partire da questi principi, si comprende come l’Autore accetti le letture esegetiche più critiche per ciò che si riferisce alla storicità dei racconti pasquali, specialmente per ciò che riguarda le narrazioni sulla scoperta del sepolcro vuoto e sulle apparizioni del Risorto.

18. Per l’Autore, gli unici avvenimenti storici alla base della fede nella Resurrezione sono la morte di Gesù e la fede pasquale dei discepoli. (...). Per Torres Queiruga «la morte e la resurrezione coincidono». «Considerando che la nuova cosmovisione, in cui non c’è più posto per un interventismo divino, è culturalmente assimilata da tutti», la fede pasquale non può fondarsi su un intervento categoriale di Dio, ma su un’“esperienza nuova” che hanno avuto i discepoli, che è consistita nel rendersi conto del fatto «che Gesù non era stato annullato dalla morte, ma continuava personalmente ad essere vivo e presente, per quanto in un nuovo modo di esistenza». I discepoli giunsero alla fede nella resurrezione di Cristo quando «compresero e confessarono che Gesù di Nazareth, assassinato ingiustamente a causa della sua fedeltà, non era stato annientato dalla morte fisica, ma in Lui si era compiuto in maniera esemplare il destino del giusto: che Dio lo aveva resuscitato e che per questo vive malgrado la sua sconfitta apparente». (…).

19. Questo modo di spiegare il processo attraverso cui la comunità è giunta alla fede nella Resurrezione di Cristo conduce l’Autore a negare il suo carattere storico, per quanto egli affermi la realtà della stessa: «La cosa normale è non considerarla come un avvenimento “storico”, senza che ciò implichi, è chiaro, la negazione della sua realtà». (…). Tale maniera di interpretare la natura della Resurrezione non concorda con il Catechismo della Chiesa cattolica, che insegna come ci si trovi in questo caso di fronte ad un avvenimento “storico e trascendente”, «reale, con manifestazioni storicamente comprovate».

20. Ciò ci porta alla questione centrale che non è altro che il contenuto della fede nella Resurrezione. Per Torres Queiruga (…) la fede nella Resurrezione non è accettare la verità di un avvenimento storico  e di cui vi siano manifestazioni storiche comprovate, ma nutrire la convinzione che Gesù è vivo, in un livello di vita in cui è assente la corporeità. Per questo, la Resurrezione del corpo non è un elemento essenziale della fede pasquale. Di più: nel pensiero di Torres Queiruga, la cosa logica è che il corpo non risusciti. Neppure le apparizioni sono avvenimenti essenziali per la fede nella Resurrezione. Sono semplicemente “un qualche tipo di esperienza singolare”. (…).

21. Tali affermazioni del prof. Torres Queiruga modificano sostanzialmente la comprensione che la fede della Chiesa mantiene a proposito della Resurrezione. (…). Il Catechismo della Chiesa cattolica (…) afferma in maniera molto precisa come si debbano intendere la Resurrezione, le apparizioni e il sepolcro vuoto: «Di fronte a queste testimonianze è impossibile interpretare la Resurrezione di Cristo fuori dall’ordine fisico, e non riconoscerla come un fatto storico» (…).

PROBLEMI DI ESCATOLOGIA

22. Rispetto alla fede cristiana nella resurrezione dei morti,  l’Autore, sulla base di ciò che spiegava sulla resurrezione di Cristo, nega che si debba distinguere tra uno stato dell’anima separata e una resurrezione finale, perché tali affermazioni, a suo giudizio, si basavano su uno schema mitico, mentre in realtà bisogna semplicemente parlare di una solidarietà di tutti gli esseri umani vivi e defunti: «la difficoltà radicale nasceva dal vincolo della resurrezione con il cadavere, poiché allora l’“anima” avrebbe dovuto aspettare il “corpo” per poter ristabilire la sua piena identità. Riconoscendo la morte come un transito attuale al nuovo modo di essere, la difficoltà scompare da sé. Per questo, il Risorto è già pienamente con Dio e pienamente con noi (…). Eliminando gli schemi mitici della resurrezione generale alla fine dei tempi, viene liberato il suo autentico significato: quello di un’intima comunione e solidarietà tra tutti gli esseri umani vivi e defunti; solidarietà che, fondata su Cristo (cf. Gal 3, 28), raccoglie in se il passato e anticipa il futuro, senza che neppure la morte sia capace di romperla». (…).

23. Tali affermazioni del prof. Torres Queiruga difficilmente risultano compatibili con l’insegnamento della Chiesa così come esposto nella lettera Recentiores Episcoporum della Congregazione per la Dottrina della Fede: «La Chiesa afferma la sopravvivenza e la sussistenza, dopo la morte, di un elemento spirituale dotato di coscienza e volontà, di modo che sussiste lo stesso “io” umano, carente frattanto del complemento del suo corpo. Per designare questo elemento, la Chiesa impiega la parola “anima”, consacrata dall’uso della Sacra Scrittura e della Tradizione. (…). La Chiesa, in conformità con la Sacra Scrittura, attende “la gloriosa manifestazione di Gesù Cristo nostro Signore”, considerata distinta e differita rispetto alla condizione degli uomini immediatamente dopo la morte» (…). Anche sulla questione del realismo della resurrezione della carne si è pronunciata la Congregazione per la Dottrina della Fede, in una Nota sulla traduzione delle parole “carnis resurrectionem” del Simbolo apostolico: «Abbandonare la formula “resurrezione della carne” comporta il rischio di appoggiare le teorie attuali che pongono la resurrezione al momento della morte, escludendo nella pratica la resurrezione corporale, in concreto di questa carne».

24. Rispetto alla preghiera per i defunti, il prof. Torres Queiruga sostiene che «non celebriamo l’eucarestia per il nostro fratello defunto, ma con il nostro fratello defunto (così come non si celebra per Gesù, ma con Gesù)». In questo senso respinge l’oggettività dei testi delle preghiere e anche degli stessi riti funebri: «(…) l’oggettività delle preghiere e dei riti procede troppe volte come se noi fossimo i buoni, amorevoli e misericordiosi, che stanno cercando di commuovere un dio crudele, giustiziere e terribile, che conviene “propiziare” con tutti i mezzi».

25. Tuttavia, la Chiesa esprime la sua fede anche nelle formule liturgiche, di cui i riti funebri non rappresentano un’eccezione, ma piuttosto un luogo teologico per l’escatologia. L’Autore si è mostrato reticente rispetto alla preghiera di petizione, ma la Chiesa ha inteso sempre, seguendo il mandato del Signore, che questo aspetto della preghiera debba anch’esso venire coltivato. Nel Catechismo della Chiesa Cattolica troviamo un’esposizione di questo tipo di preghiera, che non si può intendere come un “tentativo di convincere  Dio”, presentazione che assomiglia piuttosto a una caricatura. In realtà, si tratta semplicemente di raggiungere quello che Dio ha disposto che si realizzi mediante la preghiera, poiché, secondo la provvidenza di Dio, determinati effetti si realizzano con la collaborazione delle creature, collaborazione che comprende le preghiere. (…).

CONCLUSIONE

26. La Chiesa incoraggia il compito dei teologi e apprezza profondamente l’impegno nel comunicare la Parola di Dio rispondendo alle inquietudini del nostro tempo. Tuttavia, non bisogna dimenticare che l’uso di determinati strumenti filosofici o storici deve essere guidato dalla stessa dottrina rivelata. È  necessario professare la fede della Chiesa secondo l’interpretazione costante che essa ha mantenuto, nella consapevolezza che il valore degli interventi magisteriali non è frutto di una teologia opinabile, ma dell’assistenza dello Spirito Santo. La nozione di cambiamento di paradigma impiegata dal prof. Torres Queiruga e le conclusioni che ne derivano non sempre sono compatibili con l’interpretazione autentica che ha dato la Chiesa alla Parola di Dio scritta e trasmessa.

27. In sintesi, gli elementi della fede della Chiesa che vengono distorti negli scritti di Torres Queiruga sono i seguenti:

La chiara distinzione tra il mondo e il Creatore e la possibilità che Dio intervenga nella storia e nel mondo al di là delle leggi da Lui stesso stabilite. La novità della vita nello Spirito che Cristo ci offre, con la conseguente distinzione tra natura e grazia, tra creazione e salvezza, così come la necessità della grazia soprannaturale per realizzare il fine ultimo dell’uomo. Il carattere indeducibile della Rivelazione, mediante la quale Dio ha dato a conoscere all’uomo il suo disegnio salvifico, scegliendo un popolo e inviando suo Figlio al mondo. La unicità e universalità della mediazione salvifica di Cristo e della Chiesa. Il realismo della resurrezione di Gesù Cristo, in quanto avvenimento storico (miracoloso) e trascendente. Il senso genuino della preghiera di petizione, così come il valore dell’intercessione e della mediazione della Chiesa nella sua orazione per i defunti, specialmente nell’Eucarestia. La distinzione reale tra il momento della morte personale e quello della Parusia, intesa come culmine e pienezza della Storia e del mondo.

28. Con la presente Notifica, la Commissione per la Dottrina della Fede vuole salvaguardare aspetti essenziali della dottrina della Chiesa per evitare la confusione nel Popolo di Dio e contribuire al rafforzamento della sua vita cristiana; spera ugualmente che il prof. A. Torres Queiruga continui a chiarire il suo pensiero ponendolo in piena consonanza con la tradizione di fede insegnata dal Magistero della Chiesa.

Articolo tratto da
ADISTA
La redazione di ADISTA si trova in via Acciaioli n.7 - 00186 Roma Telefono +39 06 686.86.92 +39 06 688.019.24 Fax +39 06 686.58.98 E-mail info@adista.it Sito www.adista.it



Martedì 10 Aprile,2012 Ore: 17:18
 
 
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