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Sull'abdicazione di Benedetto XVI
GRAZIE, BENEDETTO

di Elisa Kidane

Ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro».

Che cosa rimarrà nella storia di queste parole scarne, meticolose, pronunciate da Papa Benedetto XVI il 13 febbraio 2013? Che cosa rimarrà di questo evento straordinario in un’epoca dove l’etere divora quintali di notizie facendo tabula rasa di ogni informazione? Cosa rimarrà di tutti i commenti, delle ipotesi, delle insinuazioni, delle presunte o reali congetture su tale gesto? Ognuno conserverà nella memoria quello che riterrà più significativo, il resto, tutto il resto, si dissolverà. Una cosa sarà comunque impossibile dimenticare. Anzi, sarà l’unica cosa che sopravvivrà all’usura del tempo: la cicatrice, nel cuore della Chiesa, di un’operazione tanto estrema quanto salutare. Il bubbone, che rischiava di far saltare in aria la millenaria struttura ecclesiale, non è scoppiato, travolgendola e inabissandola, ma con metodico e sofferto gesto è stato semplicemente inciso, lasciando fuoruscire il male endemico che rischiava di sgretolare un apparato ormai logoro. I sintomi di questa patologia ci sono tutti. Impossibile non riconoscerli negli appelli accorati con cui lungo questi anni Benedetto XVI ha provato a segnalarceli, in maniera chiara, a volte perfino tagliente.

Alla vigilia del suo pontificato riconosceva con inaudita chiarezza: «Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a Lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza». In una lettera indirizzata ai vescovi di tutto il mondo, prima volta per un Papa, per spiegare le ragioni di una sua decisione che aveva suscitato malumori, riconosceva senza mezzi termini che: «Purtroppo ancora oggi nella Chiesa c’è il mordersi e il divorarsi a vicenda come espressione di una libertà male intesa». Il 13 febbraio u.s., quando ancora il mondo non si era ripreso dall’annuncio shock della sua rinuncia ad esercitare il ministero petrino, commentando il brano biblico del profeta Gioele ricordava «l’importanza della testimonianza di fede e di vita cristiana di ciascuno di noi e delle nostre comunità per manifestare il volto della Chiesa e come questo volto venga, a volte, deturpato. Penso in particolare alle colpe contro l’unità della Chiesa, alle divisioni nel corpo ecclesiale». Non parole formali, ma precisa diagnosi di un malessere diffuso. Quello di Benedetto può dunque essere letto come un gesto inderogabile per ridare al volto della sua e nostra Chiesa l’antico e sempre nuovo splendore evangelico, per restituirle, rinnovata, la missione affidatale da Cristo – vivere e annunciare la Buona Notizia – e per infonderle il coraggio di osare cammini inediti.

Sì, Benedetto XVI, questo Papa al quale ora facciamo a gara a profondere elogi, e che abbiamo troppe volte criticato, bersagliato e, chissà, sottovalutato, oggi esce dalla scena della Chiesa spazzando via con un solo gesto (e che gesto!) quelle ceneri che sembravano soffocare le braci. Lui, così schivo e poco incline a gesti mediatici, ha osato una scelta che lo consacrerà nella storia come l’uomo che è stato capace di evitare l’implosione di una struttura appesantita e anacronistica al punto di essere diventata immune da qualsiasi sussulto di novità e profezia. «Lo faccio per il bene della Chiesa» è stata la sua unica e disarmante risposta al mondo incredulo davanti a un tale atto. Lui, che in questi anni ha dovuto parare i colpi che da dentro e fuori la Chiesa non gli sono stati risparmiati, lui che oggi possiamo definire il Papa solo in mezzo a un’arena che rischiava di portarlo lontano dal Regno di Dio, lui, il Vicario di Cristo, ha fatto l’unico gesto degno di un vero pastore: si è caricato sulle spalle il peso della Croce. Altro che “sceso”dalla Croce: Benedetto XVI ha scelto, in piena libertà, di lasciare il soglio papale per meglio caricarsela sulle spalle, quella Croce.

Di questi giorni, delle mille parole, delle inevitabili manovre dentro e fuori le mura leonine, rimarrà nella Storia questa cicatrice quale spartiacque tra un passato ormai finito e un futuro nuovo da tessere insieme. Per il bene della sua e nostra amata Chiesa. Noi, oggi, possiamo solo esprimergli infinita riconoscenza. (Elisa Kidane)
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Venerdì 08 Marzo,2013 Ore: 21:26
 
 
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Dottrina della fede secondo Ratzinger

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