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www.ildialogo.org 30 anni in Curia. E non sentirli... raccontare,da Adista Documenti n. 8 del 02/03/2013

30 anni in Curia. E non sentirli... raccontare

da Adista Documenti n. 8 del 02/03/2013

Questa settimana, sul numero di documenti, speciale di 24 pagine sul pontificato di Benedetto XVI. La parabola di Ratzinger in Vaticano, da cardinale e papa, passa sotto la lente di Adista e di quella di alcuni tra i più autorevoli teologi cattolici. In più, una intervista allo storico Daniele Menozzi. Un numero imperdibile!


Dello speciale di Adista su Benedetto XVI riproduciamo solo l'articolo di Valerio Gigante. Per il numero completo vai al sito di Adista per acquistarlo.

Se quello di Benedetto XVI, contrariamente alla pubblicistica corrente, è stato un pontificato pieno di contraddizioni, ancora più stridente è la differenza tra la rappresentazione che i media continuano a dare di Ratzinger come di un papa-teologo avulso dai maneggi di Curia e dagli scontri tra le diverse correnti all’interno della gerarchia ecclesiastica, e la sua carriera all’interno della Curia romana, di cui il papa tedesco è architrave dal novembre 1981, anno in cui fu chiamato da Giovanni Paolo II alla guida della Congregazione per la Dottrina della Fede.
Per quasi 25 anni, infatti, cioè fino alla morte di Wojtyla, Ratzinger è stato tra i cardinali di Curia che più hanno accompagnato le scelte fatte da Giovanni Paolo II in ambito teologico e pastorale, oltre che – assieme ad un ristrettissimo numero di ecclesiastici – le nomine, i trasferimenti e le rimozioni dei vescovi. Ratzinger è stato inoltre il braccio destro di Wojtyla per tutto ciò che concerneva la difesa dottrinale dell’ortodossia romana e della teologia vaticana e il “braccio armato” nella lotta a tutti i preti, i teologi, i vescovi, le aggregazioni laicali che potessero solo vagamente essere sospettabili di “sinistrismo”, di contiguità con i movimenti di liberazione dei Paesi del Sud del Mondo, di compromesso con la cultura laica e secolarizzata.
In particolare, a partire dal 1984, Ratzinger ha curato direttamente, e puntigliosamente, il processo alla Teologia della Liberazione. Non solo, con l'Istruzione Libertatis nuntius, il prefetto della Cdf ha condannato in toto la TdL, ma ha messo anche sotto processo i massimi esponenti di questa innovativa corrente teologica e pastorale: Gustavo Gutiérrez, nelle cui riflessioni Ratzinger individuava «l'influenza del marxismo»; e Leonardo Boff, nel cui celebre libro Chiesa, carisma e potere, il prefetto dell’ex Sant’Uffizio riteneva (1985) si incontrassero contenuti «tali da mettere in pericolo la sana dottrina della fede».
Ratzinger condusse una lotta senza quartiere anche a tutti i teologi progressisti, liberal, o semplicemente possibilisti su temi quali la morale sessuale, la libertà di ricerca teologica, il sacerdozio femminile, il pluralismo religioso. Nel 1986, il futuro papa dichiarò ad esempio «non idoneo all'insegnamento della teologia cattolica» il teologo statunitense Charles Curran, “colpevole” di criticare l’Humanae vitae e di sostenere «la legittimità del dissenso dall'autorità»; nel 1988 destituì dall'insegnamento universitario i gesuiti José María Castillo e Juan Antonio Estrada e sollevò il clarettiano Benjamín Forcano dalla direzione di Mision Abierta. Nel 1993 fu poi la volta del teologo morale canadese André Guindon le cui tesi – soprattutto sui temi della sessualità – contenevano secondo Ratzinger «gravi dissonanze non solo con l'insegnamento del Magistero più recente, ma anche con la dottrina tradizionale della Chiesa». Andò un po’ meglio alla suora e teologa femminista Ivone Gebara, cui nel 1995 Ratzinger impose di trasferirsi in Europa per studiare teologia «sicura». Ci fu poi il caso dell’incredibile scomunica, poi ritirata, comminata nel 1997 al teologo cingalese Tissa Balasuriya, “colpevole” di mettere in dubbio la dottrina cattolica sul peccato originale, l'immacolata concezione e il ruolo di Gesù nell'opera di salvezza. O l’altrettanto incredibile notificazione di condanna, datata 1998, nei confronti del gesuita indiano Anthony de Mello, autore di libri di spiritualità famosissimi, e venduti in tutto il mondo, ma già morto da ben undici anni. Sempre nel 1998, Ratzinger estromise dall'insegnamento presso la Pontificia Università Gregoriana il teologo gesuita Jacques Dupuis per il suo libro Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso. L’anno successivo, vietò per sempre a suor Jeannine Gramick ed a p. Robert Nugent «ogni attività pastorale in favore delle persone omosessuali», perché i due non condannano «la malizia intrinseca degli atti omosessuali». Al redentorista spagnolo p. Marciano Vidal venne invece imposto, nel 2001, di ritrattare le sue tesi su contraccezione, aborto, omosessualità. Nel 2004 fu la volta del gesuita p. Roger Haight, a cui fu vietato l’insegnamento della teologia cattolica per la sua cristologia, giudicata non ortodossa.
E questi sono solo alcuni degli innumerevoli interventi di Ratzinger come prefetto della Cdf, che nel corso dei suoi anni in Curia si è anche fortemente speso per bloccare il rinnovamento conciliare della vita religiosa (che culminerà, da papa, con il commissariamento delle suore Usa), favorendo invece il processo di ri-clericalizzazione degli ordini e delle congregazioni a tutto svantaggio, tra l’altro, dei religiosi “laici”, cioè non ordinati preti.
Ai provvedimenti si uniscono poi i documenti emanati dalla CdF. Quello sull’omosessualità, ad esempio, una delle ossessioni del futuro pontefice: nella lettera pastorale intitolata Homosexualitatis problema, del 1986, si affermava che l'inclinazione omosessuale «dev'essere considerata come oggettivamente disordinata». A questo tema si affiancano gli innumerevoli interventi contro il sacerdozio femminile (per Ratzinger, contrariamente all’opinione di diversi altri cardinali, Martini in testa, le donne non possono aspirare nemmeno al diaconato), l’uso del preservativo, la comunione ai divorziati risposati, il ruolo dei gay nella Chiesa, il pluralismo religioso, l’inculturazione, la “precedenza” delle Chiese locali sulla Chiesa universale, la collegialità, la libertà di ricerca teologica.
A proposito di quest’ultimo aspetto, nel 1988, la Congregazione presieduta da Ratzinger pubblicò la “Professione di fede” e il “Giuramento di fedeltà” cui sottoporre tutti coloro che assumono un officio “da esercitarsi a nome della Chiesa”. Vi si impone l’adesione al «deposito della fede»; l’obbedienza alla «disciplina comune a tutta la Chiesa», nonché «l’osservanza di tutte le leggi ecclesiastiche». Inoltre è necessario giurare obbedienza a «ciò che i sacri Pastori dichiarano come autentici dottori e maestri della fede o stabiliscono come capi della Chiesa» e agli «insegnamenti del pontefice» e «del collegio episcopale» quando «esercita il suo Magistero autentico».
Della collegialità episcopale auspicata dal Concilio Ratzinger fece invece giustizia nel 1992, con la lettera Communionis notio, che ribadisce con forza il primato papale. Ma il suo capolavoro dottrinale l’allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede lo compì nel 2000, con la promulgazione della Dominus Iesus, una dichiarazione nella quale si insisteva sulla unicità e universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa, vanificando le aperture del Concilio Vaticano II ai “semi di verità” presenti nelle altre religioni e riportando indietro di decenni il dialogo ecumenico, poiché alle altre confessioni non cattoliche, ad esclusione della Chiesa ortodossa, veniva revocato l’appellativo di “Chiese sorelle”, appellativo che le poneva sullo stesso livello di quella romana. (valerio gigante)

Articolo tratto da
ADISTA
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Giovedì 28 Febbraio,2013 Ore: 16:48
 
 
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Dottrina della fede secondo Ratzinger

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