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www.ildialogo.org   Papa Ratzinger e la difficile riforma della Chiesa.,di <i>Pierpaolo Loi</i>

  Papa Ratzinger e la difficile riforma della Chiesa.

di Pierpaolo Loi

Il discorso di papa Benedetto XVI, ormai dimissionario, al clero romano (15 febbraio 2013), pubblicato sotto il titolo “Torniamo al Concilio reale”, può essere letto come “testamento” o lascito alla Chiesa universale. Più volte papa Ratzinger ha parlato della necessità di un rinnovamento spirituale, a partire dai vertici della chiesa – dalla curia romana – investita da scandali, quali la pedofilia e la gestione mondana delle finanze vaticane, col caso IOR. La ricostruzione, intensa anche da un punto di vista emotivo, che il papa fa della vicenda conciliare, a partire dal suo coinvolgimento personale come esperto teologo al seguito dell’arcivescovo di Colonia, card. Frings, tocca alcuni punti salienti:

- la messa in discussione delle commissioni e delle tesi preconfezionate da parte dei padri conciliari;

- il primato della Liturgia e la riforma liturgica;

- l’ecclesiologia, che viene definita come completamento della dottrina del Concilio Vaticano I, che si era fermato a proclamare il primato petrino;

- la rivelazione e il ruolo della Parola di Dio;

- l’ecumenismo;

- infine, il rapporto della Chiesa con il mondo attraverso la “trilogia” – come la definisce papa Ratzinger – della Gaudium et spes, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, della Dignitatis Humanae, Dichiarazione sulla libertà religiosa, e dellla Nostra Aetate, Dichiarazine sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane, a partire dall’ebraismo.

Ora, in questa ricognizione dell’evento conciliare, che aveva suscitato tanto entusiasmo quasi fosse una nuova primavera della Chiesa, mi hanno colpito alcune espressioni usate dal papa e qualche evidente lacuna, che ritengo fondamentali per capire quale sia la visione del Concilio e, quindi, della Chiesa da parte di papa Ratzinger anche riguardo al futuro.

Il papa polemizza sulla espressione “Noi siamo chiesa” che, come si sa, è stata utilizzata da un movimento dal basso all’interno delle comunità cristiane per rivendicare un ruolo di partecipazione e non di pura sudditanza dei laici nella Chiesa. Secondo Benedetto XVI il superamento dell’univocità della visione della Chiesa come “Corpo mistico” di Cristo, che sfocerà nel Concilio nella visione della Chiesa come “Popolo di Dio”, ha portato all’uso della formula “Noi siamo la Chiesa”. Dice il papa: “…la Chiesa non è una struttura; noi stessi cristiani, insieme, siamo tutti il Corpo vivo della Chiesa. E, naturalmente, questo vale nel senso che noi, il vero “noi” dei credenti, insieme con l’ “Io” di Cristo, è la Chiesa; ognuno di noi, non “un noi”, un gruppo che si dichiara Chiesa. No: questo “noi siamo Chiesa” esige proprio il mio inserimento nel grande “noi” dei credenti di tutti i tempi e luoghi.”

La seconda polemica il papa la fa utilizzando la contrapposizione tra il Concilio dei Padri e il Concilio dei media. I media avrebbero distorto il Concilio descrivendolo come una lotta politica e veicolando un’attesa di “democrazia” indebita: “Era – afferma Benedetto XVI - ovvio che i media prendessero posizione per quella parte che a loro appariva quella più confacente con il loro mondo. C’erano quelli che cercavano la decentralizzazione della Chiesa, il potere per i Vescovi e poi, tramite la parola “Popolo di Dio”, il potere del popolo, dei laici. C’era questa triplice questione: il potere del Papa, poi trasferito al potere dei Vescovi e al potere di tutti, sovranità popolare”.

Infine, la polemica sul sacro, a partire dalla liturgia, ridotta, a suo parere, a “una cosa di attività della comunità, una cosa profana”. Più a fondo, ancora, con tutta “la teologia della modernità” quando parla della desacralizzazione: “La sacralità è una cosa pagana, eventualmente anche dell’Antico Testamento. Nel Nuovo vale solo che Cristo è morto fuori: cioè fuori dalle porte, cioè nel mondo profano. Sacralità quindi da terminare, profanità anche del culto: il culto non è culto, ma un atto dell’insieme, della partecipazione comune, e così anche partecipazione come attività”.

Una delle lacune più evidenti nella ricostruzione dell’evento conciliare - mentre vengono citati gruppi di vescovi che si riunivano per portare avanti alcune istanze di rinnovamento facenti parte della così detta “alleanza renana” (francesi, tedeschi, belgi e olandesi) - è il silenzio sulla “Chiesa dei poveri”, cioè sul gruppo di vescovi e esperti che faceva capo al cardinal Lercaro, arcivescovo di Bologna - tra i quali Paul Gauthier, prete operaio francese andato a vivere a Nazareth in mezzo ai poveri, che nel 1962 il vescovo Georges Hakim aveva voluto portare al Concilio, e il vesvovo brasiliano dom Helder Câmara. Questo gruppo propugnava una riforma della Chiesa nel senso della “povertà” della stessa Chiesa e dell’ascolto del “grido dei poveri” che saliva dai paesi del cosiddetto Terzo Mondo, in cui la Chiesa era molto radicata, ma anche compromessa con i potentati economici e politici in particolare nell’America Latina.

D’altra parte, è ben nota la posizione di condanna della Teologia della Liberazione assunta da Ratzinger durante il pontificato di Giovanni Paolo II.

I richiami continui di Benedetto XVI al rinnovamento spirituale della Chiesa tutta, a partire dalle alte sfere fino ai semplici fedeli, e l’aver voluto un anno centrato sulla fede, sebbene encomiabili, poco possono incidere se non viene intaccata la struttura di potere curiale ancora dominante.

La rinuncia del papa, per le sue stesse dichiarazioni (stanchezza fisica e psicologica), non mi sembra denotare un cambiamento di direzione, una vera metanoia.

Indubbiamente questo papa vecchio e sofferente - come ha scritto Ettore Masina - “con la sua decisione certamente sofferta e coraggiosa si è rifiutato di consentire che il mito dell’onnipotenza pontificia prevalesse ancora una volta sui limiti della persona umana con esiti disastrosi”.

Papa Benedetto potrebbe fare un passo ulteriore, di rottura col passato: lasciare la prigione del Vaticano, “uscire fuori le mura” e portare a termine i suoi giorni dentro una comunità monastica o missionaria, o semplicemente in un pensionato, dove potrebbe continuare ad esercitare il ministero di presbitero in mezzo a persone anziane e fragili come lui.

Pierpaolo Loi




Giovedì 28 Febbraio,2013 Ore: 10:13
 
 
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Dottrina della fede secondo Ratzinger

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