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www.ildialogo.org LA CHIESA, LE DONNE, E I PAPI. LUCETTA SCARAFFIA IN PIENO SONNO DOGMATICO NON HA ANCORA CAPITO CHE IL CATTOLICESIMO-ROMANO E' MORTO E DETTA LA SUA AGENDA AL NUOVO PAPA. Un suo intervento - con note,a c. di Federico La Sala

Uomini e donne, per un cambio di civiltà - al di là del Regno di "Mammasantissima": l’alleanza edipica della Madre (Elena) con il Figlio (Costantino) Al di là della trinità "edipica" e "mammonica" della chiesa cattolico-romana...
LA CHIESA, LE DONNE, E I PAPI. LUCETTA SCARAFFIA IN PIENO SONNO DOGMATICO NON HA ANCORA CAPITO CHE IL CATTOLICESIMO-ROMANO E' MORTO E DETTA LA SUA AGENDA AL NUOVO PAPA. Un suo intervento - con note

 Basta che nella Chiesa prevalgano il merito e l’umiltà e non il carrierismo e il peso delle cordate, proprio come auspica Benedetto XVI. In una ristabilita meritocrazia le donne non dovrebbero avere difficoltà a trovare il loro posto.


a c. di Federico La Sala

LUCETTA SCARAFFIA IN PIENO SONNO DOGMATICO NON HA ANCORA CAPITO CHE IL CATTOLICESIMO E' FINITO:

COSTANTINO, SANT’ELENA, E NAPOLEONE. L’immaginario del cattolicesimo romano.

CIVILTA’ DELL’AMORE E VOLONTA’ DI GUERRA. DOPO GIOVANNI PAOLO II, IL VATICANO SOPRA TUTTO E CONTRO TUTTI. Il "peccato originale" e la "mala fede" antropo-teo-logica di Papa Ratzinger.

UOMINI E DONNE. SULL’USCITA DALLO STATO DI MINORITA’, OGGI.

LA FAMIGLIA? MA QUALE FAMIGLIA?! QUELLA DI GESU’ O QUELLA DI EDIPO’?!

ECCE HOMO: UN "GOJ"

SE UN PAPA TEOLOGO SCRIVE LA SUA PRIMA ENCICLICA, TITOLANDOLA "DEUS CARITAS EST" ("CHARITAS", SENZA "H"), E’ ORA CHE TORNI A CASA, DA "MARIA E GIUSEPPE", PER IMPARARE UN PO’ DI CRISTIANESIMO.

KANT E SAN PAOLO. COME IL BUON GIUDIZIO ("SECUNDA PETRI") VIENE (E VENNE) RIDOTTO IN STATO DI MINORITA’ DAL GIUDIZIO FALSO E BUGIARDO ("SECUNDA PAULI"). (fls)

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Lo spazio delle donne nella chiesa che verrà

di Lucetta Scaraffia (Il Messaggero, 21 febbraio 2013)

«Il genio femminile non ha bisogno di cariche gerarchiche per affermarsi nella Chiesa!»: con queste parole Papa Woityla aveva sintetizzato il suo pensiero sul ruolo delle donne nella Chiesa, ma nonostante la sua bellissima lettera apostolica “Mulieris dignitatem”, che chiariva una volta per tutte che la differenza femminile doveva essere accolta come una ricchezza, e non come una inferiorità, alla sua morte la questione era ancora aperta. E ancora aperta rimane anche oggi, dopo la decisione di Benedetto XVI, come sottolineano tutti i commentatori quando elencano i problemi che dovrà affrontare il nuovo pontefice.

Papa Benedetto, nel suo modo silenzioso ma efficace, ha contribuito senza dubbio a una maggiore visibilità delle donne nella Chiesa: non solo durante il suo pontificato sono aumentate e salite di grado le donne che lavorano per la Santa Sede e nei suoi organismi, ma ha voluto che crescessero nell’Osservatore Romano le collaborazioni femminili, fino a permettere la creazione di un mensile, “Donne, Chiesa, Mondo”, pensato proprio per dare voce alle donne che operano nella Chiesa.

Nella Chiesa infatti le donne stanno svolgendo un ruolo fondamentale. Non solo costituiscono più della metà dei religiosi, ma anche nelle parrocchie assumono compiti insostituibili come il sostegno ai poveri, l’insegnamento del catechismo, l’assistenza agli anziani.

Ma il problema si pone soprattutto se si confronta la Chiesa con il mondo occidentale, dove le donne ormai hanno raggiunto una completa parità con gli uomini, e svolgono anche ruoli direttivi di primaria importanza. Allora la differenza salta agli occhi, e il Vaticano, cioè l’insieme delle più alte gerarchie ecclesiastiche, appare un mondo strettamente maschile.

In realtà, soprattutto negli ultimi anni, sono molto aumentate le donne che lavorano all’interno delle sacre mura, e un po’ sono anche salite di grado. Ma la differenza rimane tuttora significativa, e rischia di far considerare come nemica dell’emancipazione femminile una istituzione che, almeno fino alla prima metà del Novecento, aveva dato alle donne molte maggiori possibilità di affermazioni e libertà che non il mondo laico. E rischia di pregiudicare la nuova evangelizzazione, nonché la crescita delle vocazioni femminili.

Si può ben capire quindi come nelle file di molti istituti religiosi, o di altri tipi di organizzazione in cui le donne sono ampiamente presenti, serpeggi ormai da qualche anno un profondo malcontento, che può arrivare perfino, in alcune frange più radicali, a un’aperta protesta che si accompagna alla richiesta del sacerdozio femminile, visto come l’unica strada per le donne per ottenere un ruolo riconosciuto nella Chiesa.

Sono sorte così associazioni femminili che si pongono in posizione fortemente critica nei confronti della Chiesa ufficiale, mutuando parole d’ordine dal femminismo e accettando perfino di utilizzare la categoria del “gender”, che dovrebbe sostituire il concetto di differenza sessuale. Un’uguaglianza totale, che nega ogni specificità: proprio il contrario del programma di femminismo cattolico proposto da Woityla con la “Mulieris dignitatem” e da Ratzinger nella lettera ai vescovi “sulla collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo”.

Si va dal “Comité de la jupe” in Francia, alle proteste delle religiose americane, dagli scritti di teologhe radicali a interventi di intellettuali dissenzienti, come Hans Küng. Non è certo questa la via che seguirà la Chiesa per affrontare il problema, come i documenti pontifici hanno già chiarito da tempo. E anche le sostenitrici del sacerdozio femminile dovranno farsene una ragione: anche perché non c’è nessun bisogno di ordinare le donne prete per aprire loro le porte di ruoli di responsabilità, che hanno già dimostrato di sapere sostenere molto bene.

È sufficiente che la necessità del riconoscimento di una alterità - che tra l’altro è il fondamento del matrimonio cristiano - per la fertilità della diffusione della fede venga riconosciuta anche dalle istituzioni ecclesiastiche, che dovrebbero solo applicare anche al loro interno le giuste parole che rivolgono al mondo. Basta che nella Chiesa prevalgano il merito e l’umiltà e non il carrierismo e il peso delle cordate, proprio come auspica Benedetto XVI. In una ristabilita meritocrazia le donne non dovrebbero avere difficoltà a trovare il loro posto.



Giovedì 21 Febbraio,2013 Ore: 18:53
 
 
Commenti

Gli ultimi messaggi sono posti alla fine

Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 21/2/2013 18.59
Titolo:La Chiesa stessa è stata messa in questione fin dalla sua radice....
Cosa insegna alla politica la rinuncia di Ratzinger

di Giorgio Agamben (la Repubblica, 16 febbraio 2013)

La decisione di Benedetto XVI deve essere considerata con estrema attenzione da chiunque abbia a cuore le sorti politiche dell’umanità.

Compiendo il “gran rifiuto”, egli ha dato prova non di viltà, come Dante scrisse forse ingiustamente di Celestino V, ma di un coraggio, che acquista oggi un senso e un valore esemplari. Deve essere evidente per tutti, infatti, che le ragioni invocate dal pontefice per motivare la sua decisione, certamente in parte veritiere, non possono in alcun modo spiegare un gesto che nella storia della Chiesa ha un significato del tutto particolare.

E questo gesto acquista tutto il suo peso, se si ricorda che il 4 luglio 2009, Benedetto XVI aveva deposto proprio sulla tomba di Celestino V a Sulmona il pallio che aveva ricevuto al momento dell’investitura, a prova che la decisione era stata meditata.

Perché questa decisione ci appare oggi esemplare? Perché essa richiama con forza l’attenzione sulla distinzione fra due principi essenziali della nostra tradizione etico-politica, di cui le nostre società sembrano aver perduto ogni consapevolezza: la legittimità e la legalità.

Se la crisi che la nostra società sta attraversando è così profonda e grave, è perché essa non mette in questione soltanto la legalità delle istituzioni, ma anche la loro legittimità; non soltanto, come si ripete troppo spesso, le regole e le modalità dell’esercizio del potere, ma il principio stesso che lo fonda e legittima.

I poteri e le istituzioni non sono oggi delegittimati, perché sono caduti nell’illegalità; è vero piuttosto il contrario, e cioè che l’illegalità è così diffusa e generalizzata, perché i poteri hanno smarrito ogni coscienza della loro legittimità.

Per questo è vano credere di potere affrontare la crisi delle nostre società attraverso l’azione - certamente necessaria - del potere giudiziario: una crisi che investe la legittimità, non può essere risolta soltanto sul piano del diritto. L’ipertrofia del diritto, che pretende di legiferare su tutto, tradisce anzi, attraverso un eccesso di legalità formale, la perdita di ogni legittimità sostanziale.

Il tentativo della modernità di far coincidere legalità e legittimità, cercando di assicurare attraverso il diritto positivo la legittimità di un potere, è, come risulta dall’inarrestabile processo di decadenza in cui sono entrate le nostre istituzioni democratiche, del tutto insufficiente.

Le istituzioni di una società restano vive solo se entrambi i principi (che, nella nostra tradizione, hanno anche ricevuto il nome di diritto naturale e diritto positivo, di potere spirituale e potere temporale) restano presenti e agiscono in essa senza mai pretendere di coincidere.

Per questo il gesto di Benedetto XVI è così importante. Quest’uomo, che era a capo dell’istituzione che vanta il più antico e pregnante titolo di legittimità, ha revocato in questione col suo gesto il senso stesso di questo titolo. Di fronte a una curia che, del tutto dimentica della propria legittimità, insegue ostinatamente le ragioni dell’economia e del potere temporale, Benedetto XVI ha scelto di usare soltanto il potere spirituale, nel solo modo che gli è sembrato possibile: cioè rinunciando all’esercizio del vicariato di Cristo. In questo modo, la Chiesa stessa è stata messa in questione fin dalla sua radice.

Non sappiamo se la Chiesa sarà capace di trarre profitto da questa lezione: ma sarebbe certamente importante che i poteri laici vi trovassero occasione per interrogarsi nuovamente sulla propria legittimità.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 22/2/2013 08.11
Titolo:Sesso e carriera i ricatti in Vaticano...
Sesso e carriera i ricatti in Vaticano dietro la rinuncia di Benedetto XVI

di Concita De Gregorio (la Repubblica, 21 febbraio 2013)

"In questi 50 anni abbiamo imparato ed esperito che il peccato originale esiste, si traduce sempre in peccati personali che possono divenire strutture del peccato. Abbiamo visto che nel campo del Signore c’è sempre la zizzania. Che nella rete di Pietro si trovano i pesci cattivi".

La zizzania. I pesci cattivi. Le "strutture del peccato". È giovedì 11 ottobre, Santa Maria Desolata. È il giorno in cui la Chiesa fa memoria di papa Giovanni XXIII, cinquant’anni dal principio del Concilio. Benedetto XVI si affaccia al balcone e ai ragazzi dell’Azione cattolica raccolti in piazza dice così: «Cinquant’anni fa ero come voi in questa piazza, con gli occhi rivolti verso l’alto a guardare e ascoltare le parole piene di poesia e di bontà del Papa. Eravamo, allora, felici. Pieni di entusiasmo, eravamo sicuri che doveva venire una nuova primavera della Chiesa». Breve pausa. Eravamo felici, al passato. «Oggi la gioia è più sobria, è umile. In cinquant’anni abbiamo imparato che la fragilità umana è presente anche nella Chiesa». Che c’è la zizzania, ci sono i pesci cattivi.

Nessuno ha capito, in quel pomeriggio di ottobre. I ragazzi in piazza hanno applaudito e pianto il ricordo di papa Giovanni. Nessuno sapeva che due giorni prima Benedetto XVI aveva di nuovo incontrato il cardinale Julian Herranz, 83 anni, lo spagnolo dell’Opus Dei da lui incaricato di presiedere la commissione d’indagine su quello che i giornali chiamano Vatileaks. Il corvo, la fuga di notizie, le carte rubate dall’appartamento del Papa.

Herranz ha aggiornato Ratzinger con regolarità. Ogni settimana, in colloquio riservato, da aprile a dicembre. Il Papa ha appreso con crescente apprensione gli sviluppi dell’inchiesta: decine e decine di interviste a prelati, porporati, laici. In Italia e all’estero. Decine e decine di verbali riletti e sottoscritti dagli intervistati. Le stesse domande per tutti, dapprima, poi interviste libere. Controlli incrociati. Verifiche. Un quadro da cui veniva emergendo una rete di lobby che i tre cardinali hanno diviso per provenienza di congregazione religiosa, per origine geografica. I salesiani, i gesuiti. I liguri, i lombardi.

Infine, quel giorno di ottobre, il passaggio più scabroso. Una rete trasversale accomunata dall’orientamento sessuale. Per la prima volta la parola omosessualità è stata pronunciata, letta a voce alta da un testo scritto, nell’appartamento di Ratzinger. Per la prima volta è stata scandita, sebbene in latino, la parola ricatto: «influentiam», Sua Santità. Impropriam influentiam.

17 dicembre 2012, San Lazzaro. I tre cardinali consegnano nelle mani del Pontefice il risultato del loro lavoro. Sono due tomi di quasi 300 pagine. Due cartelle rigide rilegate in rosso, senza intestazione. Sotto "segreto pontificio", sono custodite nella cassaforte dell’appartamento di Ratzinger. Le conosce soltanto, oltre a Lui, chi le ha scritte. Contengono una mappa esatta della zizzania e dei pesci cattivi. Le «divisioni nel corpo ecclesiale che deturpano il volto della Chiesa», dirà il Papa quasi due mesi dopo nell’Omelia delle Ceneri.

È quel giorno, con quelle carte sul tavolo, che Benedetto XVl prende la decisione tanto a lungo meditata. È in quella settimana che incontra il suo biografo, Peter Seewald, e poche ore dopo aver ricevuto i tre cardinali gli dice «sono anziano, basta ciò che ho fatto». Quasi le stesse parole, in quell’intervista poi pubblicata su Focus, che dirà a febbraio al concistoro per i martiri di Otranto: «Ingravescente aetate». «Noi siamo un Papa anziano», aveva già allargato le braccia molte volte, negli ultimi mesi, in colloqui riservati.

Dunque nella settimana prima di Natale il Papa prende la sua decisione. Con queste parole la commenta il cardinale Salvatore De Giorgi, un altro dei tre inquisitori che redigono la "Relationem", presente al momento della rinuncia: «Ha fatto un gesto di fortezza, non di debolezza.

Lo ha fatto per il bene della Chiesa. Ha dato un messaggio forte a tutti quanti nell’esercizio dell’autorità o del potere si ritengono insostituibili. La Chiesa è fatta di uomini. Il Pontefice ha visto i problemi e li ha affrontati con un’iniziativa tanto inedita quanto lungimirante». Ha assunto su di sé la croce, insomma. Non ne è sceso, al contrario. Ma chi sono «coloro che si ritengono insostituibili?». Riecheggiano le parole dell’Angelus di domenica scorsa: bisogna «smascherare le tentazioni del potere che strumentalizzano Dio per i propri interessi».

La "Relationem" ora è lì. Benedetto XVI la consegnerà nelle mani del prossimo Papa, che dovrà essere abbastanza forte, e giovane, e «santo» - ha auspicato - per affrontare l’immane lavoro che lo attende. È disegnata, in quelle pagine, una geografia di «improprie influenze» che un uomo molto vicino a chi le ha redatte descrive così: «Tutto ruota attorno alla non osservanza del sesto e del settimo comandamento». Non commettere atti impuri. Non rubare. La credibilità della Chiesa uscirebbe distrutta dall’evidenza che i suoi stessi membri violano il dettato originario. Questi due punti, in specie. Vediamo il sesto comandamento, atti impuri. La Relazione è esplicita. Alcuni alti prelati subiscono «l’influenza esterna» - noi diremmo il ricatto - di laici a cui sono legati da vincoli di "natura mondana".

Sono quasi le stesse parole che aveva utilizzato monsignor Attilio Nicora, allora ai vertici dello Ior, nella lettera rubata dalle segrete stanze al principio del 2012: quella lettera poi pubblicata colma di omissis a coprire nomi. Molti di quei nomi e di quelle circostanze riaffiorano nella Relazione. Da vicende remote, come quella di monsignor Tommaso Stenico sospeso dopo un’intervista andata in onda su La 7 in cui raccontava di incontri sessuali avvenuti in Vaticano.

Riemerge la vicenda dei coristi di cui amava circondarsi il Gentiluomo di sua Santità Angelo Balducci, agli atti di un’inchiesta giudiziaria. I luoghi degli incontri. Una villa fuori Roma. Una sauna al Quarto Miglio. Un centro estetico in centro. Le stanze vaticane stesse. Una residenza universitaria in via di Trasone data in affitto ad un ente privato e reclamata indietro dal Segretario di Stato Bertone, residenza abitualmente utilizzata come domicilio romano da un arcivescovo veronese.

Si fa menzione del centro "Priscilla", che persino da ritagli di stampa risulta essere riconducibile a Marco Simeon, il giovane sanremese oggi ai vertici della Rai e già indicato da monsignor Viganò come l’autore delle note anonime a suo carico. Circostanze smentite dai protagonisti sui giornali, ma approfondite e riprese dalla Relazione con dovizia di dettagli.

I tre cardinali hanno continuato a lavorare anche oltre il 17 dicembre scorso. Sono arrivati fino alle ultime vicende che riguardano lo Ior - qui si passa al settimo comandamento - ascoltando gli uomini su cui confida Tarcisio Bertone a partire dal suo braccio destro, il potentissimo monsignor Ettore Balestrero, genovese, classe 1966. Sono arrivati fino alla nomina del giovane René Bruelhart alla direzione dell’Aif, l’autorità finanziaria dell’Istituto.

Il terzo dei cardinali inquirenti, Josef Tomko, è il più anziano e dunque il più influente della triade. Ratzinger lo ha richiamato in servizio a 88 anni. Slovacco, era stato con Woijtyla a capo del controspionaggio vaticano. Aveva seguito di persona la spinosa questione dei contributi anche economici alla causa polacca come delegato ai rapporti con l’Europa orientale. Dopo monsignor Luigi Poggi, scomparso nel 2010, è l’ultimo custode di quella che ancora oggi si chiama l’Entità, il "Sodalitium pianum" di antica memoria, il servizio segreto vaticano formalmente smantellato da Benedetto XV, nel nome predecessore di Ratzinger.

Poiché i simboli e i gesti, a San Pietro, contano assai più delle parole chi è molto addentro alle liturgie vaticane fa notare questo. Nell’ultimo giorno del suo pontificato, Benedetto XVI riceverà i tre cardinali estensori della Relationem in udienza privata. Subito dopo, al fianco di Tomko, vedrà i vescovi e i fedeli slovacchi in Santa Maria Maggiore. La sua ultima udienza pubblica. 27 febbraio, San Procopio il Decapolita, confessore. Poi il conclave.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 25/2/2013 11.12
Titolo:l’«Agenda Martini» a proposito del profilo del nuovo Papa
Quel che Martini voleva dire al Papa

di Georg Sporschill (Corriere della Sera, 25 febbraio 2013)

L’8 agosto 2012, su richiesta del cardinale Martini, gli ho fatto visita a Gallarate insieme a Federica Radice Fossati Confalonieri; è stato il nostro ultimo incontro. Abbiamo celebrato la Santa Messa in quattro nella cappella della casa dei gesuiti. Pregava, ormai con un filo di voce, per una missione a favore dei bambini di strada della Transilvania, per i giovani e per la donna impegnati in quel Paese.

Al momento della Comunione ha voluto alzarsi e con un aiuto ci è riuscito. Non dimenticherò mai quella scena, quanto fosse profondamente prostrato e nello stesso tempo forte. La fiducia di quest’uomo proveniva da un altro mondo. Dopo la Messa l’ho riportato in camera sulla sua sedia a rotelle. Era la stanza modesta di un gesuita.

Nel parlare, il cardinale cercava faticosamente ogni parola. Compiangeva la Chiesa che pure amava. Solo la sua fede in Dio spiega perché abbia lasciato le istituzioni ecclesiastiche e il ricco mondo occidentale con parole di critica radicale.

«La Chiesa deve riconoscere i propri errori e deve percorrere un cammino radicale di cambiamento, cominciando dal Papa e dai vescovi». Con fede, fiducia, coraggio. Per consentire l’ingresso dello Spirito Santo nell’Istituzione il cardinale ha suggerito al Papa e ai vescovi di circondarsi di persone vicine ai giovani e ai poveri. Naturalmente tra queste vi devono essere anche donne. Solo con uomini anziani sarebbe impossibile.

La principale preoccupazione del cardinale era la perdita di credibilità che la Chiesa aveva subito presso vaste schiere di persone. Non si trattava delle leggi o dei dogmi, ma della capacità di assistenza, di ascolto. «Sappiamo occuparci delle domande dei giovani, dei problemi delle famiglie allargate, dei non credenti?», chiedeva dubbioso. Coloro che sono lontani dalla Chiesa hanno un messaggio per noi, sosteneva. Più che la coincidenza di vedute gli interessavano il dialogo, la comune ricerca. Il suo pensiero ammetteva le contraddizioni, come la Bibbia.

Più volte ha chiesto che la Chiesa si scusasse per quanto aveva affermato in passato sul tema della sessualità. Con un coraggio, come quello che aveva mostrato Giovanni Paolo II quando in Israele chiese perdono agli ebrei per i peccati della Chiesa. A questo proposito scrisse a papa Benedetto XVI personalmente. Spesso citava ad esempio l’enciclica Humanae Vitae di Paolo VI, un Papa al quale era particolarmente legato. Affermava poi che la medicina e la psicologia avevano molto di nuovo da dirci sulla famiglia e la sessualità.

Le critiche espresse dal cardinale nel suo ultimo colloquio erano come un testamento, scritto per amore. Con fermezza poneva alcune persone al centro: i poveri, coloro che ricercano la fede, le donne e gli stranieri. A loro si era dedicato con tutte le forze per l’intera vita. Non a caso le sue richieste hanno preso il nome di «Agenda Martini» per il conclave.

Il cardinal Martini era molto vicino a papa Benedetto XVI. Per oltre un decennio, come cardinali sono stati membri della Congregazione per la Dottrina della Fede, avevano anche la stessa età.

Eppure i due uomini avevano sentimenti e pensieri molto diversi. Ciò nondimeno la lealtà dell’anziano cardinale al Santo Padre era indiscutibile. Era il giugno del 2012 quando il cardinal Martini ha visto per l’ultima volta papa Benedetto XVI, in visita a Milano. In quella occasione, è tornato nel palazzo che aveva lasciato nel 2002. Lo ha fatto in sedia a rotelle e il Papa si è chinato su di lui. Quando ha quasi ordinato al Pontefice di accomodarsi, questi contro ogni regola dettata dal protocollo si è seduto e l’anziano vescovo ha potuto ravvisare nei suoi occhi stanchi la fragilità del coetaneo. Il coraggio l’ha così abbandonato, non poteva fargli le proposte che aveva preparato. Gli ha detto solo: «Santo Padre, prego per Lei e per la Chiesa».

Il cardinale ha raccontato commosso di quell’incontro con il Pontefice e aggiunto con una nota umoristica: «Il sarto del Papa dev’essere un artista per fargli star bene gli abiti». La sua infermiera gli ha chiesto allora: «Eminenza, Lei, debole e anziano, lascerebbe l’ufficio di Papa o vescovo?». Il cardinale deve aver risposto: «Sì, mi ritirerei a Montecassino». Era come se avesse spianato la strada alla grande e sorprendente decisione del Pontefice.

Cosa dice l’«Agenda Martini» a proposito del profilo del nuovo Papa? Deve essere un ottimista come Giovanni XXIII: non difendere ciò che è antiquato, ma aprire le porte della Chiesa al nuovo. Deve avere molta comprensione umana e fiducia nel futuro. Deve avere amore come Paolo VI. Forse aveva un eccessivo timore delle possibilità offerte dalla tecnologia, dalla medicina e dalla libertà sociale, ma era una preoccupazione per l’uomo, come amava sottolineare il cardinal Martini quando criticava l’Enciclica Humanae Vitae . Lo poteva testimoniare egli stesso, poiché Paolo VI lo invitava spesso come un amico, a discutere di questioni bibliche.

Deve essere deciso come Giovanni Paolo II. Il cardinal Martini raccontava che il Papa polacco aveva nominato lui, originario di Torino, arcivescovo di Milano, senza ascoltare le obiezioni. Aveva deciso e basta. Con la sua forza riusciva a muovere molte cose in Vaticano e nella politica ecclesiastica. Una forza che ha fatto addirittura crollare la cortina di ferro.

Cosa deve avere dei suoi predecessori il nuovo Papa? Può costruire su ciò che ha fatto Benedetto XVI che voleva preservare la Chiesa dai pericoli, voleva tenere tutti nella comunità ecclesiastica, anche la Fraternità San Pio X. Puntava sulle élite , che vedeva nei nuovi movimenti. Ora ci vuole l’ agere contra , un movimento rivolto alle parrocchie, la rivalutazione delle chiese locali e l’ascolto del mondo intero, come coraggiosamente faceva il cardinal Martini. Benedetto XVI nel suo clericalismo era spinto da forze centripete, ora occorrono energie centrifughe. Con un vescovo proveniente dal Nuovo Mondo, dall’Africa o dalle Filippine, lo Spirito Santo ci può sorprendere più che con un difensore del Vecchio Mondo. Quanto deve essere giovane, straniero, sfrontato o di colore oggi uno strumento dello Spirito Santo?
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 04/3/2013 12.32
Titolo:Il «Conclave delle donne». Il “Comité de la Jupe” ...
Il «Conclave delle donne»

di Bureau du Comité de la Jupe

in “www.comitedelajupe.fr” del 27 febbraio 2013 (traduzione: www.finesettimana.org)

Il “Comité de la Jupe” con il sostegno della Conferenza dei Battezzati e delle Battezzate, ha deciso di riunire il “Conclave delle donne”, il 9 marzo prossimo, a Parigi.

Questo “Conclave delle donne” prende atto del fatto che le donne hanno delle cose da dire sulle richieste spirituali dei nostri contemporanei e sui mezzi che si ritiene che siano necessari alla Chiesa per essere in grado di compiere la sua missione in futuro. Alla vigilia dell’apertura del Conclave, conclave di uomini (maschi), “mezzo conclave”, è opportuno ricordare il valore del contributo delle donne su questioni essenziali.

Vi parteciperanno settantadue donne, come i settantadue discepoli che Gesù aveva inviato in missione (Luca 10). Settantadue donne che danno voce a tutte quelle donne in vearie parti del mondo, la cui fede, le cui competenze, il cui coinvolgimento per il bene comune o la causa dei più deboli potrebbero fare di loro delle “cardinalesse” di grande valore.

Se desiderate far parte del Conclave delle donne, inviate la vostra richiesta nello stesso modo in cui si inviano i commenti.
- http://www.comitedelajupe.fr/evenement/le-conclave-des-femmes/

Vi risponderemo nella misura dei posti disponibili.

Svolgimento del Conclave delle donne (senza pubblico)

Il conclave delle donne comporterà due momenti di preghiera, per portare le nostre riflessioni davanti al Signore e chiedergli il suo aiuto. La maggior parte dei lavori dell’incontro consisterà nell’ascoltare i contributi delle partecipanti sui cinque temi seguenti:

1.

- Le urgenze del nostro tempo
- Che cosa aspettano i nostri fratelli e le nostre sorelle (credenti e non), quali sono i loro dolori, le loro gioie, i loro tesori (“L à dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore”, Mt 6,21)?

2.

- La nostra fede
- In che cosa consiste la nostra fede, la nostra speranza, la nostra carità, dov’è la salvezza, come la mettiamo col male?...

3.

- Il modo in cui la Chiesa rende conto della sua missione
- La Chiesa risponde alla sua missione? Come testimonia un Dio che libera, un Dio che ama, un Dio che fa sperare?

4.

- I mezzi che la Chiesa si dà per essere configurata alla sua missione
- Quali disposizioni assume? Collegialità, sussidiarietà, trasparenza, finanziaria in particolare, misericordia... Come aveva chiesto Giovanni XXIII, che il Concilio Vaticano II eserciti “la medicina della misericordia”, c’è oggi una misericordia da esercitare (verso i divorziati risposati, ad esempio), occorre chiedere che siano superate tutte le condanne e le discriminazioni fatte in base al sesso.

5.

- Gli atti profetici che ne derivano
- Dovranno essere proposti dalle partecipanti e saranno oggetto di votazione.

L’Ufficio del Comité de la Jupe

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