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www.ildialogo.org PRE-CONCLAVE: IL PROSSIMO PAPA SARA'  IL CARDINALE CON LO STEMMA "DEUS CHARITAS EST"?! Una nota di di Cristiano M. G. Faranna - con approfondimenti,a c. di Federico La Sala

"DEUS CHARITAS EST" (1 Gv. 4.8).. SE UN PAPA TEOLOGO SCRIVE LA SUA PRIMA ENCICLICA, TITOLANDOLA "DEUS CARITAS EST" ("CHARITAS", SENZA "H"), E’ ORA CHE TORNI A CASA, DA "MARIA E GIUSEPPE", PER IMPARARE UN PO’ DI CRISTIANESIMO ...
PRE-CONCLAVE: IL PROSSIMO PAPA SARA'  IL CARDINALE CON LO STEMMA "DEUS CHARITAS EST"?! Una nota di di Cristiano M. G. Faranna - con approfondimenti

All’alba di un conclave con un vescovo di Roma «nascosto al mondo» Bagnasco, Bertone e Scola rappresentano la portanza italiana. Il primo per il collegio episcopale, il secondo per la Curia e il terzo per i movimenti. Una quarta figura appare, più mite. Pastore ma da anni curiale (...)


a c. di Federico La Sala

MATERIALI DI APPROFONDIMENTO:

                                                            CARDINALE ANGELO COMASTRI:  STEMMA -  DEUS CHARITAS EST

LA CHIESA DEL SILENZIO E DEL "LATINORUM". Il teologo Ratzinger scrive da papa l’enciclica "Deus caritas est" (2006) e, ancora oggi, nessuno ne sollecita la correzione del titolo. Che lapsus!!! O, meglio, che progetto!!!​

OBBEDIENZA CIECA: TUTTI, PRETI, VESCOVI, E CARDINALI AGGIOGATI ALLA "PAROLA" DI PAPA RATZINGER ("DEUS CARITAS EST", 2006). Materiali per riflettere

 DIO E’ VALORE!IL MAGISTERO EQUIVOCO DI BENEDETTO XVI OGGI (2006-2012) E CIO’ CHE OGNI BUON CATECHISTA INSEGNAVA IERI (2005). Una lezione di don Mauro Agreste - con alcune note

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I giochi del pre-conclave sull’asse Milano-Genova

di Cristiano M. G. Faranna (il manifesto, 16 febbraio 2013)

«Accogliamo con venerazione la scelta di Benedetto», con queste parole il cardinale Angelo Bagnasco ha salutato la rinuncia di Ratzinger al ministero petrino. Ieri il presidente della Cei è stato a capo della delegazione ligure, composta dai sei vescovi, che ha incontrato il papa dimissionario. Un’udienza già stabilita, che fa parte del disbrigo degli affari ordinari che, quasi come un governo uscente, il papa sta svolgendo.

Oggi toccherà ai pastori lombardi guidati dall’arcivescovo di Milano, Angelo Scola. Ed è proprio la traiettoria Milano-Genova a tenere banco nelle chiacchiere di stampa pre-conclave. Entrambi i porporati sono considerati i più quotati tra gli italiani per la successione, con Bagnasco leggermente in vantaggio, fosse soltanto per motivi anagrafici.

Il rappresentante dell’episcopato italiano ha da poco compiuto settant’anni, due in meno di Scola e se si decide di leggere la scelta di Ratzinger come un invito sommesso a preferire un papa giovane pochi anni fanno la differenza, contando anche che Scola secondo il diritto ecclesiale ha ancora due anni e mezzo di incarico effettivo, che scade al compimento del settantacinquesimo anno. Il segno di Ratzinger, vescovo di Roma che si accinge a diventare emerito tra gli emeriti, potrebbe non essere sottovalutato nel silenzio orante della Cappella Sistina.

La cattedra di sant’Ambrogio ha inoltre ribadito l’importanza di Genova nel panorama ecclesiale del Belpaese, di cui il sommo pontefice è primate. A precedere Scola a Milano fu proprio un pastore proveniente dalla repubblica marinara, Dionigi Tettamanzi, divenuto un baluardo della cittadinanza contro le tendenze xenofobe leghiste.

La scelta del Patriarca di Venezia venne considerata come una sorta di par condicio politica, a causa della sua vicinanza con Comunione e liberazione, il movimento di cui fa parte anche Formigoni. Nonostante l’impegno di Scola nel dialogo interreligioso la nomina fu letta da più parti come un mettere le briglie alla chiesa più feconda di novità del panorama cattolico nazionale.

La successione di Scola a Venezia fu il nuovo motivo di attrito tra la Cei - in particolare Bagnasco - e il suo predecessore a Genova e segretario di Stato, Tarcisio Bertone. Alla fine la spuntò Bagnasco con la nomina di Francesco Moraglia, ancora una volta un pastore genovese e presidente del cda di «Comunicazione e Cultura», organismo Cei di cui fa parte Tv2000.

Il grande freddo era scoppiato nel 2009 con l’affaire Boffo, l’opera di distruzione mediatica del direttore di Avvenire portata avanti da Il Giornale come contromossa per le critiche del quotidiano della Cei alla condotta morale di Berlusconi. In quell’occasione fu rimproverato a Bertone di non aver difeso Boffo, con Bagnasco che sembrò non apprezzare alcune uscite pubbliche del direttore de L’Osservatore Romano, Giovanni Maria Vian, circa la linea editoriale di Avvenire.

Da qualche tempo gli attriti tra le due entità e i loro massimi rappresentanti si sono appianati, complici gli ultimi scandali che hanno investito il Vaticano e l’opera di riappacificazione fortemente voluta in maniera personale da Ratzinger. Proprio la decisione del papa, annunciata in piena campagna elettorale, sembra voler indicare ai porporati tricolore di badare meno alla politica del loro Stato di provenienza.

All’alba di un conclave con un vescovo di Roma «nascosto al mondo» Bagnasco, Bertone e Scola rappresentano la portanza italiana. Il primo per il collegio episcopale, il secondo per la Curia e il terzo per i movimenti.

Una quarta figura appare, più mite. Pastore ma da anni curiale, il grande pubblico lo conobbe per il pianto mostrato alle tv dopo la morte di Wojtyla, anche se un’ombra è caduta su di lui nello scandalo Vatileaks, fu accusato di essere tra gli ispiratori dell’ex-maggiordomo del papa Paolo Gabriele. È riapparso mercoledì, imponendo le ceneri a Benedetto. Angelo Comastri, 69 anni, da Grosseto. Il suo motto è Deus charitas est.



Sabato 16 Febbraio,2013 Ore: 22:09
 
 
Commenti

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 16/2/2013 22.33
Titolo:PRE-CONCLAVE. Papa Ratzinger delinea la figura del successore ....
Papa Ratzinger delinea la figura del successore

di Gian Guido Vecchi (Corriere della Sera, 16 febbraio 2013)

Il cardinale Christoph Schönborn, anche lui «sorpreso» e insieme ammirato per «l’immenso senso di responsabilità» del Papa, dice da Vienna che il «motto» del pontificato di Joseph Ratzinger, che fu suo professore di teologia, «si potrebbe riassumere nell’espressione: "Riflessione dell’essenziale"».

Benedetto XVI non intende interferire nell’elezione del successore, dopo le 20 del 28 febbraio rimarrà «nascosto al mondo», ma le sue parole e gesti di questi giorni sono destinati ad avere un peso. Il calendario degli impegni prosegue immutato e ieri Benedetto XVI ha ricevuto in udienza i vescovi liguri guidati dal cardinale Angelo Bagnasco, oggi accoglierà i lombardi con l’arcivescovo di Milano Angelo Scola, da domenica sera e per tutta la settimana parteciperà con la Curia agli esercizi spirituali che quest’anno ha voluto affidare al cardinale Gianfranco Ravasi, il 25 vedrà in udienza privata «altri cardinali» e la mattina del 28 li saluterà tutti quanti nella Sala Clementina prima di andare a Castel Gandolfo e lasciare i porporati a discutere in vista dell’ingresso nella Sistina.

La situazione è inedita ma il Papa a un tempo rassicura e raccomanda: «La figura di Pietro non tramonta», ha spiegato ieri ai vescovi. «Ci ha esortato ad essere tanto uniti alla Chiesa e a saper pregare, perché la promessa di Gesù a Pietro è una promessa che non viene meno», ha raccontato alla Radio Vaticana il vescovo di Ventimiglia Alberto Maria Careggio. La preghiera, l’unità della Chiesa. Già nella declaratio sulla sua «rinuncia» Ratzinger aveva tratteggiato una sorta di profilo del successore: occorre avere «nel corpo e nell’animo» il «vigore» necessario ad affrontare «rapidi mutamenti» del «mondo di oggi». Un mandato in positivo a proseguire le «vere riforme».

Certo «non è una resa», dice al Tg2 il cardinale Angelo Bagnasco: «Il Papa ha affrontato momenti difficilissimi rispetto all’oggi, problemi che tutti conosciamo. Se la chiave di lettura fosse quella di una fuga, di una resa, lo avrebbe fatto molto prima e non adesso, in un momento sostanzialmente più tranquillo».

Una decisione, quella di Benedetto XVI «presa in coscienza davanti a Dio, in totale libertà e motivata unicamente per il bene della Chiesa», ha scritto il cardinale Angelo Scola in una lettera che domani sarà letta in tutte le chiese della diocesi di Milano. «Di fronte all’inaspettato e umile gesto di Benedetto XVI non sono importanti i sentimenti che, sul momento, hanno occupato il nostro cuore. Conta la limpidezza del gesto di fede e di testimonianza del nostro caro Papa. Esso si è subito imposto, a noi e a tutto il mondo».

I cardinali lo dovranno ascoltare, e non si tratta solo di un omaggio dovuto. L’invito (ripetuto) all’unità della Chiesa è nelle cose: il quorum fisso di due terzi voluto da Ratzinger, 78 voti su 117, impone che la scelta cada su un candidato di equilibrio tra le varie anime del conclave. A papabili «forti» come Scola e il canadese Marc Ouellet si affiancano così personalità come Ravasi e Schönborn, lo stesso Bagnasco, il newyorchese Timothy Dolan e l’astro crescente del giovane filippino Luis Antonio Gokim Tagle, 55 anni, di madre cinese, considerato una sorta di Wojtyla d’Oriente. La Chiesa guarda alla Cina, del resto. «Il giorno prima della rinuncia, il Papa ha inviato una benedizione e i suoi auguri alle popolazioni che celebravano il Nuovo anno lunare, in particolare ai cinesi in ogni nazione», ricorda ad Asianews il cardinale John Tong, vescovo di Hong Kong e primo cinese della storia a partecipare a un conclave.

Benedetto XVI si prepara a una vita riservata di preghiera e studio prima a Castel Gandolfo e poi nel monastero in Vaticano. Ma non sarà isolato. Il neoarcivescovo Georg Gänswein sarà una sorta di trait d’union tra il prossimo Papa e il predecessore: ha deciso di alloggiare come Ratzinger nel monastero e continuare ad aiutarlo e insieme, in quanto prefetto della Casa pontificia, lavorerà a stretto contatto con il nuovo Pontefice.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 16/2/2013 23.35
Titolo:Identikit del futuro papa: l’appello di 2.000 teologi
Identikit del futuro papa: l’appello di 2.000 teologi (Adista)

Sono arrivate a quasi 2mila le adesioni ad un documento di teologi cattolici di tutto il mondo, lanciato nell’ottobre scorso in occasione dei 50 anni dell’apertura del Concilio Vaticano II, che traccia l’identikit del futuro papa e le priorità del prossimo pontificato.

Da Hans Küng a Leonardo Boff, da Paul Knitter a mons. Calsaldáliga, da Peter Phan a Paul Collins, tutti i più grandi nomi della teologia cattolica compaiono in calce a un documento che torna prepotentemente di attualità in questi giorni precedenti al conclave. Di seguito il testo integrale.

Molti insegnamenti del Vaticano II non sono stati affatto, o solo parzialmente, tradotti in pratica. Questo è dovuto alla resistenza di certi ambienti, ma anche, in una certa misura, alla irrisolta ambiguità di alcuni documenti del Concilio. Una delle principali cause della stagnazione odierna dipende dal fraintendimento e abuso nell’esercizio dell’autorità nella nostra Chiesa. In concreto le seguenti tematiche richiedono una urgente riformulazione:

Il ruolo del papato necessita di una chiara ri-definizione in linea con le intenzioni di Cristo. Come supremo pastore, elemento unificante e principale testimone di fede, il papa contribuisce in modo essenziale al bene della chiesa universale. Ma la sua autorità non dovrebbe mai oscurare, diminuire o sopprimere l’autentica autorità che Cristo ha dato direttamente a tutti i membri del popolo di Dio.

I vescovi sono vicari di Cristo e non vicari del papa. Essi hanno la diretta responsabilità del popolo delle loro diocesi, e una condivisa responsabilità con gli altri vescovi e con il papa, nell’ambito dell’universale comunità di fede. Il sinodo centrale dei vescovi dovrebbe assumere un più decisivo ruolo nel pianificare e guidare il mantenimento e la crescita di fede nel nostro mondo così complesso.

Il Concilio Vaticano II ha prescritto collegialità e co-responsabilità a tutti i livelli. Questo non è stato messo in atto. I vari organismi presbiterali e consigli pastorali, previsti dal Concilio, dovrebbero coinvolgere i fedeli in modo più diretto nelle decisioni riguardanti la formulazione della dottrina, l’esercizio del ministero pastorale e l’evangelizzazione nell’ambito della società secolare.

L’abuso di coprire posti di guida nella chiesa con soli candidati di una determinata mentalità è una scelta che dovrebbe essere sradicata. Al suo posto dovrebbero essere formulate e monitorate nuove norme che assicurino che le elezioni a queste cariche siano condotte in modo corretto, trasparente e il più possibile democratico.

La curia romana ha bisogno di una riforma più radicale in linea con le istruzioni e la visione del Vaticano II. La curia si dovrebbe limitare ai suoi utili ruoli amministrativi ed esecutivi. La congregazione per la dottrina della fede dovrebbe essere coadiuvata da commissioni internazionali di esperti, scelti indipendentemente, per la loro competenza professionale.

Questi non sono tutti i cambiamenti necessari. Ci rendiamo anche conto che l’attuazione di queste revisioni strutturali necessitano una elaborazione dettagliata in linea con le possibilità e le limitazioni delle circostanze presenti e future. Sottolineiamo, però, che le riforme, sintetizzate qui sopra, sono urgenti e la loro attuazione dovrebbe partire immediatamente.

L’esercizio dell’autorità nella nostra chiesa dovrebbe emulare gli standards di apertura, responsabilità e democrazia raggiunti nella società moderna. La leadership dovrebbe essere corretta e credibile; ispirata dall’umiltà e dal servizio; con una trasparente sollecitudine per il popolo invece di preoccuparsi delle regole e della disciplina; irradiare Cristo che ci rende liberi; prestare ascolto allo Spirito di Cristo che parla e agisce attraverso tutti e ciascuno
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/2/2013 07.34
Titolo:GIAMBATTISTA VICO. TRA "CHARITAS" E "CARITAS", UNA DIFFERENZA ABISSALE.
TRA "CHARITAS" E "CARITAS", UNA DIFFERENZA ABISSALE. La lezione di Giambattista Vico
- MEMORIA FILOLOGICA E TEOLOGICA. GESU’, IL FIGLIO DELLA GRAZIA DI DIO ("CHARITAS") O IL "TESORO" DI "MAMMONA" ("CARITAS") E DI "MAMMASANTISSIMA" DEI FARAONI DI IERI E DI OGGI?!! *

A Karol J. Wojtyla, in memoria: "Se mi sbalio, mi corigerete" (Giovanni Paolo II)

GIAMBATTISTA VICO "fa una netta distinzione tra carus - caritas rispettivamente col valore di ’caro, costoso, di alto prezzo’ e ’carestia, scarsità’ da una parte, e charus - charitas rispettivamente col valore di ’grazioso, amabile, richiesto’ e ’grazia, amore di Dio’ dall’altra, perché per il Vico questi due ultimi termini derivano etimologicamente" dai termini greci ’charìeis’ e ’charis’

* cfr. G. Vico, Varia: Il ’De Mente Heroica’ e gli scritti latini minori, a cura di Gian Galeazzo Visconti, Alfredo Guida Editore, Napoli 1996, p. 31.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/2/2013 09.58
Titolo:PAROLA A RISCHIO. Risalire gli abissi ...
- PAROLA A RISCHIO
- Risalire gli abissi
- La salvezza è per tutti. Alla portata di tutti.
- Perché è sorriso, liberazione, gioia.

- di Giovanni Mazzillo (Teologo) *

G come gioia, come Gesù, respiro di gioia per tutti gli infelici della terra. Parliamo di Gesù, il cui corrispondente nome greco Iesoûs deriva direttamente dall’originale ebraico Je(ho)šhu e significa JHWH salva, per precisare immediatamente che il termine salvezza oggi non significa gran che per i nostri contemporanei, e di conseguenza risuona poco interessante persino quel nome, pur originariamente portatore di una gioia immensa e inaudita. Ciò avviene non solo per l’inevitabile logorio delle parole più usate e talora abusate, ma per il fatto che ha perso rilevanza e pertanto significato il valore stesso della “salvezza”.

Salvezza Salvezza da chi e/o da che cosa? Appunto, è questo il primo problema. La salvezza appare di primo acchito un concetto immediatamente derivato dal superamento di una situazione negativa, Si salva, o come succede in questo caso, viene salvato, qualcuno che si trova in una situazione di pericolo. Il pericolo di perdere qualcosa, di perdere se stesso. Di essere cancellato, di sparire, appunto come sparisce da un computer un testo non “salvato” o un’immagine non messa al sicuro. Ma essere salvati è per noi persone umane, e pertanto non riducibili a una traccia di codificazione binaria o algoritmica, molto di più che conservare un’impronta e una presenza. Coerentemente con la nostra realtà dinamica e relazionale, essere salvati significa avere un luogo, un senso, una rilevanza nel contesto di una realtà che giustifica, sorregge, garantisce il mantenimento e la crescita qualitativa, e pertanto il conseguente riconoscimento di un originario, inalienabile, imprescindibile valore personale.

La domanda «Chi o che cosa si può dire oggi salvato?» esige pertanto una primordiale differenziazione. Altro è il concetto di ciò che è salvato (cioè il dato messo al sicuro), ben altro è l’essere umano salvato. Questi non è solo garantito in ciò che ha di più proprio e pertanto è distinto dal mero “dato”, che invece è una sorta di file compilato (non per nulla in tedesco proprio il file è chiamato Datei, leggi datai, cioè «rea-ltà data»). L’essere umano è tale solo in un incontro, in una relazione. La persona è tutta nelle relazioni delle quali vive. Proprio la relazionalità sorregge il senso e la gioia del suo esistere.

L’annuncio di Gesù, già nella sua venuta in questo nostro mondo, è l’annuncio di una relazionalità umana felicemente riuscita. Nel Vangelo è direttamente collegato alla Grazia, termine che esprime tutto ciò e anche qualcosa di più.

Nell’annuncio della sua nascita, diversamente da quanto appare nella traduzione latina, e in quella italiana da essa derivata, nella preghiera più popolare che ci sia, Maria è salutata non con il saluto che si dava all’imperatore, alle autorità o anche agli amici con l’esclamativo «Ave!», bensì con l’invito a rallegrarsi, cioè a gioire (chaîre): a entrare in un circuito di esultanza per un dono gratuito e inatteso. Colei che è piena di grazia (kecharitōménē) è invitata a rallegrarsi perché tutto in lei è frutto ed espressione della «grazia» (cháris), cioè di un dono amorevole quanto sorprendente, che sarà presto annuncio di gioia per tutto il popolo e per ogni uomo: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù...”. L’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia...» (Lc 1,30-31; 2,10-11).

Il resto del Vangelo, soprattutto quello di Luca, evidenzia la gioia improvvisa e incontenibile che contagia quanti vengono a contatto con Ješhu. A cominciare da Elisabetta e dal suo bambino, che le esulta nel grembo, il futuro Battista. Così esultano ancora due anziani che sembrano essere rimasti in vita per mantenere viva la speranza d’Israele: Simeone e Anna, o i pastori; mentre nel racconto di Matteo, viene detto che i Magi “provarono una grandissima gioia” nel rivedere la stella che indicava il luogo della natività di Gesù.

La stessa gioia è testimoniata dai semplici e dagli umili, dagli infelici e dai peccatori che si sentono aiutati, capiti, perdonati. A gioire sono ancora i bambini e le donne, classi tradizionalmente neglette dalla piena partecipazione alla grazia collegata alle tradizionali benedizioni di Dio. Insomma il cuore del Vangelo è la lieta notizia annunciata ai bisognosi e agli infelici della terra. Il Dio che si dona totalmente, è il Dio che dona illimitatamente la gioia agli uomini. E perché la nostra gioia fosse piena (Gv 15,11), il Figlio di Dio è arrivato umanamente a perdere se stesso.

Perché avessimo una gioia che nessuno avrebbe mai più potuto toglierci, ha permesso che fosse tolta a lui la vita, per riprenderla di nuovo, ma con la conoscenza ormai nella sua carne e nella sua psiche di cosa significhi la morte umana. Di cosa voglia dire la gioia di vivere, di vivere non con il naturale sorriso con cui vive ogni creatura per la stessa gioia dell’esistere, ma di provare e diffondere la gioia di chi conosce la sofferenza e non resta inchiodato alla sofferenza. O al limite, di chi, nonostante le ferite e talora i chiodi mai interamente rimossi della sofferenza, sa sorridere della vita, perché questa è ormai rischiarata da colui che vince la morte e la depressione della sofferenza.

La gioia è dunque uno dei nomi della salvezza, ma di una salvezza che assume di volta in volta nomi nuovi e nomi antichi: riscatto, liberazione, sensatezza, leggerezza dell’esistere... Se la parola non fosse tanto inflazionata, si potrebbe dire che la salvezza altro non è che la felicità. È la felicità nel suo senso etimologico: come abbondanza e fertilità. Possiamo tradurre: come vita sensata che raggiunge il suo scopo e nasce da relazioni benevole, tendenti al bene altrui, trovando negli altri la propria gioia e comunicandola con relazioni che fanno crescere se stessi e gli altri.

In quanto tale, la felicità è simile alla pace e ne è la forma storica: è star bene con sé e con gli altri, con il proprio passato e con il proprio futuro. Perché, soprattutto oggi, c’è bisogno paradossalmente più di ricostruire il futuro che il passato o il presente. Per poterlo fare c’è bisogno di quella gioia consapevole che non si arrende e che non si ripiega su se stessa. Si ritrova nel futuro di una convivenza che non nasconde, ma sa riconoscere e superare i conflitti attraverso uno sguardo d’amore verso ciò che ci è intorno. È uno guardo che viene da lontano e tuttavia tocca la nostra umanità, questa mia e questa tua umanità, quella assunta, attraversata e come divinizzata da quel Gesù che continuamente dà senso a ogni tentativo di superare la violenza con l’amore. È l’unico a dar senso a ogni discorso di pace, anche questo che hai appena finito di leggere.

* MOSAICO DI PACE, LUGLIO 2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/2/2013 18.51
Titolo:L'ATTUAZIONE DEL CONCILIO ....
Se la magia del sacro è sconfitta

di Raniero La Valle (il manifesto, 17 febbraio 2013)

Quasi volesse non farsi rimpiangere, il papa alla fine si è lasciato andare ad una confidenza che ha svelato tutta la difficoltà che sul piano personale egli ha avuto nel vivere il Concilio come una delusione. Nella «chiacchierata» in cui ha raccontato come lui «ha visto» il Vaticano II, c’è forse la chiave per capire come non gli bastassero più le forze per guidare una Chiesa che, come aveva detto nel 2005 nel suo primo discorso alla curia, nel Concilio aveva avuto la sua vera «discontinuità» riconciliandosi con l’età moderna, quella modernità che egli non ha invece ancora accettato e che patisce come «relativismo».

Questo risvolto personale del suo difficile rapporto col Concilio, che già era venuto fuori in un suo discorso estivo, in montagna, al clero del Triveneto, quando aveva negato che dal Concilio potesse scaturire «la grande Chiesa del futuro», è emerso con grande sincerità nel suo discorso di giovedì a un altro clero particolare, quello di Roma. Al presbiterio di cui, come vescovo di Roma, è il capo, Benedetto XVI ha voluto parlare come se fosse uno dei vescovi che aveva partecipato al Concilio, sul filo dei ricordi personali, piuttosto che con «un grande, vero discorso» da papa.

Da questa confidenza risulta che nel vissuto di Ratzinger non c’è stato un solo Concilio, ma ci sono stati diversi concili. Il primo, l’unico che gli sia veramente piaciuto, è stato quello dell’entusiasmo iniziale, quando «speravamo che tutto si rinnovasse, che venisse veramente una nuova Pentecoste». Il secondo è quello soprattutto condotto dall’«alleanza renana», cioè dai vescovi francesi, tedeschi, belgi, olandesi, che vi hanno introdotto i temi «più conflittuali», come quello del rapporto tra papa e vescovi (con quella discussa parola, «collegialità», a cui forse Ratzinger avrebbe preferito «comunione»), la «battaglia» sul rapporto tra scrittura e tradizione, la «lite» sull’esegesi che tenderebbe «a leggere la scrittura fuori della Chiesa, fuori della fede», l’ecumenismo.

Poi c’è stato il terzo Vaticano II, in cui «sono entrati con grande forza nel gioco del Concilio» gli americani degli Stati Uniti e dell’America Latina, l’Africa, l’Asia: ed è stata la fase della responsabilità per il mondo, della libertà religiosa, del dialogo tra le religioni, per cui «sono cresciuti problemi che noi tedeschi all’inizio non avevamo visto»; e sono nate le grandi questioni del rapporto non solo con gli ebrei, ma con l’Islam, il buddismo, l’induismo; e qui la cosa che è ancora «da capire meglio» è il rapporto tra la sola vera religione e le altre di cui un credente non può pensare, secondo il papa, che «siano tutte varianti di un tema», anche se le esperienze religiose portano «una certa luce della creazione». Molti problemi aperti dal Concilio sono dunque ancora «da studiare» e molte applicazioni non sono ancora complete, sono «ancora da fare».

Ma la contraddizione principale che il papa dice di aver vissuto, è stata tra il «vero Concilio», che era quello dei padri e il Concilio dei media. Il primo era un Concilio della fede che si realizzava nella fede, il secondo era il Concilio dei giornalisti che si realizzava non nella fede, ma nelle categorie politiche di una lotta per il potere nella Chiesa. Starebbe nel fatto che il Concilio giunto alla Chiesa, reso accessibile a tutti, fosse quello dei giornalisti e non quello «reale», la vera causa della crisi della Chiesa: «tante calamità, tanti problemi, realmente tante miserie: seminari chiusi, conventi chiusi, liturgia banalizzata»; sarebbe questo Concilio dei media che avrebbe invaso le chiese, profanato la liturgia, negato il culto, trasformato il «popolo di Dio» nella «sovranità popolare», messo fine alla religione del sacro, intesa come «cosa pagana».

Sicché il vero Concilio, l’ultimo, starebbe arrivando ora, dopo 50 anni, che sono i decenni in cui i vescovi se ne sono stati a casa, la Chiesa è stata sottoposta alla robusta cura romana, la controriforma è giunta a buon punto, la liturgia restaurata e i giornalisti, non dovendo più misurarsi con la missione e la fede della Chiesa, sono tornati a fare i «vaticanisti».

È un peccato che su questo punto cruciale dei media il Papa sia male informato e forse, allora, non abbia capito il Concilio. Ed è singolare che oggi si attribuiscano tutti i mali della Chiesa a quelli che, nelle due prime parole del primo documento del Concilio, Inter mirifica , erano definiti «cose meravigliose», cioè appunto i mezzi di comunicazione sociale. È vero invece che si è rischiato che ci fossero due Concili: un Concilio dei padri, e un Concilio dei media.

Ma questo era il progetto della Chiesa preconciliare, che aveva creduto di nascondere il Concilio chiudendone le porte e decretandone il segreto, lasciando ai giornali la sola via dello «scoop»; ma questo finì subito, all’inizio della seconda sessione, quando il segreto fu rotto, e il Concilio irruppe nella coscienza dei fedeli e nel popolo di Dio, che nessuno mai pensò di paragonare al popolo sovrano, come nessuno interpretò le discussioni teologiche sulla sacramentalità dell’episcopato e la successione dei vescovi al collegio degli apostoli come una «lite» o lotta di potere, come ora il papa rivela che per molti sia stato, dicendo addirittura che nel Concilio dei padri «forse qualcuno ha anche pensato al suo potere».

E quello che allora il giovane prof. Ratzinger non vide fu che tra i giornalisti che «fecero» il Concilio c’erano uomini di grandissima fede: per esempio l’abbé Laurentin, mariologo, per Le Figaro , Jean Fesquet e poi Nobécourt per Le Monde , Grootaers per l’Olanda, Juan Arias per El Pais , e tra gli italiani cristiani come Giancarlo Zizola, Ettore Masina, Lamberto Furno, e anche Gianfranco Svidercoschi, che poi addirittura diventò vicedirettore dell’ Osservatore Romano ; e padre Caprile della Civiltà Cattolica ; e padre Roberto Tucci, oggi cardinale, e mons. Clemente Riva, poi vescovo ausiliare di Roma, che ogni giorno informavano i giornalisti italiani dei contenuti, e non solo delle coreografie, dei lavori.

Quanto a me, se è lecito aggiungere ricordi a ricordi, papa Giovanni scrisse sul suo diario, dopo avermi ricevuto una mattina dell’agosto 1961: «Ho ricevuto il giovane (30 anni!) direttore dell’ Avvenire d’Italia , una promessa per la causa cattolica»; e L’Avvenire d’Italia, a spese della Santa Sede, fu mandato a tutti i padri conciliari per tutto il corso del Concilio, e non credo che ciò fosse per spiantare la Chiesa.

Ma io ora sono grato al papa che ci lascia, perché andandosene ci dice che proprio questo è il problema: l’attuazione del Concilio, la fede per l’età moderna, una Chiesa non incapsulata nella magia idolatrica del sacro.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 18/2/2013 10.13
Titolo:I giochi stanno appena iniziando, ma uno ha una marcia in più
Da oggi i giochi stanno appena iniziando, ma uno ha una marcia in più

di Giulio Anselmi (la Repubblica, 18 febbraio 2013)

“Da oggi ha una marcia in più”. Il commento che si coglieva ieri sera tra cardinali, vescovi e monsignori di Curia, all’uscita della cappella Redemptoris Mater, opera dai toni bizantini realizzata all’inizio di questo secolo dal gesuita sloveno Rapnik, si riferiva al cardinale Gianfranco Ravasi.

Non tanto per quello che aveva appena detto col suo amabile garbo di uomo di cultura, nel corso della prima predica degli esercizi spirituali vaticani, su ars orandi e ars credendi. Ma perché il fatto di parlare tre volte al giorno, fino a sabato mattina, davanti a un consesso che comprende i futuri elettori del Conclave (e con Benedetto XVI che assiste senz’essere visto da una stanza con affaccio sui presenti) conferisce alle sue parole e alla sua persona un peso crescente.

Ravasi era stato prescelto da tempo per “dare” gli esercizi, un incarico prestigioso e delicato nel mondo religioso, e veniva già inserito in quasi tutte le liste dei papabili, ma da ieri ha una diversa caratura. Può costruirsi, nei fatti, una piattaforma elettorale. E quelli che dicevano di lui «gran testa, uomo squisito, ma se gli chiedessi com’è fatta una parrocchia non saprebbe rispondere» continueranno a mormorare, ma abbassando la voce.

Il dibattito, che si è infittito assieme al prender corpo dell’accelerazione delle votazioni per il prossimo papa, non riguarda naturalmente solo le qualità pastorali del prelato milanese.

La straordinaria presenza di un Pontefice in carica, con tutti i dubbi di ordine teologico, ecclesiastico, politico e pratico che l’accompagna, ha finora un po’ distratto l’attenzione dai temi della successione ma, poco a poco, prendono corpo alcuni schemi. C’è un imbarazzo generale per il fatto che non esiste una candidatura che si imponga con gran forza.

«Oggi non c’è un Ratzinger», sintetizza un vescovo italiano da poco romanizzato, dimenticando che otto anni fa anche quella candidatura non passò immediatamente, «quindi non si può parlare solo delle persone». In questa logica i primi conciliaboli enumerano le qualità richieste al successore: che abbia capacità pastorale, che sia in salute, che sia dotato di grande correttezza dottrinale ma anche in grado di trascinare, di trasmettere forza e speranza. Che abbia capacità di governo.

Qui emerge la critica, durissima, non solo a papa Ratzinger ma anche al suo predecessore Wojtyla: nessuno degli ultimi due pontefici ha saputo gestire la Curia. È una valutazione molto diffusa: già martedì, all’indomani dell’annuncio-shock, alcuni prelati vicini all’Opus Dei avevano scavalcato le rituali considerazioni laudatorie sull’addio, per confessare sinceramente: «Beh, almeno si è mosso qualcosa. C’era uno stallo mortale».

L’ultima caratteristica considerata necessaria al nuovo papa va sottolineata: occorre che conosca l’italiano. Che vuol dire, al di là dell’ovvia necessità che il vescovo di Roma riesca a farsi capire dai suoi fedeli? Per molti sacerdoti di diverso grado attivi nei 186 Paesi in cui la Chiesa cattolica è presente - ma anche nella Curia di Roma - i cardinali italiani hanno fornito un gramo spettacolo della loro divisione. E la corsa finale per lo Ior ne ha rappresentato l’ultimo atto.

Come se non bastasse a ciascuno dei papabili “di casa” viene trovato un punto debole: all’arcivescovo di Genova Bagnasco la scarsa dimestichezza con le lingue straniere, al cardinale di Milano Scola la vicinanza a Comunione e Liberazione, cui certo non giova lo scandalo in cui sta affogando Formigoni col suo sistema di potere.

Alla Cei è facile trovare monsignori che giurano sull’esistenza di molti prelati stranieri per i quali i porporati italiani sono, malgrado tutto, i più “equilibrati”e, quindi, i preferibili. Ma potrebbe trattarsi di spirito di corpo. O di scaramanzia. I giochi stanno appena iniziando

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Dottrina della fede secondo Ratzinger

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