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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org L'ORDINE SACERDOTALE E LE DONNE. IL CASO LERICI: LA PUNTA DI UN ICEBERG. Don Corsi insiste: ho scritto quello che penso. Un'intervista di Marco Preve con note di Jolanda Bufalini e Carlo di Foggia - con appunti ,a c. di Federico La Sala

EMERGENZA ANTROPOLOGICA: DONNE, UOMINI, VIOLENZA. LA REGINA MADRE ELENA E IL FIGLIO COSTANTINO:   L’ORDINE SIMBOLICO DELLA MADRE, L’ALLEANZA DEL FIGLIO CON LA MADRE, REGNA ANCORA COME IN TERRA COSI’ IN CIELO ....
L'ORDINE SACERDOTALE E LE DONNE. IL CASO LERICI: LA PUNTA DI UN ICEBERG. Don Corsi insiste: ho scritto quello che penso. Un'intervista di Marco Preve con note di Jolanda Bufalini e Carlo di Foggia - con appunti 

Queste idee il parroco di Lerici se le è fatte frequentando un sito che non nasconde, dietro la facciata, la propria simpatia per tutte le tematiche fasciste e razziste (...) . Su Pontifex era stato pubblicato un commento alla lettera apostolica «Mulieres dignitatem» di cui, infatti, il volantino esposto in bacheca, è un estratt (...). 


a c. di Federico La Sala

COSTANTINO, SANT’ELENA, E NAPOLEONE. L’immaginario del cattolicesimo romano.

"È significativo che l’espressione di Tertulliano: "Il cristiano è un altro Cristo", sia diventata: "Il prete è un altro Cristo"" (Albert Rouet, arcivescovo di Poitiers, 2010).

CIVILTA’ DELL’AMORE E VOLONTA’ DI GUERRA. DOPO GIOVANNI PAOLO II, IL VATICANO SOPRA TUTTO E CONTRO TUTTI. Il "peccato originale" e la "mala fede" antropo-teo-logica di Papa Ratzinger

DONNE, UOMINI, E VIOLENZA. PARLIAMO DI "FEMMINICIDIO".

PER UN RI-ORIENTAMENTO ANTROPOLOGICO, TEOLOGICO E POLITICO... (fls)


-  Il prete e le donne: «Violenza? Se la cercano»
-  A Lerici affigge volantino shock sul femminicidio. Poi dà del «frocio» a un cronista. Il foglio viene «ritirato» dopo le polemiche. Ma la vergogna resta

-  di Jolanda Bufalini (l’Unità, 27.12.2012)

ROMA Come possa una donna uccisa dal marito o fidanzato fare autocritica non si capisce, ma la logica non è il punto forte don Piero Corsi, parroco di San Terenzio a Lerici. Il parroco è autore di uno scritto appiccato alla porta della chiesa della bella cittadina della riviera di Levante. L’ardita tesi sostenuta è che le donne vittima di violenza devono fare autocritica perché «provocano». Le donne che portano «abiti succinti», che «si sentono indipendenti», che non cucinano, non accudiscono i figli, che si comportano «con arroganza», secondo il parroco, devono fare «un sano esame di coscienza» perché, magari, se «la sono andata a cercare». Don Piero, che dovrebbe fare il pastore di anime, nella confusa riflessione, mette tutto insieme, la violenza sessuale e l’uccisione della donna in quanto tale, quella che vuole lasciare il fidanzato o separarsi, che accudisce i figli, spesso vittime anche loro di uomini violenti. E, per additare le donne piuttosto che chi le aggredisce usa l’argomento più trito che si conosca, la «provocazione», l’abito «succinto».

Forse Don Piero è in cerca di una facile visibilità mediatica, perché non è nuovo all’espressione di punti di vista eclatanti quanto grossolani e razzisti. Qualche mese fa ha messo in bacheca le vignette contro i mussulmani che hanno provocato le rivolte nei paesi arabi. In un’altra occasione se l’è presa con un clochard. Ieri, interpellato da un giornalista che gli ha telefonato per conoscere il motivo di quel volantino esposto alla vigilia di Natale, se l’è presa anche con gli omosessuali: «Come reagisci tu di fronte a una donna nuda? O sei fr..?».

Queste idee il parroco di Lerici se le è fatte frequentando un sito che non nasconde, dietro la facciata, la propria simpatia per tutte le tematiche fasciste e razziste, che si chiama «Pontifex», noto per le prese di posizione omofobe e per la lettura delle tragedie come «castigo di Dio». Su Pontifex era stato pubblicato un commento alla lettera apostolica «Mulieres dignitatem» di cui, infatti, il volantino esposto in bacheca, è un estratto. E ieri il sito ha preso le difese del parroco: se ci sono i femminicidi o tutti gli uomini sono impazziti oppure la colpa è nel comportamento delle donne.

La violenza di questa presa di posizione contro le donne, l’uso della bacheca di una chiesa, ha fatto indignare la presidente di «telefono rosa», Maria Gabriella Carnieri Moscatelli: «Chiediamo alle massime autorità civili e religiose che si attivino perchè venga immediatamente rimosso il manifesto affisso dal parroco che riteniamo una gravissima offesa alla dignità delle donne».

Ha protestato anche Mara Carfagna, ex ministro nel governo Berlusconi alle pari opportunità: «Ancora una volta qualcuno si è permesso di attribuire alle donne la responsabilità della violenza che troppo spesso gli uomini commettono su di loro. Ciò che più mi rattrista, e lo dico da cattolica, è che, questa volta, si sia provato a far risalire questa assurda teoria alla dottrina della Chiesa. Niente di più falso». Considerazioni diverse sono venute da Silvio Viale, presidente dei radicali italiani: «Bisogna rompere la convinzione diffusa che le azioni violente contro le donne siano reazioni a provocazioni, inevitabilmente determinate da una crescente emancipazione e da una maggiore libertà di costume». Secondo il radicale questo non è vero nemmeno delle pubblicità definite «offensive» contro cui si fanno delle campagne: «Il problema è quello di una corretta informazione».

LA SPARIZIONE DALLA BACHECA

Ieri mattina il volantino era sparito dalla bacheca e, in serata, il vescovo di La Spezia, Luigi Ernesto Palletti, ha spiegato: «Appena appresa la notizia dell’affissione della locandina contenente le affermazioni che conducono a dare un’errata lettura dei drammatici fatti di violenza sulle donne, ho subito dato disposizione che la stessa fosse prontamente rimossa. In nessun modo infatti può essere messo in diretta correlazione qualunque deprecabile fenomeno di violenza sulle donne con qualsivoglia altra motivazione, nè tantomeno tentare di darne una inconsistente motivazione». «A tal proposito continua il vescovo ritengo doveroso cogliere l’occasione per invitare tutti a prendere sempre più coscienza di questo inaccettabile fenomeno perchè non si debbano più ripetere fatti di violenza sulla donna come quelli che nell’anno ormai trascorso hanno drammaticamente segnato la vita del nostro Paese».

Resta lo shock per una parrocchia affidata a un personaggio che, solo dopo le parole del vescovo, ha chiesto scusa. Alessandra Servidori, Consigliera nazionale di parità del ministero del Lavoro: «Anziché chiedere scusa delle farneticanti parole contro le donne, il parroco di Lerici insiste nella sua crociata inquisitoria più degna di un coatto da bar che di un pastore della Chiesa. Mi auguro che non solo l’opinione pubblica ma anche le autorità ecclesiastiche sappiano e vogliano tutelare la dignità e la libertà della donna la cui avvenenza non è certo una provocazione ma un dono di Dio».


Don Corsi insiste: ho scritto quello che penso, le ragazze in abiti discinti scatenano i nostri istinti

“I maschi sono violenti per natura sta alle donne non provocarli”

di Marco Preve (la Repubblica, 27.12.2012)

LERICI - «Non volevo offendere nessuno ma finiamola con questa ipocrisia. Si sa che il maschio è violento e la donna non deve provocare».

Don Piero Corsi è un marcantonio che l’abito talare rende ancor più imponente. Ha appena aperto il cancello elettrico di villa Carafatti, la casa di riposo per anziani di Lerici dove ha l’alloggio di servizio, e sta salendo sulla sua Fiat Multipla blu scuro.

Don Piero buongiorno, possiamo parlare un momento del volantino?

«Voi giornalisti siete bugiardi e strumentalizzate ogni cosa, altro che galera ci vorrebbe la pena di morte».

Molte donne, si sono sentite offese dalle sue parole.

«Siete voi che avete strumentalizzato le mie opinioni, ed è l’ennesima volta».

Guardi che nessun giornalista controlla la sua bacheca, sono le sue parrocchiane che hanno telefonato ai giornali.

«Allora diciamo le cose come stanno - don Piero lascia acceso il motore della Multipla ed esce dall’abitacolo - . La mia era soltanto un’opinione, non stavo svolgendo il mio compito leggendo o interpretando il vangelo, invece, come spesso faccio, ho voluto commentare un tema molto discusso in questi tempi».

Lei però non è uno al bar, è il parroco del paese, una delle istituzioni delle nostre comunità.

«E allora? Vuol dire che non ho diritto a esternare il mio pensiero?».

Appunto il suo pensiero, proprio in un periodo in cui molte donne sono vittime di violenze da parte degli uomini.

«Intanto bisogna leggere tutto il testo che ho scritto dove ho detto che gli uomini violenti vanno puniti eccome, messi in galera, ma il discorso è un altro... ».

Quale?

«Quando vedo, quando vediamo tutti noi donne o ragazzine in abiti discinti, è la dignità delle nostre madri e sorelle che viene maltrattata, umiliata».

Ma lei non parlava solo di dignità, ha messo in correlazione questo tema con le violenze.

«Senta un po’, lei è eterosessuale o gay?».

Ma cosa c’entra?

«Mettiamo che lei veda un donna nuda davanti a lei, che cosa prova? Me lo dica, vuol dirmi che non sente qualcosa, che l’istinto non abbia la meglio?».

C’è il desiderio, ma il buon dio ci ha dato il raziocinio e i freni inibitori.

«Sì va bene, tutto vero, ma la prego, per questa volta pensi e risponda... ecco risponda con i coglioni!».

Don, sembra di essere in caserma, tra l’altro dicono in paese che lei sia un ex militare.

«Macchè militare, non è vero. La verità, invece, è che l’uomo, il maschio, è da sempre violento, non sa trattenere l’istinto, e quindi se la donna lo provoca lui, o almeno molti, tanti, non si sanno controllare».

Ma allora vale per tutto, basta non sapere resistere alla provocazione e giù botte.

«Ma no, non è per tutto così, il problema è solo il richiamo sessuale, è sempre stato e sarà sempre così».

Le sue opinioni però hanno svuotato la chiesa e sono arrivati anche i carabinieri.

«Sono a Lerici da dieci anni, e so che c’è chi mi vuol male, chi mi vuole morto, ma anche tanta gente che mi apprezza. I carabinieri poi non è la prima volta, in un’altra occasione sono venuti in chiesa, mi hanno visto con la tonaca e hanno comunque voluto i miei documenti, come se non mi conoscessero».

Ha messo in difficoltà pure il suo vescovo che le ha fatto ritirare il volantino.

«E cosa voleva che facesse, poveretto? Ci siamo ritrovati tutti e due coinvolti in questo uragano, solo perché ho espresso delle opinioni».

Ma lei era già stato al centro di polemiche, perché lo ha fatto?

«Perché non sopporto quest’ipocrisia, e poi queste campagne recenti sul femminicidio mi sembrano abbiano nel mirino soltanto l’uomo, che vogliano colpirlo. Ma, invece, guarda caso nessuno parla della Cina».

Cosa c’entra la Cina?

«C’entra perché laggiù migliaia di donne muoiono per gli aborti ma a nessuno interessa, forse per ragioni politiche, invece qui da noi c’è questa insistenza sulle donne vittime senza mai interrogarsi sui comportamenti e sui valori della nostra società».


Ultrà cristiani

 

 

Campagna ispirata dai crociati di “Pontifex”

di Carlo Di Foggia (il Fatto, 27.12.2012)

Il femminicidio? “Un’assurda leggenda nera messa in giro da femministe senza scrupoli”. Basterebbe questo assioma per comprendere a pieno Pontifex. roma, “sito di apologetica cristiana” assurto più volte agli onori della cronaca per le infelici invettive dei suoi animatori. Uno su tutti, il fondatore e direttore, Bruno Volpe, barese classe 1961, “giornalista e fotoreporter” iscritto all’ordine dei giornalisti dal 1983 (albo pubblicisti). Il volantino affisso da monsignor Piero Corsi è stato confezionato qui, e porta la firma dello stesso Volpe, ormai avvezzo a questo tipo di iniziative provocatorie. Ultima in ordine di tempo quella sul femminicidio. “Una storiella che non regge - si legge in un post pubblicato ieri sul sito -, e che fa acqua da tutte le parti. Riflettiamo: vero che alcuni uomini hanno perduto la testa e che nessuna legge al mondo può giustificare un delitto ma da parte delle donne ormai assistiamo a comportamenti arroganti, senza alcuna decenza, spesso libertini”.

La colpa, secondo Volpe, non sarebbe solo delle donne ma dei media che amplificano il fenomeno, trasformando episodi di cronaca nera in un un’emergenza nazionale. “Ricordo che l’Italia risulta essere il paese europeo più sicuro per le donne - continua l’articolo - mentre tantissime sono le donne killer o che si abbandonano a gesti inconsulti”. Un aspetto che secondo Volpe viene costantemente ignorato da tv e giornali: un’escalation di “violenza a ruoli invertiti, scarsamente analizzata e fortemente sottostimata”. Volpe cita anche un fantomatico Centro documentazione violenza donne”, un blog che raccoglie dati e notizie di cronaca su episodi di violenza commessi da esponenti del gentil sesso.

Se non fosse per le provocazioni del suo fondatore, “pontifex” sarebbe rimasto uno dei tanti blog (non è una testata registrata) che compongono la variegata galassia dei siti ultracattolici, persi nel mare magnum della rete. Nel dicembre 2011, Volpe si rese protagonista di una polemica a distanza con Fiorello, colpevole di aver incoraggiato l’uso del profilattico in uno spot con Jovanotti. Episodio che secondo il giornalista avrebbe provocato il crollo del palco costruito in occasione della tappa triestina del tour del rocker romano, causando la morte di un operaio. Nel giugno del 2011 era toccato a Michele Santoro subire gli strali di Pontifex, che non esitò a sporgere querela contro il giornalista, accusato di peculato, “per aver utilizzato la Rai, servizio pubblico, non per fini informativi, ma per interessi personali”.

Ma è nel novembre scorso che Volpe raggiunge l’apoteosi, con un articolo indirizzato alla mamma del quindicenne romano suicidatosi dopo aver subito gli sfottò di alcuni compagni di classe del liceo scientifico Cavour per il suo modo eccentrico di vestirsi. “Se quella mamma avesse per tempo capito l’inclinazione (presunta) del figlio che covava in lui il malessere della omosessualità - si legge nell’edioriale ancora online -, sarebbe intervenuta per tempo con adeguati ausili medici”. Una strategia mediatica pensata per uscire dall’anonimato con invettive studiate per far rimbalzare la testata sui siti d’informazione e farsi pubblicità. E, a giudicare dalle visite (tremila utenti connessi solo nella serata di ieri, stando al contatore del sito), vincente.



Giovedì 27 Dicembre,2012 Ore: 13:28
 
 
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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/12/2012 13.32
Titolo:FEMMINICIDIO. Una strage che si può fermare....
Femminicidio, strage che si può fermare

di Barbara Spinelli - Avvocata penalista (l’Unità, 24.12.2012)

«IL FEMMICIDIO E IL FEMMINICIDIO SONO DUE NEOLOGISMI CONIATI PER EVIDENZIARE LA PREDOMINANZA STATISTICA DELLA NATURA DI GENERE della maggior parte degli omicidi e violenze sulle donne. Femmicidio è l’uccisione della donna in quanto donna» (Diana Russell), e nella ricerca criminologica include anche quelle situazioni in cui la morte della donna rappresenta l’esito/la conseguenza di pratiche sociali misogine. In alcuni Paesi, in particolare dell’America Latina, si è scelto anche di introdurre nei codici penali le fattispecie o le aggravanti di femmicidio o di femminicidio.

La violenza maschile sulle donne costituisce una violazione dei diritti umani, della quale il femminicidio costituisce la manifestazione più estrema. La codificazione del femminicidio quale violazione dei diritti umani, è avvenuta nell’ambito del sistema di diritto internazionale umanitario internazionale e regionale. In Italia, anche rispetto ad altri Paesi europei, persiste una significativa difficoltà per le Istituzioni e per i giuristi a concepire la necessità di un approccio giuridico e politico alla violenza maschile sulle donne che la affronti quale violazione dei diritti umani.

Di conseguenza, le politiche e le riforme legislative difficilmente rispondono all’esigenza di attuare le obbligazioni istituzionali in materia - come prevenire la violenza maschile sulle donne, proteggere le donne dalla violenza maschile, perseguire i reati che costituiscono violenza maschile, procurare compensazione alle donne che hanno subito violenza maschile - nei modi e nelle forme indicati dalle Nazioni Unite (Raccomandazioni all’Italia del Comitato Cedaw e della Relatrice Speciale Onu contro la violenza sulle donne, Rashida Manjoo). Si ricorda infatti che anche in materia di violenza maschile sulle donne, gli Stati sono tenuti non solo a non violare direttamente i diritti umani delle donne, ma anche ad esercitare la dovuta diligenza .

Si configura una responsabilità dello Stato, qualora i suoi apparati non siano in grado, attraverso l’esercizio delle funzioni di competenza, di proteggere, attraverso l’adozione di misure adeguate, il diritto alla vita e all’integrità psicofisica delle donne, o qualora l’aggressione da parte di privati a questi diritti fondamentali sia favorita dal mancato o difficile accesso alla giustizia da parte della donna.

In tal senso, si ricorda che l’Italia nel 2009 è già stata condannata dalla Cedu. Il problema principale che caratterizza l’inadeguatezza delle risposte istituzionali alla violenza maschile sulle donne in Italia, è rappresentato dal mancato riconoscimento da parte delle Istituzioni della persistente esistenza di pregiudizi di genere, e dell’influenza che questi esercitano sull’adeguatezza delle risposte istituzionali in materia.

C’è infatti una vera e propria tendenza alla rimozione, del fatto che fino a ieri il sistema giuridico italiano era profondamente patriarcale: chi ricorda la data della riforma del diritto di famiglia, che ha abolito la potestà maritale? E le riforme del codice penale che abolito l’attenuante - per gli uomini - del delitto d’onore e hanno spostato la violenza sessuale da reato contro la morale a reato contro la persona?

Il fatto è che quella stessa mentalità ancora oggi è profondamente radicata nel pensiero degli operatori del diritto e, in assenza di formazione professionale sul riconoscimento della specificità della violenza maschile sulle donne e delle forme in cui si manifesta e degli indicatori di rischio che espongono la donna alla rivittimizzazione, spesso si risolve in sentenze dalle motivazioni anche palesemente sessiste ovvero nella mancata ricezione di denunce-querele ovvero nella mancata adozione di misure cautelari a protezione della donna, il tutto descritto dalle Nazioni Unite come il persistere di atteggiamenti socio-culturali che condonano la violenza di genere.

La percezione di inadeguatezza della protezione da parte delle sopravvissute al femminicidio in Italia risponde a un problema reale, confermato dai dati ormai noti: 7 donne su 10 avevano già chiesto aiuto prima di essere uccise, attraverso una o più chiamate in emergenza, denunce, prese in carico da parte dei servizi sociali.

Allora occorre anche da parte degli operatori del diritto sollecitare i soggetti istituzionali preposti al corretto adempimento delle obbligazioni internazionali in materia di prevenzione e contrasto al femminicidio. In particolare sul fronte della prevenzione, con la predisposizione di sistemi di efficace e uniforme raccolta dei dati sulla vittimizzazione e sulla risposta del sistema giudiziario (con dati pubblici, disponibili online e costantemente aggiornati); e la formazione di genere per tutti gli operatori del diritto.

Mentre sul fronte della protezione bisogna favorire la formazione di sezioni specializzate, l’intervento anche in emergenza da parte di «volanti specializzate» , e favorire linee-guida e protocolli di azione nazionali da adottarsi per i vari uffici (protocolli di intervento per le forze dell’ordine, protocolli della magistratura inquirente sulla conduzione delle indagini, protocolli per l’adozione degli ordini di protezione, ecc.) per facilitare anche l’organizzazione delle procure e dei giudici per le indagini preliminari e per l’esecuzione della pena in maniera tale da trattare in via prioritaria le situazioni di violenza nelle relazioni di intimità. A cui aggiungere un maggiore coordinamento tra tribunale per i minorenni, procura della repubblica, tribunale civile, anche attraverso la previsione di obblighi di comunicazione, e il divieto di mediazione per i reati famigliari.

Sul fronte della persecuzione bisogna invece favorire l’immediata implementazione della direttiva europea del 2012 sulle vittime di reato e sul fronte della compensazione portare avanti la formazione professionale per favorire il riconoscimento della specificità dei danni nei casi di violenza di genere.

* Questo intervento è tratto dalla Tavola sul «Femminicidio: analisi, metodologia e intervento in ambito giudiziario» organizzata a Roma da Luisa Betti e Antonella Di Florio
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/12/2012 13.53
Titolo:Con l’hashtag Pontifex l’omelia diventa un tweet
Con l’hashtag Pontifex l’omelia diventa un tweet

di Alessandro Oppes (il Fatto, 4.12.2012)

Un nuovo user irrompe su Twitter. Si presenta buon ultimo ma, come gli garantisce la massima evangelica, sa di avere tutte le carte in regola per arrivare primo. Chi più di Joseph Ratzinger, con un bacino potenziale di centinaia di milioni di fedeli-inter-nauti, può infatti scalzare dalla vetta Barack Obama, attuale leader della rete di microblogging con 24 milioni di followers? A 85 anni, il Papa si getta nella mischia del social network di moda e, nel giorno d’esordio, ha incassato più di 200 mila followers.. E poco importa che, in Rete, ci sia già qualcuno pronto ad avvisarlo: “Non sai in che pasticcio ti stai mettendo”.

È evidente che, al solo annuncio della notizia, diffusa con solennità dalla Sala Stampa vaticana, non potevano che cominciare a circolare scherzi e battute. Volgarità, in certi casi, ma spesso una banale revisione del linguaggio ecclesiastico. Frasi tipo “ama il follower tuo come te stesso”.

Oppure un Giovanni XXIII aggiornato: “Quando tornate a casa, leggete un tweet ai vostri bambini, e ditegli che è il tweet del Papa”. Inevitabili anche le incursioni calcistiche: “Ben detto, pontifex. Dare il Pallone d’Oro a Messi è peccato”. Inconvenienti che, evidentemente, sono stati messi in conto dai collaboratori di Banedetto XVI.

Niente di cui preoccuparsi, se si pensa ai potenziali benefici di un’operazione di “marketing” della fede di cui il Papa era da tempo il più convinto sostenitore. “L’essenzialità dei messaggi brevi, spesso non più lunghi di un versetto della Bibbia - aveva detto Ratzinger all’ultima giornata mondiale delle comunicazioni sociali - permette anche di formulare pensieri profondi”. E allora, ecco che parte la scommessa.

EVANGELIZZARE in 140 caratteri. Cinguettare le Sacre Scritture. Un account dal nome @pontifex (tutte le possibili alternative sono state scartate, perché già occupate) e, in una fase iniziale, tradotto in otto lingue: inglese, italiano, francese, spagnolo, tedesco, polacco, arabo e portoghese. Il profilo è già on line, ma il primo tweet arriverà solo il 12 dicembre.

Per rivolgere domande al Papa su “questioni relative alla vita di fede”, si dovrà utilizzare l’hashtag #askpontifex. A rispondere, sarà uno staff di suoi collaboratori anche se, assicurano in Vaticano, sempre sotto la supervisione di Benedetto XVI. Ovviamente, chiunque può diventare follower del Papa. Ma non aspettatevi che lui vi chieda di diventare vostro seguace. Sarebbe solo una pia illusione.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/12/2012 13.55
Titolo:RISALIRE GLI ABISSI ....
PAROLA A RISCHIO
Risalire gli abissi
La salvezza è per tutti. Alla portata di tutti.
Perché è sorriso, liberazione, gioia.

di Giovanni Mazzillo (Teologo) *

G come gioia, come Gesù, respiro di gioia per tutti gli infelici della terra. Parliamo di Gesù, il cui corrispondente nome greco Iesoûs deriva direttamente dall’originale ebraico Je(ho)šhu e significa JHWH salva, per precisare immediatamente che il termine salvezza oggi non significa gran che per i nostri contemporanei, e di conseguenza risuona poco interessante persino quel nome, pur originariamente portatore di una gioia immensa e inaudita. Ciò avviene non solo per l’inevitabile logorio delle parole più usate e talora abusate, ma per il fatto che ha perso rilevanza e pertanto significato il valore stesso della “salvezza”.

Salvezza
Salvezza da chi e/o da che cosa? Appunto, è questo il primo problema. La salvezza appare di primo acchito un concetto immediatamente derivato dal superamento di una situazione negativa, Si salva, o come succede in questo caso, viene salvato, qualcuno che si trova in una situazione di pericolo. Il pericolo di perdere qualcosa, di perdere se stesso. Di essere cancellato, di sparire, appunto come sparisce da un computer un testo non “salvato” o un’immagine non messa al sicuro. Ma essere salvati è per noi persone umane, e pertanto non riducibili a una traccia di codificazione binaria o algoritmica, molto di più che conservare un’impronta e una presenza. Coerentemente con la nostra realtà dinamica e relazionale, essere salvati significa avere un luogo, un senso, una rilevanza nel contesto di una realtà che giustifica, sorregge, garantisce il mantenimento e la crescita qualitativa, e pertanto il conseguente riconoscimento di un originario, inalienabile, imprescindibile valore personale.

La domanda «Chi o che cosa si può dire oggi salvato?» esige pertanto una primordiale differenziazione. Altro è il concetto di ciò che è salvato (cioè il dato messo al sicuro), ben altro è l’essere umano salvato. Questi non è solo garantito in ciò che ha di più proprio e pertanto è distinto dal mero “dato”, che invece è una sorta di file compilato (non per nulla in tedesco proprio il file è chiamato Datei, leggi datai, cioè «rea-ltà data»). L’essere umano è tale solo in un incontro, in una relazione. La persona è tutta nelle relazioni delle quali vive. Proprio la relazionalità sorregge il senso e la gioia del suo esistere.

L’annuncio di Gesù, già nella sua venuta in questo nostro mondo, è l’annuncio di una relazionalità umana felicemente riuscita. Nel Vangelo è direttamente collegato alla Grazia, termine che esprime tutto ciò e anche qualcosa di più.

Nell’annuncio della sua nascita, diversamente da quanto appare nella traduzione latina, e in quella italiana da essa derivata, nella preghiera più popolare che ci sia, Maria è salutata non con il saluto che si dava all’imperatore, alle autorità o anche agli amici con l’esclamativo «Ave!», bensì con l’invito a rallegrarsi, cioè a gioire (chaîre): a entrare in un circuito di esultanza per un dono gratuito e inatteso. Colei che è piena di grazia (kecharitōménē) è invitata a rallegrarsi perché tutto in lei è frutto ed espressione della «grazia» (cháris), cioè di un dono amorevole quanto sorprendente, che sarà presto annuncio di gioia per tutto il popolo e per ogni uomo: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù...”. L’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia...» (Lc 1,30-31; 2,10-11).

Il resto del Vangelo, soprattutto quello di Luca, evidenzia la gioia improvvisa e incontenibile che contagia quanti vengono a contatto con Ješhu. A cominciare da Elisabetta e dal suo bambino, che le esulta nel grembo, il futuro Battista. Così esultano ancora due anziani che sembrano essere rimasti in vita per mantenere viva la speranza d’Israele: Simeone e Anna, o i pastori; mentre nel racconto di Matteo, viene detto che i Magi “provarono una grandissima gioia” nel rivedere la stella che indicava il luogo della natività di Gesù.

La stessa gioia è testimoniata dai semplici e dagli umili, dagli infelici e dai peccatori che si sentono aiutati, capiti, perdonati. A gioire sono ancora i bambini e le donne, classi tradizionalmente neglette dalla piena partecipazione alla grazia collegata alle tradizionali benedizioni di Dio. Insomma il cuore del Vangelo è la lieta notizia annunciata ai bisognosi e agli infelici della terra. Il Dio che si dona totalmente, è il Dio che dona illimitatamente la gioia agli uomini. E perché la nostra gioia fosse piena (Gv 15,11), il Figlio di Dio è arrivato umanamente a perdere se stesso.

Perché avessimo una gioia che nessuno avrebbe mai più potuto toglierci, ha permesso che fosse tolta a lui la vita, per riprenderla di nuovo, ma con la conoscenza ormai nella sua carne e nella sua psiche di cosa significhi la morte umana. Di cosa voglia dire la gioia di vivere, di vivere non con il naturale sorriso con cui vive ogni creatura per la stessa gioia dell’esistere, ma di provare e diffondere la gioia di chi conosce la sofferenza e non resta inchiodato alla sofferenza. O al limite, di chi, nonostante le ferite e talora i chiodi mai interamente rimossi della sofferenza, sa sorridere della vita, perché questa è ormai rischiarata da colui che vince la morte e la depressione della sofferenza.

La gioia è dunque uno dei nomi della salvezza, ma di una salvezza che assume di volta in volta nomi nuovi e nomi antichi: riscatto, liberazione, sensatezza, leggerezza dell’esistere... Se la parola non fosse tanto inflazionata, si potrebbe dire che la salvezza altro non è che la felicità. È la felicità nel suo senso etimologico: come abbondanza e fertilità. Possiamo tradurre: come vita sensata che raggiunge il suo scopo e nasce da relazioni benevole, tendenti al bene altrui, trovando negli altri la propria gioia e comunicandola con relazioni che fanno crescere se stessi e gli altri.

In quanto tale, la felicità è simile alla pace e ne è la forma storica: è star bene con sé e con gli altri, con il proprio passato e con il proprio futuro. Perché, soprattutto oggi, c’è bisogno paradossalmente più di ricostruire il futuro che il passato o il presente. Per poterlo fare c’è bisogno di quella gioia consapevole che non si arrende e che non si ripiega su se stessa. Si ritrova nel futuro di una convivenza che non nasconde, ma sa riconoscere e superare i conflitti attraverso uno sguardo d’amore verso ciò che ci è intorno. È uno guardo che viene da lontano e tuttavia tocca la nostra umanità, questa mia e questa tua umanità, quella assunta, attraversata e come divinizzata da quel Gesù che continuamente dà senso a ogni tentativo di superare la violenza con l’amore. È l’unico a dar senso a ogni discorso di pace, anche questo che hai appena finito di leggere.

* MOSAICO DI PACE, LUGLIO 2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/12/2012 15.37
Titolo:il vescovo ferma don Piero .....
Donne uccise, frasi choc. Il vescovo ferma don Piero

di Erika Della Casa (Corriere della Sera, 27 dicembre 2012)

Il volantino sul femminicidio che don Piero Corsi, parroco di San Terenzo, frazione di Lerici, aveva affisso nella bacheca della chiesa è stato rimosso e in serata sono arrivate le scuse del sacerdote «alle donne che si sono sentite offese». L’ordine di togliere il volantino è arrivato dal vescovo di La Spezia, monsignor Luigi Ernesto Palletti che ha convocato il parroco «per spiegazioni» dopo le proteste sollevate dalle associazioni attive contro la violenza sulle donne. Titolo del volantino: «Femminicidio: le donne facciano autocritica, quante volte provocano? Donne e ragazze che in abiti succinti provocano gli istinti, facciano un sano esame di coscienza: forse ce lo siamo andate a cercare?». La risposta, pare evidente, per il parroco era un grande sì: se lo sono andate a cercare. Le donne - continuava la disanima di don Piero - sfidano gli uomini non solo con gli «abiti succinti» ma anche con comportamenti supponenti: «Cadono nell’arroganza e si credono autosufficienti e finiscono per esasperare le tensioni». La conseguenza? «Bambini abbandonati a loro stessi, case sporche, piatti in tavola freddi e da fast food, vestiti sudici. Dunque se una famiglia finisce a ramengo e si arriva al delitto (forma di violenza da condannare e punire con fermezza) spesso le responsabilità sono condivise».

È intervenuto monsignor Palletti: «Ho fatto rimuovere immediatamente quel volantino i cui contenuti sono fuorvianti rispetto ai sentimenti di condanna per la violenza contro le donne - ha detto l’alto prelato -. Vi si leggono motivazioni inaccettabili che vanno contro il comune sentire della Chiesa». In attesa di presentarsi davanti al vescovo, questa mattina, don Piero - dopo le prime reazioni piuttosto turbolente (ha dato del gay ad un giornalista del GR2, chiedendogli cosa provasse davanti a una donna nuda) - ha preferito fare retromarcia: «Voglio scusarmi con tutti per quella che voleva essere soltanto una provocazione - ha detto - e in particolare voglio scusarmi con tutte quelle donne che si sono sentite offese dalle mie parole». Ha poi assicurato che affronterà «con serenità le decisioni della Curia». Tutto questo ha rasserenato gli animi, dopo che la presidente del Telefono rosa Gabriella Carnieri Moscatelli aveva chiesto l’intervento non solo del vescovo ma anche del Papa perché «quella del parroco di San Terenzo è una vera e propria istigazione a un comportamento violento nei confronti delle donne e offre un’inaudita motivazione ad atti criminali». Le donne di Lerici hanno organizzato per domani un sit-in di protesta: «Non finisce qui - dicono
- . Ci sembra di essere tornate indietro di duecento anni».

Il volantino sul femminicidio è l’ultima trovata di quella che a San Terenzo è nota come «la guerra di Piero». Nulla a che vedere con gli ideali pacifisti della canzone di De André. Don Piero aveva già affisso nella bacheca vignette anti-Islam e quando fu costretto a toglierle le aveva sostituite con il disegno di un asino che ride. Uno sberleffo ai suoi contestatori. La lista delle sue «battaglie» va dall’intransigenza sull’ora del pranzo per i disabili ad una zuffa con un clochard. Il volantino sul femminicidio - tuttavia - non è tutta farina del suo sacco: è tratto da un sito cattolico ultraconservatore Pontifex.it su cui si dà una lettura particolare della lettera pastorale «Mulieris Dignitatem».

E ieri il sito ha difeso don Piero: «Un sacerdote che ha fatto quello che fanno tutti, stampare articoli, interviste, editoriali e documenti tratti da Pontifex.Roma ed apporli in bacheca in Chiesa. Questo innocente gesto ha dato inizio a una sorta di crociata dei pezzenti messa in piedi da alcuni arroganti tuttologi dell’informazione». E mette in guardia: «Domando al lettore: se, casomai, il figlio la cui madre è stata uccisa da un amante geloso, già afflitto di suo, dovesse leggere certe false dichiarazioni attribuite a don Corsi e, mancando di senno, dovesse scagliare una pietra contro il sacerdote a chi sarebbe ascrivibile la colpa?». Don Piero, per fortuna, sembra aver riflettuto sul significato di quello che aveva scritto
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 28/12/2012 15.48
Titolo:FEMMINICIDIO. Tacere sarebbe un po’ come avallare
Femminicidio

di don Renato Sacco (“Mosaico di pace”, 27 dicembre 2012)

No. Tacere sarebbe un po’ come avallare. Ci ho pensato molto quando ho letto la notizia di un prete, parroco in Liguria, che ha affisso alla porta della sua chiesa un articolo preso da internet dal titolo: “Le donne e il femminicidio, facciano sana autocritica. Quante volte provocano?” Mi ha molto colpito, come prete e come uomo, tutta questa vicenda con le successive affermazioni, smentite ecc.

Ho pensato che non era giusto stare in silenzio. Credo, di fronte alla morte, all’uccisione, al ‘femmnicidio’ non ci sia spazio per i se e per i ma... Siamo di fronte a persone uccise in quanto donne, quasi sempre da uomini del proprio ambito familiare.

Far finta di non vedere o puntare i riflettori su altro (es. modo di vestire ecc.) credo sia molto grave. E penso che come uomo e come prete, anch’io sono parroco, non si debba spostare l’attenzione dalle vittime, che hanno un nome, un volto e una storia.

Ancora ieri, 26 dicembre, in Liguria, un marito, già denunciato per violenze e minacce, uccide la moglie Olga e la sorella Francesca. No, sulla morte non si scherza, e non si scrivono cose dicendo che servono ‘a far riflettere’. Oppure cercando una qualche colpa nelle vittime.

Credo che una seria autocritica la debba fare io - noi in quanto uomini. E io - noi in quanto preti, che spesso parliamo del valore della vita, della famiglia, ecc.

Molti omicidi avvengono proprio in ambito familiare. Stiamo attenti a non arrivare a dire, com’è già successo in passato, che ‘bisogna contestualizzare’. Di fronte al genocidio degli Ebrei, dobbiamo dire che anche gli Ebrei se la sono un po’ cercata? Di fronte ai bambini uccisi a Sarajevo durante la guerra perché giocavano sulla neve, dobbiamo dire che è anche colpa loro e delle mamme che li hanno lasciati uscire dalle cantine?

E di fronte alla vittime di tante guerre passate e attuali, qualche colpa la troviamo per giustificare le bombe e i massacri? E di fronte a questi cristiani uccisi in una chiesa in Nigeria, dobbiamo dire che se la sono cercata, che era meglio se stavano a casa e non andavano in chiesa a pregare? No, credo proprio che sia importante non perdere la bussola e stare dalla parte delle vittime.

Sempre. Don Tonino Bello, profeta dei nostri tempi, morto 20 anni fa, ci ricordava che "delle nostre parole dobbiamo rendere conto agli uomini. Ma dei nostri silenzi dobbiamo rendere conto a Dio!".
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/12/2012 13.18
Titolo:RIMOZIONE DEL FEMMINILE E DOMINIO .....
Donne in cerca di guai

di Alessandro Esposito (“MicroMega”, 28 dicembre 2012)

Noi malpensanti e femministi avevamo provato ad accostare all’indignazione dinanzi alla reiterata violenza di cui le donne sono vittime per mano d’uomo la riflessione relativa alle cause che possono scatenare tale ingiustificabile efferatezza: fortunatamente è giunto, inaspettato, il soccorso di un pio ed acuto parroco ligure ad illuminare la nostra insipienza.

Ma come abbiamo fatto a non pensarci prima? Era evidente: la causa prima della violenza fisica, psicologica, sociale e religiosa quotidianamente inflitta alle donne sono le donne stesse. Il fatto è che era talmente ovvio da essere sfuggito alla nostra capacità d’analisi, immancabilmente condizionata da una lettura ideologica della realtà dei fatti. Ebbene, questa realtà, se ben osservata, ci porta alla conclusione insindacabile che siano le donne le principali (giusto perché affermare «le uniche» deve sembrare eccessivo persino a questi irreprensibili cavalieri della fede) responsabili degli istinti che colpevolmente scatenano nel maschio altrimenti avvezzo per natura a docilità e candore: per cui «chi è causa del suo mal...».

Ci sarebbe da rimanere attoniti se non prevalesse lo sdegno: eppure, una volta ancora, voglio pensare che alla doverosa espressione dei sentimenti sia da preferire un’indefessa ricerca delle cause. In qualità di «addetto ai lavori», vorrei concentrare la mia analisi sul retroterra religioso dal quale questa trivialità continua a trarre alimento e a ricevere legittimazione: a tale proposito limiterò le mie considerazioni a tre aspetti che mi paiono nevralgici.

1. L’universo cattolico intransigente entro il quale quest’ignoranza attecchisce è un universo rigorosamente declinato al maschile: la donna non vi è contemplata se non in qualità di figura deliberatamente relegata ai margini che riflette l’immagine, assai rassicurante per l’uomo, di un’obbedienza che rasenta la remissività. A questa malcelata misoginia l’associazionismo cattolico sta reagendo provando a gettare le basi di un’organizzazione ecclesiale profondamente distinta, che si ispira ai documenti di quel Vaticano II tradito dall’impronta autoritaria degli ultimi due pontificati [1]: l’impressione, però, è che sia la gerarchia, sia una fetta ancora troppo ampia della base cattolica siano sostanzialmente indifferenti (quando non espressamente ostili) alla necessità di proseguire (e in alcuni casi persino di avviare) un percorso di riflessione concernente la centralità e la peculiarità dello sguardo femminile al fine di rifondare il cristianesimo.

2. La tendenza sembra, piuttosto, quella volta a sollecitare l’immaginario sia maschile che femminile rimandandolo a figure in cui non è possibile rinvenire la pienezza della femminilità nella molteplicità delle sue forme espressive, affettive come sessuali. Di qui l’elogio tutt’altro che disinteressato di atteggiamenti quali la castità quando non addirittura di condizioni quali la verginità: null’altro che argini entro cui imprigionare il desiderio. Quello femminile, va da sé.

3. Affinché, però, non sia il desiderio maschile a ridestarsi da quel fondo oscuro entro cui l’educazione ecclesiastica lo relega, nulla di meglio che la famiglia, quella tradizionale, si capisce, per estinguerlo. Pazienza poi se la maggior parte delle violenze di cui le donne sono vittime si consumano entro pareti falsamente protettive che diventano prigioni. Ma tant’è, la famiglia rassicura: specie noi maschi, che così possiamo proseguire nella rimozione di quel timore del femminile a cui abbiamo ovviato con il dominio. E le donne seguitare in aeternum nel silenzio che è loro comandato. Come in chiesa, così in casa.

[1] Vorrei citare, su tutti, il prezioso lavoro svolto dal CTI (Coordinamento Teologhe Italiane; sito intetrnet: www.teologhe.org), presieduto dalla filosofa, teologa e biblista Marinella Perroni.

Alessandro Esposito - pastore valdese

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Dottrina della fede secondo Ratzinger

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