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www.ildialogo.org IL PAPA, IL SUO EX MAGGIORDOMO, E IL GIORNALISTA. Gianluigi Nuzzi chiede solennemente al Santo padre di accordare la grazia al suo ex collaboratore e cerca di intervenire in aiuto dell'uno e dell'altro. Il suo testo - con alcune note,a c. di Federico La Sala

IL POTERE E LA GRAZIA ("Charis"): CEDIMENTO STRUTTURALE DEL CATTOLICESIMO ROMANO. "Deus caritas est" (2006): sul Vaticano, in Piazza san Pietro, il "Logo" del Grande Mercante!!!
IL PAPA, IL SUO EX MAGGIORDOMO, E IL GIORNALISTA. Gianluigi Nuzzi chiede solennemente al Santo padre di accordare la grazia al suo ex collaboratore e cerca di intervenire in aiuto dell'uno e dell'altro. Il suo testo - con alcune note

(...) Il papa, infatti, non ha alcun ruolo in questi oscuri affari. Sembra, al contrario, esserne indirettamente la vittima. Perché allora non reagisce? Perché non caccia questi mercanti dal tempio? Secondo Paolo Gabriele, il papa è tenuto all’oscuro di ciò che dovrebbe riguardarlo (...)


a c. di Federico La Sala

PREMESSA SU TEMA:

LA CHIESA DEL SILENZIO E DEL "LATINORUM". Il teologo Ratzinger scrive da papa l’enciclica "Deus caritas est" (2006) e, ancora oggi, nessuno ne sollecita la correzione del titolo. Che lapsus!!! O, meglio, che progetto!!!LA CHIESA DEL SILENZIO E DEL "LATINORUM". Il teologo Ratzinger scrive da papa l’enciclica "Deus caritas est" (2006) e, ancora oggi, nessuno ne sollecita la correzione del titolo. Che lapsus!!! O, meglio, che progetto!!!

SPEGNERE IL "LUMEN GENTIUM" E INSTAURARE IL POTERE DEL "DOMINUS IESUS". Il disegno di Ratzinger - Benedetto XVI. Due testi a confronto, con alcune noteSPEGNERE IL "LUMEN GENTIUM" E INSTAURARE IL POTERE DEL "DOMINUS IESUS". Il disegno di Ratzinger - Benedetto XVI. Due testi a confronto, con alcune note

DEMOCRAZIA E CRISTIANESIMO. LA SOVRANITA’ DEL CITTADINO E DEL CRISTIANO, DI OGNI ESSERE UMANO, E’ INCOMPATIBILE CON L’IDEOLOGIA CATTOLICO-ROMANA DELLA GERARCHIA VATICANA (Federico La Sala)

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Il papa deve concedere la grazia al suo ex maggiordomo, Paolo Gabriele

di Gianluigi Nuzzi

in “LeMonde.fr” del 8 ottobre 2012

(traduzione: www.finesettimana.org)

Condannato a 18 mesi di reclusione, Paolo Gabriele, il maggiordomo di Benedetto XVI, sarà graziato dal papa? La misericordia del Vangelo e della Chiesa prevedono il perdono. Chiedo solennemente al Santo padre di accordare la grazia al suo ex collaboratore, punito per aver sottratto dei documenti di cui ha fatto pervenire delle fotocopie al giornalista che io sono. Paolo Gabriele non ha violato alcun segreto militare o diplomatico come nel caso Wikileaks. Il suo gesto è un gesto di denuncia. Ha messo sotto gli occhi di tutti le realtà nascoste del Vaticano che nuocciono alla stessa Chiesa.

La grazia, se sarà accordata, proverà che in questo caso, la Chiesa non è un’istituzione oscura e conservatrice ma che, al contrario, è capace di perdonare colui che, a torto o a ragione, ha rischiato il proprio avvenire per il suo bene. Chi ha fatto del torto alla Chiesa? Paolo Gabriele che, abusando della fiducia del papa, ha rivelato i giochi di potere in seno alla Curia o i protagonisti di tali complotti? È mio dovere offrire alcuni elementi di riflessione perché tutti possano sapere ciò che è accaduto e soprattutto quali sono state le vere ragioni - appena accennate durante il processo - che spiegano il gesto dell’ex maggiordomo.

Nei mesi durante i quali ho frequentato il collaboratore del papa, ho affrontato a più riprese il tema della sua responsabilità. Mi è sempre sembrato sereno e convinto di fare ciò che era, secondo lui, indispensabile e giusto. Ha spesso insistito sul fatto che il santo padre era totalmente estraneo alle congiure, ai conflitti di potere, agli intrighi finanziari che i documenti che ho pubblicato nel mio libro mostrano. Il papa, infatti, non ha alcun ruolo in questi oscuri affari. Sembra, al contrario, esserne indirettamente la vittima.

Perché allora non reagisce? Perché non caccia questi mercanti dal tempio? Secondo Paolo Gabriele, il papa è tenuto all’oscuro di ciò che dovrebbe riguardarlo. “Talvolta, ha raccontato Paolo Gabriele nel corso di una delle udienze, mentre eravamo a tavola, Benedetto XVI poneva delle domande a proposito di avvenimenti di cui avrebbe dovuto essere informato”

Questa testimonianza pone nuovamente una questione lancinante: Joseph Ratzinger, teologo, studioso, è un “capo di Stato” informato o vive in una sorta di solitudine? Quante informazioni riceve che gli permetterebbero di avere una visione completa dei problemi che agitano il Vaticano? E, di contro, quante informazioni parziali o tronche gli sono presentate per cercare di influenzarlo?

Beneficiando di un punto di osservazione privilegiato, Paolo Gabriele, che è stato per sei anni una delle persone più vicine al santo padre, dubitava fortemente che Benedetto XVI fosse stato sempre tenuto al corrente di ciò che succedeva tra le mura del Vaticano. Questa realtà che emerge dai documenti che ha sottratto ha aggiunto amarezza al suo dolore. I complotti, i regolamenti di conti sono in evidente contraddizione con i principi di trasparenza fermamente voluti da Benedetto XVI stesso.

Durante i nostri incontri, ha confessato la propria profonda perplessità, il proprio disagio. Ha insistito sul proprio amore per il papa, la propria venerazione per la sua semplicità. Secondo lui, Benedetto XVI è un uomo puro in mezzo ai lupi. Il maggiordomo vedeva crescere la distanza siderale tra il papa e le espressioni più dure e più vili del potere, tra il pastore della Chiesa, che opera per la trasparenza nelle relazioni tra gli Stati, e ciò che si trama alle sue spalle: nomine, flussi finanziari, ecc.

La denuncia di Paolo Gabriele si unisce a quella che il cardinale Ratzinger stesso formulava negli anni 70 quando affermava che “la Chiesa sta diventando per molti fedeli l’ostacolo principale alla fede. Riescono a vedere in essa solo l’ambizione umana del potere, il piccolo teatro di uomini, che, con il pretesto di amministrare il cristianesimo ufficiale, sembrano piuttosto ostacolare il vero spirito del cristianesimo”.

A poco a poco, Paolo Gabriele è diventato il confidente di coloro, che, tra i vescovi e i cardinali, erano, come lui, lacerati tra la loro fede, la loro ammirazione sincera per il papa e le manovre di corridoio di cui erano testimoni. Si rivolgevano a lui, pensando così di avere una via di accesso a Benedetto XVI. Fu per lui occasione di scoprire nuove ingiustizie.

Due esempi. La promozione-punizione di monsignor Carlo Maria Viganò, l’economo della Curia, promosso nunzio apostolico a Washington un anno dopo aver informato il papa della corruzione e delle operazioni opache nell’attribuzione di appalti pubblici e di forniture nel più piccolo stato del mondo. Dai documenti sottratti da Paolo Gabriele e che io ho pubblicato emerge che il presepe e l’albero di Natale installati ogni anno in piazza San Pietro costavano... 250.000 euro! Questa denuncia valse a Monsignor Viganò un terribile scontro con il cardinal Tarcisio Bertone, primo collaboratore di Benedetto XVI. Il Vaticano ha sempre replicato che le accuse di Viganò erano false. Paolo Gabriele ha, al contrario, ritenuto Monsignor Viganò vittima della propria volontà di trasparenza. Ha cercato di aiutarlo per quanto gli era possibile.

Secondo esempio: il siluramento di Ettore Gotti Tedeschi, presidente dell’Istituto per le opere di religione, detto anche “la banca del papa”. Gotti Tedeschi è stato allontanato dopo che il consiglio di amministrazione della banca ha voluto rendere meno costrittive le regole anti-riciclaggio. Stimato dal papa, il banchiere è entrato anche lui in conflitto con Bertone. In una memoria confidenziale, trasmessa al papa, confida il timore di essere ucciso. Questi due casi, sui quali deve essere ancora fatta luce, spiegano da soli la frustrazione di un uomo solo di fronte agli intrighi, consapevole della fragilità del sovrano pontefice nella lotta secolare tra il bene e il male. 



Lunedì 08 Ottobre,2012 Ore: 17:40
 
 
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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 08/10/2012 19.50
Titolo:La corte e i cortigiani della Chiesa ... e il Regno di Dio
Il Regno di Dio e la corte della Chiesa

di Felice Scalia *

Il Regno di Dio è vicino: leggere nella fede l’espressione di Marco non è semplice. Prendo quella affermazione, che fa parte del nucleo centrale del messaggio di Gesù, nel senso che il Regno è possibile, accessibile all’essere umano, dato che Dio si è messo all’opera e non cessa mai di “lavorare” per la sua realizzazione. Alla luce del significativo abbandono della stessa parola Regno nel linguaggio ecclesiastico, e di quanto capita ai nostri giorni nella Chiesa e nella società, mi sembra arduo pensare ad una prossima, “vicina”, realizzazione del Regno o di un deciso cammino verso di esso. Resta la promessa, resta la certezza della sua possibilità come verità ultima dell’individuo e della storia, ma spiragli di realistica speranza se ne vedono pochi.

Punto fondamentale: la Chiesa di oggi, e il Dio che essa presenta, aiutano la creazione di un ambito di libertà che permetta una crescita delle persone in dignità e fratellanza? O la ostacolano? Liberano l’essere umano o lo imprigionano? Lo preparano ad essere libero figlio di un Dio innamorato dell’uomo, o figlio della paura e necessariamente nemico di ogni altro essere umano? In altri termini: aiutano od ostacolano la venuta del Regno? Sono segno del Regno di Dio o fanno pensare alla sacralizzazione del regno degli esseri umani?

Mi sembra di potere affermare che l’invocazione ad una “verità che libera”, il richiamo ad un regime di “grazia” e di libertà profonda fatto da Paolo, una liberazione dai legami della Legge, ecc. furono presto dimenticate dai cristiani e dalla stessa Chiesa gerarchica. A partire dalla “svolta costantiniana” la Chiesa non se la sente più di condannare il potere-dominio esercitato dai re e imperatori che si proclamavano cristiani. Nei secoli successivi non condannerà neppure l’assolutismo. Non le sarà mai facile ridimensionare il potere dell’uomo sulla donna, la società patriarcale e maschilista. Non tirerà mai le conseguenze pratiche del valore della coscienza come criterio ultimo-pratico delle scelte nella vita. La Chiesa condanna solo dettagli, eccessi, ma sostiene il sistema. In fondo, forse, era impossibilitata a farlo, dato che essa stessa ben presto era passata dal potere-servizio (essenziale clima del Regno) che costava sangue e vite umane, al potere-dominio portatore di privilegi, denaro, splendore di guardie armate, infallibilità, immunità, sotto la protezione di imperatori a tutto interessati eccetto che al Vangelo ed al suo annunzio di liberazione totale.

Non mi pare esistano storici giunti ad affermare che la Chiesa, custode del potere-servizio, non abbia mai ceduto alla seduzione del potere-dominio. Tentativi di ieri e di oggi di contestualizzare gli avvenimenti ce ne sono. Apologisti che si imbarcano in imprese perdute, pure. Del resto il lavoro di questi ultimi consiste nell’esporre il contesto storico e nell’evidenziare gli aspetti positivi anche di certi papati oscuri. Il fatto incontestabile che la tentazione del potere-dominio, del “primariato”, della grandezza, accompagna la Chiesa fin dal suo primo vagito, anzi si annida perfino in Gesù di Nazareth, alle prese con Satana nel deserto, con Pietro a Cesarea di Filippo, con la folla dopo la condivisione dei pani, questo fatto meticolosamente registrato dai Vangeli non può indurci a giustificare la libido dominandi presente nella Chiesa di ieri e di oggi. Non dice che le cose devono andare nel senso del cedimento alla tentazione, ma ci avverte che là andremo a finire se non si “vigila”.

La Chiesa è passata dal potere-servizio al potere-dominio per via di un processo di istituzionalizzazione che ha preso per modello i potenti di questo mondo. Societas perfecta si è autodefinita la Chiesa, allontanandosi piuttosto vistosamente da quella “ekklesia di Dio” (assemblea pubblica) con cui la comunità cristiana chiama se stessa a Gerusalemme. Così si è dotata di centralismo imperiale, di palazzi, leggi, tribunali, carceri, soldati, cursus honorum, carriere, privilegi, tanto denaro e quindi corruzione.

Il tutto per garantire l’annunzio del Vangelo e del “Regno” di Dio. Solo che i criteri di un “regno mondano” sono radicalmente opposti a quelli che strutturano il Regno di Dio. Qui amore, giustizia, pace, rispetto della dignità infinita di una persona, legame indissolubile tra fratelli, comune obbedienza alla Parola, cammino di purificazione per giungere alla pienezza della vita del Cristo nella propria carne, sono le caratteristiche di un popolo di fratelli che vanno verso la vita con ruoli diversi ma con uguale dignità. Nessuno è maestro di un altro, ma tutti obbedienti alla Parola ed alle sollecitazioni dello Spirito.

Nel regno degli esseri umani la sottomissione a chi comanda, l’intangibilità dei potenti, il dovere di sottostare a regole rigide anche quando imprigionano la vita, l’uso della coercizione e della forza, la rinunzia alla voce della propria coscienza, sono elementi portanti e, per certi versi, irrinunciabili. Una Chiesa centralizzata, un papa-re, un assolutismo dogmatico che prescinde dalla collegialità dei successori degli apostoli, trasformano inesorabilmente in potere-dominio quel potere-servizio che ci era stato donato.

Quando in una istituzione c’è una persona che ha un enorme potere perché occupa una posizione più elevata e centrale rispetto agli altri, si crea il “sistema della corte”. Chi in questa istituzione ha anche un ruolo dirigenziale, non agisce in nome proprio, ma dell’“unico signore” e da lui solo dipende per avere, conservare, difendere privilegi, status sociale e funzioni. Il signore unico distribuisce benefici materiali e spirituali, onore o disonore, può togliere o aumentare qualsiasi potere delegato. In questo sistema la minima sfumatura di umore o di parere nel signore ha un’enorme importanza per gli uomini di corte, per la loro sopravvivenza. Nelle corti è inutile cercare libertà di pensare e di proporre. Si ha un servilismo più o meno interessato, più o meno onesto. L’obiettivo irrinunciabile è stare in sella col signore, dunque difenderlo anche nell’indifendibile. I cortigiani possono essere tra loro ostili, ma la corte è massa. Il sistema di corte, con questa sua compattezza, con questa autogiustificazione quotidiana, non solo tende a difendere sempre se stesso, ma diventa maestro di vita per tutta la nazione. Chi pensa ed agisce diversamente dal signore e dai cortigiani è nemico del popolo e della stessa civiltà con cui la corte si identifica. In questo sistema il signore è l’unico potente in senso stretto, dunque non può non avere che sottomessi, servi. Nessuno uguale a lui, ma tutti sotto di lui. Chi aspira a crescere troppo è un nemico.

È difficile pensare che la Chiesa-istituzione possa essere pensata immune dai difetti del sistema della corte. Solo che bisognerebbe vigilare molto perché quando la Chiesa-mistero diventa Chiesa-istituzione, il mistero è in pericolo, minacciato dalla stessa istituzione. Quest’ultima non si preoccupa principalmente da fine per cui è nata (la custodia e la trasmissione del mistero cristiano) ma di se stessa, della propria sopravvivenza, del proprio onore. «Ahi, Costantin di quanto mal fu matre», dice Dante. La Chiesa centrata principalmente sull’istituzione rischia di abiurare a Dio e di adorare i nuovi vitelli d’oro derivanti dal potere-dominio. Gli uomini del sistema della corte credono di dovere rivendicare per sé il potere dell’onnipotenza del giudizio, del “potere delle chiavi”. Essi assolvono e condannano tutti gli altri. «Sederanno a giudicare le 12 tribù di Israele», dicono spesso di se stessi.

Sarà questo un «pensare secondo gli uomini e non secondo Dio». Peccato in cui cadono gli amici di Gesù Pietro e Giuda. Gesù si ribella a questi amici che «non pensano secondo Dio», che non vivono nello Spirito della verità-servizio (cfr Gv 14,15-21), siano essi al suo seguito o tra i capi. Per questo anche lui ha un sogno: una Chiesa libera dall’ipocrisia (basta con chi dice ma non fa), dalla vanità (niente preghiere e digiuni sulle piazze), dall’onnipotenza (nessuna persona che sia padrona di altre persone fino ad imporre fardelli insopportabili, e nutrire atteggiamenti severi e umilianti che fanno sentire giusti e grandi chi li commina). Lo abbiamo anche noi questo sogno perché come esseri umani e come credenti vogliamo dilatare cuori e polmoni alla speranza, vogliamo poter respirare. Ma quando nella Chiesa, di fatto, si accumulano ipocrisia, senso di onnipotenza, vanità, allora in essa «manca il respiro» dello Spirito e del Vangelo, come osserva Giorgio Campanini (Saverio Xeres e Giorgio Campanini, Manca il respiro. Un prete e un laico riflettono sulla Chiesa italiana, Ancora, Milano, 2012).

Per me, per noi, credere nel “Regno vicino” è credere che i sogni di Gesù sono come la sua Parola: “Non passeranno”. Sempre avremo il tormento dell’inquietudine di sapere che questo è possibile, desiderato dal profondo di ogni cuore umano, eppure rifiutato ogni giorno, ma ogni giorno disegnato e - almeno dalla ecclesia sancta, casta - costruito.

* Gesuita, teologo dell’istituto Ignatianum di Messina, impegnato nell’associazione "Nuovi orizzonti" (Messina)

* Adista Segni Nuovi n. 36 del 13/10/2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 08/10/2012 20.55
Titolo:E' TEMPO DI RIVOLUZIONE. Hans Küng fa appello ai preti e ai fedeli praticanti af...
Hans Küng

Il teologo cattolico invita alla rivoluzione per mettere fine all’autoritarismo della chiesa *

- Hans Küng invita al movimento dal basso per destabilizzare il papato e dare vita in Vaticano a riforme radicali

- Hans Küng: fa appello ai preti e ai fedeli praticanti affinché si oppongano alla gerarchia cattolica

- Uno dei più autorevoli teologi cattolici ha invitato alla rivoluzione dal basso per destabilizzare il papato e dare vita in Vaticano a riforme radicali.

- Hans Küng fa appello ai preti e ai fedeli praticanti affinché si oppongano alla gerarchia cattolica, che definisce corrotta, senza credibilità e lontana dai veri problemi del popolo.

In una intervista esclusiva al The Guardian, Küng, che è stato a stretto contatto con il papa quando collaboravan da giovani teologi, ha descritto la chiesa come un "sistema autoritario" paragonandlo alla dittatura tedesca durante il nazismo. "L’obbedienza incondizionata richiesta ai vescovi che giurano fedeltà al papa mediante la sacra promessa è tanto estrema quanto quella dei generali tedesci che erano obbligati a giurare fedeltà a Hitler", ha infatti affermato.

Il Vaticano ha inteso schiacciare qualsiasi forma di dissenso, ha aggiunto. "Le regole per la scelta dei vescovi sono talmente rigide che, non appena qualcuno accenna alla pillola contraccettiva, all’ordinazione delle donne, viene depennato". Il risultato è una schiera di "Yes men", quasi tutti allineati senza porre questioni. "La sola strada per la riforma è partire dal basso", dice il prete ottantaquattrenne Küng. "I preti e gli altri chierici che occupano funzioni di responsabilità devono smetterla di essere servili, di organizzarsi per affermare che certi argomenti semplicemente non si toccano".

Küng, autore di circa 30 libri su teologia cattolica, cristianesimo, etica, che hanno venduto milioni di copie in tutto il mondo, ha dichiarato che l’ispirazione per un cambiamento globale può arrivare dalla sua nativa Svizzera o dall’Austria, dove centinaia di preti cattolici hanno dato vita a movimenti che si oppongono apertamente alle attuali pratiche del Vaticano. I dissenzienti sono definiti pionieri anche da osservatori vaticani che li vedono come i probabili portatori di un profondo scisma nella chiesa. "Ho sempre detto che se nella diocesi un prete si desta, non conta nulla. Cinque creano agitazione. Cinquanta già sono praticamente invincibili. In Austria la cifra supera le 300 unità, fino anche a 400; in Svizzera ci sono 150 preti dissenzienti, e il numero è destinato a salire".

Ha dichiarato che i recenti tentativi dell’arcivescovo di Vienna, Christoph Schönborn, di stroncare la rivolta minacciando di punire quelli coinvolti nella iniziativa austriaca sono falliti per via della forza delle loro motivazioni. "Si è immediatamente fermato quando ha capito che molta gente comune li sostiene e sarebbe stato pericoloso inimicarsela", ha aggiunto Küng . Le iniziative mirano a sostenere richieste apparentemente banali come lasciare che i divorziati risposati ricevano la comunione, permettere ai laici di presiedere le liturgie e alle donne di acquisire ruoli chiave nella gerarchia. Tuttavia, poiché essi si oppongono all’insegnamento cattolico tradizionale, le richieste sono state categoricamente respinte dal Vaticano Küng, al quale è stato negato l’insegnamento della teologia cattolica da Giovanni Paolo II nel 1979 per aver messo in dubbio il concetto di infallibilità papale, è stato colui che ha riconosciuto all’allora Joseph Ratzinger il primo step nella gerarchia del cattolicesimo accademico quando lo ha chiamato all’Università di Tubinga, nel nord-ovest della Germania, ad insegnare teologia dogmatica nel 1966.

Per quattro anni i due hanno lavorato a stretto contatto, in qualità di giovani consiglieri, negli anni ’60 durante il Concilio Vaticano II - l’evento riformatore più importante nella chiesa a partire dal Medioevo. Ma il rapporto tra i due non è mai andato oltre, anche a causa delle divergenze politiche che creavano un divario incolmabile tra loro. L’impetuoso e passionale Hans Küng, per molti versi, ha spesso rubato la scena al serio e posato Joseph Ratzinger.

Küng fa riferimento alle leggende che abbondano sul conto suo e di Ratzinger fin dai giorni di Tubinga, non ultimi i racconti apocrifi di quando avrebbe dato un passaggio sulla sua "macchina rossa sportiva" ad un Ratzinger lasciato a piedi dalla bici. "Gli davo sempre un passaggio, specie su per le ripide colline di Tubinga, ma il resto è stato creato. Non ho mai avuto auto sportive, a parte un’Alfa Giulia. Lo stesso Ratzinger ha ammesso di non essere interessato alla tecnologia né tanto meno aveva conseguito una patente di guida. Ma tutto questo è stato spesso tramutato in una specie di metafora idealizzando il "ciclista" contro lo scapestrato "Alfista".

Stando a Küng, infatti, ll’immagine del futuro papa, modesto e prudente ciclista, ora 85enne, ha dominato per anni e ancora oggi è tutt’altro che scemata fin dall’elezione del 2005. "Ha sviluppato una speciale pomposità che non si addice all’uomo che sia io che altri avevamo conosciuto, quello che girava col baschetto in testa ed era pieno di modestia. Ora lo vediamo spesso ricoperto di vesti dorate e splendenti. Di sua sponte indossa la corona di un papa del XIX secolo e si è fatto rifare le vesti del papa Leone X Medici"."

Questa pomposità si manifesta al meglio durante le udienze periodiche in Piazza S. Pietro a Roma. "Queste adunanze hanno dimensioni stile corazzata Potemkin. Gente fanatica si reca in piazza per celebrare il papa e per dirgli quanto è fantastico, mentre le loro stesse parrocchie versano in condizioni preoccupanti, con mancanza di preti, sempre più persone che si allontano rispetto a quante ne vengono battezzate e ora il cosiddetto Vatileaks, che evidenzia in che stato si trovi l’amministrazione del Vaticano", ha detto Küng con riferimento allo scandalo sui documenti segreti trapelati, che hanno rivelato lotte di potere interne al Vaticano e hanno visto l’ex maggiordomo del papa comparire in tribunale. Il processo terminerà sabato.

E’ stato proprio a Tubinga che le strade dei due teologi si sono incrociate per alcuni anni prima di divergere enormemente a seguito delle rivolte studentesche del 1968. Ratzinger rimase scioccato dagli ieventi e fuggì verso la relativa sicurezza della nativa Baviera, dove ha approfondito il suo coinvolgimento nella gerarchia cattolica. Küng restò a Tubinga e assunse sempre più il ruolo dell’"enfant terrible" della Chiesa Cattolica. "Le rivolte studentesche furono un vero e proprio shock per Ratzinger dne divenne sempre più conservatore e simpatizzante della gerarchia ecclesiastica", sostiene Küng.

Dopo aver definito quello di Benedetto XVI un "pontificato di opportunità mancate" in cui ha perso l’occasione di riconciliazione con le fedi protestante, ebraica, ortodossa e musulmana, così come ha mancato di sostenere la lotta all’Aids in Africa non concedendo l’utilizzo dei sistemi di controllo delle nascite, Küng sostiene che lo "scandalo più grave" sia la copertura a livello mondiale dei casi di abusi sessuali commessi dai chierici durante il suo incarico di Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, come Cardinale Ratzinger.

"Il Vaticano non è diverso dal Cremlino. Come Putin in qualità di agente segreto è diventato il capo della Russia, così Ratzinger, in qualità di capo dei servizi segreti della Chiesa è diventato capo del Vaticano. Non ha mai chiesto perdono per i molti casi di abusi sessuali posti sotto secretum pontificium e non ha mai riconosciuto questo problema come il maggior disastro della Chiesa Cattolica". Küng ha descritto quello Vaticano come un processo di "Putinizzazione".

Comunque, nonostante le differenze, i due sono rimasti in contatto. Küng ha fatto visita al papa durante le ferie estive a Castel Gandolfo nel 2005, occasione nella quale i due hanno discusso per circa quattro ore.

"Sembrava che avessimo lo stesso passo. Dopotutto siamo stati colleghi per anni. Abbiamo camminato nel parco e ci sono stati momenti in cui ho pensato che potesse cambiare idea su certi punti, ma non lo fece. Da allora ci siamo scritti, ma mai più incontrati".

Küng ha viaggiato in lungo e in largo nella sua vita, familiarizzando con chiunque, dai leader iraniani a John F. Kennedy a Tony Blair, col quale ha costruito uno stetto legame circa dieci anni fa, diventando una sorta di guru spirituale per l’allora primo ministro britannico prima della sua decisione di convertirsi al cattolicesimo.

"Sono rimasto colpito dal modo con cui ha affrontato il conflitto del’Irlanda del Nord. Ma poi è arrivata la guerra in Iraq e sono rimasto colpito dal modo con cui ha collaborato con Bush. Gli ho scritto definendo il gesto un fallimento storico di prim’ordine. Mi scrisse una nota a mano in risposta, dicendo che mi ringraziava e rispettava il mio punto di vista, ma che stava agendo secondo coscienza senza voler in alcun compiacere gli americani. Ero stupito che un primo ministro britannico potesse compiere un errore tanto catastrofico e resta per me un fatto tragico." Ha descritto la coversione al cattolicesimo di Blair come un errore, sostenendo che avrebbe potuto usare il suo ruolo pubblico per rinconciliare le differenze tra gli anglicani e la Chiesa Cattolica nel Regno Unito.

Dal suo studio colmo di libri, in cui troneggia un ritratto di S. Tommaso Moro, martire cattolico inglese del XVI secolo, Küng guarda fuori nel suo girdino alla statua di due metri che lo raffigura. I critici hanno definito la cosa sintomatica del suo auto-compiacimento. Sembra imbarazzato mentre spiega come la statua sia un regalo dei vent’anni da parte dell’associazione Stiftung Weltethos (Fondazionie per l’Etica Globale) che opera da casa sua e continuerà a farlo dopo la sua morte.

Lungi dal mettere un freno alla sua prolifica produzione teologica, Küng di recente ha commutato le idee di Weltethos - che cerca di creare un codice globale di comportamento, una globalizzazione dell’etica - in un estemporaneo libretto musicale. Mischiando la narrativa con sollecitazioni dal confucianesimo, induismo, buddismo, giudaismo e cristianesimo, gli scritti di Küng sono stati inseriti in un’opera sinfonica del compositore inglese Jonathan Harvey che vivrà la sua prima londinese domenica al Southbank Centre.

Küng sostiene che l’opera musicale, come la fondazione, rappresenta un tentativo di enfatizzare ciò che le religioni del mondo hanno in comune in barba a ciò che le divide.

Weltethos è stata fondata nel 1990 per unire le religioni del mondo, sottolineando le parti comuni e non le differenze. Ha istituito un codice di norme comportamentali che si spera un giorno possano essere universalmente riconosciute dalle Nazioni Unite.

L’obiettivo dell’opera è certamente imponente - Harvey ha parlato di "timore reverenziale" nello scrivere una partitura per il testo. Ma Küng, che ha guadagnato il sostegno di figure importanti come Henry Kissinger, Kofi Annan, Jacques Rogge, Desmond Tutu, Mary Robinson e Shirin Ebadi, insiste nel dire che il suo scopo è carpire le esigenze dal basso. "In un tempo di cambiamenti nel paradigma mondiale, abbiamo bisogno di uno schema di principi comuni, tra questi com’è ovvio la Regola d’Oro, secondo la quale Confucio insegnò a non imporre agli altri ciò che non si augurerebbe a se stessi."

- Traduzione di Stefania Salomone

* Il Dialogo, 08.10.2012.

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