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www.ildialogo.org UN QUADRO SBILENCO, UNA VISIONE DISTORTA DI DIO, DELLE DONNE E DEGLI UOMINI. Un'intervista alla biblista Anne Soupa - di Philippe Clanché,,a c. di Federico La Sala

IL MESSAGGIO EVANGELICO E LA VITA SENZA EQUILIBRIO ("KOYAANISQATSI" - LIFE OUT OF BALANCE)! CEDIMENTO STRUTTURALE DEL CATTOLICESIMO-ROMANO ...
UN QUADRO SBILENCO, UNA VISIONE DISTORTA DI DIO, DELLE DONNE E DEGLI UOMINI. Un'intervista alla biblista Anne Soupa - di Philippe Clanché,

Sono convinta che la Chiesa abbia una visione distorta delle donne e che sia necessario rettificarla. Ho voluto affrontare il problema partendo dalla Bibbia, perché non sopporto la manipolazione di cui sono oggetto le Scritture, semplicemente per giustificare scelte culturali che non hanno niente a che vedere con la fede.


a c. di Federico La Sala

NOTE SUL TEMA: 


L’IMMAGINARIO MITOLOGICO DELLA CHIESA CATTOLICO-ROMANA:
"Duemila anni fa, un ovulo fu miracolosamente fecondato dall’azione soprannaturale di Dio, da questa meravigliosa unione risultò uno zigote con un patrimonio cromosomico proprio. Però in quello zigote stava il Verbo di Dio"(dichiarazione del Cardinale Dario Castrillon Hoyos alla XV conferenza internazionale del Pontificio consiglio, La Repubblica del 17 novembre 2000, p. 35)

DONNE, UOMINI, E INGIUSTIZIA EPISTEMICA:«CHANGING THE IDEOLOGY AND CULTURE OF PHILOSOPHY»! 

RINASCIMENTO ITALIANO, OGGI: LA SCOPERTA DI UNA CAPPELLA SISTINA CON 12 SIBILLE.

SPEGNERE IL "LUMEN GENTIUM" E INSTAURARE IL POTERE DEL "DOMINUS IESUS". Il disegno di Ratzinger - Benedetto XVI. Due testi a confronto, con alcune note (Federico La Sala)

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Anne Soupa: “La Chiesa ha una visione distorta delle donne”

intervista a Anne Soupa,

a cura di Philippe Clanché

in “www.temoignagechretien.fr” del 4 ottobre 2012

(traduzione: www.finesettimana.org)

 

  • In “Dieu aime-t-il les femmes?” (Dio ama le donne?) la biblista Anne Soupa afferma che la visione delle donne da parte della Chiesa sarebbe nata da un equivoco nell’interpretazione della Genesi e da un rifiuto di rielaborare tale interpretazione.

 

Come è giunta ad interessarsi del problema dello status delle donne nella Bibbia?

È un problema a cui penso da molto tempo. Sono convinta che la Chiesa abbia una visione distorta delle donne e che sia necessario rettificarla. Ho voluto affrontare il problema partendo dalla Bibbia, perché non sopporto la manipolazione di cui sono oggetto le Scritture, semplicemente per giustificare scelte culturali che non hanno niente a che vedere con la fede.

E pensa che tutto derivi da un errore di interpretazione di un passo della Genesi?

Nei due racconti della Genesi della creazione dell’uomo, Dio crea prima l’ha’adam, fatto d’argilla, l’essere umano generico. Il commentatore maschio - perché storicamente è un uomo - , vi si è rispecchiato e si è appropriato di questo essere umano generico per dire che si trattava di lui. Quello è l’errore originale. I lettori medioevali ne hanno tratto la conclusione che la donna fosse una creazione seconda, nel tempo e per importanza, e soprattutto che fosse un aiuto per l’uomo. Ma se l’uomo maschio non esiste ancora, come potrebbe la donna essere il suo aiuto? Eppure, è proprio su questa lettura sbagliata di Genesi 2, 18-24 che si è basato il magistero cattolico. Non si tratta di un problema di vocabolario. La lingua tedesca, che pure dispone di due termini diversi (Mensch, l’essere umano, e Mann, l’uomo) conserva questa confusione... Bisognerebbe ormai compiere un percorso ufficiale per far sì che vengano distinti l’essere umano e l’uomo maschio.

E tuttavia, la creazione divina si struttura sulla differenza dei sessi?

Dio ha effettivamente creato la differenza dei sessi, ma il testo della Genesi non dà alcun contenuto oggettivo a questa differenza. Per ciascuno e ciascuna, essa sorge dall’esperienza. Dio non dice che la donna è frivola, seducente, segreta, regina della casa e che l’uomo è potente, razionale, inquisitore. Dio non ha creato né il femminile, né il maschile, che sono invece caratteristiche culturali.

In senso più ampio, come considera le donne l’Antico Testamento?

Certe donne sono vittime di violenze terribili, come la concubina del levita violentata fino alla morte. Ma la Bibbia denuncia tali atti. Non dimentica mai che la donna è creatura di Dio. Nel progetto biblico, le donne hanno un ruolo decisivo: dicono che Dio prospetta percorsi insospettati. Si scopre ora il contributo importante delle donne profetesse nella Bibbia. Naturalmente, come in ogni società patriarcale, le loro funzioni sono legate alla vita familiare.

Nel Vangelo, lei presenta un Gesù con caratteristiche “femminili” (non violenza, tenerezza, ascolto) e, allo stesso tempo, innamorato delle donne.

Gesù ha mandato all’aria i codici culturali della sua epoca. È stato libero rispetto al “maschile” del suo tempo. Ha ridato alle donne uno spazio. Ed è da uomo che le considera. Tutte le nostre relazioni umane sono caratterizzate dalla sessualità. In Gesù e nelle sue interlocutrici, c’è una innegabile parte di sessualità passiva. Inoltre, il desiderio di Dio, a partire dai profeti, viene evocato con la metafora delle nozze, della vita amorosa. Nulla di sorprendente che alcuni abbiano creduto di vedervi una relazione scandalosa tra Cristo e Maria Maddalena. È il campo d’azione della vita spirituale: è una relazione amorosa sublimata.

Femminile, maschile... il “genere” è un aspetto da tener presente della relazione con Dio?

I grandi spirituali hanno insistito sulla femminilità dell’anima che accoglie Dio. Ne hanno certo diritto: il femminile, come il maschile, appartengono a tutti. Ma in questo modo, in una società a dominanza maschile come quella del Medio Evo, si sono per di più arrogati il femminile. E, stando così le cose, ne hanno quasi privato le “vere” donne, che finiscono per non essere più necessarie! L’interpretazione del Cantico dei cantici mostra chiaramente questa “espropriazione”. La storia d’amore che racconta è stata intesa da quasi tutti i commentatori cristiani come un’immagine dell’amore tra l’essere umano e Dio. Ma così l’Amata del Cantico scompare in quanto vera donna, non è altro che l’icona di colui che desidera Dio.

Ed è proprio a partire dal Cantico dei Cantici che l’assimilazione tra l’Amata del testo e il popolo dei fedeli fa nascere l’espressione “Chiesa, sposa di Cristo”?

Sono soprattutto i profeti che hanno sviluppato questo tema del popolo-sposa di Dio (e Dio viene così mascolinizzato). E, sfruttando questo filone, anche i teologi, Paolo per primo, hanno sviluppato il tema della Chiesa sposa di Cristo. Ma quella che era solo un’immagine, ed anche una richiesta di maggiore fedeltà a Dio, è diventata una norma che regge i veri rapporti dei veri uomini e delle vere donne nella Chiesa. Ed è su questo che si basa la Chiesa per escludere le donne dal sacramento dell’ordine. Le donne, dice, non possono esprimere il Cristo sposo. Ecco come si fa di una metafora uno strumento di esclusione.

Nei primi secoli del cristianesimo, però, le donne esercitavano dei ministeri. Sotto un ritratto nella chiesa di Santa Prassede a Roma, si legge: Theodora episcopa(il vescovo Theodora). Perché lei situa la svolta al momento della riforma gregoriana (XI-XII secolo)?

La riforma gregoriana affida ai soli preti le tre funzioni tradizionali nella Chiesa: governare, insegnare, santificare. Le donne (come i laici uomini) ne sono quindi escluse, fino ad oggi. E inoltre, nel XIII secolo, la Chiesa inizia la guerra contro i preti sposati. Quella decisione suscita molte resistenze, che generano, in risposta, vere campagne di discredito nei confronti delle donne. Sermoni e rappresentazioni iconografiche associano la donna al serpente della Genesi, come sull’architrave della cattedrale di Autun, ad esempio. Allora, le donne occupano altri spazi. Come ogni popolazione minacciata che fugge verso le montagne o i deserti, le donne si rifugiano nel misticismo o nell’avventura coloniale, in Canada, ad esempio.

In quale momento la Chiesa ha creato la vocazione della donna-madre, della donna-ventre che si realizza innanzitutto nella maternità?

Questa concezione è antica, abbiamo visto che la Bibbia ne riconosce la nobiltà. Ma la maternità non dice tutto di un essere umano. Non definisce un’identità. Nel XX secolo, la promozione della donna nelle società civili ha obbligato Roma a prendere posizione. Ma il Vaticano si è limitata a riprendere il discorso delle società patriarcali, senza vedere che l’emancipazione femminile la chiamava ad un discorso nuovo. Tanto ha sostenuto un tempo la causa delle donne, altrettanto frena oggi la corrente di emancipazione che arriva fino a lei, senza dubbio perché non ci sono abbastanza donne al suo interno per aiutarla a prendere coscienza dell’importanza di questa liberazione. Ad esempio, Roma continua a prendere alla lettera la maledizione della Genesi: Dio moltiplicherà il dolore delle gravidanze della donna e l’uomo dovrà lavorare la terra col sudore della fronte. Per la donna, la maternità diventa ontologica per la donna. Ma agli uomini Roma non chiede di tornare ad essere agricoltori... Oggi siamo in una situazione “folle”: il Magistero parla al posto delle donne e non dà loro la parola. Si arroga il diritto di assegnare loro una vocazione specifica che non ha l’equivalente per i maschi.

Abbiamo parlato del rifiuto di Roma del presbiterato al femminile. Perché lei non ne fa un asse portante della sua richiesta?

Il ministero presbiterale è in crisi. Deve innanzitutto risolvere i suoi problemi. Ordinare delle donne non serve a niente se il quadro è sbilenco. Invece, è importante aprire alle donne la possibilità della predicazione e dell’assunzione di funzioni di responsabilità nella Chiesa. È urgente che si senta la loro voce. Essendo diretta solo dal clero, la Chiesa si priva di sangue nuovo. Si devitalizza.

Quale ruolo svolgono le femministe cattoliche?

Hanno riflettuto soprattutto sugli aspetti teologici ed ecclesiologici, in particolare sui ministeri. Una generazione di esegete comincia a pubblicare. Questo è bene, perché è a partire da una lettura nuova della Scrittura che le cose possono cambiare. Si può anche immaginare un sinodo delle donne, idea che propongo alla fine del mio libro. In tale circostanza potrebbero emergere delle mozioni specificamente femminili e, perché no, dei voti che uniscono uomini e donne. Ho lanciato l’idea, resto in attesa di che cosa ne pensa il pubblico. La questione delle donne è talmente scottante! Non si può restare in silenzio davanti ad una negazione così grave del messaggio evangelico.

Anne Soupa, Dieu aime-t-il les femmes?, Médiaspaul, p. 144, € 19

Biblista e militante

Anne Soupa ha studiato teologia all’Institut de pédagogie de l’Enseignement religieux (Iper) di Lione, poi nelle facoltà cattoliche di Lione e di Parigi. Ha lavorato come biblista, in particolare dirigendo la rivista Biblia presso la casa editrice Cerf. È diventata famosa come promotrice, insieme all’editrice e saggista Christine Pedotti, del Comité de la Jupe e della Conférence catholique des baptisé-e-s francophones, che hanno l’obiettivo di difendere la dignità delle donne e la dignità dei battezzati e delle battezzate. Insieme hanno raccontato queste avventure nel libro Les pieds dans le bénitier, Presses de la Renaissance, 2009.



Venerdì 05 Ottobre,2012 Ore: 13:03
 
 
Commenti

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/10/2012 18.04
Titolo:“Koyaanisqatsi: life out of Balance”
Nella lingua degli americani Hopi: “koyanisquatsi è "la vita priva di equilibrio”. Su questa parola ha richiamato l’attenzione, nel 1984, il regista Godfrey Reggio, con il suo importante film e la sua accorata denuncia per la vita stessa sul e del pianeta - con musiche di Phillip Glass - intitolato proprio “Koyaanisqatsi: life out of Balance”).


Federico La Sala
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 06/10/2012 13.18
Titolo:Dossetti sosteneva la necessità di una ricerca teologica ....
L’impatto sulla società liquida

di Aldo Maria Valli (Europa, 6 ottobre 2012)

Non entrerò nella polemica circa la contrapposizione tra ermeneutica della continuità ed ermeneutica della discontinuità. Mi sembra una discussione piuttosto sterile e francamente poco appassionante. Entrambi i fronti hanno qualche ragione. Il Concilio, come ha detto Benedetto XVI, non può essere considerato una nuova costituzione che revoca la vecchia. Intanto perché la chiesa cattolica non è un regime politico, e poi perché per la Chiesa l’unica “costituzione” è il Vangelo, e il Vangelo non è certamente né revocabile né emendabile. D’altra parte chi sostiene l’ermeneutica della discontinuità ha ragione nel sottolineare che con il Concilio Vaticano II si è aperta una pagina tutta nuova («una transizione epocale e una svolta profonda», l’ha definita il cardinale Roberto Tucci) all’insegna di profondi cambiamenti, come la valorizzazione del ruolo dei laici e la riscoperta della Scrittura.

Con il Vaticano II la Chiesa esce dalla dimensione dogmatica, volta a stabilire verità ed errori nel segno dell’assoluto e dell’indiscutibile, ed entra nella dimensione pastorale, volta a trovare il modo di porgere e trasmettere meglio i contenuti della fede agli uomini e alle donne del tempo. Non si può capire il Concilio se non si tiene conto della sua essenza pastorale. Infatti, non a caso, faticano a capirlo i tradizionalisti, legati al carattere dogmatico del messaggio cristiano.

Con il Concilio la chiesa cattolica, consapevole di non vivere più in regime di cristianità diffusa e scontata, ma in un mondo che prende direzioni molto diverse e a volte opposte rispetto al messaggio evangelico, scopre se stessa come pellegrina e quindi missionaria: una realtà che vive in mezzo al mondo, nel confronto costante con tutte le altre realtà. E proprio perché pellegrina non pensa più se stessa come istituzione rigida, come organizzazione strutturata attorno ad alcuni principi immutabili, ma come popolo in cammino, come autentica ecclesia, comunità di persone. Una comunità che, essendo in cammino, non passa al di sopra delle realtà circostanti, ma vi è mescolata, e non guarda con spirito di superiorità alle difficoltà e ai limiti del resto del mondo, ma vi prende parte, attraverso uno stile misericordioso. Il Concilio si mette alle spalle la Chiesa dei grandi sacerdoti, che giudicano stando al di fuori e al di sopra delle sofferenze e dei peccati del mondo, e valorizza la Chiesa samaritana, che si piega sul dolore del bisognoso e se ne prende cura concretamente, in nome della comune umanità.

Ci sono anche rughe sul volto del Concilio. E la principale consiste forse nel suo modo di porre la questione del rapporto con il mondo. Quando Giovanni XXIII annunciò il Concilio la nozione di “mondo” era di gran lunga più semplice, meno articolata, di quella odierna. Limitandoci al mondo di cultura cristiana, quando i padri conciliari parlavano del mondo avevano in mente una realtà che si stava certamente allontanando, già allora, dalla fede, ma era ancora imbevuta di tradizioni e valori cristiani. Era un mondo più compatto, meno complicato, meno differenziato. Nessuno allora avrebbe mai immaginato, per descrivere il mondo, di ricorrere all’espressione di Zygmunt Bauman: “società liquida”. Il mondo stava cambiando, ma era ancora leggibile attraverso le vecchie logiche. Era ancora unitario, mentre oggi siamo in piena frammentazione. E lo stesso mondo ecclesiale era qualcosa di molto meno complesso rispetto all’oggi.

Il mondo al quale si riferisce il Concilio, con un entusiasmo che oggi ci può legittimamente apparire ingenuo, può anche far paura (come nel caso del rischio atomico), ma è ancora comprensibile, anche sul piano morale. In quel mondo le nozioni di bene e male, di buono e cattivo, sono ancora largamente condivise. Esiste ancora un soggetto che osserva e giudica. Ma oggi tutto è messo in discussione. Basti pensare all’avvento della realtà virtuale, per cui è sempre più difficile definire persino il concetto di esperienza personale Come confrontarsi con questo mondo che sfugge come l’acqua, questo mondo così inafferrabile da non poter nemmeno essere descritto con i vecchi linguaggi?

Il problema, oggi come allora, non sta nelle strutture, ma nel rinnovamento spirituale: nel volto della Chiesa deve risplendere il volto di Cristo. Ovviamente è più facile cambiare le strutture. Molto più difficile è spogliarsi di quello che monsignor Casale chiama «un modo improprio di essere e di sentirsi Chiesa». Occorre ritornare sempre al Vangelo. Occorre rendersi conto del fatto che anche la questione delle strutture, e in primo luogo della curia romana, è problema teologico, non amministrativo. Non a caso Giuseppe Dossetti sosteneva la necessità di una ricerca teologica a sostegno di un’autentica riforma.
Autore Città Giorno Ora
ugo agnoletto ponte della priula 08/10/2012 18.40
Titolo:siamo appena agli inizi
il Concilio Vaticano II ha aperto la strada a quello che temevano coloro che avevano condannato Galileo. E cioè: se si incomincia a dire che la Chiesa ha sbagliato su qualcosa, si apre una breccia che non finisce più. Infatti la gente oggi non crede più al 100% al papa che vorrebbe un cattolicesimo granitico. Quindi oggi tutto è possibile nella chiesa.

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Indice completo articoli sezione:
Dottrina della fede secondo Ratzinger

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