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www.ildialogo.org IN SVEZIA, IN MISSIONE PER IL DIO DI BENEDETTO XVI. Il cortile dei Gentili a casa dei Nobel: "duetti" all'Accademia reale delle scienze. Una nota di Armando Torno e un intervento di Gianfranco Ravasi - con appunti,a c. di Federico La Sala

IL DISEGNO DI RATZINGER - BENEDETTO XVI. Spegnere il "Lumen Gentium" e instaurare il potere del "Dominus Iesus", il "Cristo Magno" del Sacro Romano Impero...
IN SVEZIA, IN MISSIONE PER IL DIO DI BENEDETTO XVI. Il cortile dei Gentili a casa dei Nobel: "duetti" all'Accademia reale delle scienze. Una nota di Armando Torno e un intervento di Gianfranco Ravasi - con appunti

(...) Le due giornate svedesi, oltre a evocare una questione sempre aperta, desiderano provocare per meglio far conoscere le ragioni della scienza e le speranze della fede. Inoltre, il Cortile si riunirà in due luoghi simbolo di Stoccolma: l’Accademia, che ha legato il suo nome al Premio Nobel, e il Fryshuset, centro leader di attività sociali, creato per accogliere e soccorrere ragazzi in difficoltà. E tutto questo nell’attesa di Assisi, il 5 e il 6 ottobre (...)


a c. di Federico La Sala

 PREMESSA SUL TEMA:

SPEGNERE IL "LUMEN GENTIUM" E INSTAURARE IL POTERE DEL "DOMINUS IESUS". Il disegno di Ratzinger - Benedetto XVI. Due testi a confronto, con alcune note

LA CHIESA DEL SILENZIO E DEL "LATINORUM".

CARDINAL RAVASI, MA NON E’ POSSIBILE FARE CHIAREZZA? SI TRATTA DELLA PAROLA FONDANTE E DISTINTIVA DELLA FEDE CRISTIANA!!! DIO E’ AMORE ("Charitas") O MAMMONA ("Caritas")?! Ha dimenticato l’esortazione di Papa Wojtyla ("Se mi sbalio, mi coriggerete")?!

OBBEDIENZA CIECA: TUTTI, PRETI, VESCOVI, E CARDINALI AGGIOGATI ALLA "PAROLA" DI PAPA RATZINGER ("DEUS CARITAS EST", 2006). (Federico La Sala)


Il cortile dei Gentili a casa dei Nobel

di Armando Torno (Corriere della Sera, 10 settembre 2012)

Questa settimana il Cortile dei Gentili - lo spazio di incontri voluto da Benedetto XVI e organizzato dal Pontificio Consiglio della Cultura - riprende a Stoccolma. La capitale svedese ospiterà dibattiti sul tema «Il mondo con o senza Dio?». Sono stati chiamati «duetti», giacché sono dei faccia a faccia tra personalità contrastanti. O forse saranno scontri. E per la bisogna si è messo in campo un argomento chiave che da sempre fa riflettere filosofi e teologi.

Tutto comincerà giovedì 13 settembre all’Accademia reale svedese delle scienze, con i saluti del cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, e dello scrittore Georg Klein. Poi il primo duetto. Su «Cosa significa credere e non credere?» si contrapporranno Ulf Danielsson (professore di fisica all’Università di Uppsala) e Ingemar Ernberg (biologo, autore del libro Cos’è la vita?); sarà poi la volta dell’incontro «Esiste un mondo non materiale?»: il confronto avverrà tra Antje Jackelén (vescovo della Chiesa di Svezia, diocesi di Lund) e lo scrittore-medico Per Christian Jersild. Tra l’altro, venerdì 14, secondo e ultimo giorno del Cortile svedese, si discuterà «Cosa significa credere e non credere?». Anders Carlberg, scrittore e fondatore del Fryshuset, dibatterà con Linnea Jacobsson, vicepresidente dei Giovani cristiani di sinistra.

Le due giornate svedesi, oltre a evocare una questione sempre aperta, desiderano provocare per meglio far conoscere le ragioni della scienza e le speranze della fede. Inoltre, il Cortile si riunirà in due luoghi simbolo di Stoccolma: l’Accademia, che ha legato il suo nome al Premio Nobel, e il Fryshuset, centro leader di attività sociali, creato per accogliere e soccorrere ragazzi in difficoltà. E tutto questo nell’attesa di Assisi, il 5 e il 6 ottobre, con un Cortile che sarà ricco di sorprese.

A Stoccolma non mancheranno scintille parlando di Dio. Ma è bene che sia così. Il cardinale Ravasi ci ha confidato: «A volte la tensione, forse la ferita impediscono la sonnolenza, l’indifferenza, il distacco». Si parla di «ferita» morale. Che, secondo il teologo Ratzinger, genera la bellezza nell’anima.

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A CARLO M. MARTINI E A ENZO PACI, IN ONORE E MEMORIA .... DEL CARDINALE CARLO M. MARTINI, LA LEZIONE PIU’ GRANDE: IL PRESEPE DEL LAGER NELLA BASILICA DI SANT’AMBROGIO (MILANO, 2000).

VITA E PENSIERO: L’ATTENZIONE DI ENZO PACI AI CREDENTI. E l’attenzione ai non credenti di Marti

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  • Il Cortile dei gentili in Svezia, nella terra degli atei

    di Gianfranco Ravasi (Avvenire, 9 settembre 2012)

    L’esperienza del «Cortile dei Gentili» per il dialogo tra persone di fede e non credenti ha percorso in un arco di tempo piuttosto breve un itinerario molto variegato, con tappe dalle tipologie più diverse e talora persino sorprendenti e inattese. Quello che si celebrerà a Stoccolma sarà, però, un evento dai contorni del tutto inediti, e questo sostanzialmente per due ragioni. Da un lato, infatti, ufficialmente la Svezia è un Paese luterano, segnato da una tradizione religiosa rigorosa e fin rigida che ha avuto spesso ritratti severi ma intensi nella filmografia di Ingmar Bergman, il regista ’teologo’ ateo, capace di rappresentare davanti al mondo il tormentato travaglio della stessa Chiesa luterana (si pensi, tanto per esemplificare, ai film Luci d’inverno e Fanny e Alexander). Bisogna anche riconoscere che le due celebri università di Uppsala e di Lund hanno rappresentato e ancor oggi incarnano un modello alto di ricerca teologica e di dialogo.

    Risulta, perciò, particolarmente significativo che - sia pure con tutte le difficoltà che il confronto ecumenico sta vivendo - un progetto della Chiesa cattolica sia stato accolto con interesse e partecipazione anche da alte personalità della stessa confessione luterana, a partire da Antje Jackelén, una professoressa dell’università di Lund che è anche vescovo di quella città. Anzi, scrivendomi una lunga lettera nei mesi scorsi, mi invitava a una collaborazione permanente con un’associazione teologica per la tutela del creato da lei presieduta.

    Naturalmente non mancano anche presenze di personalità di altre comunità religiose, tenendo conto della molteplicità di etnie, culture, spiritualità che popolano la Svezia contemporanea: vorrei citare, ad esempio, Linnea Jacobsson che rappresenta una delle varie ’Chiese libere’ svedesi e la musulmana Fazeela Zaib.

    D’altro lato, è ben nota la dilagante secolarizzazione che ha investito un po’ tutte le nazioni scandinave, ove la frequenza al culto è ridotta a percentuali irrisorie e lo standard di vita e le concezioni dominanti sono del tutto spoglie di rimandi religiosi o trascendenti. Per questo i due grandi momenti dell’incontro di Stoccolma, quello di giovedì 13 settembre all’Accademia Reale delle Scienze sul tema «Il mondo con o senza Dio» e il successivo del 14 settembre alla Fryshuset, sempre sullo stesso soggetto ma con un pubblico giovanile, hanno visto subito l’adesione di una serie di figure significative ’laiche’, talora anche marcatamente atee.

    Devo, comunque, riconoscere che l’ex-Commissario del Consiglio d’Europa per i Diritti umani, Thomas Hammarberg, non credente, che parteciperà all’incontro, mi esprimeva in modo netto la sua diffidenza nell’usare termini come ateo, agnostico, non credente perché «noi tutti abbiamo in qualche modo una fede».

    Questo evento - che sarà certamente arduo e che mi permetterà di incontrare personalità diverse di un orizzonte piuttosto lontano dal mondo cattolico e dalla stessa cultura mediterranea (avrò anche una serie di visite alle autorità politiche svedesi, a partire dal mio omologo, la ministra della Cultura Lena Adelsohn Liljeroth) - rivela comunque una vivacità, una libertà e una creatività inaspettate e un desiderio di confronto fuori dai temi «politicamente corretti» che sono una sorta di pane quotidiano per la società svedese.

    Infatti, durante una serie di interviste previe che ho rilasciato al maggior giornale di Stoccolma e alla televisione di Stato, i miei interlocutori hanno manifestato la loro sorpresa che si trattassero argomenti considerati al massimo come personali e accuratamente esclusi dall’agenda degli interessi pubblici. Eppure la cultura svedese continua a interrogarsi sulle questioni alte ed estreme dell’essere e dell’esistere.

    Molti in Italia devono essere grati all’editrice milanese Iperborea che ha aperto alcuni squarci di grande qualità attraverso il suo importante catalogo di traduzioni scandinave. Io stesso, che in passato avevo visitato una sola volta la Svezia, ho ora la possibilità di non sentirmi del tutto estraneo in quell’orizzonte proprio per gli autori che venivano proposti da quell’editrice, perché essi incarnavano l’anima profonda di quel popolo, al di sotto della superficie introdotta dalla globalizzazione.

    Proprio sul tema che sarà al centro del «Cortile» di Stoccolma mi sembra suggestivo evocare una trilogia di figure letterarie emblematiche. La prima è un autore di culto in Svezia, il narratore e drammaturgo Stig Halverd Dagerman. Aveva solo 31 anni, era già al culmine del successo, ma il 4 novembre 1954 si tolse la vita. Il suo primo romanzo, Il serpente (1945), si ispirava all’esperienza devastante e alienante della vita militare, capace di creare il deserto nella coscienza.

    Il secondo, L’isola dei condannati (1946), aveva come simbolo centrale appunto un’isola desolata, approdo agghiacciante di sette condannati. Il filo conduttore spirituale era costante e avrebbe sempre dominato sia la sua anima sia le sue pagine: l’angoscia e la paura distruggono la vita; l’unico, misero scampo è la consapevole accettazione della loro inevitabilità, un po’ alla maniera kafkiana. Ebbene, in un altro suo libro, Il nostro bisogno di consolazione, si fa strada invece la domanda religiosa. Ecco un passaggio molto significativo. «Mi manca la fede e non potrò mai, quindi, essere un uomo felice, perché un uomo felice non può avere il timore che la propria vita sia solo un vagare insensato verso una morte certa. Non ho ereditato né un Dio né un punto fermo sulla Terra da cui poter attirare un Dio. Non ho ereditato nemmeno il ben celato furore dello scettico, il gusto del deserto del razionalista o l’ardente innocenza dell’ateo. Non oso dunque gettare pietre sulla donna che crede in cose in cui io dubito e sull’uomo che venera il suo dubbio come se non fosse anch’esso circondato dalle tenebre. Quelle pietre colpirebbero anche me».

    La seconda testimonianza affiora dalla storia personale di uno degli scrittori svedesi contemporanei più noti e dalla sua autobiografia alla terza persona Un’altra vita, tradotta sempre da Iperborea. Si tratta di Per Olov Enquist, il cui racconto parte dal 1934 in uno sperduto villaggio puritano della Svezia settentrionale, nel silenzio glaciale e immutabile delle nevi e del cielo stellato, e procede percorrendo l’Europa con la storia tormentata del secondo Novecento. Ebbene, una delle tappe di questo itinerario, che vede anche l’abiezione nell’alcolismo, è quella della perdita della fede, instillata dalla madre, maestra elementare, nel cuore e nella carne del figlio. Ma a un certo punto questa matrice così radicata lentamente si dissolve: non è un trauma etico o metafisico o storico a creare questa dissipazione, ma è un puro e semplice ’scivolar via’.

    Scrive Enquist: «La ferma convinzione religiosa, la sua angoscia, la sua fiducia, il suo senso del peccato, tutto scivola via molto lentamente nella laicità e si confonde fin quasi a sparire. Quello che una volta era importante, ora sembra lontano. Non è una rottura drammatica, scivola solo via». È l’insensibile passaggio dalla religiosità luterana (ma è accaduto così anche a molti cattolici) all’indifferenza, un fenomeno - come sopra notavamo - dominante nella società attuale scandinava. Le parole della fede progressivamente perdono di senso e soprattutto non hanno più riscontri vitali.

    Abbiamo, quindi, due tipologie di ’Gentili’: da una parte, il non credente tormentato e colmo di interrogativi; dall’altra, l’ingresso nella quiete opaca dell’indifferenza religiosa. C’è, però, un terzo personaggio, uno scrittore originale e ammirato, eletto tra gli Accademici di Svezia, Torgny Lindgren.

    Di lui ho letto con grande partecipazione una trilogia di romanzi veramente affascinanti, Betsabea, che è la ripresa della celebre vicenda biblica del re Davide innamorato follemente (fino a commettere adulterio e omicidio) di questa donna, le parabole narrate dal sarto Morlin nei villaggi e raccolte nella Bellezza di Merab, e infine la contemporaneità fittizia di un mondo che ruota attorno al falso, al commercio, all’inganno con la curiosa vicenda del corniciaio intellettuale Theodor Marklund, e dell’amato dipinto La Madonna del pugnale di Nils Dardel, nel romanzo Per amore della verità.

    Lindgren è credente e, per di più, cattolico e la finale della terza opera che ho citato suona così: «Avrei potuto astenermi da tutto questo scrivere, avrei potuto accontentarmi del messaggio che aveva inciso lui col suo temperino. SIA LODATO IL SIGNORE». È, dunque, la testimonianza di una fede ’cantata’ e appassionata, coi suoi segni e simboli d’arte e di spiritualità, una volta, primaria in Svezia e ora minoritaria ma ancora viva e intensa (tra l’altro la comunità cattolica ha una presenza incisiva nella società e nella cultura di quel Paese, nonostante la sua esigua presenza, soprattutto attraverso i gesuiti che hanno anche una loro università).

    Questi tre personaggi che ho voluto evocare mostrano che il retroterra spirituale di quel popolo non si è inaridito e, quindi, l’esperienza del «Cortile dei Gentili» a Stoccolma - che è stata delineata e organizzata con straordinaria intelligenza e passione dall’ambasciatrice Ulla Gudmunsson, accreditata presso la Santa Sede, molto legata al dicastero che presiedo - potrà avere una sua accoglienza e fecondità. Dopo tutto, non aveva tutti i torti Nietzsche quando, nel Crepuscolo degli dei (1888), scriveva che «solo se un uomo possiede una fede robusta, può indulgere al lusso dello scetticismo». 



Lunedì 10 Settembre,2012 Ore: 18:06
 
 
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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/9/2012 10.41
Titolo:Non banalizzate il cardinale Martini ...
Non banalizzate il cardinale

di Aldo Maria Valli (Europa, 11 settembre 2012)

Il cardinale Martini è morto a poche settimane dal cinquantesimo anniversario dell’inizio del Concilio (11 ottobre 1962). Furono per lui, disse una volta, i più bei anni della sua vita, perché aria fresca entrava in una Chiesa che sapeva troppo si sacrestia e di muffa, e perché lo studio delle sacre scritture su base storica ne usciva legittimato, permettendo così anche ai cattolici di abbandonare il semplice devozionismo per entrare in un rapporto più maturo e adulto con la Bibbia.

Con il testamento spirituale consegnato al confratello padre Georg Sporschill, Martini ha indicato la strada per la Chiesa del terzo millennio: povertà e non sfarzo, collegialità e non centralismo, profezia e non burocrazia, testimonianza e non legalismo. Ha però ragione Vito Mancuso a dire (sulla Repubblica) che nei confronti del potente messaggio di Martini è subito partita un’operazione di ridimensionamento, una di quelle in cui la Chiesa gerarchica è sempre stata molto abile. Si sta mettendo il silenziatore alle denunce di Martini e si cerca di ridurre il suo messaggio a quello di un servitore della Chiesa generoso ma probabilmente un po’ troppo vivace. Servitore certamente lo è stato, fino all’ultimo, ma indignato! E triste davanti a una Chiesa cieca e sorda di fronte ai veri drammi degli uomini e delle donne di oggi.

Ma un’analoga operazione di ridimensionamento sta avvenendo anche nei confronti dello stesso Concilio Vaticano II. Il papa, in occasione dell’anniversario, ha proclamato un anno della fede. Il che provoca qualche perplessità perché sarebbe come, per un marito, proclamare l’anno dell’amore verso la moglie, o per uno studente l’anno dello studio. Ma, a parte questo, il problema è che, nei commenti e nelle iniziative che arrivano dalla Chiesa gerarchica, l’anno della fede, di cui si occupa il misterioso Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione (nome burocraticissimo), ha completamente soppiantato l’anniversario del Concilio.

Come non bastasse, l’accento viene posto volentieri sul fatto che in questo 2012 ricorre anche il ventesimo anniversario del nuovo Catechismo della Chiesa cattolica (1992), e così il gioco è fatto: anziché parlare del Concilio, della sua attualità e del bisogno, eventualmente, di farne un altro, ecco che tutto viene ridotto di nuovo a devozionismo e legalismo. Così lo spirito profetico viene accantonato, ridotto a folclore, e si torna a mettere in primo piano le norme, proprio come denunciato dal cardinale Martini.

L’operazione, ripetiamo, non è certamente nuova, ma rappresenta una costante da parte dei curiali e della Chiesa gerarchica, sempre pronta a catturare le novità per ingabbiarle, ridimensionarle, assorbirle in sé e sostanzialmente annullarle. Davanti allo stesso annuncio del Concilio da parte di Giovanni XXIII (accolto dai cardinali con un «impressionante, devoto silenzio», come annotò il papa non senza ironia) la curia reagì cercando di riportare il tutto, per quanto possibile, nell’ambito del centralismo, depotenziando immediatamente l’iniziativa papale.

Non dimentichiamo, per esempio, che Giovanni XXIII dovette imporsi per far inviare ai vescovi di tutto il mondo una lettera con la quale chiedeva quali dovessero essere a loro parere i temi da mettere al centro del Concilio. Il cardinale Felici, infatti, voleva che fosse la curia a occuparsi della questione e che ai vescovi fosse inviato un semplice prestampato con l’invito ad esprimere opinioni su quanto elaborato da Roma.

Nei quattro anni di preparazione del Concilio l’impegno di Giovanni XXIII fu di mettere d’accordo la carica profetica dell’iniziativa con le esigenze organizzative senza penalizzare la prima ai danni delle seconde, e su questo terreno dovette combattere una battaglia continua con il partito della curia. La stessa parola messa dal papa al centro della riflessione, “aggiornamento”, venne guardata con sospetto e si cercò di depotenziarla, esattamente come si sta facendo oggi con l’eredità di Martini.

Aggiornamento, per il papa, non doveva essere soltanto una revisione del linguaggio. Doveva essere una nuova creatività, la rinnovata disponibilità a confrontare il Vangelo con le culture e a farne scaturire una vita dalla parte della giustizia e dei più poveri, senza alcuna forma di autocompiacimento per le proprie sicurezze e nessun compromesso con il potere in tutti i suoi aspetti.

Ecco perché papa Roncalli volle un Concilio pastorale, non dogmatico. Come disse il teologo domenicano Marie-Dominique Chenu «tutto questo Concilio è pastorale come presa di coscienza, da parte della Chiesa, della sua missione». Un Concilio, quindi, denotato da una «originalità sensazionale», perché, «senza ignorare gli errori, le malvagità, le oscurità di questo tempo, non si pone in atteggiamento di tensione o di chiusura verso di esso, ma discerne soprattutto nelle sue speranze e nei suoi valori i richiami impliciti del Vangelo e vi trova la materia e la legge di un dialogo».

Giovanni XXII volle che il Concilio fosse libero, dialogo a tutto campo, e anche su questo dovette subire l’opposizione dei curiali e dei tradizionalisti. Criticava apertamente quei padri conciliari che, per il fatto di essere teologi, pensavano di dover produrre lezioni di teologia per dirimere questioni dottrinali e non riuscivano a concepire l’idea di mettersi in ascolto del mondo e delle Chiese dei diversi continenti. Dovette faticare per lasciare libertà ai vescovi e invitarli al confronto, senza paura. Lasciandosi trasportare dallo Spirito, papa Roncalli riuscì a condurre la barca del Concilio in mare aperto, là dove gli fu possibile dispiegare le vele con quelle parole iniziali della sua prima allocuzione: Gaudet Mater Ecclesia, la madre Chiesa si rallegra! I curiali e i tradizionalisti (i “profeti di sventura”), sempre pronti a innestare la marcia indietro, furono sconfitti.

Ma eccoli risorgere ad ogni svolta. E ora ci riprovano. Con l’anniversario del Concilio e con il testamento di Martini. Prontamente soppiantati da un istituzionale anno della fede gestito dal centro, all’insegna di celebrazioni e convegni con i soliti noti, e da una lettura riduzionistica tesa a privilegiare il Martini testimone della fede e, al più, uomo del dialogo, ma ignorando la sua denuncia di una Chiesa che non si scuote, conserva più cenere che brace ed è dominata dalla paura e dall’autoconservazione.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/9/2012 12.36
Titolo:IMPARATE DA MARTINI A COMUNICARE .....
«Il modello? Il dialogo misterioso nel sepolcro di Gesù»

di Carlo Maria Martini (Avvenire, 12 settembre 2012)

Solitamente si dà della comunicazione una definizione empirica: comunicare è «dire qualcosa a qualcuno». Dove quel «qualcosa» si può allargare a livello planetario, attraverso il grande mondo della rete che è andato ad aggiungersi ai mezzi di comunicazione classici. Anche quel «qualcuno» ha subìto una crescita sul piano globale, al punto che gli uditori o i fruitori del messaggio in tempo reale non si possono nemmeno più calcolare.

Questa concezione empirica, alla luce dell’odierno allargamento di prospettive, dove sempre più si comunica senza vedere il volto dell’altro, ha fatto emergere con chiarezza il problema maggiore della comunicazione, ossia il suo avvenire spesso solo esteriormente, mantenendosi sul piano delle nude informazioni, senza che colui che comunica e colui che riceve la comunicazione vi siano implicati più di tanto.

Per questo vorrei tentare di dare della comunicazione una descrizione «teologica», che parta cioè dal comunicarsi di Dio agli uomini, e lo vorrei fare enunciando qui alcune riflessioni che potrebbero servire per una nuova descrizione del fenomeno.

Nel sepolcro di Gesù, la notte di Pasqua, si compie il gesto di comunicazione più radicale di tutta la storia dell’umanità. Lo Spirito Santo, vivificando Gesù risorto, comunica al suo corpo la potenza stessa di Dio. Comunicandosi a Gesù, lo Spirito si comunica all’umanità intera e apre la via a ogni comunicazione autentica. Autentica perché comporta il dono di sé, superando così l’ambiguità della comunicazione umana in cui non si sa mai fino a che punto siano implicati soggetto e oggetto.

La comunicazione sarà dunque anzitutto quella che il Padre fa di sé a Gesù, poi quella che Dio fa a ogni uomo e donna, quindi quella che noi ci facciamo reciprocamente sul modello di questa comunicazione divina. Lo Spirito Santo, che riceviamo grazie alla morte e resurrezione di Gesù e che ci fa vivere a imitazione di Gesù stesso, presiede in noi allo spirito di comunicazione. Egli pone in noi caratteristiche, quali la dedizione e l’amore per l’altro, che ci richiamano quelle del Verbo incarnato. Di qui potremmo dedurre alcune conclusioni su ogni nostro rapporto comunicativo.

Primo. Ogni nostra comunicazione ha alla radice la grande comunicazione che Dio ha fatto al mondo del suo Figlio Gesù e dello Spirito Santo, attraverso la vita, morte e resurrezione di Gesù e la vita di Gesù stesso nella Chiesa. Si capisce perciò come i Libri sacri, che in sostanza parlano di questa comunicazione, siano opere di grande valore per la storia del pensiero umano. È vero che anche i libri di altre religioni possono essere ricchi di contenuto, ma questo è dovuto al fatto che sottostà a essi il dato fondamentale di Dio che si dona all’uomo.

Secondo. Ogni comunicazione deve tenere presente come fondante la grande comunicazione di Dio, capace di dare il ritmo e la misura giusti a ogni gesto comunicativo. Ne consegue che un gesto sarà tanto più comunicativo quanto non solo comunicherà informazioni, ma metterà in rapporto le persone. Ecco perché la comunicazione di una verità astratta, anche nella catechesi, appare carente rispetto alla piena comunicazione che si radica nel dono di Dio all’uomo.

Terzo. Ogni menzogna è un rifiuto di questa comunicazione. Quando ci affidiamo con coraggio all’imitazione di Gesù, sappiamo di essere anche veri e autentici. Quando ci distacchiamo da questo spirito, diveniamo opachi e non comunicanti.

Quarto. Anche la comunicazione nelle famiglie e nei gruppi dipende da questo modello. Essa non è soltanto trasmissione di ordini o proposta di regolamenti ma suppone una dedizione, un cuore che si dona e che quindi è capace di muovere il cuore degli altri.

Quinto. Anche la comunicazione nella Chiesa obbedisce a queste leggi. Essa non trasmette solo ordini e precetti, proibizioni o divieti. È scambio dei cuori nella grazia dello Spirito Santo. Perciò le sue caratteristiche sono la mutua fiducia, la parresia, la comprensione dell’altro, la misericordia

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Dottrina della fede secondo Ratzinger

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