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www.ildialogo.org IL "LUMEN GENTIUM" SPENTO: IL TESTO COSTITUZIONALE DEL VATICANO II STRACCIATO. "POVERA CHIESA! Corvi, Ior e potere". Intervista a don Andrea Gallo di Gianni Barbacetto,a c di Federico La Sala

MESSAGGIO EVANGELICO, 2012. A dicembre dovremo ricordare i 50 anni del Concilio ecumenico Vaticano II. Con che coraggio celebreremo questo anniversario? Come ricorderemo il Concilio che ha detto che la Chiesa è una comunità di fedeli e di carità, e non di potere (Lumen Gentium)? E l’opzione per i poveri? E il primato della coscienza personale? Come faremo a parlare di “nuova evangelizzazione”?
IL "LUMEN GENTIUM" SPENTO: IL TESTO COSTITUZIONALE DEL VATICANO II STRACCIATO. "POVERA CHIESA! Corvi, Ior e potere". Intervista a don Andrea Gallo di Gianni Barbacetto

Lo Ior era un centro di raccolta di fondi per la carità senza fine di lucro. Poi Papa Pacelli, nel 1942, in piena guerra mondiale, lo trasformò in una vera e propria banca. Ed è diventato un centro di potere. In passato ha avuto a che fare con Michele Sindona. Poi è stato diretto da Paul Marcinkus, che in Vaticano ha trovato riparo da tre mandati di cattura internazionali.


a c di Federico La Sala

NOTE SUL TEMA:

IL NOME DI DIO. L’ERRORE FILOLOGICO E TEOLOGICO DI PAPA BENEDETTO XVI, NEL TITOLO DELLA SUA PRIMA ENCICLICA. Nel nome della "Tradizione"

 LA "CHARTA CHARITATIS" (1115), LA "MAGNA CHARTA" (1215) E LA FALSA "CARTA" DELLA "DEUS CARITAS EST" (2006).

"ORCODio", URBI ET ORBI. LA "NUOVA" TEOLOGIA DEI "DUE PAPI" E LA "NUOVA" EVANGELIZZAZIONE DI RINO FISICHELLA - QUELLA DELLA CHIESA CHE RUSSA!!!

VIVA L’ITALIA. LA QUESTIONE "CATTOLICA" E LO SPIRITO DEI NOSTRI PADRI E E DELLE NOSTRE MADRI COSTITUENTI. Per un ri-orientamento antropologico e teologico-politico. (Federico La Sala)

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“Corvi, Ior e potere

Povera Chiesa”

intervista a don Andrea Gallo,

a cura di Gianni Barbacetto (il Fatto Quotidiano, 18 agosto 2012)

“La mia non è una riflessione di gioia. Io mi sento dentro la Chiesa, e la vedo ridotta così”. Don Andrea Gallo pensa agli scandali del Vaticano, alla richiesta di rinvio a giudizio del maggiordomo del Papa. “Da 53 anni sono presbitero di questa Chiesa e oggi vedo la sede apostolica in difficoltà. Non ne sono contento. Sono triste, addolorato. Il Papa dovrebbe essere il centro della carità mondiale e invece è il centro di scandali, di contese, di corvi, di scontri attorno allo Ior, la banca del Vaticano. Un tempo la Chiesa era considerata una ‘comunità perfetta’, comunità di credenti al servizio della carità. Oggi appare un centro di potere attorno a cui si muovono gruppi come l’Opus Dei, Cl, i Legionari di Cristo...”.

La miccia che ha fatto scoppiare gli scandali sembra essere lo Ior, la banca del Vaticano : una banca offshore nel cuore di Roma.

Lo Ior era un centro di raccolta di fondi per la carità senza fine di lucro. Poi Papa Pacelli, nel 1942, in piena guerra mondiale, lo trasformò in una vera e propria banca. Ed è diventato un centro di potere. In passato ha avuto a che fare con Michele Sindona. Poi è stato diretto da Paul Marcinkus, che in Vaticano ha trovato riparo da tre mandati di cattura internazionali. Oggi lo Ior è oggetto di sospetti per la cacciata del suo presidente, Ettore Gotti Tedeschi, e per le accuse di riciclaggio per 20-23 milioni di euro. Il Papa personalmente ha incaricato della questione un cardinale che appartiene all’Opus Dei. Molte critiche sono state rivolte al cardinale Segretario di Stato. Dobbiamo tornare al messaggio evangelico, dobbiamo salvare la Chiesa che è anche la nostra Chiesa, questa Chiesa di cui mi dichiaro appartenente, con le sue luci e le sue ombre. La logica di potere pesa sulla Chiesa, in Vaticano e nella Cei, tra i vescovi italiani. Mentre Papa Gregorio si definiva “servus servorum Dei”, servo dei servi di Dio. La Chiesa deve avere non una logica di potere, ma di servizio.

L’unico “corvo”, il solo colpevole della fughe di notizie dal Vaticano è il maggiordomo del Papa...

Mai io mi chiedo: è mai possibile che un maggiordomo possa aver fatto tutto da solo? Può essere l’unico corvo, può aver organizzato lui la fuga di notizie e di documenti vaticani? Non credo. Dietro a un maggiordomo vedo figure più potenti, vedo cardinali, vedo lo scontro tra gruppi di potere, vedo l’Opus Dei, Cl, i Legionari di Cristo... Il linguaggio della Chiesa, dice il Vangelo, deve essere “sì, sì, no, no”. Invece nell’indagine sul maggiordomo del Papa ci sono oltre 40 omissis. Il popolo di Dio aspetta chiarezza. Ha il diritto di sapere che cosa è davvero successo. Mi pare che non gli abbiano neppure sospeso lo stipendio: il maggiordomo è un ostaggio e basta. Lui sta nell’anticamera, dietro di lui ci sono quelli, ben più potenti, che stanno nelle camere. Il suo è stato un arresto anomalo, un segnale alla segreteria di Stato”.

Padre Lombardi, il portavoce vaticano, sostiene che la stampa ha gettato fango sul Vaticano.

Ma è un’impalcatura che non sta in piedi. In questi scontri, i gruppi di potere del Vaticano si sono fatti male da soli. E allora ricordo che la Chiesa, la nostra Chiesa, è “semper reformanda”, come dice il Concilio, è gloriosa ma anche composta di peccatori che devono riconciliarsi davanti a Cristo e alla Croce. A dicembre dovremo ricordare i 50 anni del Concilio ecumenico Vaticano II. Con che coraggio celebreremo questo anniversario? Come ricorderemo il Concilio che ha detto che la Chiesa è una comunità di fedeli e di carità, e non di potere (Lumen Gentium)? E l’opzione per i poveri? E il primato della coscienza personale? Come faremo a parlare di “nuova evangelizzazione”?

Anche sul Concilio, dentro la Chiesa, ci sono giudizi molto diversi.

La scelta del Concilio ci deve portare alla globalizzazione della solidarietà, non ad accettare un mondo in cui i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Bisogna mettere in discussione il modello egemone di sviluppo, in vista di una solidarietà liberatrice. La Chiesa non può ridursi a una crociata sul testamento biologico, non può basare la fede sul solo principio d’autorità. È questa la fede? La diocesi di Genova nel 2011 non ha ordinato neppure un presbitero, nel 2012 uno solo. Vedo molti attorno a me che sono tentati dall’abbandono. Ma io dico no: non dobbiamo abbandonare la nostra Chiesa, dobbiamo salvare insieme la nostra barca che ci porta alla salvezza. 



Sabato 18 Agosto,2012 Ore: 11:44
 
 
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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/8/2012 21.56
Titolo:Ritrovare certi accenti del Vaticano II
Ritrovare certi accenti del Vaticano II

di Gaston Piétri, prete ad Ajaccio

in “La Croix” del 25 agosto 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)

Vi sono degli accenti, perfettamente fedeli alla tradizione cristiana più antica, che nell’opera del Vaticano II sono apparsi come innovatori. Sono quegli stessi accenti che oggi non solo si attenuano, ma addirittura scompaiono troppo frequentemente dalle parole e dalle pratiche di certe nostre comunità.

Per esprimere la condizione comune dei credenti in Cristo, la Costituzione Lumen Gentium mette al primo piano l’uguaglianza: “sussiste una vera uguaglianza nella dignità e nell’agire, e per tale uguaglianza tutti cooperano all’edificazione del corpo di Cristo” (n° 31). Al di fuori di questa uguaglianza ci sarebbero altrimenti dei cristiani di serie A e dei cristiani di serie B? Il Concilio non manca, nello stesso testo, di notare la differenza delle funzioni, e tra queste funzioni quella del pastore.

Perché parlare così poco dell’uguaglianza e aver così poca audacia per viverla in maniera più visibile? Senza dubbio per timore di “far scomparire” i pastori nella comunità. Per insufficiente comprensione della vera natura delle differenze. E in definitiva per una deplorevole svalutazione di quel nome comune di “cristiano” che i discepoli hanno ricevuto un giorno ad Antiochia (Atti 11,26). Ma che cosa ci sarebbe per noi, al di sopra dell’onore di essere cristiani, cioè di Cristo? È stato detto, ma bisogna ripeterlo: non ci sono “supercristiani”.

Talvolta si sente dire “i cristiani e i pastori”. Enunciare in questo modo la distinzione non ha alcun senso nella logica del cristianesimo. Nel decreto sul ministero e sulla vita dei presbiteri, il Vaticano II ricorda quanto il ministero dei preti sia insostituibile “nel e per il popolo di Dio”, e precisa subito: “sono discepoli del Signore come gli altri fedeli (...). In mezzo a tutti i battezzati, i presbiteri sono fratelli dei loro fratelli, membra dello stesso e unico corpo di Cristo, la cui edificazione è affidata a tutti” (n° 9). La relazione di fraternità è la più fondamentale e, se non fosse visibile nella vita quotidiana, l’aspetto di “paternità spirituale” che il ministero pastorale comporta si snaturerebbe perdendo il suo senso evangelico: “avete un unico Padre, e siete tutti fratelli”.

Durante “l’anno sacerdotale”, abbiamo fatto molta fatica, nell’abbondanza delle pubblicazioni, a scoprire delle tracce nette e insistenti di questo importante richiamo conciliare. Di che cosa abbiamo paura? Abbiamo bisogno di vocazioni al ministero presbiterale. Crediamo forse che la valorizzazione urgente di questa vocazione possa essere feconda e soprattutto ben compresa, se non tiene seriamente in considerazione il “rientro” del ministero del prete all’interno del popolo di Dio come ve lo include la dinamica di Lumen Gentium?

Nel decreto sull’ecumenismo, il Concilio raccomanda una presentazione della fede cristiana che metta nel giusto posto, cioè al centro, ciò che è direttamente “in rapporto con i fondamenti della nostra fede” (n° 11). A questo titolo parla di “una gerarchia delle verità”. Le devozioni hanno la loro ragion d’essere. Illustrano talvolta in maniera opportuna un aspetto o un altro del Mistero cristiano.

Ma in altri momenti l’eccessiva e persistente attenzione su certi aspetti finisce per occultare ciò che è al cuore della Rivelazione del Dio di Gesù Cristo e di conseguenza ciò che è comune tra confessioni cristiane. L’identità cattolica manifestata da queste devozioni nate nel corso dei secoli, deve essere subordinata alla specificità cristiana in ciò che essa ha di essenziale. È quella che bisogna far vedere innanzitutto.

La Costituzione Gaudium et Spes esamina l’originalità della Chiesa, che non può essere ridotta al alcun modello politico. Ma lo fa situando questa particolarità nella società in cui la Chiesa è solidale con tutti i protagonisti della vita comune. Il Concilio non esita a presentare la Chiesa e la società in situazione di reciprocità. Ciò che la Chiesa dona al mondo non è slegato da ciò che la Chiesa riceve dal mondo (n° da 41 a 44).

È da Cristo stesso che noi riceviamo incessantemente il Vangelo della salvezza per proporlo al mondo. È “dalla storia e dal genere umano” che la Chiesa riceve nuove indicazioni per la sua presenza effettiva tra gli uomini di questo tempo. Non possiamo prendere a pretesto degli errori individuali e collettivi dei nostri contemporanei per porre la Chiesa al di sopra di una società che non avrebbe nulla da dirci.

L’idea democratica, ad esempio, non si applica alla Chiesa allo stesso modo che nella società politica. Essa può e deve tuttavia ispirare i modi di relazione all’interno della comunità cristiana. Non basta ripetere fino alla nausea che “la Chiesa non è una democrazia”. Sarebbe meglio mostrare ciò che può offrire di vivificante un sano spirito democratico nell’attuazione di quel “momento comune” che è l’espressione del popolo di Dio. Ci crediamo veramente a questo “momento comune” dove lo Spirito stesso “parla alla Chiesa”?

Questi accenti non esauriscono certo l’opera del Vaticano II. Tuttavia è necessario rivivificarli se la Chiesa ci tiene a che non si stemperino quegli elementi importanti del rinnovamento voluto dal Concilio. La vera Tradizione ecclesiale vi perderebbe in parte il soffio che si è manifestato cinquant’anni fa e di cui la comunità cristiana ha più che mai bisogno per essere fedele testimone dello Spirito che “rinnova la faccia della terra”.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/8/2012 22.06
Titolo:PAROLA A RISCHIO. Due lezioni sulla Carità e e sulla Grazia ...
PAROLA A RISCHIO
Risalire gli abissi
La salvezza è per tutti. Alla portata di tutti.
Perché è sorriso, liberazione, gioia.

di Giovanni Mazzillo (Teologo) *

G come gioia, come Gesù, respiro di gioia per tutti gli infelici della terra. Parliamo di Gesù, il cui corrispondente nome greco Iesoûs deriva direttamente dall’originale ebraico Je(ho)šhu e significa JHWH salva, per precisare immediatamente che il termine salvezza oggi non significa gran che per i nostri contemporanei, e di conseguenza risuona poco interessante persino quel nome, pur originariamente portatore di una gioia immensa e inaudita. Ciò avviene non solo per l’inevitabile logorio delle parole più usate e talora abusate, ma per il fatto che ha perso rilevanza e pertanto significato il valore stesso della “salvezza”.

Salvezza
Salvezza da chi e/o da che cosa? Appunto, è questo il primo problema. La salvezza appare di primo acchito un concetto immediatamente derivato dal superamento di una situazione negativa, Si salva, o come succede in questo caso, viene salvato, qualcuno che si trova in una situazione di pericolo. Il pericolo di perdere qualcosa, di perdere se stesso. Di essere cancellato, di sparire, appunto come sparisce da un computer un testo non “salvato” o un’immagine non messa al sicuro. Ma essere salvati è per noi persone umane, e pertanto non riducibili a una traccia di codificazione binaria o algoritmica, molto di più che conservare un’impronta e una presenza. Coerentemente con la nostra realtà dinamica e relazionale, essere salvati significa avere un luogo, un senso, una rilevanza nel contesto di una realtà che giustifica, sorregge, garantisce il mantenimento e la crescita qualitativa, e pertanto il conseguente riconoscimento di un originario, inalienabile, imprescindibile valore personale.

La domanda «Chi o che cosa si può dire oggi salvato?» esige pertanto una primordiale differenziazione. Altro è il concetto di ciò che è salvato (cioè il dato messo al sicuro), ben altro è l’essere umano salvato. Questi non è solo garantito in ciò che ha di più proprio e pertanto è distinto dal mero “dato”, che invece è una sorta di file compilato (non per nulla in tedesco proprio il file è chiamato Datei, leggi datai, cioè «rea-ltà data»). L’essere umano è tale solo in un incontro, in una relazione. La persona è tutta nelle relazioni delle quali vive. Proprio la relazionalità sorregge il senso e la gioia del suo esistere.

L’annuncio di Gesù, già nella sua venuta in questo nostro mondo, è l’annuncio di una relazionalità umana felicemente riuscita. Nel Vangelo è direttamente collegato alla Grazia, termine che esprime tutto ciò e anche qualcosa di più.

Nell’annuncio della sua nascita, diversamente da quanto appare nella traduzione latina, e in quella italiana da essa derivata, nella preghiera più popolare che ci sia, Maria è salutata non con il saluto che si dava all’imperatore, alle autorità o anche agli amici con l’esclamativo «Ave!», bensì con l’invito a rallegrarsi, cioè a gioire (chaîre): a entrare in un circuito di esultanza per un dono gratuito e inatteso. Colei che è piena di grazia (kecharitōménē) è invitata a rallegrarsi perché tutto in lei è frutto ed espressione della «grazia» (cháris), cioè di un dono amorevole quanto sorprendente, che sarà presto annuncio di gioia per tutto il popolo e per ogni uomo: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù...”. L’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia...» (Lc 1,30-31; 2,10-11).

Il resto del Vangelo, soprattutto quello di Luca, evidenzia la gioia improvvisa e incontenibile che contagia quanti vengono a contatto con Ješhu. A cominciare da Elisabetta e dal suo bambino, che le esulta nel grembo, il futuro Battista. Così esultano ancora due anziani che sembrano essere rimasti in vita per mantenere viva la speranza d’Israele: Simeone e Anna, o i pastori; mentre nel racconto di Matteo, viene detto che i Magi “provarono una grandissima gioia” nel rivedere la stella che indicava il luogo della natività di Gesù.

La stessa gioia è testimoniata dai semplici e dagli umili, dagli infelici e dai peccatori che si sentono aiutati, capiti, perdonati. A gioire sono ancora i bambini e le donne, classi tradizionalmente neglette dalla piena partecipazione alla grazia collegata alle tradizionali benedizioni di Dio. Insomma il cuore del Vangelo è la lieta notizia annunciata ai bisognosi e agli infelici della terra. Il Dio che si dona totalmente, è il Dio che dona illimitatamente la gioia agli uomini. E perché la nostra gioia fosse piena (Gv 15,11), il Figlio di Dio è arrivato umanamente a perdere se stesso.

Perché avessimo una gioia che nessuno avrebbe mai più potuto toglierci, ha permesso che fosse tolta a lui la vita, per riprenderla di nuovo, ma con la conoscenza ormai nella sua carne e nella sua psiche di cosa significhi la morte umana. Di cosa voglia dire la gioia di vivere, di vivere non con il naturale sorriso con cui vive ogni creatura per la stessa gioia dell’esistere, ma di provare e diffondere la gioia di chi conosce la sofferenza e non resta inchiodato alla sofferenza. O al limite, di chi, nonostante le ferite e talora i chiodi mai interamente rimossi della sofferenza, sa sorridere della vita, perché questa è ormai rischiarata da colui che vince la morte e la depressione della sofferenza.

La gioia è dunque uno dei nomi della salvezza, ma di una salvezza che assume di volta in volta nomi nuovi e nomi antichi: riscatto, liberazione, sensatezza, leggerezza dell’esistere... Se la parola non fosse tanto inflazionata, si potrebbe dire che la salvezza altro non è che la felicità. È la felicità nel suo senso etimologico: come abbondanza e fertilità. Possiamo tradurre: come vita sensata che raggiunge il suo scopo e nasce da relazioni benevole, tendenti al bene altrui, trovando negli altri la propria gioia e comunicandola con relazioni che fanno crescere se stessi e gli altri.

In quanto tale, la felicità è simile alla pace e ne è la forma storica: è star bene con sé e con gli altri, con il proprio passato e con il proprio futuro. Perché, soprattutto oggi, c’è bisogno paradossalmente più di ricostruire il futuro che il passato o il presente. Per poterlo fare c’è bisogno di quella gioia consapevole che non si arrende e che non si ripiega su se stessa. Si ritrova nel futuro di una convivenza che non nasconde, ma sa riconoscere e superare i conflitti attraverso uno sguardo d’amore verso ciò che ci è intorno. È uno guardo che viene da lontano e tuttavia tocca la nostra umanità, questa mia e questa tua umanità, quella assunta, attraversata e come divinizzata da quel Gesù che continuamente dà senso a ogni tentativo di superare la violenza con l’amore. È l’unico a dar senso a ogni discorso di pace, anche questo che hai appena finito di leggere.

* MOSAICO DI PACE, LUGLIO 2012

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I CARISMI

di don Mauro Agreste *

1) OGGI PARLIAMO DEI CARISMI Oggi parliamo dei carismi ed è importante averne una conoscenza un pochino più strutturata, perché come catechisti nelle vostre comunità parrocchiali, ma anche nei gruppi di preghiera, è bene che abbiate una conoscenza il più possibile ampia su questo tema. Tutto sommato è stato lasciato per molti versi ad alcuni gruppi ecclesiali, oppure a degli alti studi universitari nell’Università Pontificia. Il tema dello spirito dei carismi è un tema che fa parte della vita della Chiesa; se ne tratta nel Concilio e nella Lumen Gentium. Al n°12 dice che la Chiesa costituita dal popolo di Dio è per così dire, il luogo in cui si esercitano i carismi, ognuno per la sua propria specificità. Però la maggior parte delle persone, quando sentono dire la parola carisma non è che abbiano molto chiaro in mente di che cosa si tratti, è vero?

2) PAROLA USATA E ABUSATA DA MEZZI DI COMUNICAZIONE DI MASSA Per di più questa parola è stata usata e abusata da giornalisti, da mezzi di comunicazione di massa non per indicare il significato preciso della parola carisma, quanto invece per indicare la capacità che ha una persona di attirare l’attenzione degli altri in qualunque campo, con la sua propria capacità di emergere sugli altri. Quindi in senso generico la parola carisma o personaggio carismatico all’interno della Chiesa e di alcuni gruppi ecclesiali vieni intuita in un certo modo. All’infuori della Chiesa il personaggio carismatico è un personaggio che ha delle chances in più, ha un savoir faire diverso in tutti i campi, sportivo, politico, ecc. ecc. da emergere e attirare l’attenzione, quasi catalizzando l’attenzione degli altri.

3) CARISMA HA LA STESSA RADICE DELLA PAROLA CARITÀ Ma che cos’è dunque il carisma e da che cosa nasce? Intanto la parola carisma deriva dal greco e come voi potete benissimo accorgervi contiene dentro di sé una radice, charis, che è la stessa radice della parola carità. Ora la parola carità, anche se abbiamo una vaga intuizione, è una parola che ha significati molto complessi e molto profondi, per cui almeno nel nostro linguaggio teologico, non è facile definire la carità semplicemente come un atteggiamento. La carità è prima di tutto una caratteristica di Dio stesso, una caratteristica essenziale, tant’è vero che gli antichi dicevano: Deus est charitas da cui gli antichissimi inni, ubi charitas et amor Deus ibi est, dov’è carità e amore lì c’è Dio. Dunque carità ha in sé questa radice charis, che significa qualche cosa di forte, di caldo, di vivo, di avvolgente. Viene cantato nel Veni Creator, si parla dello Spirito Santo e si dice che lo Spirito Santo è ignis, fuoco, fuoco di carità, fuoco di amore.

4) CARITÀ E AMORE VENGONO SPESSO USATI COME SINONIMI Carità e amore vengono spesso usati come sinonimi per una semplice ragione, sono entrambi concetti estremamente profondi. Se tu dici amore, è sufficiente dire amore per capire tutto ciò che significa la parola amore? No, cioè lo usiamo convenzionalmente però noi sappiamo che l’amore autentico per esprimerlo, per significarlo è molto difficile. Ricordate questa mattina il brano del Vangelo che è stato letto: nessuno ha un amore più grande se non colui che muore per i propri amici. Quindi vedete l’amore coinvolge fino alla donazione della vita. L’amore esige per esempio il concetto, che deve essere chiaro, della capacità di donarsi. Amore e donazione totale coincidono; però quando io dico amore non dico solo donazione totale, dico anche gioia, dico anche situazione di protezione. Una persona che ama è una persona che ne sta proteggendo un’altra; una persona che si sente amata è una persona che si sente protetta. Il concetto di guida: chi ama guida; chi è amato si sente guidato non gettato allo sbaraglio. Voi potete immaginare quale grande significato c’è nella parola amore; viene considerata sinonimo di carità, però entrambe hanno una specificità; che l’amore e la carità sono due realtà vive, coincidono con Dio.

5) PARLARE DI CARITÀ SIGNIFICA PARLARE DI GRAZIA Quindi parlare di carità, significa parlare di grazia, che charis è una traslitterazione, è la radice della parola greca che significa grazia. Che cos’è la grazia? Non è la gentilezza nei movimenti, la grazia è lo Spirito Santo in azione, lo Spirito Santo mentre agisce, lo Spirito Santo che sta agendo. Vieni Padre donaci la tua santa grazia, donaci cioè lo Spirito Santo che agisce dentro di noi. Ricordatevi che anche se avete il concetto chiaro nella mente, quelli che sono davanti a voi fraintendono facilmente, soprattutto queste cose complesse. Quindi dovete avere sempre l’idea di parlare a un bambino di 5 anni e state tranquilli che le persone davanti a voi non si sentiranno umiliate e non vi disprezzeranno se voi parlerete il più semplice possibile.

6) CHIEDI CHE LO SPIRITO SANTO VENGA AD AGIRE DENTRO DI TE Allora, donaci la santa grazia, certo che vuol dire donaci la capacità e la disponibilità a seguire i suggerimenti dello Spirito, però tu chiedi proprio che lo Spirito Santo venga ad agire dentro di te, però non senza di te. Quando invochiamo la grazia di Dio su di noi, invochiamo lo Spirito Santo che venga ad animarci dall’interno, come il lievito che fa lievitare tutta la pasta; il lievito non fa sparire la pasta, la fa solo lievitare; certo se non c’è la pasta puoi mettere anche un chilo di lievito che tanto non lievita niente. Allora quando si dice grazia si dice Spirito Santo in azione. Cosa vuol dire charis? Grazia. Cosa vuol dire grazia? Spirito Santo in azione. Lo Spirito Santo aleggiava sopra le acque informi, quindi lo Spirito Santo era già in azione appena Dio ha fatto esistere qualche cosa, ancora non c’era la luce, ma già lo Spirito Santo era in azione. Lo Spirito Santo agisce continuamente. L’ultimo versetto dell’Apocalisse dice: lo Spirito Santo e la sposa gridano Maranthà, vieni Signore Gesù. Quindi attenzione bene, tutta la Bibbia è contenuta da questa azione di Spirito Santo, dunque, tutta la storia degli uomini è contenuta in questi due punti fondamentali: lo Spirito Santo che aleggia e lo Spirito Santo che anima dicendo vieni. Gli uomini non si accorgono dell’azione dello Spirito Santo.

7) NUTRIRE UNA PARTICOLARE ADORAZIONE DELLO SPIRITO SANTO Allora i catechisti hanno questo compito fondamentale, fra tutti gli altri, di nutrire una particolare adorazione dello Spirito Santo. Dico giusto quando dico adorazione, per una semplice ragione, quale? Perché lo Spirito Santo è Dio. Quindi il catechista che non adora lo Spirito Santo non so che razza di catechista voglia essere. Lo Spirito Santo è la grazia che agisce dentro di noi. Il catechista che si mette al servizio della Chiesa, come fa a mettersi al servizio dicendo l’amore per Gesù se non è lo Spirito Santo a comunicarglielo?

8) PARLARE DI SPIRITO SANTO E DIO COME DUE PERSONE SEPARATE Domanda: questo fatto di parlare di Spirito Santo e Dio come due persone separate, non rischia di confonderci? E quando parliamo del Padre separato dal Figlio, non si rischia di creare dei problemi? Nelle dispense degli anni passati c’è quel disegno molto bello che si riferisce allo schema intuitivo su Dio e le sue tre persone. Dio è Padre, è Figlio e Spirito Santo, un solo Dio, però il Padre non è il Figlio, non è lo Spirito Santo e lo Spirito Santo non è il Padre. È chiaro che la nostra mente è così limitata che noi non riusciamo a capire, possiamo solo contemplare.

9) FACCIAMO PARTE DELLA TRINITÀ Di più ancora. Facciamo parte di questa Trinità, con il Battesimo siamo entrati dentro la Trinità, perché siamo con Gesù una cosa sola. Siamo entrati nella Trinità, però non siamo Dio, siamo esseri umani, però facciamo parte della Trinità. Io ti battezzo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo; quindi la volontà di Dio è che siamo immersi ( bactizzomai verbo greco che significa essere immersi ) in tutto Dio Padre, in tutto Dio Figlio e in tutto Dio Spirito Santo. Questo vuol dire che dentro di noi c’è tutto Dio Padre, tutto Dio Figlio, tutto Dio Spirito Santo e come lo spieghi questo? Quando tu vai a fare la comunione prendi un’ostia grande così, tu sai che lì dentro c’è il Dio Eterno e Infinito, Signore della storia e dei secoli. Sotto un velo di pane c’è il mistero di tutto ciò che esiste. Possiamo intuire. Come dice l’inno Pange Lingua. Visus tactus gustus in te fallitur, la vista il tatto il sapore falliscono, perché tutto quello che i sensi constatano è fallace, non i sensi ma la fede conosce questa verità. Allora con la fede tu accetti, il mistero lo contempli, però non lo capisci. Perché capire dal latino càpere vuol dire prendere e tenere stretto, contemplare invece significa guardare, ma non da soli, sostenuti. Tu puoi guardare il mistero di Dio da solo, lo puoi contemplare cioè tu puoi entrare nel tempio insieme a qualcuno, contemplare entrare nel tempio insieme a qualcuno. Tu non possiedi il tempio è il tempio che possiede te.

10) IL CATECHISTA DEVE PARLARE UN ITALIANO SEMPLICE E COMPRENSIBILE Attenzione, perché usiamo la lingua, ma non la conosciamo e un catechista non può permettersi questo. Un catechista deve parlare un italiano semplice e comprensibile a quelli che ha di fronte però deve conoscere dieci o venti volte di più di quello che sta dicendo agli altri, se no che cosa sta comunicando? Certamente ai bambini non puoi dire le specificità dei termini che vi sto spiegando, però su tu non conosci il significato delle parole, tu insegnerai delle cose sbagliate e noi non possiamo permetterci di fare questo, se no non stiamo divulgando il Vangelo di Gesù Cristo, ma il Vangelo secondo noi. Quindi ricordatevi, è un servizio fatto a Dio quello anche di essere precisi nel linguaggio che si usa. Siate precisi cercando di conoscere il più possibile il significato delle parole che usate, anche le più comuni. E chiedete allo Spirito Santo che vi dia una struttura logica del pensiero: soggetto, predicato, complemento. Diversamente il vostro discorso non sarà compreso da chi vi ascolta; piuttosto articolate frasi e concetti brevi non un discorso lungo e strutturato. Fate discorsi brevi, frasi brevi, ma che siano chiare.

11) LA CONIUGAZIONE DEI VERBI DEVE ESSERE PRECISA State anche attenti alla coniugazione dei verbi, che deve essere precisa, perché un verbo al condizionale ha un significato diverso da un verbo all’indicativo; perché un verbo all’indicativo indica una realtà, un obbligo imprescindibile, un verbo al condizionale indica una possibilità cioè una dualità di realtà; i congiuntivi sono verbi di consequenzialità; se io nella mente non ho l’idea della consequenzialità delle cose, non userò il congiuntivo, userò l’indicativo e renderò tutto obbligante.

Ricordatevi che abbiamo a che fare con le parole, che noi abbiamo la parola di Dio nella mano e siamo i catechisti, non ci possiamo permettere di giocare con le parole, perché da come io uso le parole, favorisco o freno il passaggio del concetto di Dio. Senza diventare fanatici, senza esagerare, però o prendiamo sul serio il nostro servizio reso a Dio. Quindi tutto quello che dipende da me io cerco di farlo al meglio che posso, oppure facciamo come fanno tanti che improvvisano tutto, vanno avanti e non si rendono conto che stanno giocando con Dio. Se sul Vangelo c’è scritto: in principium erat verbum et verbum erat aput deum et verbum erat deum, allora questo ci fa capire che in principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio, il Verbo era Dio.

12) SE DIO SI E’ FATTO PAROLA, IO NON POSSO GIOCARE CON LE PAROLE Se Dio si è fatto la parola che noi possiamo intuire e capire, io posso giocare con le parole? No. Non dico questo perché dobbiamo spaventarci, sentirci colpevolizzati, però sentiamo la necessità di pensare le parole che usiamo e pensare le frasi che usiamo, perché se io devo parlare a dei bambini, dovrò rendere estremamente semplice un discorso difficilissimo. Però usando delle parole che siano giuste, che cerchino di generare meno equivoci possibili, adatte al vocabolario che è in possesso a un bambino di 7-10-12-15 anni, senza mai cedere ad accettare una connotazione di linguaggio che non sia più che dignitosa ed elegante.

13) IL CATECHISTA NON USA MAI PAROLE EQUIVOCHE Se ci sono dei modi di dire che esprimono il concetto di essere arrabbiati in un certo modo, il catechista non li usa mai, neanche quando sta da solo. Se ci sono parole equivoche il catechista si deve abituare non solo a non usarle lui, ma a sentirne ribrezzo quando le sente pronunciare da altri, perché il catechista sta usando con la propria lingua un mezzo di evangelizzazione. Dunque l’apostolo san Giacomo dice nella sua lettera al cap. 4 che chi domina la lingua domina tutto il resto del corpo.

Ora un catechista che non domina la lingua come può produrre negli altri un cambiamento di vita, se le parole che escono da lui sono sporcate da una incapacità di dominare la lingua? Naturalmente quando dico capacità di dominare la lingua non mi riferisco solamente a un linguaggio volgare e pesante, mi riferisco anche a un modo di gestire il linguaggio. Una persona che non è capace a non criticare, una persona dalla cui bocca esce sempre una parola di critica, di giudizio, di condanna, di curiosità, di pettegolezzo ecc. può giustamente essere catechista? Non può. Un catechista che non sente fondamentale dentro di sé l’imperativo di sapere quello che sta dicendo, come lo sta dicendo e non si domanda se le parole che sta usando le capisce prima lui, come fa a spiegarle agli altri?

14) IL SIGNIFICATO DELLE PAROLE AMARE E AMORE Quante volte abbiamo esaminato il significato delle parole amare e amore. Se un catechista non sa che cosa vuol dire amare, sapete con che cosa lo confonde? Con il romanesco volemose bene. Ma amare non è quello, quello non è amare, quello lì è solo cercare di stare tranquilli, senza prendersi tanti problemi, vero? Invece amare è tutta un’altra cosa. Stamattina abbiamo sentito: dare la vita per i propri amici. Vedete che è estremamente differente. Allora non deve essere così per voi, perché voi avete sentito veramente una chiamata del Signore, se no non sareste qui al sabato mattina.

Però per non perdere tempo né io, né voi e neanche Dio, cerchiamo proprio di capire l’importanza di tutto questo. Quando nelle scuole ci facevano fare l’analisi logica, l’analisi del periodo erano molto importanti; se abbiamo dimenticato tutto questo la prima cosa che dobbiamo fare è chiedere allo Spirito Santo che venga a rispolverare dentro di noi le cose che avevamo studiato allora, che le faccia emergere. Vedrete che lo Spirito Santo vi aiuterà; poi dopo cominciate con l’analizzare il linguaggio che usate, le strutture logiche che usate, se sono chiare.

Ricordatevi che le persone che avete di fronte non sono dentro la vostra mente, dunque loro non sanno esattamente dove voi volete arrivare. Una grande carità che potete fare nei confronti del vostro prossimo, un grande servizio è quello di fare un passettino piccolo alla volta. Non date mai niente per scontato, anche se doveste ripetere cento volte in cento incontri, serve per aiutare quella persona a entrare nel difficile concetto che voi volete dire.

15) DOBBIAMO IMPARARE A PERDONARE Per es.: dobbiamo imparare a perdonare. Che vuol dire perdono? È una parola composta. Dividete a metà la parola, per e dono; quella che capite subito è dono, cosa vuol dire dono? È un regalo, non meritato, perché un dono meritato si chiama premio. Capite perché bisogna essere precisi? Perché se io non dico questo allora il perdono mi diventa un diritto, invece non è un diritto, è un dono, un regalo non meritato; quindi se il regalo non è meritato mi viene fatto perché io sono buono o è buono chi mi fa il regalo? Chi mi fa il regalo. L’altra parola da capire è per che deriva dal greco iper, che vuol dire il più grande; quindi se iper vuol dire il più e donum, regalo, mettendo insieme avete l’insegnamento che dovete fare sul concetto di perdono.

Poi ci potete parlare per sei mesi ai bambini del perdono, però se sapete cosa vuol dire voi insegnate realmente ciò che insegna la Chiesa, non ciò che insegna il mondo: vogliamoci bene perché il Signore è buono e ci perdona, tanto perdona tutto e tutti. No! Il catechista non può fare queste cose, non si può confondere il perdono con un sentimento di piacevolezza e di arrendevolezza, non è così. Allora siamo partiti dal tema dei carismi, la prossima volta ricordatemi che dobbiamo continuare sul significato della parola carisma. Abbiamo appena analizzato la radice charis che vuol dire grazia e che significa Spirito santo in azione.

* UNIONE CATECHISTI. CATECHESI. LEZIONI, 08.10.2005
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 28/8/2012 16.01
Titolo:FUORI DAL GREGGE. L’obbedienza non è più una virtù
Fuori dal gregge

di Antonio Thellung (mosaico di pace, luglio 2012)

L’obbedienza non è più una virtù, diceva don Milani, esortando a coltivare la presa di coscienza. Non per contrapporsi all’autorità, ma per educare ciascuno ad assumere le proprie responsabilità, senza pretendere di scaricarle su altri. L’obbedienza, infatti, può anche dirsi una virtù, ma soltanto se si mantiene entro limiti equilibrati, da valutare appunto con coscienza. Perché l’obbedienza cieca è il tipico strumento utilizzato dalle strutture autoritarie gerarchico-imperialistiche per esercitare il potere, offrendo in cambio ai sudditi lo scarico della responsabilità personale. Tipico esempio si è avuto nel dopoguerra quando pareva che nessuno dei feroci gerarchi nazisti fosse colpevole, perché sostenevano tutti di aver semplicemente obbedito a ordini superiori.

Il Vangelo è chiarissimo: "Perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?", ma la cristianità che si è affermata nella storia ha preferito mutuare dall’Impero Romano un’impostazione imperialistica che si mantiene presente tuttora, sia pure adattata ai tempi odierni. Un’impostazione che riduce i fedeli a "docile gregge", come li definiva a suo tempo Pio X.

Il Vangelo, inoltre, esorta anche a non chiamare nessuno padre sulla terra, un lampante invito a non cadere nelle tentazioni del paternalismo, che svaluta la dignità delle persone. Ma l’uso di chiamare "padre" i ministri del culto la dice lunga. Nello stesso brano, poi, Gesù in persona ammonisce i suoi apostoli a non farsi chiamare maestri perché solo Cristo è il maestro, ma sorprendentemente su taluni documenti ecclesiastici anche dei tempi presenti, come ad esempio il Documento di Base del 1970, si legge nientemeno che: "Per disposizione di Cristo, gli Apostoli affidarono ai loro successori, i Vescovi, il proprio ufficio di Maestri". Incredibile!

Si potrebbe dire che il magistero ha sempre richiesto ai fedeli un’obbedienza cieca, e non pochi tra coloro che hanno cercato di opporsi hanno pagato talvolta perfino con la vita.

San Francesco, nella sua prima regola, aveva provato a scrivere che un frate non è tenuto a obbedire al superiore se questi gli ordina qualcosa di contrario alla sua coscienza, ma naturalmente papa Innocenzo III si è guardato bene dall’approvarla. In tempi più recenti, nel 1832, Gregorio XVI definiva un delirio la libertà di coscienza e nel 1954 Pio XII scriveva: "È giusto che la Chiesa respinga la tendenza di molti cattolici a essere considerati ormai adulti". Non è stupefacente?

Chi esercita il potere, di qualsiasi tipo, vorrebbe dai sudditi una delega in bianco, perché teme le coscienze adulte, che sono difficilmente governabili per il loro coraggio di esprimere dissenso, quand’è il caso. E tanto più il potere è prepotente e prevaricante, tanto più esige un’obbedienza cieca.

Il magistero ecclesiastico ha sempre mostrata una grande avversione al dissenso, trattandolo come un nemico da combattere perfino con metodi violenti, nel caso, senza capire che proprio il dissenso è il miglior amico degli insegnamenti di Cristo, perché agisce come sentinella delle coscienze.

Il dissenso, nella Chiesa, c’è sempre stato, con buona pace di coloro che nelle varie epoche storiche hanno preteso di soffocarlo usando talvolta armi che sono incompatibili con l’insegnamento di Gesù. Sarebbe ora che l’autorità prendesse atto che il dissenso non è un nemico ma, anzi, un grande amico, anche se può rendere più complesso e faticoso il cammino.

Il Concilio Vaticano II mostrava di averlo capito quando scriveva, nella Gaudium et Spes: "La Chiesa confessa che molto giovamento le è venuto e le può venire perfino dall’opposizione di quanti la avversano o la perseguitano". Ma ben presto, poi, sono prevalsi nuovamente gli atteggiamenti di repressione e condanna verso chi tenta coraggiosamente di alzare la testa. essere credibili

Personalmente non dubito che un magistero ecclesiastico sia necessario e prezioso, ma di quale tipo? Qualsiasi coscienza adulta sa che di fronte a disaccordi e perplessità non avrebbe alcun senso rifiutare l’autorità o ribellarsi tout court: non sarebbe costruttivo. Ma sente però il dovere, prima ancora che il diritto, di chiedergli maggiore credibilità, di esigere che sappia proporre senza imporre, con rispettoso ascolto delle opinioni altrui. Gli ascoltatori di Gesù "rimanevano colpiti dal suo insegnamento", perché "parlava con autorità", e non perché aveva cariche istituzionali. Così il magistero può sperare di essere creduto, dalle coscienze adulte, quando offre messaggi autorevoli e convincenti, e non per il solo fatto di essere l’autorità costituita.

Oggi la credibilità dei vertici ecclesiastici, con tutti gli scandali di questi tempi, è fortemente minata, e si potrebbe dire che solo facendo leva surrettiziamente sulla grande fede in Gesù Cristo che continua a sostenere tante persone (malgrado tutto) evita di porsi in caduta libera. Ma fino a quando, se permane la pretesa di continuare a proporsi come magistero di un "docile gregge?".

La parabola della zizzania insegna che la Chiesa è comunione di consensi e dissensi, perciò, per recuperare credibilità, le autorità dovrebbero finalmente prenderne atto e imparare a dialogare con tutti alla pari, e in particolare proprio con il dissenso. Dovrebbero educarsi ed educare ad accoglierlo con l’attenzione che merita. Perché un dissenso respinto e represso a priori diventa facilmente aspro, arrabbiato, distruttivo mentre, se accolto con benevolenza, può diventare costruttivo, benevolo, e perfino affettuoso.

Una buona educazione al dissenso potrebbe diventare la miglior scuola alla formazione di coscienze adulte, capaci di confrontarsi senza acquiescenze o confusioni e censure. Capaci, cioè, di non farsi travolgere da vergognosi intrallazzi di qualsiasi tipo.

Personalmente, cerco, nel mio piccolo, di fare quel che posso. Qualche anno fa l’editrice la meridiana ha pubblicato un mio libro dal titolo "Elogio del dissenso", e per ottobre prossimo ha in programma di pubblicare un mio nuovo saggio dal titolo "I due cristianesimi", scritto per sottolineare le differenze tra il messaggio originale di Cristo e l’imperialismo cristiano, non solo come si è affermato nella storia, ma anche come si manifesta al presente. L’interrogativo è focalizzato sulla speranza nel futuro, mentre le critiche a quanto è stato ed è contrabbandato in nome di Cristo servono solo per capire meglio come si potrebbe uscir fuori dalle tante macrocontraddizioni.

La speranza è irrinunciabilmente legata a una Chiesa delle coscienze adulte, perciò sogno un magistero impegnato a farle crescere senza sottoporle a pressioni psicologiche; un magistero capace d’insegnare a distinguere il bene dal male senza imporre valutazioni precostituite; lieto di aiutare ognuno a diventare adulto e autonomo senza costringerlo a sottomettersi; volto a stimolare una sempre maggiore consapevolezza rinunciando a imposizioni precostituite. Un magistero che affermi i suoi principi senza pretendere di stigmatizzare le opinioni diverse; che proponga la propria verità senza disprezzare le verità altrui. In altre parole, sogno una Chiesa dove sia possibile ricercare, discutere, confrontarsi, camminare assieme.

Sogno un magistero che affermi il patrimonio positivo della fede, libero dalla preoccupazione di puntualizzare il negativo; che sappia offrire gratuitamente l’acqua della vita, senza voler giudicare chi beve; che proponga la verità di Cristo, esortando a non accettarla supinamente; che tracci la strada, ammonendo a non seguirla passivamente; che offra strumenti per imparare a scegliere, a non essere acquiescenti, a non accontentarsi di un cristianesimo mediocre e tiepido. Un Magistero che preferisca circondarsi da persone esigenti, irrequiete, contestatrici, piuttosto che passive, pavide, addormentate. Esso per primo ne trarrebbe grandi benefici: sarebbe il magistero di un popolo adulto, maturo, responsabile.

Etimologicamente la parola obbedienza significa ascolto, e sarebbe ora di educarci tutti a questo tipo di obbedienza reciproca: i fedeli verso l’autorità, ma anche l’autorità verso chiunque appartenga al Popolo di Dio, non importa con quale ruolo. Solo questa obbedienza è autentica virtù. Chissà se San Paolo, quando esortava a sperare contro ogni speranza, si riferiva anche alle utopie!
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 28/8/2012 21.28
Titolo:DOPO la "Dominus Iesus" ratzingeriana, la "Lumen Gentium nel cestino ....
COSTITUZIONE DOGMATICA SULLA CHIESA

LUMEN GENTIUM

21 novembre 1964 *


CAPITOLO I

IL MISTERO DELLA CHIESA

La Chiesa è sacramento in Cristo

1. Cristo è la luce delle genti: questo santo Concilio, adunato nello Spirito Santo, desidera dunque ardentemente, annunciando il Vangelo ad ogni creatura (cfr. Mc 16,15), illuminare tutti gli uomini con la luce del Cristo che risplende sul volto della Chiesa. E siccome la Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano, continuando il tema dei precedenti Concili, intende con maggiore chiarezza illustrare ai suoi fedeli e al mondo intero la propria natura e la propria missione universale. Le presenti condizioni del mondo rendono più urgente questo dovere della Chiesa, affinché tutti gli uomini, oggi più strettamente congiunti dai vari vincoli sociali, tecnici e culturali, possano anche conseguire la piena unità in Cristo.


Per il testo completo, vedi:

http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_const_19641121_lumen...


Per la "Dominus Iesus", vedi:

http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=1167
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 02/9/2012 20.54
Titolo:L'ULTIMA INTERVISTA A CARLO M. MARTINI, Chiesa indietro di 200 anni ...
L’ultima intervista: «Chiesa indietro di 200 anni. Perché non si scuote, perché abbiamo paura?»

intervista a Carlo Maria Martini

a cura di Georg Sporschill e Federica Radice Fossati Confalonieri (Corriere della Sera, 1 settembre 2012)

Padre Georg Sporschill, il confratello gesuita che lo intervistò in Conversazioni notturne a Gerusalemme, e Federica Radice hanno incontrato Martini l’8 agosto: «Una sorta di testamento spirituale. Il cardinale Martini ha letto e approvato il testo».

Come vede lei la situazione della Chiesa?

«La Chiesa è stanca, nell’Europa del benessere e in America. La nostra cultura è invecchiata, le nostre Chiese sono grandi, le nostre case religiose sono vuote e l’apparato burocratico della Chiesa lievita, i nostri riti e i nostri abiti sono pomposi. Queste cose però esprimono quello che noi siamo oggi? (...) Il benessere pesa. Noi ci troviamo lì come il giovane ricco che triste se ne andò via quando Gesù lo chiamò per farlo diventare suo discepolo. Lo so che non possiamo lasciare tutto con facilità. Quanto meno però potremmo cercare uomini che siano liberi e più vicini al prossimo. Come lo sono stati il vescovo Romero e i martiri gesuiti di El Salvador. Dove sono da noi gli eroi a cui ispirarci? Per nessuna ragione dobbiamo limitarli con i vincoli dell’istituzione».

Chi può aiutare la Chiesa oggi?

«Padre Karl Rahner usava volentieri l’immagine della brace che si nasconde sotto la cenere. Io vedo nella Chiesa di oggi così tanta cenere sopra la brace che spesso mi assale un senso di impotenza. Come si può liberare la brace dalla cenere in modo da far rinvigorire la fiamma dell’amore? Per prima cosa dobbiamo ricercare questa brace. Dove sono le singole persone piene di generosità come il buon samaritano? Che hanno fede come il centurione romano? Che sono entusiaste come Giovanni Battista? Che osano il nuovo come Paolo? Che sono fedeli come Maria di Magdala? Io consiglio al Papa e ai vescovi di cercare dodici persone fuori dalle righe per i posti direzionali. Uomini che siano vicini ai più poveri e che siano circondati da giovani e che sperimentino cose nuove. Abbiamo bisogno del confronto con uomini che ardono in modo che lo spirito possa diffondersi ovunque».

Che strumenti consiglia contro la stanchezza della Chiesa?

«Ne consiglio tre molto forti. Il primo è la conversione: la Chiesa deve riconoscere i propri errori e deve percorrere un cammino radicale di cambiamento, cominciando dal Papa e dai vescovi. Gli scandali della pedofilia ci spingono a intraprendere un cammino di conversione. Le domande sulla sessualità e su tutti i temi che coinvolgono il corpo ne sono un esempio. Questi sono importanti per ognuno e a volte forse sono anche troppo importanti. Dobbiamo chiederci se la gente ascolta ancora i consigli della Chiesa in materia sessuale. La Chiesa è ancora in questo campo un’autorità di riferimento o solo una caricatura nei media?

Il secondo la Parola di Dio. Il Concilio Vaticano II ha restituito la Bibbia ai cattolici. (...) Solo chi percepisce nel suo cuore questa Parola può far parte di coloro che aiuteranno il rinnovamento della Chiesa e sapranno rispondere alle domande personali con una giusta scelta. La Parola di Dio è semplice e cerca come compagno un cuore che ascolti (...). Né il clero né il Diritto ecclesiale possono sostituirsi all’interiorità dell’uomo. Tutte le regole esterne, le leggi, i dogmi ci sono dati per chiarire la voce interna e per il discernimento degli spiriti.

Per chi sono i sacramenti? Questi sono il terzo strumento di guarigione. I sacramenti non sono uno strumento per la disciplina, ma un aiuto per gli uomini nei momenti del cammino e nelle debolezze della vita. Portiamo i sacramenti agli uomini che necessitano una nuova forza? Io penso a tutti i divorziati e alle coppie risposate, alle famiglie allargate. Questi hanno bisogno di una protezione speciale. La Chiesa sostiene l’indissolubilità del matrimonio. È una grazia quando un matrimonio e una famiglia riescono (...).

L’atteggiamento che teniamo verso le famiglie allargate determinerà l’avvicinamento alla Chiesa della generazione dei figli. Una donna è stata abbandonata dal marito e trova un nuovo compagno che si occupa di lei e dei suoi tre figli. Il secondo amore riesce. Se questa famiglia viene discriminata, viene tagliata fuori non solo la madre ma anche i suoi figli. Se i genitori si sentono esterni alla Chiesa o non ne sentono il sostegno, la Chiesa perderà la generazione futura. Prima della Comunione noi preghiamo: "Signore non sono degno..." Noi sappiamo di non essere degni (...). L’amore è grazia. L’amore è un dono. La domanda se i divorziati possano fare la Comunione dovrebbe essere capovolta. Come può la Chiesa arrivare in aiuto con la forza dei sacramenti a chi ha situazioni familiari complesse?»

Lei cosa fa personalmente?

«La Chiesa è rimasta indietro di 200 anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio? Comunque la fede è il fondamento della Chiesa. La fede, la fiducia, il coraggio. Io sono vecchio e malato e dipendo dall’aiuto degli altri. Le persone buone intorno a me mi fanno sentire l’amore. Questo amore è più forte del sentimento di sfiducia che ogni tanto percepisco nei confronti della Chiesa in Europa. Solo l’amore vince la stanchezza. Dio è Amore. Io ho ancora una domanda per te: che cosa puoi fare tu per la Chiesa?».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 03/9/2012 18.34
Titolo:IL LUMEN SPENTO. E le lampade sotto il moggio ....
Nel giorno delle esequie del Card. C. M. Martini

di Alberto Simoni op (Koinonia-forum, n. 314 del 3 settembre 2012)

Cari amici,

una chiesa che dice (senza esserlo) e una chiesa che è (senza dirlo): ecco il quadro che abbiamo sotto gli occhi in questi giorni di rivelazione in morte del card. C.M.Martini, che sembra fare da cartina di tornasole di quella che Galli della Loggia - parlando di correnti della chiesa (Corriere della Sera, 2 settembre) - chiama “Una federazione di popoli diversi”.

In questo momento di grazia, non ci sono solo riti e celebrazioni da sbrigare, ma segni dei tempi da cogliere e frammenti da raccogliere, perché niente si perda. È quanto mi permetto di fare ancora una volta con i vari messaggi che in queste ore ci mettono in comunione e ci fanno pensare.

Parlando all’Angelus del 2 settembre della Legge di Dio che “è la sua Parola che guida l’uomo nel cammino della vita”, Benedetto XVI dice tra l’altro: “Ed ecco il problema: quando il popolo si stabilisce nella terra, ed è depositario della Legge, è tentato di riporre la sua sicurezza e la sua gioia in qualcosa che non è più la Parola del Signore: nei beni, nel potere, in altre ‘divinità’ che in realtà sono vane, sono idoli. Certo, la Legge di Dio rimane, ma non è più la cosa più importante, la regola della vita; diventa piuttosto un rivestimento, una copertura, mentre la vita segue altre strade, altre regole, interessi spesso egoistici individuali e di gruppo”. Ma forse questo coraggioso guardarsi allo specchio non basta, se finisce lì.

Sarebbe bastato invece che avesse semplicemente detto che qualcuno nella chiesa ha cercato per tutta la vita di risvegliare la coscienza e la memoria di questo Popolo di Dio e di farlo uscire dalla sua falsa sicurezza. E questo qualcuno è stato il card. C.M.Martini, che però il Papa si è guardato bene dal ricordare e dal proporre come servo della Parola e come guida alla chiesa di Dio, lasciando quella chiesa che lo ascolta nella illusione di essere al sicuro nel proprio ovile e suscitando invece disillusione in quella chiesa della diaspora che, insieme a tutte le donne e gli uomini di questo mondo, è alla ricerca di un pastore e di un ovile dove si possa entrare ed uscire.

Passi che il Papa non vada a Milano per testimoniare che è Pastore di tutta la Chiesa, ma che ignori il Pastore di una chiesa che è nel cuore dei più può far parte di giochi diplomatici ma non è un bell’esempio di collegialità: perché continuare a nascondere sotto il moggio le lampade che lo Spirito accende tra il Popolo di Dio? Ma se anche tutto ciò fa tristezza, non può impedire che gridino le pietre. E forse dal card. Martini c’è da imparare a far convivere, senza confonderle, “ragioni di Stato” con istanze evangeliche...
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 10/9/2012 20.22
Titolo:A 50 ANNI DAL VATICANO II. NOTE A MARGINE PER IL CONVEGNO DEL 15 SETTEMBRE
NOTE A MARGINE per il Convegno "Chiesa di tutti, chiesa dei poveri", del 15 settembre a Roma ...

1. LA GERARCHIA CATTOLICO-ROMANA HA ROTTO I PONTI CON IL MESSAGGIO EVANGELICO. A 50 anni dall'inizio del Concilio Vaticano II, bisogna prendere atto che il terribile è già accaduto: il "Lumen Gentium" è stato spento e, sulla cattedra di Pietro, siede il Vicario del Signore e Padrone Gesù ("Dominus Iesus": J. Ratzinger, 2000). Egli regna e governa in nome del suo Dio, Mammona ("Deus caritas est": Benedetto XVI, 2006).

2. DIO E' VALORE! Sul Vaticano, DAL 2006, sventola il "Logo" del Grande Mercante: "Deus caritas est" (Benedetto XVI, 2006)!!! Il papa teologo, ha gettato via la "pietra" su cui posava - in equilibrio instabile - l’intera Costruzione dela Chiesa cattolico-romana ("Deus charitas est": 1 Gv. 4.8).

3. TUTTO A "CARO-PREZZO" ("CARITAS"): QUESTO "IL VANGELO CHE ABBIAMO RICEVUTO". QUESTO E' IL NOSTRO VANGELO: PAROLA DI RATZINGER -BENEDETTO XVI, CARDINALI E VESCOVI TUTTI. IL "PANE QUOTIDIANO" DEL "PADRE NOSTRO", SI VENDE A "CARO PREZZO", MOLTO CARO (= "CARITAS")!!!

4. ULTIMA CENA ED ECONOMIA VATICANA. Benedetto XVI cambia la formula: «Il calice fu versato per molti», non «per tutti»!!!

5. IN PRINCIPIO ERA IL "LOGO"!!! SE UN PAPA TEOLOGO LANCIA IL "LOGO" DEL SUO DIO ("DEUS CARITAS EST") E TUTTI OBBEDISCONO, E NON VIENE RISPEDITO SUBITO A CASA, DA "MARIA E GIUSEPPE", PER IMPARARE UN PO’ DI CRISTIANESIMO, DI COSA VOGLIAMO PARLARE DI AFFARI E DI MERCATO?! EBBENE PARLIAMO DI AFFARI, DI MERCATO, DI "MAMMONA", "MAMMASANTISSIMA", E DI COME I PASTORI ... IMPARANO A MANGIARE LE PECORE E GLI AGNELLI, E A CONTINUANO A GOZZOVIGLIARE ALLA TAVOLA DEL LORO "DIO"!!! Avanti tutta, verso il III millennio avanti Cristo!!!

Federico La Sala
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 18/5/2013 12.10
Titolo:LA CHIESA CHE VORREI. Don Gallo in cammino con papa Francesco ...
don Gallo in cammino con papa Francesco

La chiesa che vorrei

di don Andrea Gallo (il Fatto Quotidiano, 17 maggio 2013)

Questo libro stava per essere dato alle stampe quando l’11 febbraio è giunto strepitoso l’annuncio delle dimissioni di Benedetto XVI. Un evento straordinario che ha scosso tutti. Non si verificava da secoli.

Nella serata burrascosa di quel lunedì, un fulmine ha improvvisamente illuminato la cupola di San Pietro. Semplice coincidenza o immagine premonitrice? Il mondo intero si è interrogato con stupore, incredulità, smarrimento. Tutti mi chiedevano: “Quali motivazioni hanno spinto il papa a una così sorprendente decisione?”. Titubante rispondevo: “Papa Ratzinger ha posto al centro il bene della Chiesa, con coraggio e assumendosi le proprie responsabilità. È stato il quarto papa del post- Concilio”. Ora è arrivato papa Francesco a farci sperare di nuovo in una Chiesa dei poveri. Un sollievo dopo tanta pena.

Sapranno i cattolici accogliere l’invito inequivocabile e sofferto a un rinnovamento radicale per ritornare a essere Lumen gentium, “luce delle genti”, un popolo di Dio in cammino per annunciare il Vangelo di liberazione per tutti, con il sostegno dello Spirito del Cristo risorto e vivo?

Con l’elezione di Francesco tutto è possibile. I primi segnali sono di rottura con il passato e con un’idea di Chiesa arroccata e chiusa in se stessa. Le questioni che il nuovo papa dovrà affrontare sono tante e gravi.

Le domande che ci attendono

Si riuscirà a dirottare la prua della nave di Pietro da una cristianità in dispersione e pesantemente attraversata dal male verso la comunione e la comunità dei discepoli, risalendo alle genuine fonti evangeliche? Nessuno può nascondere la situazione drammatica: la nostra amata Chiesa è fredda e scostante e in questi ultimi anni ha perso credibilità rispetto a questioni fondamentali.

Come ha affrontato lo scandalo degli abusi sessuali? Non sarebbe il momento di cambiare le modalità con cui vengono nominati i vescovi, prevedendo un maggiore coinvolgimento dei fedeli? Non si potrebbe mettere in discussione il celibato obbligatorio dei preti? Perché non considerare l’ordinazione femminile?

Sulla questione di genere la Chiesa è “maldestra e ambigua”.

Perché tanta difficoltà nel dire sì alla donna? Perché non riconsiderare la posizione assunta dalla Chiesa sugli anticoncezionali? E il testamento biologico? Mi chiedo nelle mie povere preghiere: non sarà grave aver trascurato i documenti del Concilio Vaticano II (1965)? Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI: è lecito chiedersi perché, trascorsi quasi cinquant’anni, il Concilio di Giovanni XXIII sia ancora tutto da tradurre.

Solo quando abbandonerà il suo statuto imperiale la Chiesa avrà da dire qualcosa agli uomini e alle donne del Terzo millennio. Auspico che il nuovo Pietro riproponga le quattro parole chiave di quella primavera della Chiesa. Si avvertono segnali incoraggianti.

La prima parola chiave è “partecipazione attiva”. Che vuol dire riconoscimento della soggettualità di tutto il popolo di Dio, dei suoi carismi e dei servizi che è chiamato a rendere. La seconda parola è sinodalità. Che investe l’interezza del popolo di Dio e non solamente un piccolo segmento di vescovi.

La Chiesa diventi un cantiere aperto, si apra a un mutato rapporto primato- episcopato, episcopato-presbiterato, chierici-laici. La terza è ascolto. Ascolto dei precetti da assimilare, da proclamare, da studiare e approfondire con la testimonianza. Infine la quarta: il dialogo. Penso soprattutto al dialogo Chiesa-mondo, ma non solo. C’è bisogno di dialogo intraecclesiale, di dialogo culturale ed ecumenico.

Solidale al fianco dei bisogni

La Chiesa che mi permetto di auspicare è una comunità in ascolto della parola di Dio e delle sue stesse membra, e capace di un annuncio e una profezia sempre nuovi. Sogno una Chiesa non separata dagli altri, che non sia sempre pronta a condannare, ma sia solidale, compagna, a fianco dei bisogni delle donne e degli uomini. L’ufficio divino della Quaresima apre con Isaia (58, 6-10): “Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo [...]. Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se aprirai il tuo cuore all’affamato, se sazierai l’afflitto di cuore, allora brillerà fra le tenebre la tua luce”. Un consiglio per il motto papale: “Povertà, giustizia, pace”.

Le lobby del Vaticano

La crisi all’interno del Vaticano è tuttora drammatica. Ci sono fazioni, lobby, gruppi di potere, cardinali in lotta... Quando nel 2011 mi arrivò la notizia che il patriarca di Venezia, Angelo Scola, sarebbe diventato arcivescovo di Milano, mi chiesi perché mandassero un patriarca di settant’anni nella diocesi più grande del mondo. Dietro quella nomina c’era un calcolo preciso: le cause di beatificazione devono iniziare nelle diocesi di appartenenza del servo di Dio, e Scola era il cardinale giusto per avviare la pratica a favore di don Giussani. Né Martini né Tettamanzi si sarebbero mai sognati di beatificarlo. Dopo qualche mese che era a Milano, Scola ha aperto la causa di beatificazione. Sarà una coincidenza? Ecco la conferma di quanto sia forte la lobby di Comunione e liberazione dentro la Chiesa e quanto Ratzinger ne fosse influenzato.

Le lobby in Vaticano hanno indebolito e in parte costretto alle dimissioni papa Benedetto XVI: una di queste è l’Opus Dei, poi ci sono i Legionari di Cristo (il loro fondatore, monsignor Maciel, si è macchiato di colpe gravissime, provate, e Ratzinger sapeva tutto), Comunione e liberazione, gli Araldi di Cristo, Sant’Egidio, che è alle dirette dipendenze della segreteria di Stato.

C’è poi una lobby omosessuale molto forte: un gruppo di vescovi che nasconde la propria omosessualità e la sublima non nella castità, bensì nella ricerca del potere; cercano di allungare la catena che li unisce creando altri vescovi omosessuali.

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Dottrina della fede secondo Ratzinger

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