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www.ildialogo.org RATZINGER: IL SETTIMO SIGILLO SU UN PONTIFICATO DI RESTAURAZIONE,da Adista Notizie n. 16 del 28/04/2012

RATZINGER: IL SETTIMO SIGILLO SU UN PONTIFICATO DI RESTAURAZIONE

da Adista Notizie n. 16 del 28/04/2012

36651. CITTÀ DEL VATICANO-ADISTA. Il giorno dei suoi 85 anni proliferavano via etere i peana nei suoi confronti e su radio, giornali e televisioni è stato unanime il coro celebrativo per il grande «papa teologo» ed il suo pontificato «di svolta», che ha compiuto il suo settimo anno, «segnando la nostra epoca». Se la stampa istituzionale e quella cosiddetta “indipendente” hanno ampiamente messo in luce gli aspetti positivi del pontificato ratzingeriano, ci sono questioni sostanziali, ombre, contraddizioni, colpevoli omissioni, mancate (promesse) riforme, scelte improvvide, gaffes e palesi restaurazioni del passato preconciliare che sono state quasi del tutto taciute dai commentatori. Ne diamo conto noi nelle pagine che seguono.

Terrorismo “anticristiano”

8 luglio 2005 – Londra era appena stata colpita da una serie di attentati terroristici che avevano provocato 52 morti. Le agenzie diffusero il testo del telegramma che Benedetto XVI stava per inviare al cardinale di Londra Murphy O’ Connor. Il testo consegnato alle agenzie definiva gli attentati come «atti inumani e anticristiani». Un concetto, quello di anticristiano che, in relazione alla matrice islamica degli attentati, non faceva che rinfocolare quell’idea di conflitto di civiltà e fedi che poi Ratzinger avrebbe ripreso in molte altre circostanze, ma che in quel momento parve a molti inopportuno. E infatti, accortisi dell’incidente che il telegramma avrebbe provocato, la sala stampa vaticana provvide ad eliminare la frase incriminata, sostituita con la più generica «atti barbarici contro l’umanità».

La “Controriforma” della Curia

Febbraio 2006 – È da prima di diventare papa che Joseph Ratzinger parla di una riforma della Curia vaticana. Ma, più che di un vero rinnovamento, si è trattato piuttosto di uno spoil system, cioè di una sostituzione, lenta, ma sistematica ed inesorabile di prefetti, presidenti, segretari e funzionari dei diversi dicasteri ed uffici vaticani. Di strutturale, solo un paio di aggiustamenti, fatti appositamente per liberarsi di prelati considerati eccessivamente liberal. Il primo cambiamento, nel febbraio 2006, fu l’accorpamento del dicastero per il Dialogo Interreligioso, guidato da mons. Michael Fitzgerald, al Pontificio Consiglio della Cultura, allora presieduto dal card. Paul Poupard. Fitzgerald lasciava il suo incarico per essere “promosso” nunzio al Cairo. Un evidente declassamento, che comprometteva di fatto anche la berretta cardinalizia. Che l’accorpamento dei due Pontifici Consigli fosse solo un pretesto per allontanare Fitzgerald è stato poi dimostrato dal fatto che il 25 giugno 2007 Benedetto XVI ha ripristinato il dicastero precedentemente accorpato, nominando nuovo presidente del Consiglio per il Dialogo Interreligioso il card. Jean-Louis Tauran.

Stesso discorso per l’annessione (marzo 2006) del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, allora retto dal cardinale Stephen Fumio Hamao, al Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, allora presieduto dal card. Renato Raffaele Martino. Hamao era stato l’unico cardinale ad aver sottoscritto, qualche tempo prima, un appello per l’indizione di un nuovo Concilio e ad aver più volte ribadito la necessità di un profondo aggiornamento della Chiesa. Anche in questo caso, nuovo dietrofront: i due Pontifici Consigli sono tornati autonomi nel 2009: il card. Martino, che li reggeva entrambi, ha lasciato il 29 febbraio 2009 la guida del Pontificio Consiglio per i Migranti a mons. Antonio Maria Vegliò. Un presidente a “tempo pieno” poteva infatti più efficacemente controllare il segretario di quel dicastero, mons. Agostino Marchetto, distintosi per coraggiose prese di posizione contro il “Pacchetto Sicurezza”. Il papa ha accettato le dimissioni di Marchetto il 25 agosto 2010, al compimento dei 70 anni.

Le “colpe” di Auschwitz

28 maggio 2006 – Infelice sortita del papa ad Auschwitz. Nel discorso pronunciato nel campo di sterminio – al termine del viaggio in Polonia iniziato il 25 – Benedetto XVI, non nominando mai Hitler, parlò del nazismo come di «un gruppo criminale», che «raggiunse il potere mediante promesse bugiarde» al popolo tedesco. Un popolo quindi, sollevato da responsabilità collettive, tutte attribuite ai «potentati del terzo Reich», «criminali» che avevano ingannato i tedeschi in nome «di prospettive di grandezza, di recupero dell’onore della nazione e della sua rilevanza». Ratzinger cercò di attenuare le polemiche seguite al suo intervento durante l’udienza generale del 31 maggio 2006, nel corso della quale, ripercorrendo le tappe del viaggio in Polonia, parlò finalmente di «antisemitismo» e di «odio razziale», chiamando esplicitamente in causa Hitler. Nessun cambiamento sostanziale, invece, sulla questione delle responsabilità dei tedeschi nella Shoah: nell’udienza Ratzinger parlò genericamente di «regime nazista».

Note a piè di pagina

12 settembre 2006 – I rapporti con l’Islam si fanno difficili, a causa del celebre discorso di Ratisbona. Nella sua lectio magistralis su “Fede, ragione e università”, tenuta di fronte ai rappresentanti del mondo della scienza riuniti all’Università di Ratisbona, il papa, facendo riferimento ad un dialogo del 1391 tra l’imperatore Manuele II Paleologo ed un dotto musulmano persiano su cristianesimo e islam, citò le parole usate dall’imperatore contro Maometto il quale, pur affermando che la fede deve essere libera, avrebbe sostenuto che essa va imposta anche con la spada: in questo modo il papa avallava implicitamente la tesi secondo la quale il concetto di jihâd equivarrebbe a quello di “guerra santa”. Inoltre, Ratzinger attribuiva la stesura della Sura 2,256 del Corano – «Nessuna costrizione nelle cose di fede» – al periodo iniziale della predicazione di Maometto alla Mecca, quando il profeta «era senza potere e minacciato». Una affermazione ritenuta capziosa, perché poteva sottintendere che Maometto, raggiunta una posizione più forte in seno alla sua comunità, avesse cambiato opinione e si fosse invece messo a predicare la guerra santa. A seguito delle dure reazioni del mondo islamico, il papa fu costretto a fare un altro deciso dietrofront: quando il discorso viene pubblicato, il 9 ottobre 2006, è corredato da ben 13 note, in 2 delle quali il papa prendeva esplicitamente le distanze dalle dure affermazioni dell’imperatore Manuele II Paleologo da lui stesso utilizzate, esprimendo inoltre dubbi sulla datazione della Sura 2,256.

Il discorso fantasma

7 novembre 2006 – Ancora un’altra clamorosa smentita. Il papa aveva ricevuto l’episcopato svizzero, a conclusione di una visita ad limina (7-9 novembre 2009). Nel discorso, riprodotto sul Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede, Benedetto XVI usa toni durissimi: la Svizzera – dice – è «caratterizzata da strutture e sistemi che non sempre facilitano l’attuazione dell’ecclesiologia del Concilio Vaticano II». «Secolarizzazione e relativismo hanno provocato non solo la diminuzione della frequenza dei sacramenti, soprattutto la partecipazione alla messa domenicale, ma anche una messa in questione dei valori morali propri della Chiesa. Penso, in particolare, alla crisi profonda dell’istituzione del matrimonio e della famiglia, al numero crescente dei divorzi e degli aborti, alla possibilità di unioni tra persone dello stesso sesso». In Svizzera, aggiungeva inoltre Ratzinger, ci sono «dei fedeli, e purtroppo anche dei preti, che mettono in questione punti della dottrina e della disciplina della Chiesa». Tali sono le reazioni suscitate dal discorso presso la stampa e l’opinione pubblica elvetica che, nel tardo pomeriggio del 7 novembre, la Sala Stampa vaticana diffonde questo comunicato: «Il discorso del Santo Padre, pubblicato questa mattina sul Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede in occasione dell’incontro con i vescovi della Svizzera, non è stato pronunciato. Esso rifletteva il contenuto di una bozza preparata precedentemente». Ma il testo del discorso, che era già stato rilanciato dal radiogiornale vaticano del 7 novembre, era in procinto di essere stampato anche dall’Osservatore Romano. La stampa fu bloccata, le copie mandate al macero, il giornale frettolosamente ricomposto per essere pubblicato senza il discorso incriminato.

Vescovo-lampo

6 dicembre 2006 – Mons. Stanislaw Wielgus, vescovo di Plock, fervente sostenitore di Radio Maryja, emittente polacca ultraconservatrice, populista e antisemita, viene nominato da Benedetto XVI per guidare la diocesi della capitale Varsavia. Da anni giravano voci che Wielgus fin dagli anni ’60, fosse stato informatore della polizia segreta polacca. All’inizio del 2007 il quotidiano Rzeczopolita e la Gazeta Polka pubblicano i documenti che lo provavano svelando quanto ampia e duratura fosse stata quella collaborazione. Il 7 gennaio 2007, Wielgus legge in cattedrale una breve nota in cui annuncia che il Vaticano ha accettato le sue dimissioni. Fuori dalla chiesa, i fan dell’arcivescovo protestano rumorosamente accusando gli “ebrei” di voler distruggere la Chiesa cattolica.

Chiusi per “restauri”

7 luglio 2007 – Viene pubblicato il documento che salda i rapporti tra l’attuale pontificato ed i gruppi più reazionari e tradizionalisti della destra cattolica: è il Motu Proprio Summorum Pontificum con cui Ratzinger intende ripristinare – accanto alla liturgia riformata dal Concilio Vaticano II – anche il vecchio messale tridentino, con il prete che volge le spalle ai fedeli, il rito in latino e le letture precedenti al lezionario del 1969. Con il Messale di S. Pio V torna anche la preghiera del Venerdì Santo in cui si chiede la conversione degli ebrei. L’originaria e famigerata formula «Oremus et pro perfidis Judaeis», viene sostituita dalla formula «Preghiamo per gli Ebrei. Il Signore Dio nostro illumini i loro cuori perché riconoscano che Gesù Cristo è il salvatore di tutti gli uomini». Ma la sostanza resta. E le comunità ebraiche accolgono con grande disappunto il Motu Proprio. Proteste, polemiche, dibattiti si aprono in tutto il mondo cattolico. Molti vescovi sono per questo indotti a promettere ai propri fedeli che non si avvarranno delle norme contenute nel Summorum Pontificum.

21 gennaio 2009 – Il ripristino del Messale di S. Pio V costituisce la “prova generale” di quello che è forse l’evento che di questo pontificato ha più colpito l’immaginario collettivo: il “perdono” concesso ai lefebvriani. Marcel Lefebvre, che non accettò mai il Concilio Vaticano II, era stato scomunicato da Giovanni Paolo II nel 1988 per aver disobbedito al papa consacrando illecitamente quattro vescovi (e non quindi per le sue teorie ultraconservatrici e tridentine). Ratzinger revoca la scomunica ai vescovi aprendo contestualmente un lungo negoziato per il pieno reintegro di tutta la Fraternità Sacerdotale fondata da Lefebvre, quella di San Pio X, in seno alla Chiesa. Ma uno dei quattro, il vescovo Richard Williamson, in un’intervista rilasciata il 1º novembre 2008 e trasmessa dalla televisione svedese SVT il 21 gennaio 2009, affermò che nei campi di concentramento nazisti erano morti solo 2-300mila ebrei, nessuno dei quali nelle camere a gas. Dichiarazioni cui fanno seguito quelle di quelle di don Floriano Abrahamowicz, leader della comunità lefebvriana di Treviso, alla Tribuna di Treviso (29 gennaio 2009): «So che le camere a gas sono esistite almeno per disinfettare, ma non so dirle se abbiano fatto morti oppure no, perché non ho approfondito la questione. So che, accanto a una versione ufficiale, esiste un’altra versione basata sulle osservazioni dei primi tecnici alleati che sono entrati nei campi». Il caso Williamson e quello di Abrahamowicz suscitano la dura reazione dell’opinione pubblica internazionale, una crisi diplomatica con Israele e il precipitare dei rapporti con il mondo ebraico; una mozione di censura al papa del Parlamento belga; la richiesta di ulteriori chiarimenti da parte del cancelliere tedesco Angela Merkel. Il papa, tramite la Segreteria di Stato, difende le sue scelte per poi intervenire direttamente, ed in maniera del tutto inusuale, il 21 marzo 2009, con una lunga lettera ai vescovi cattolici di tutto il mondo, in cui mentre ribadiva i contenuti e le motivazioni della riammissione della comunità fondata da mons. Marcel Lefebvre nella Chiesa cattolica, rispondeva direttamente alle critiche provenienti degli episcopati di mezzo mondo, da lui percepite come una “ostilità” ingiustificata. Ma il clima non si placa. E Ratzinger è costretto ad una parziale retromarcia: tramite la Segreteria di Stato vaticana fa sapere che Williamson avrebbe dovuto ritrattare le sue dichiarazioni negazioniste sulla Shoah «per essere ammesso a funzioni episcopali nella Chiesa» (4 febbraio 2009). Williamson non lo fece e fu poi allontanato dalla stessa Fraternità di S. Pio X, desiderosa di non compromettere sul nascere le prospettive di una definitiva riappacificazione con Roma.

Alla “conquista” della fede

13 maggio 2007 – Altro discorso del papa che crea imbarazzi e polemiche. Stavolta però, contrariamente alle parole pronunciate nel 2006 ai vescovi elvetici in visita ad limina, non è possibile mettere “toppe”. Durante l’incontro inaugurale della V Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano e dei Caraibi svoltasi ad Aparecida, in Brasile, dal 13 al 31 maggio 2007, Benedetto XVI nega l’imposizione violenta del cristianesimo in epoca coloniale, definendo per di più «un’involuzione» l’attuale processo di recupero delle religioni precolombiane in atto nel Continente. Le parole del papa suscitano polemiche, soprattutto in America Latina, dove la ferita della “Conquista” non si è mai rimarginata. Così, durante l’udienza generale del 23 maggio in Vaticano, il papa è costretto all’ennesima retromarcia, parlando esplicitamente di «sofferenze ed ingiustizie inflitte dai colonizzatori alle popolazioni indigene». Ma anche stavolta, come nel caso del discorso di Auschwitz, nessun riconoscimento delle responsabilità della Chiesa.

5 agosto 2007 – L’udienza privata concessa nella sua residenza estiva di Castel Gandolfo al fondatore e direttore dell’emittente polacca Radio Maryja Tadeusz Rydzyk, accusato in patria di essere un antisemita, provoca un nuovo colpo ai già difficili rapporti tra il papa ed il mondo ebraico. I sostenitori di Rydzyk interpretano infatti l’accoglienza ricevuta come un sostegno di Benedetto XVI alla linea ultraconservatrice della sua radio.

22 marzo 2008 - Un altro colpo ai rapporti con il mondo islamico arriva dal battesimo, impartito dal papa a S. Pietro durante la veglia di Pasqua, in pompa magna ed in mondovisione, all’ex musulmano Magdi Allam, all’epoca vicedirettore del Corriere della Sera, esperto di mondo arabo passato progressivamente, anche attraverso la vicinanza a Comunione e Liberazione, su posizioni fortemente teocon ed anti islamiche. Per ben tre volte il direttore della Sala Stampa vaticana p. Federico Lombardi interviene per gettare acqua sul fuoco della polemica scatenata sulla stampa nazionale ed internazionale tentando di sedare le reazioni seguite alle dichiarazioni anti islamiche rese da Allam al Corriere della Sera (23 marzo 2008).

Papi e “papi”

26 settembre 2009 – Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, appena rientrato in Italia dal G20 svoltosi a Pittsburgh, incontra all’aeroporto militare di Ciampino Benedetto XVI, in partenza per la Repubblica Ceca. Stretta di mano, affettuoso saluto con il premier («Che gioia incontrarla, caro presidente», le parole di Ratzinger), che accompagna il papa fino alla scaletta dell’aereo dopo un incontro a quattro (Ratzinger, Bertone, Letta, Berlusconi) nella saletta vip dello scalo romano. L’incontro servì a sottolineare come nulla fosse cambiato negli amichevoli rapporti tra Chiesa e governo dopo il caso Boffo e la cena conseguentemente saltata in occasione della Festa della Perdonanza, all’Aquila, il 28 agosto 2009.

19 dicembre 2009 – Benedetto XVI firma il decreto che riconosce le “virtù eroiche” di Eugenio Pacelli papa Pio XII, nonostante le proteste da parte del mondo ebraico e di larghi settori dell’opinione pubblica laica e cattolica che accusano Pio XII di non aver condannato il nazifascismo e le leggi razziali e di non aver fatto nulla per fermare la Shoah.

Il segreto del Sant’Uffizio

Inverno-primavera 2010 – Le polemiche scoppiate in seguito ai casi di pedofilia in Irlanda, Germania, Usa, Austria e Italia e in altri Paesi del mondo, scuotono profondamente la gerarchia cattolica e lambiscono lo stesso Benedetto XVI, chiamato in causa per la vicenda di un prete tedesco che nel 1980, dopo essere stato accusato di abusi sessuali, fu trasferito dalla diocesi di Essen a quella di Monaco di Baviera, dove Ratzinger era arcivescovo. Qui, il prete pedofilo fu di nuovo assegnato al servizio in parrocchia e anche nel capoluogo bavarese commise abusi su ragazzi.

Ma il coinvolgimento del papa nella omessa vigilanza sul fenomeno della pedofilia tra il clero e nella copertura dei preti pedofili riguarda soprattutto il suo periodo alla guida della Congregazione per la Dottrina della Fede. Fino al 2001 era il Crimen sollicitationis, redatto nel 1962, a stabilire le regole del processo canonico ai preti accusati di pedofilia, ribadendo continuamente l’esigenza di mantenere la segretezza sui fatti delittuosi. Se si sapeva che un prete era pedofilo, ma nei suoi confronti non era stato aperto alcun processo canonico, nulla vietava al vescovo di trasferirlo in un’altra parrocchia. E così per decenni è stato fatto. Nell’ottobre 2001, Ratzinger promulgò un’epistola nota come De Delictis Gravioribus o come Ad exsequandam: in essa avocava all’ex Sant’Uffizio il controllo sui “crimini più gravi”, compresi gli abusi sui minori. Il testo richiamava il Crimen sollicitationis e ribadiva l’importanza della segretezza. Nessun obbligo per il vescovo che fosse venuto a conoscenza di fatti criminosi commessi da preti della sua diocesi di rivolgersi alla magistratura civile. L’obbligo riguardava solo la segnalazione del caso alla Congregazione, che decideva se avocare o meno a sé il caso oppure di lasciare al vescovo il compito di istruire un eventuale processo diocesano. Insomma, almeno dal 2001 il Vaticano, e segnatamente il dicastero guidato proprio dall’attuale papa, era a conoscenza dei più gravi reati commessi dal clero di tutto il mondo. Ma su di essi ha mantenuto, fino allo scoppio dello scandalo, il più totale segreto.

Appelli nel vuoto

3 febbraio 2011 – 143 teologi cattolici di università tedesche, austriache e svizzere (più di un terzo del totale dei docenti) sottoscrivono un documento – Chiesa 2011: una svolta necessaria – in cui chiedono al papa la fine del celibato sacerdotale e l’apertura del sacerdozio alle donne, oltre ad una liturgia viva e varia, non irrigidita dal tradizionalismo, il riconoscimento della libertà di coscienza dei credenti, la partecipazione popolare nella elezione dei vescovi. Il documento si diffonde rapidamente e raggiunge le circa 300 firme.

19 giugno 2011 - 300 parroci, aderenti alla Pfarrer-Initiative – movimento austriaco nato a St. Pölten nel 2006 che chiede riforme e cambiamenti nella Chiesa – lanciano un «appello alla disobbedienza», articolato in sette punti per chiedere le donne prete ed altre riforme strutturali nella Chiesa. L’iniziativa, ripresa in diversi Paesi europei, tra cui Irlanda, Belgio, Francia e Slovacchia, verrà criticata da Ratzinger nell’omelia del Giovedì Santo del 5 aprile 2012: la disobbedienza, chiederà il papa «è una via per rinnovare la Chiesa?»; «è veramente una via? Si può percepire in questo qualcosa della conformazione a Cristo, che è il presupposto di ogni vero rinnovamento, o non piuttosto soltanto la spinta disperata a fare qualcosa, a trasformare la Chiesa secondo i nostri desideri e le nostre idee?». Nonostante queste dure dichiarazioni, nessun provvedimento punitivo verrà emanato dal Vaticano, consapevole della forza e del radicamento del movimento, contro i firmatari dell’appello. (valerio gigante)

Articolo tratto da
ADISTA
La redazione di ADISTA si trova in via Acciaioli n.7 - 00186 Roma Telefono +39 06 686.86.92 +39 06 688.019.24 Fax +39 06 686.58.98 E-mail info@adista.it Sito www.adista.it



Marted́ 24 Aprile,2012 Ore: 15:31
 
 
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Dottrina della fede secondo Ratzinger

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