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www.ildialogo.org "CONFIGURATI IN CRISTO"?! MA QUALE CRISTO?! Per un 8 marzo nella Chiesa!!! Una sollecitazione del "Comité de la Jupe" - con alcuni appunti,a c. di Federico La Sala

QUESTIONE ANTROPOLOGICA E TEOLOGICA. L’ARCA DELL’ALLEANZA E IL MESSAGGIO EVANGELICO. Due soli in Terra e il Sole del Giusto Amore (“Charitas") in cielo...
"CONFIGURATI IN CRISTO"?! MA QUALE CRISTO?! Per un 8 marzo nella Chiesa!!! Una sollecitazione del "Comité de la Jupe" - con alcuni appunti

Per la Chiesa cattolica, il prete è un “altro Cristo”. Riflettiamo un po’ su questo... Non siamo tutti chiamati ad essere “configurati a Cristo” secondo l’espressione di Paolo? Noi confessiamo, seguendo gli apostoli, che Dio si è fatto “uomo”. Ma la parola usata è “umano” e non “maschio”...


a c. di Federico La Sala

Materiali sul tema:

IL NOME DI DIO SENZA GRAZIA ("CHARIS"). L’ERRORE FILOLOGICO E TEOLOGICO DI PAPA BENEDETTO XVI, NEL TITOLO DELLA SUA PRIMA ENCICLICA. Nel nome della "Tradizione"

 RATZINGER ’A SCUOLA’ DEL VISIONARIO SWEDENBORG. Una nota di Leonard Boff e una di Immanuel Kant

KANT E SAN PAOLO. COME IL BUON GIUDIZIO ("SECUNDA PETRI") VIENE (E VENNE) RIDOTTO IN STATO DI MINORITA’ DAL GIUDIZIO FALSO E BUGIARDO ("SECUNDA PAULI"). Una pagina di Kant e una nota di Federico La Sala

"È significativo che l’espressione di Tertulliano: "Il cristiano è un altro Cristo", sia diventata: "Il prete è un altro Cristo"" (Albert Rouet, arcivescovo di Poitiers, 2010).

FEDE E CARITA’ ("CHARITAS"): CREDERE "ALL’AMORE" ("CHARITATI"). Enzo Bianchi si domanda "come si può credere in Dio se non si crede nell’altro?", ma non si rende conto che è il quadro teologico costantiniano e mammonico che va abbandonato!

 UOMINI E DONNE. SULL’USCITA DALLO STATO DI MINORITA’, OGGI. (fls)

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Per un 8 marzo nella Chiesa

di Comité de la Jupe

in “www.comitedelajupe.fr” del 7 marzo 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)

Buona festa a voi, donne della Chiesa, in questo 8 marzo 2012, giornata internazionale delle donne! Attraverso una serie di contributi diversi, il Comité de la Jupe denuncia fermamente la dominazione maschile in una istituzione che costantemente umilia la metà dell’umanità. 
-  “Il Comité de la Jupe ha già ampiamente denunciato, da un lato la discriminazione fobica di cui sono vittime le ragazze e le donne nella liturgia - anche per la predicazione e per l’accesso al ministero ordinato - dall’altro il tentativo di dominio sul corpo delle donne che l’istituzione perpetua giudicando l’esercizio della sessualità e demonizzando la teoria del genere.

È urgente proseguire, denunciando, ad esempio
-  un linguaggio che, in buona coscienza, impone il maschile come definizione di tutto l’umano; 
-  l’uso ricorrente del singolare “la donna” come se esistesse un modello unico; 
-  l’esaltazione di una figura mariana eterea, vergine e condiscendente a tutto ciò che viene dal modello paterno clericale; 
-  il quasi generale dominio degli ordini religiosi monastici maschili sulle branche femminili. 
-  Sì, la Chiesa non fa meglio degli altri: ha le sue proletarie, quelle “manine laboriose”, quelle domestiche per tutti i servizi, quel corpo che non vuole vedere. Il suo corpo che offende ogni giorno. 
-  Allora, donne e uomini, apriamo gli occhi, curiamo la nostra Chiesa denunciando quello che le fa male. La nostra parola - la sua - non le fa che bene.” (Anne Soupa)

“Un giorno un vescovo mi confidava quanto le donne nella vita politica avessero difficoltà nel conquistarsi uno spazio. Lo deplorava sinceramente. Maliziosamente, gli ho fatto notare che, almeno, anche se è difficile, nella società civile le donne potevano essere ministri! La mia riflessione lo ha lasciato senza parole! La Chiesa cattolica romana si priva così di tesori di fede, di energia, di competenza, escludendo le donne dai ministeri ordinati. Essa giustifica così una visione del femminile che non può che essere in posizione di ricezione e non di iniziativa, una visione del femminile che non può rappresentare l’iniziativa di Dio. Così facendo, e benché il discorso ufficiale lo neghi, essa giustifica, nei fatti, un posto di second’ordine per le donne. Quando usciremo da questo immobilismo?” (Sr. Michèle Jeunet, rc)

“Padre Moingt, in un articolo su Etudes, esprimeva la preoccupazione per la disaffezione delle donne rispetto alla Chiesa, allontanate dagli altari e umiliate. È ancora peggio. Tristezza fondamentale nel constatare che il dominio maschile è onnipresente e che è peggiore nella religione, perché viene fondato su giustificazioni teologiche che fanno passare le discriminazioni per volontà divina. La tendenza recente di affidare ai soli uomini o ragazzi maschi le letture liturgiche mi sembra un provvedimento inverosimile: ingiustizia enorme nei confronti delle donne e cieca di fronte al modo di funzionare delle società moderne. Oggi, la pratica religiosa si accompagna troppo spesso per me ad un sentimento di alienazione. Esperienza quanto mai dolorosa!” (Sylvie)

“Trent’anni fa, infastidita dai singolari su “La” Donna e la sua vocazione, avevo scritto un articolo“Donne e Chiesa: un amore difficile!”. A distanza di trent’anni, dopo che molte mie contemporanee hanno lasciato la Chiesa in punta di piedi, dovrei scrivere: “Donne e Chiesa: un disamore consumato.” Emorragia annunciata, proposta fatta di istituzionalizzare i servizi delle donne nella Chiesa: donne cappellane, diaconesse, e perché no, preti. Un sistema obsoleto, unito ad un discorso unisex sulla sessualità, è tuttavia continuato. Delle teologhe come France Quéré hanno allora spalancato la porta di una parola sul ruolo decisivo delle donne bibliche nella Rivelazione, non guardiane di un Tempio intoccabile, ma vettori irrinunciabili della Speranza cristiana in un mondo in trasformazione. Al fiat di Maria “celestificata” ad vitam, successe la valorizzazione di Maria radicata, contestatrice dell’ordine stabilito maschile, che ha visto la miseria di un popolo maltrattato dai superbi. Le nuove tecnologie dell’informazione svolgeranno un ruolo per il riconoscimento della dignità delle donne nella Chiesa cattolica, importante quanto quello svolto nelle recenti primavere di popoli asserviti.” (Blandine)

“Parlare dell’ordinazione delle donne resta un tabù nella Chiesa cattolica, e il prendere ufficialmente posizione a suo favore viene minacciato di scomunica. Per la Chiesa cattolica, il prete è un “altro Cristo”. Riflettiamo un po’ su questo... 
-  Non siamo tutti chiamati ad essere “configurati a Cristo” secondo l’espressione di Paolo? 
-  Noi confessiamo, seguendo gli apostoli, che Dio si è fatto “uomo”. Ma la parola usata è “umano” e non “maschio”... Incarnandosi, Dio ha optato per il maschile, piegandosi alle convenienze del suo tempo per poter essere ascoltato. 
-  Non è lo Spirito Santo che consacra il pane e il vino delle nostre tavole eucaristiche? 
-  La donna resterà sempre quell’essere incompleto, inferiore, tentatore ed impuro?” (Claude)

“Nella mia vita professionale, familiare, cittadina, posso far sentire la mia voce e pesare sulle decisioni. Nella Chiesa, sono doppiamente muta ed impotente poiché laica e donna. Eppure si può essere cattolica e femminista. Ma perché restare in questa Chiesa il cui discorso ufficiale mi glorifica per meglio togliermi la parola? 
-  Perché, come la Samaritana, voglio avvicinarmi il più possibile e bere alla sorgente che disseta per sempre. Perché essere vicini a Cristo è possibile, senza la mediazione delle pompe, dell’organo, dell’incenso e del latino, dei riti e dei divieti, ma attraverso la preghiera e l’incontro dei miei fratelli e delle mie sorelle nella Chiesa. 
-  Ecco quello che fa paura al clero: perdere il potere che conferisce loro lo statuto che si sono concessi (malgrado l’insegnamento di Cristo) di mediatori, soli atti a veicolare il “sacro” nei due sensi... 
-  L’intrusione delle donne - del femminile - nell’edificio lo farà andare in frantumi. Da Maria Maddalena a santa Teresa di Lisieux, in tutta la storia della Chiesa, delle donne - e degli uomini come san Francesco d’Assisi! - hanno fatto sentire la loro musica delicata: un incontro è possibile e questo incontro passa dal cuore.” (Françoise)

“Il magistero cattolico maschile, quasi muto sugli uomini (maschi), affronta la “differenza dei sessi” solo attraverso le donne. Questo non è estraneo al fatto che sono degli uomini a definire la natura delle donne. Loro sono i soggetti della dottrina, e le donne gli oggetti. Della loro natura maschile non parlano. Senza dubbio la identificano alla natura umana. Gli uomini (vir) si identificano agli uomini (homo), all’universale, al neutro, al prototipo, mentre assegnano le donne alla particolarità, alla specificità, alla differenza. 
-  Che cos’è il genere? I documenti romani lo manifestano: uomini investiti dell’autorità dicono alle donne chi esse sono e quali rapporti devono intrattenere con gli uomini. Il genere quindi è un rapporto di potere che si costruisce nello stesso tempo in cui costruisce i suoi due termini.” (Gonzague JD)

“La frase infelice del cardinal Vingt-Trois che ha provocato la nascita del Comité de la Jupe non era un increscioso incidente. Era, nel senso psicanalitico del termine, una parola involontaria. Svela non la misoginia dell’uomo, ma quella di un’istituzione che è in una fase di ripiegamento. Nel fenomeno di “restaurazione” al quale assistiamo oggi nella Chiesa cattolica, le donne sono le prime vittime: le si rimette “al loro posto”, quello “di ausiliaria di vita” della solo metà dell’umanità che conta, la metà maschile che si prende per il tutto. 
-  In questo 8 marzo, noi donne cattoliche possiamo dare l’allarme. Quando delle società o delle istituzioni sono in crisi, le donne ci rimettono per prime. L’emancipazione delle donne nelle nostre società occidentali è un bene prezioso ma ancora fragile; il rischio di “restaurazione patriarcale” è reale per l’insieme della società. Queste circostanze invitano alla vigilanza e alla solidarietà di tutte le donne e anche degli uomini che considerano come un ottimo bene che le donne siano loro contemporanee sulla base di parità.” (Christine Pedotti)

“Buona festa a voi, sì, a voi, donne della Chiesa. Quelle che hanno seguito gli stessi incontri di catechismo di tutti gli altri bambini. Quelle che hanno detto sì, a un uomo o a una vita consacrata a Dio. Quelle che hanno portato un figlio o una figlia al fonte battesimale, come madre o come madrina. Buona festa a voi che tornate ogni giorno, ogni settimana, ogni domenica, per accompagnare, studiare, condividere, organizzare, informare, pulire, benedire, ornare di fiori, insegnare, cantare, preparare, lodare, predicare, pregare, meditare, tenere per mano, sollevare la testa... Buona festa a voi tutte, che siete Chiesa, che fate la Chiesa...” (Estelle Roure)



Venerdì 09 Marzo,2012 Ore: 09:40
 
 
Commenti

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 09/3/2012 09.43
Titolo:RELIGIONI IN ANALISI.
8 marzo 2012, ancora streghe

di Giancarla Codrignani (“Adista” - Segni Nuovi, - n. 10, 10 marzo 2012)

A Bologna, un islamico osservante ha sentito «impuro» il proprio rapporto con una donna cristianoortodossa e ha tentato di decapitarla «come Abramo fece con Isacco» (la donna, un’u-craina di 45 anni, se la scampa, rischia di ritrovarsi paraplegica).

Non è solo un caso di fondamentalismo maniacale. In questi giorni, si apre a Palmi un processo di stupro che testimonia il persistere italico della maledizione di Eva: a San Martino di Taurianova una bambina di 12 anni (che oggi ne ha 24 e vive sotto protezione perché alcuni dei persecutori che ha denunciato erano mafiosi) per anni è stata considerata da tutto il paese la colpevole degli stupri di gruppo, delle violenze e dei ricatti subiti e anche il parroco a cui aveva tentato di confidarsi giudicava peccatrice una dodicenne violata che solo la penitenza poteva redimere. Sembra incredibile, ma nella santità delle religioni albergano tabù ancestrali che gli studi antropologici e le secolarizzazioni non sono riusciti a eliminare. Sono i tabù peggiori perché responsabili dei pregiudizi sessuofobici e misogini che, sacralizzati, hanno prodotto, nel nome di dio, discriminazioni e violenze.

Nel terzo millennio le religioni dovrebbero andare in analisi e domandarsi quanto la sessuofobia e la misoginia insidino nel profondo la loro possibilità di futuro. Il concetto di “purezza” che ha represso, nell’ipocrisia mercantile e proprietaria dei valori familiari, milioni di ragazze non è nato certo dalla scelta delle donne. Alla Lucy delle origini, mestruata e responsabile della riproduzione, non sarebbe mai venuto in mente di sentirsi sporca o colpevole. Forse percepiva già come colpa, certo non sua, la violenza che connotava la bassa qualità di molte prestazioni maschili. Tanto meno, quando si fosse inventato il diritto, avrebbe distinto i “suoi” figli in legittimi o illegittimi. Eppure si continua a credere che la mestruata faccia ingiallire le foglie e inacidire il latte; in Africa, in “quei giorni”, è confinata in capanne speciali per non contaminare le case; a Roma Paolo la voleva velata e zittita, mentre i papi, forse senza sapere perché, le hanno vietato di consacrare. Siamo ancora qui, a fare conti sul puro e l’impuro e a ripetere il capro espiatorio nel corpo di qualche altro Isacco per volere di qualche Abramo che credeva di interpretare Dio, di qualche altra Ifigenia proprietà di Agamennone padrone della sua morte.

Noi donne non siamo certo migliori degli uomini, ma nelle società maschili permangono residui di paure che neppure Darwin ha fatto sparire. I responsabili delle religioni che intendono salvare la fede per le generazioni future debbono purificarle dalle ombre del sacro antropologico: il papa cattolico deve non condannare, bensì accogliere come servizio di verità nelle scuole un’educazione sessuale che dia valore all’affettività non solo biologica delle relazioni fra i generi e al rispetto delle diverse tendenze sessuali; l’islam che fa imparare a memoria fin da piccoli le sure del Corano, si deve rendere conto che i tabù violenti producono strani effetti se un uomo si sente un dio punitore davanti a donne-Isacco; i rabbini dovrebbero fare i conti con Levy Strauss e smettere di chiedere autobus separati per genere e di insultare le bambine non velate; in Cina e in India non si deve perpetuare l’insignificanza femminile trasferendo gli infanticidi delle neonate alla “scelta” ecografica, mortale solo per le bimbe. Sono tutte scelte di morte. Per ragioni di genere.

Ma, se la responsabilità delle religioni monoteiste è particolarmente grave per l’immagine anche non raffigurata di una divinità di fatto maschile, più precisa è quella dei cristiani. Si è detto infinite volte: perché il nostro clero, ancora così pronto a chiedere cerimonie riparatrici per spettacoli che non ha visto, non pensa ad evangelizzare i maschi invece di sospettare costantemente peccati di cui non può essere giudice, condannato com’è al masochismo celibatario per paura della purezza originaria della sessualità umana?

C’è un salto logico - certamente non illogico per le donne che stanno leggendo i pezzi sull’8 marzo ma anche la società civile persevera troppo nel negare rispetto al corpo delle donne: i tre caporali del 33esimo reggimento Acqui indagati per lo stupro di Pizzoli (L’Aquila) sono rientrati in servizio nei servizi di pattugliamento del centro storico nell’ambito dell’operazione “Strade Sicure”...
Autore Città Giorno Ora
maurizio sgarro torrevecchia pia 12/3/2012 06.24
Titolo:il sacerdozio per le donne
Condivido molte cose espresse nell'articolo. In particolare penso che non solo nella chiesa il ruolo della donna è ancora marginale e questo è un guaio. Per quanto riguarda la possibilità del sacerdozio alle donne penso che sia debole la giustificazione che gli apostoli erano uomini e quindi.... Ma vi immaginate all'epoca Gesù con anche donne fra i discepoli? In quel tempo non sarebbe stato credibile. Oggi è l'esatto contrario. L'evoluzione della fede ci porta a pensare che sia giunto il tempo di abolire una così stridente discriminazione che peraltro impedisce alla chiesa di utilizzare il grandissimo patrimonio che è la donna. Sono convinto che il tempo porterà giustizia. Nel frattempo è giusto denunciare la discriminazione. Cordiali saluti Maurizio Sgarro
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 20/3/2012 16.09
Titolo:IL CONCILIO E L'APERTURA INCOMPLETA. VENERANDE ESCLUSIONI ...
Donne e ministeri da segno dei tempi a indice di autenticità

di Lilia Sebastiani

in “Viandanti” (www.viandanti.org) del 10 marzo 2012

Nell’enciclica ‘conciliare’ Pacem in terris di Giovanni XXIII (1963) al n.22 l’ingresso crescente delle donne nella vita pubblica veniva annoverato tra i segni dei tempi, insieme alla crescita delle classi lavoratrici (n.21) e alla fine del colonialismo (n.23).

Ricordare l’enciclica è doveroso, per il valore storico di questo semplice e cauto riconoscimento: infatti è la prima volta che un documento magisteriale rileva la cosiddetta promozione della donna senza deplorarla - anzi come un fatto positivo. I segni dei tempi sono ancora al centro della nostra attenzione, ma per quanto riguarda le donne la questione cruciale e non ignorabile è ormai quella del loro accesso al ministero nella Chiesa, a tutti i ministeri.

Venerande esclusioni

Certo il problema dei ministeri non è l’unico connesso con lo status della donna nella Chiesa, ma senza dubbio è fondamentale; guardando al futuro, è decisivo. Non solo e non tanto in se stesso, ma per la sua natura di segno.

In questo momento nella Chiesa la donna è ancora esclusa dai ministeri ecclesialmente riconosciuti: non solo da quelli ordinati (l’Ordine sacro, cioè, nei suoi tre gradi: episcopato, presbiterato, diaconato) ma anche da quelli istituiti, il lettorato e l’accolitato. Questi ultimi, chiamati un tempo “ordini minori” e considerati solo tappe di passaggio obbligatorie per accedere all’ordinazione, furono reintrodotti nel 1972 da Paolo VI (Ministeria quaedam) come “ministeri istituiti” - per distinguerli da quelli ordinati, mantenendo però l’elemento della stabilità e del riconoscimento ecclesiale - e furono aperti anche a laici non incamminati verso l’Ordine; tuttavia si specificava chiaramente che tali ministeri erano riservati agli uomini, “secondo la veneranda tradizione della chiesa latina”.

Un po’ più recente l’istituzione dei “ministri straordinari dell’Eucaristia”: con prerogative non molto diverse da quelle degli accoliti, questi possono essere anche donne. E di fatto sono più spesso donne che uomini. Un passo avanti, forse? Certo però la dichiarata ‘straordinarietà’ sembra messa lì a ricordare che si tratta di un’eccezione, di una supplenza..., di qualcosa che normalmente non dovrebbe esserci.

A parte i servizi non liturgici ma fondamentali, come la catechesi dei fanciulli, quasi interamente femminile, e le varie attività organizzative e caritative della parrocchia, le letture nella Messa vengono proclamate più spesso da donne che da uomini; ma si tratta sempre e comunque di un ministero di fatto, che in teoria sarebbe da autorizzare caso per caso, anche se poi, di solito, l’autorizzazione viene presunta.

Il Concilio e l’incompiuta apertura

Il problema dell’accesso femminile ai ministeri è diventato di attualità nella Chiesa nell’immediato post-concilio, nel fervore di dibattito che caratterizzò quell’epoca feconda e rimpianta della storia della Chiesa. Il Vaticano II aveva mostrato una notevole apertura sulle questioni che maggiormente sembravano concernere il problema della donna in generale e della donna nella Chiesa in particolare. Sulle questioni più specifiche e sul problema dei ministeri i documenti conciliari erano generici fino alla reticenza, ma senza chiusure di principio. Ciò autorizzava a sperare nel superamento, non proprio immediato ma neppure troppo lontano, di certe innegabili contraddizioni che persistevano sul piano disciplinare. Inoltre altre chiese cristiane avevano cominciato da qualche anno, certo non senza resistenze anche aspre, a riconsiderare e a superare gradualmente il problema dell’esclusione (a nostra conoscenza, la chiesa luterana svedese fu la prima ad ammettere donne al pastorato, nel 1958)

.Una chiusura fragile

Nel decennio che seguì il Concilio, il dibattito in proposito fu intenso. La Chiesa ufficiale mantenne però una posizione di cautela e di sostanziale chiusura sempre più netta, che culminò - volendo chiudere la questione una volta per sempre - nella dichiarazione vaticana Inter insigniores, che è della fine del 1976, ma resa pubblica nel 1977.

In questo documento l’esclusione delle donne dal ministero ordinato veniva ribadita con caratteri di definitività vagamente ‘infallibilista’, ma anche con un significativo mutamento di argomentazione, che ci sembra importante poiché dimostra che l’esclusione è un fatto storico-sociologico in divenire e non un fatto teologico-sacramentale. Non si dice più, come affermava Tommaso d’Aquino, che la donna è per natura inferiore all’uomo e quindi esclusa per volere divino da ogni funzione implicante autorità; si richiama invece l’ininterrotta tradizione della Chiesa (che è evidente, ma è anche evidentissimo portato della storia e delle culture) e soprattutto la maschilità dell’uomo Gesù di Nazaret, da cui deriverebbe la congruenza simbolica della maschilità del prete che, presiedendo l’assemblea, agisce in persona Christi.

Quest’ultimo argomento fragile e sconveniente è stato lasciato cadere, infatti, nei pronunciamenti successivi: questi si rifanno solo alla tradizione della Chiesa e a quella che viene indicata come l’esplicita volontà di Gesù manifestata dalla sua prassi.

Anche questo argomento non funziona. Gesù, che non mostra alcun interesse di tipo ‘istituzionale’, alle donne accorda, con naturalezza, una piena parità nel gruppo dei suoi seguaci. Sembra insieme scorretto e pleonastico dire che “non ha ordinato nessuna donna”, dal momento che, semplicemente, non ha ordinato nessuno. Non vi è sacerdozio nella sua comunità, ma servizio e testimonianza, diakonìa non formalizzata - eppure rispondente a una chiamata precisa - che, prima di essere attività, è opzione fondamentale, stile di vita, sull’esempio di Gesù stesso “venuto per servire”.

Nel Nuovo Testamento di sacerdozio si può parlare solo in riferimento al sacerdozio universale dei fedeli (cfr 1 Pt 2,9; Ap 1,6), negli ultimi decenni tanto rispettato a parole quanto sfuggente e ininfluente nel concreto del vissuto ecclesiale; oppure in riferimento all’unico sacerdote della Nuova Alleanza - sacerdote nel senso di mediatore fra Dio e gli esseri umani -, Gesù di Nazaret (cfr Ebr 9), il quale nella società religiosa era un laico, oltretutto in rapporti abbastanza conflittuali con il sacerdozio del suo tempo.

Un’esclusione che interpella tutti

Vi sono due fatti, molto modesti ma significativi, che aiutano a tenere viva la speranza. Il primo, che i pronunciamenti dell’autorità ecclesiastica volti a chiudere ‘definitivamente’ la questione sono diventati abbastanza ricorrenti, il che dimostra che non è poi tanto facile chiuderla. Il dibattito è aperto e procede. Il secondo, che l’argomentazione teologica sembra cambiata ancora: felicemente sepolto l’infelicissimo argomento della coerenza simbolica, già pilastro dell’Inter insigniores, si richiama solo la prassi ininterrotta della chiesa romana e sempre più spesso si sente riconoscere, anche dalle voci più autorevoli, che contro l’ordinazione delle donne non ci si può appellare a ragioni biblico-teologiche.

No, non si tratta di banali rivendicazioni. L’esclusione interpella tutti: nessuna/nessun credente adulto può disinteressarsi di questo problema chiave finché le donne nella chiesa non avranno di fatto le stesse possibilità degli uomini, la stessa dignità di rappresentanza.

E’ necessario ricordare che vi sono donne cattoliche di alto valore e seriamente impegnate - tra loro anche alcune teologhe - che a una domanda precisa sul problema dei ministeri istituiti rispondono o risponderebbero più o meno così: no grazie, il sacerdozio così com’è proprio non ci interessa. E’ un atteggiamento che merita rispetto: almeno in quanto manifesta il timore che insistere troppo sul tema dell’ordinazione induca ad accentuare l’importanza dei ministri ordinati nella Chiesa (mentre sarebbe urgente semmai ridurre quell’importanza, insomma ‘declericalizzare’).

Ma dobbiamo ricordare che il “sacerdozio così com’è”, nella storia e nella mentalità corrente, si fonda proprio sulla ‘separazione’, sullo spirito di casta, sul sospetto previo e sul rifiuto nei confronti della donna, che nella chiesa di Roma si esprime in una doppia modalità: l’esclusione delle donne dalle funzioni di culto, di governo e di magistero, è parallela all’obbligo istituzionale di essere “senza donna” per coloro che le esercitano. Il divieto per le donne di essere ministri ordinati el’obbligo per i ministri ordinati di restare celibi sembrano due problemi ben distinti, mentre sono congiunti alla radice. E ormai sappiamo che potranno giungere a soluzione solo insieme.

Segno dei tempi, certo. Segno di trasformazione, segno contraddittorio, segno incompleto, proprio come il tempo in cui viviamo. Per quanto riguarda la chiesa cattolica, però, non solo segno, ma indice di autenticità. Non temiamo di dire che sulla questione dei ministeri, che solo a uno sguardo superficiale o ideologico può apparire circoscritta, si gioca il futuro della chiesa.

Lilia Sebastiani

Teologa

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Dottrina della fede secondo Ratzinger

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