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www.ildialogo.org UNA CHIESA GLOBALE E UN PAPATO DI VEDUTA LOCALE, MOLTO LOCALE. Il punto di vista di Michael Amaladoss SJ (Gesuita, tra i più noti teologi indiani, è direttore dell’Institute for Dialogue with Cultures and Religions a Chennai) -,a c. di Federico La Sala

PER UN DIALOGO VERO, DA CRISTIANI: "UT UNUM SINT"! Il cristianesimo non è un "cattolicismo"! Il cattolicesimo romano è morto. Indietro non si torna ...
UNA CHIESA GLOBALE E UN PAPATO DI VEDUTA LOCALE, MOLTO LOCALE. Il punto di vista di Michael Amaladoss SJ (Gesuita, tra i più noti teologi indiani, è direttore dell’Institute for Dialogue with Cultures and Religions a Chennai) -

(...) la Chiesa, un’istituzione che spesso nella storia ha sostenuto di imporre la propria cultura nel nome di Dio. Secondo teologi come Karl Rahner, il Concilio Vaticano II ha reso la Chiesa consapevole di essere una Chiesa globale. Ha promosso l’inculturazione in vari ambiti. In quello della liturgia, ad esempio, l’unico criterio proposto è stato quello della «piena, consapevole e attiva partecipazione» dei fedeli (...)


a c. di Federico La Sala

MATERIALI SUL TEMA: 

INDIETRO NON SI TORNA....

L’"UOMO SUPREMO" DELLA CHIESA CATTOLICA: "Dominus Iesus": RATZINGER, LO "STERMINATORE DI ECUMENISMO". Un ’vecchio’ commento del teologo francescano Leonard Boff.

LA CRISI DEL CATTOLICESIMO ROMANO E DELLA DEMOCRAZIA AMERICANA NON SI RISOLVE... RILANCIANDO UNA POLITICA OCCIDENTALE DA SACRO ROMANO IMPERO

RATZINGER ’A SCUOLA’ DEL VISIONARIO SWEDENBORG. Una nota di Leonard Boff e una di Immanuel Kant

Cattolicesimo, fascismo, nazismo, stalinismo: il sogno del "regno di ‘dio’" in un solo ‘paese’ è finito. UN NUOVO CONCILIO, SUBITO! Il cardinale Martini, dalla “città della pace”, lo sollecita ancora!!! 95 TESI ? NE BASTA UNA SOLA! (fls)

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La Chiesa è multiculturale? Un punto di vista indiano

di Michael Amaladoss SJ

in “popoli” del 14 febbraio 2012

 

      • Tra i 22 nuovi cardinali che riceveranno da Benedetto XVI la berretta il 18 febbraio, dieci hanno incarichi nella Curia romana. Il gruppo più numeroso sono gli italiani (7). Solo tre non sono europei o nordamericani. Il prossimo concistoro, perciò, non pare riflettere il peso demografico sempre più importante che ha il Sud del mondo nella Chiesa cattolica. La recente riflessione del gesuita Michael Amaladoss, noto teologo indiano, apparsa sulla rivista dei gesuiti Jivan, è dedicata al rapporto tra Chiesa e multiculturalismo.

 

Una delle questioni poste dalla globalizzazione è il rischio della proiezione e imposizione a tutti, attraverso i media e il mercato, di un’unica cultura consumistica, quella nordamericana. Essa coinvolge i media, la tecnologia, le comunicazioni, il modo di vestire e nutrirsi. Influisce meno su elementi culturali più profondi come la lingua, gli atteggiamenti, la letteratura e il modo di vivere, pensare e relazionarsi. A questi livelli le culture tendono a difendersi, a volte anche con violenza. Tuttavia, se la Mecca della globalizzazione, gli Usa, non sono diventati monoculturali, è difficile che possano riuscire a imporsi del tutto sulle culture di altri Paesi.

Il nostro è ancora un mondo multiculturale. Mi ha sorpreso sentire affermare questo, di recente, dalla Conferenza episcopale francese. I francesi sono normalmente considerati nazionalisti riguardo alla propria cultura. Tuttavia, in una dichiarazione dei vescovi dello scorso 3 ottobre, si parla di «fine di una certa omogeneità culturale delle società [occidentali]», dovuta alle ondate migratorie.

L’omogeneizzazione culturale resta una tentazione, non solo a livello globale, ma anche locale. In India esiste una cultura dominante che cerca di rendere subalterne tutte le altre, dai dalit ai popoli indigeni, ma anche altrove alcuni cercano di affermare che l’unità di una nazione dipende dall’unità della sua cultura o addirittura vorrebbero l’omogeneità religiosa.

Quindi, difendere il multiculturalismo e il pluralismo religioso è un dovere costante e necessario e siamo lieti che la Costituzione indiana difenda entrambi, anche con misure speciali per la tutela delle minoranze.

Ma c’è un ambito di questa omogeneizzazione globale che solitamente ignoriamo: la Chiesa, un’istituzione che spesso nella storia ha sostenuto di imporre la propria cultura nel nome di Dio. Secondo teologi come Karl Rahner, il Concilio Vaticano II ha reso la Chiesa consapevole di essere una Chiesa globale. Ha promosso l’inculturazione in vari ambiti. In quello della liturgia, ad esempio, l’unico criterio proposto è stato quello della «piena, consapevole e attiva partecipazione» dei fedeli. Si è affermato che si può cambiare tutto tranne ciò che è stato istituito divinamente ed è stato promosso l’emergere di nuovi riti.

Ciò nonostante, e nonostante l’esistenza di tante piccole Chiese orientali, la Chiesa latina ha dominato nella storia recente e anche recentemente la Chiesa ha difeso con forza l’unità del rito latino. La controversia sul Messale in inglese ne è un esempio: è stata imposta una traduzione del testo latino più letterale della versione precedente, nonostante le obiezioni di vescovi ed esperti. Le persone non possono pregare creativamente nella propria lingua, se non in privato. Ciò accade per tutte le lingue del mondo, che devono tradurre il testo latino in modo letterale e ottenere l’approvazione del Vaticano. Il multiculturalismo, raccomandato per il mondo, non sembra essere rispettato nella Chiesa.

Non mi ha quindi sorpreso leggere un recente articolo di Sandro Magister sul sito dell’Espresso. Alla domanda se con Benedetto XVI la curia romana non stia diventando «troppo» italiana, risponde: «Lo storico della Chiesa Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, anch’essa con fama progressista, ha difeso una simile evoluzione. Ha più volte spiegato che la Santa Sede non può uniformarsi a una qualsiasi grande organizzazione internazionale [...], non può divenire una specie di Onu, perché fa parte della Chiesa romana e deve intrattenere con quest’ultima un legame ecclesiale, umano e culturale particolare». Non è certo un problema, naturalmente, che la Chiesa romana voglia restare romana. Ma allora non dovrebbe cercare di imporre la sua identità sulla Chiesa universale e multiculturale. Quanti dei documenti della Chiesa mostrano più preoccupazione per i problemi culturali di Europa e America che del resto del mondo?

È ormai evidente che da un punto di vista demografico il centro di gravità della Chiesa si sta spostando verso Sud, ma non è così a livello culturale. Lo notiamo anche nelle congregazioni religiose «internazionali», in cui cresce di molto la componente indiana. Un indiano può anche essere eletto Superiore generale della propria congregazione, ma nei capitoli generali i pochi europei e americani rimasti svolgono un ruolo preponderante, forse anche perché facilitati dall’uso della lingua, solitamente inglese, francese o italiano. I documenti che producono sono incentrati su questioni europee e americane.

E i gesuiti? Da diversi anni ci si chiede: che cosa accadrà ai gesuiti con l’ingresso di sempre più persone provenienti dal Sud del mondo? Non saprei dire se questa domanda contenga un elemento di paura. Le nostre Congregazioni generali sono state ampiamente multiculturali, ma alcuni sviluppi e atteggiamenti destano qualche preoccupazione. A Roma abbiamo alcune istituzioni internazionali. Ma sono davvero multiculturali?

Alcuni anni fa, quando si cercavano nuove persone da dedicare a questi istituti, non si scelse fra i teologi che avevano esperienze di insegnamento e riflessione teologica in India, e che potessero quindi portare il contributo indiano in un’istituzione con sede a Roma. Si scelsero invece giovani scolastici che furono portati a Roma per essere formati nella teologia romana, preferibilmente in italiano, per poi continuare a insegnare lì. Questo è multiculturalismo o globalizzazione omogeneizzante?

Ancora: ai nostri teologi, che magari già conoscono due lingue dell’India oltre all’inglese, si chiede che imparino altre due o tre lingue europee. Ma ai teologi occidentali che insegnano in un’istituzione multiculturale si richiede di imparare lingue asiatiche o africane? E se anche non conoscono queste lingue, possiamo almeno aspettarci che abbiano familiarità con le teologie e le culture del Sud del mondo, considerato anche l’alto numero di studenti che provengono da quei continenti?

Nel 2010 in Messico, il Padre generale dei gesuiti, Adolfo Nicolás, ha fatto un’osservazione stimolante durante un incontro internazionale sull’istruzione superiore: «Mi colpisce il fatto che nella Compagnia abbiamo problemi con la formazione. Da circa vent’anni registriamo vocazioni da nuovi gruppi: aborigeni, dalit in India e altre comunità marginali. Le abbiamo accolte con gioia perché ci siamo mossi verso i poveri e i poveri si sono uniti a noi. Questa è una meravigliosa forma di dialogo. Ma ci siamo anche sentiti un po’ incapaci: come formiamo queste persone? Pensiamo che non abbiano sufficiente istruzione alle spalle e quindi offriamo loro uno o due anni di studi in più. Non credo che sia la risposta giusta. Credo che la risposta giusta sia quella di chiederci: da dove vengono? Qual è la loro formazione culturale? Quale visione della realtà ci portano? Noi dobbiamo accompagnarli in un modo diverso. Ma per farlo ci serve un enorme sforzo di immaginazione e creatività, un’apertura verso altri modi di essere, sentire, relazionarci». In altre parole, quando diventeremo davvero multiculturali nel mondo, nella Chiesa e nella Compagnia di Gesù?

  Michael Amaladoss SJ 
  Gesuita, tra i più noti teologi indiani, 
  è direttore dell’Institute for Dialogue with 
  Cultures and Religions a Chennai.

- © FCSF - Popoli



Venerdì 17 Febbraio,2012 Ore: 09:56
 
 
Commenti

Gli ultimi messaggi sono posti alla fine

Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/2/2012 13.10
Titolo:ALLARGARE I SOGNI DEL CORTILE ....
LA GRAZIA DEL DIO DI GESU’ E’ "BENE COMUNE" DELL’INTERA UMANITA’, MA IL VATICANO LA GESTISCE COME SE FOSSE UNA SUA PROPRIETA’.
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Ravasi: «Il Cortile allarga i confini»

intervista a Gianfranco Ravasi

a cura di Lorenzo Fazzini (Avvenire, 17 febbraio 2012)

Dall’illuminista Parigi alla Tirana ex comunista; da Assisi, patria del Poverello, a Bucarest, porta d’Oriente. E, a venire: Barcellona, vetrina della Sagrada Familia, Stoccolma, terra dei Nobel, la Milano sede della Borsa, Marsiglia, patria di Albert Camus. In futuro: Gerusalemme, Washington, Vienna. Il Cortile dei gentili si allarga e abbraccia culture, località, centri accademici diversissimi ma uniti - chiarisce il cardinale Gianfranco Ravasi, regista dell’operazione voluta da Benedetto XVI - dal desiderio di indagare il senso del mistero dell’uomo.

Dall’iniziale intuizione del pontefice (eravamo nel dicembre 2009) affinché la Chiesa aprisse un «nuovo Cortile dei gentili» per dialogare con quanti «sentono la religione come una cosa estranea» ma vogliono avvicinare Dio «almeno come uno Sconosciuto», molto è già stato fatto e altrettanto è in cantiere. Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, confida: «Il problema è tener testa alle tantissime richieste: tutto questo significa che c’è un desiderio comune contrassegnato dalla ricerca di senso». Insomma, da quando il laico "Le Figaro" titolò l’anno scorso «Il Vaticano si invita alla Sorbona» (inaudito negli anni passati, se si pensa alla Francia laicissima), ormai sembra soffiare un’aria nuova tra Chiesa e cultura umanista: Julia Kristeva, Jean Clair, Remo Bodei, Axel Kahn, Giuliano Amato, Jean Luc Marion, Rémi Brague, Jean-Claude Casanova, Enzo Bianchi, Massimo Cacciari, Fabrice Hadjadj. Questi solo alcuni dei nomi che hanno punteggiato il primo anno di vita del Cortile. E altri se ne stagliano all’orizzonte.

Eminenza, tempo fa aveva annunciato il confronto con l’ateismo "popolare", quello alla Michel Onfray per intendersi: a che punto siamo?

«Per ora abbiamo escluso - ma non necessariamente - le due ali "estreme" dell’ateismo lasciando da parte l’ateismo "nazional-popolare", di superficie, caustico e sarcastico, quasi aggressivo. Si tratta di una forma antropologica: i suoi sostenitori sembrano alfieri di un’anti-religione. Su questo dobbiamo operare una riflessione perché è un fenomeno molto diffuso, complesso e con una sua letteratura. Tale movimento si inserisce nel più grande ambito dell’indifferenza: questi autori, se lanciano una battuta forte ("l’illusione di Dio", "l’assurdità della religione") suscitano interesse. Prima o poi affronteremo questa atmosfera nebbiosa che rappresenta il frutto estremo della secolarizzazione».

E gli atei devoti? Alcuni, dal mondo cattolico tradizionale, le rimproverano di escluderli...

«Anche questo è un ambito molto variegato. Degli "atei devoti" non ce ne siamo interessati perché in molti casi i suoi esponenti hanno un’implicanza politica. Da queste persone il tema religioso viene affrontato in maniera apologetica, per cui la religione cristiana costituisce solo un grande valore per l’Occidente. Si tratta di una sottolineatura giusta ma che non rappresenta uno scavo profondo. Questi autori non tengono in conto grandi prospettive di indagine. Si accontentano di ripetere la dottrina, e basta. Comunque è vero che queste "ali estreme" chiedono il dialogo: tra gli atei "nazional-popolari" cito Paolo Flores D’Arcais e Piergiorgio Odifreddi; fra gli "atei devoti" Giuliano Ferrara... Ma fino ad ora l’impostazione del Cortile rientra nell’alveo centrale del confronto tra le grandi visioni di interpretazione della realtà mediante un linguaggio comune: il concetto di cultura. Nelle tappe del Cortile di Bologna, Parigi, Firenze, Tirana si sono affrontate tematiche come la cosmologia, il male, il diritto, la laicità, l’arte».

Quale la ragione d’essere del Cortile?

«Ritornare al modello di evangelizzazione di Paolo: l’Apostolo è stato capace di assumere le categorie del pensiero classico a lui contemporaneo per annunciare il cristianesimo. Come evidenzia Jacques Dupont, l’idea della Chiesa come corpo mistico è mutuata dalla concezione stoica dell’anima mundi. Paolo andava in campo "laico" ad attingere concetti e categorie. Mi emoziono sempre a pensare quanto Agostino ha studiato Platone e Plotino per poterli poi "battezzare"».

Gli atei accettano di esser definiti tali?

«Il termine "ateismo" è obsoleto. Il filosofo non credente messicano Guillermo Hurtado, presente all’incontro di Assisi, sull’“Osservatore romano” ha rilevato come l’ateismo non si autodefinisce nemmeno terminologicamente. Le racconto un dettaglio eloquente. Quando il Papa decise di invitare i non credenti ad Assisi, sorse il problema di come definirli: atei è parola desueta e una categoria illuministica, richiama il marchese de Sade. Agnostici? Ma essi ci dicevano: “Allora voi siete gnostici?”. Infatti il cristianesimo ha rifiutato ogni gnosi. Non credenti? Determina solo in senso negativo. Alla fine è prevalsa, dopo un giro di consultazioni, l’idea di Julia Kristeva: umanisti, un termine accettato sia in ambiente francese che in quello anglofono».

Lei tiene un blog, twitta, usa i social network. Che legame esiste tra il web e il Cortile?

«Stiamo pensando a una plenaria del Pontificio Consiglio dedicata alle culture giovanili, alla secolarizzazione e alle indifferenze su vari campi: la musica (un linguaggio fondamentale), l’amicizia (non più quella della nostra generazione), i raduni corali (i concerti), le spiritualità vaghe dell’Oriente. Su questo mi piacerebbe coinvolgere il filosofo Charles Taylor e lo scrittore Claudio Magris».

Quali i risultati già delineati dopo il primo anno di Cortile?

«L’umanesimo "laico" e la fede sono accomunati da un elemento: il ruolo fondamentale della ricerca. È un tema che troviamo in due classici come l’Apologia di Socrate ("una vita senza ricerca non vale la pena di essere vissuta") e l’incipit delle Confessioni di Sant’Agostino (il "cuore inquieto"). Su questo vorrei spendere una parola, perché spesso i giornalisti obiettano che comunque la Chiesa, con il Cortile, intende convertire chi non crede. Il problema è intendersi: quando un non credente interviene al Cortile non fa solo opera di informazione. Il suo è un intervento anche performativo, che cerca di convincere l’altro della sua posizione. Basti pensare con quanta passione sono intervenuti il genetista Axel Kahn o la scrittrice Julia Kristeva alla Sorbona. Non lo avrebbero fatto così se non pensassero di convincere i presenti delle loro ragioni. Questo non è negativo. E poi un risultato importante del Cortile c’è già...».

Quale?

«Abbiamo contribuito a elevare il tono del dibattito culturale che spesso risulta abbassato fino alla polvere. Diamo così un contributo alla società deponendo alcuni semi che possono crescere e fruttificare. A Firenze, ad esempio, si è parlato di temi alti (arte e fede, ndr) e la gente è rimasta ad ascoltare per ore. Non è vero che la gente si interessa solo di cibo e festini, o che ascolta unicamente il menù del giorno, per citare Kierkegaard».

Cosa le dice il Papa del Cortile? Le ha dato suggerimenti?

«Anzitutto, va evidenziata una cosa: che l’invito ai "non credenti" ad Assisi è un’idea precisa di Benedetto XVI in persona. Fu lui, in una riunione ristretta con quattro cardinali di Curia, a chiedere questa presenza. E mi sorprese la motivazione di tale invito: rinverdire il modello della teologia patristica, cioè riprendere la capacità dei Padri di entrare in dialogo con le categorie della filosofia del proprio tempo. Se si scorre l’indice di Introduzione al cristianesimo del teologo Joseph Ratzinger, si vedono moltissime citazioni di autori "laici" della cultura tedesca».

In che modo il pontefice si interessa al Cortile?

«Ogni volta che incontro Benedetto XVI, ciò di cui si informa subito (e che considera più importante nel mio lavoro) è il Cortile dei gentili. Una volta mi ha detto: "Le sono particolarmente grato perché con il Cortile lei va dove noi, come Chiesa, non potremmo andare". E infatti nelle varie istituzioni in cui mi invitano io vado sempre come cardinale e rappresentante della Santa Sede».

Ci sarà un giorno un evento del Cortile con Benedetto XVI presente?

«Stiamo pensando a un evento del genere. Lui sa fare molto bene il dialogo "a braccio", specialmente con i giovani. Ma anche con un interlocutore. Vediamo. Potrebbe essere all’interno della plenaria dedicata alle culture giovanili, come dialogo con dei ragazzi e ragazze».

Il Cortile e la cattedra dei non credenti di Milano, inventata dal cardinal Martini: più volte le due iniziative sono state accomunate. Paragone corretto?

«C’è una differenza. Nella Cattedra, per la prima volta, un non credente veniva a parlare a dei credenti dalla cattedra, presentando la sua visione su un certo tema; a Martini spettavano le conclusioni. Nel Cortile invece c’è una dimensione di parità, come se ci fossero due cattedre. Ma posso dire che Martini è molto contento di questa iniziativa perché prosegue, seppur in maniera diversa, quella sua intuizione».

Lei ha un sogno personale sul Cortile? Un dialogo che le piacerebbe vivere?

«Non ci ho mai pensato. Però ... beh, sicuramente la partecipazione diretta di Benedetto XVI sarebbe molto bella. Un sogno sul passato sarebbe stato un dibattito con Albert Camus. Oggi invece mi interessano molto le questioni delle nuove comunicazioni: è venuto a incontrarmi il presidente di Google, Eric Schmidt. E penserei a Mark Zuckerberg, il fondatore di Facebook. Ci sono contatti in corso con lo scrittore Mario Vargas Llosa per un dialogo a due: lo farei molto volentieri».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 19/2/2012 13.36
Titolo:Curiale, italiana, bianca. L’immagine di Chiesa riflessa dai ventidue nuovi card...
Ecco chi sceglie il prossimo Papa

di Marco Politi (il Fatto, 19.02.2012)

Curiale, italiana, bianca. L’immagine di Chiesa riflessa dai ventidue nuovi cardinali, cui Benedetto XVI ha imposto ieri la berretta rossa nel corso di una cerimonia solenne in San Pietro, è talmente occidentale da risultare imbarazzante. Non è questione delle singole persone. Tolti i quattro cardinali ultraottantenni honoris causa fra cui l’insigne studioso di antropologia religiosa, il belga Julien Ries, la mappa degli altri diciotto porporati destinati ad entrare nel futuro conclave è totalmente squilibrata a favore della Chiesa di un tempo: eurocentrica con le sue propaggini nelle Americhe.

Dei diciotto nuovi cardinali 8 sono membri della Curia, 7 italiani e 16 euro-americani. Solo uno è cinese, il vescovo di Hong Kong John Tong Hon, e l’altro è indiano: l’arcivescovo maggiore dei cattolici siro-malabaresi George Alencherry. Difficile dire se l’impostazione sia frutto di una scelta di Benedetto XVI o di pressioni del Segretario di Stato Bertone. Alla fine ha poca importanza. Il risultato è un collegio di elettori del futuro pontefice nel quale gli italiani hanno trenta esponenti, un quarto del totale - quasi rappresentassero trecento milioni di cattolici - e l’Europa ha di nuovo saldamente la maggioranza: sessantasette su centoventi. Quando invece il fulcro del cattolicesimo è ormai nell’America del Sud e in Africa.

Sette anni dopo il suo avvento al trono papale Benedetto XVI costruisce dunque un collegio cardinalizio decisamente in controtendenza rispetto all’universalismo della Chiesa cattolica. Quando si tratterà di scegliere il successore, gli uomini di Curia e gli italiani costituiranno la forza determinante. Curiali ed ex curiali saranno nel futuro conclave ben quarantaquattro.

È il segno di una involuzione generale, che sembra caratterizzare l’attuale pontificato. Il fatto non ha provocato solo stupore e sgomento tra chi teme una fossilizzazione dell’istituzione ecclesiale, ma persino in quel cattolicesimo popolare moderato che ammira la spiritualità di Ratzinger.

Esiste in Italia un blog influente di ammiratori e difensori ad oltranza di Benedetto XVI, che denuncia quotidianamente le cosiddette aggressioni alla Chiesa e al Papa. Si chiama “Il blog degli amici di Papa Ratzinger”. Ecco come la sua animatrice “Raffaella” ha commentato l’elenco dei neoporporati: “Troppi italiani e soprattutto troppi curiali! Sono molto delusa di non vedere porpore assegnate all’America Latina e soprattutto all’Africa, il continente in cui la fede è viva. Perchè non concedere il cardinalato ad arcivescovi meritevoli e far saltare qualche turno alla Curia? ... Non vorrei che passasse il messaggio che per diventare cardinali bisogna passare dalla curia perché sarebbe un ritorno indietro”. C’è un filo che lega i monsignori, che per protestare contro la cattiva gestione mandano all’esterno documenti riservati, e il fortissimo disagio che anima i cattolici delle parrocchie. C’è un filo che lega i gridi di allarme, racchiusi in libri dove si parla di “mal di Chiesa” o del fatto che “manca il respiro”. È il malessere per una direzione di marcia, che non funziona.

I cardinali giunti a Roma da tutto il mondo per una riunione straordinaria sulla “nuova evangelizzazione”, che si è svolta venerdì, sanno che la presenza internazionale della Santa Sede ha drammaticamente perso di peso. Al punto che alcune ambasciate di paesi non cattolici (senza alcuna intenzione polemica) riflettono sull’utilità di conservare una residenza presso il Vaticano.

I cardinali sanno che il dialogo ecumenico e interreligioso ristagna e che l’attenzione dei media internazionali per il Papa e il Vaticano è crollata. Si parla di “nuova evangelizzazione”, ma non si affrontano problemi strutturali come la crescita sistematica delle parrocchie prive di preti. Sotto-traccia si sta verificando anche un salasso dell’impegno delle donne cattoliche negli ordini religiosi. Tra il 2004 e il 2009 vi è stato un calo di ben quarantamila unità nelle congregazioni religiose femminili. Tutto questo non viene affrontato. Prima della sua elezione Joseph Ratzinger aveva delineato una Chiesa non governata “in modo monarchico”. La promessa è stata tradita.

IL COLLEGIO cardinalizio non viene riunito per partecipare realmente alle decisioni strategiche del pontificato. L’effetto è una grande stagnazione. Velata da dibattiti molto generali. Alla riunione cardinalizia di venerdì il neo-cardinale Timothy Dolan di New York ha suscitato applausi esortando a mostrarsi “sicuri sì, trionfalisti mai” e proponendo di “evangelizzare con il sorriso”. Sono intervenuti ventisette cardinali. Si è parlato un po’ di tutto: dalla Cina alla povertà dell’India, dall’America latina alla secolarizzazione in Europa.

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Dottrina della fede secondo Ratzinger

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