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www.ildialogo.org IL "PARTITO DELL'AMORE" DI PAPA RATZINGER E IL SOGNO D'AMORE DI EMMA FATTORINI. Una sua nota - con alcuni appunti,a c. di Federico La Sala

L'ARCA DELL'ALLEANZA EVANGELICA E LA FAMIGLIA DEI "PAPI": LA FAMIGLIA CATTOLICA, UN’ICONA DEL DIO "MAMMONA"("Deus caritas est": Benedetto XVI, 2006), VENDUTA A "CARO-PREZZO" COME UN’ICONA DEL DIO-AMORE ("CHARITAS", "AGAPE") DI GESU’, GIUSEPPE E MARIA. RESTITUIRE A GIUSEPPE L'ANELLO DEL PESCATORE - come già Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II ...
IL "PARTITO DELL'AMORE" DI PAPA RATZINGER E IL SOGNO D'AMORE DI EMMA FATTORINI. Una sua nota - con alcuni appunti

Famiglia non come convenzione sociale, ma come nucleo di affettività solidale al proprio interno e mai escludente l’esterno. Quello della famiglia è il nodo da cui occorrerà ripartire tutti. Per ridisegnarne il senso, per non appiattirla al familismo egoistico che è la versione più ingannevole di quella degenerazione individualistica così lontana da una vera, matura soggettività libera.


a c. di Federico La Sala

MATERIALI SUL TEMA:

PER UNA NUOVA TEOLOGIA E PER UNA NUOVA CHIESA. L’INDICAZIONE DI GIOVANNI XXIII E DI GIOVANNI PAOLO II: LA RESTITUZIONE DELL’ANELLO DEL PESCATORE A GIUSEPPE. Il loro successore ha il cuore di pietra e se lo tiene ben stretto. Per lui Dio è Valore e tutto ha un caro-prezzo ("Deus caritas est")!!! 

SE UN PAPA TEOLOGO SCRIVE LA SUA PRIMA ENCICLICA, TITOLANDOLA "DEUS CARITAS EST" ("CHARITAS", SENZA "H"), E’ ORA CHE TORNI A CASA, DA "MARIA E GIUSEPPE", PER IMPARARE UN PO’ DI CRISTIANESIMO.

 

PER UNA SVOLTA ANTROPOLOGICO-TEOLOGICA...   ALLE RADICI DELLA BELLICOSA POLITICA DEL VATICANO. LA GUERRA NELLA TESTA DELLA GERARCHIA DELLA CHIESA CATTOLICO-ROMANA E L’INDICAZIONE ’DIMENTICATA’ DI GIOVANNI PAOLO II. (Federico La Sala)

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 La spinta di Ratzinger

di Emma Fattorini (l’Unità, 10 gennaio 2012)

Il senso dell’importante discorso tenuto ieri da Benedetto XVI è ben racchiuso nelle parole conclusive quando il Pontefice afferma che occorre riandare al duplice insegnamento della Gaudium et Spes. Secondo questo testo fondamentale del Concilio Vaticano II, di cui ricorre il 50° anniversario, nulla è più importante «della vocazione dell’uomo».

L’umano è valore assoluto al punto che racchiude la scintilla del divino. L’insegnamento che ne deriva è quello di «offrire all’umanità una cooperazione sincera, che instauri quella fraternità universale che corrisponde a tale vocazione».

Perché è contenuto qui lo spirito del messaggio di inizio anno di Papa Ratzinger? Perché c’è un senso molto unitario, nel suo appello affinché l’umanità trovi le strade di una nuova cooperazione. Unitario in quanto tutti gli aspetti dell’umano si integrano senza scissioni o preferenze tra chi pensa sia più importante l’aspetto economico e chi quello morale. Unitario in quanto una comune umanità implica la difesa materiale dei più poveri e non di meno condanna la selezione prenatale del sesso.

Il suo ragionare parte dai più deboli, che la crisi rende ancora più esposti e svantaggiati: dopo avere sottolineato che la Santa Sede è finalmente membro a pieno titolo dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni, il Papa riflette sugli effetti devastanti che la crisi può avere sui Paesi in via di sviluppo.

La crisi nella quale il mondo occidentale è ormai precipitato è etica prima che economica e può essere «uno sprone» - sono le sue parole - per ridisegnare le priorità dell’esistenza umana nel nuovo millennio, il cui destino non «finisce nel nulla e non è la corruzione». Per un cambiamento dei meccanismi economici e delle risorse in quel quadro di «rispetto del creato» al quale tante volte ha fatto riferimento in questi anni.

È, il suo, un approccio che sembrava controcorrente fino a poco tempo fa ma che ora molti sono costretti a condividere e che però contiene un significato specifico preciso: sarebbe irrealistico prima che immorale, parlare di una nuova cooperazione se essa si limitasse al solo piano economico-materiale. È irrealistico - dice Benedetto XVI - pensare ai bisogni dei giovani, i più penalizzati dalla crisi, come pure opportunità di occupazione e di futuro se non si investe sulle «istituzioni educative».

Non è uno stanco ripetere, è davvero così: non si potrà ricostruire nulla se non si capisce che la formazione delle persone giovani, la loro cultura è inscindibile dalla loro maturità interiore, dalle loro possibilità materiali mai scisse dalla forza interiore di sperare e progettare, di essere onesti e generosi. E in questo grande disegno e progetto formativo la famiglia è centrale.

Famiglia non come convenzione sociale, ma come nucleo di affettività solidale al proprio interno e mai escludente l’esterno.

Quello della famiglia è il nodo da cui occorrerà ripartire tutti. Per ridisegnarne il senso, per non appiattirla al familismo egoistico che è la versione più ingannevole di quella degenerazione individualistica così lontana da una vera, matura soggettività libera.

Quella sì ricca di capacità relazionali come l’esperienza delle donne non smette di insegnarci. Le donne, il vero, grande “ponte” tra esperienza materiale e sapienza del cuore. E però proprio per questo più sfruttate che aiutate. Eppure non si può parlare di famiglia senza ripartire da loro. E dovrebbe capirlo molto bene la Chiesa quando nei Paesi più oppressi, quelli nei quali le religioni sono causa principale della soppressione dei diritti, sono proprio le donne a convertirsi in maggior numero al cristianesimo perché trovano lì, nel suo senso di eguaglianza e di giustizia, una superiore occasione di affrancamento e di liberazione.

Insomma, quello del Papa è stato un discorso rivolto a tutti i Paesi del mondo con l’occhio fisso alla singola persona nella sua unitarietà e interezza. Per ridisegnare un’idea di genere umano nella quale davvero si possano ormai riconoscere credenti e non credenti, tutti gli uomini di buona volontà, indispensabili, per i difficili tempi che ci aspettano.



Mercoledì 11 Gennaio,2012 Ore: 09:40
 
 
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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/2/2012 15.43
Titolo:L’alleanza si è rotta. La Chiesa non abbia paura delle donne ...
L’alleanza si è rotta. La Chiesa non abbia paura delle donne

di Emma Fattorini (l’Unità, 11 febbraio 2012)

La donna è più predisposta a quell’unità di vita tra piccolo e grande, tra dentro e fuori, tra interiorità ed esteriorità che è il modo contemporaneo in cui Cristo ci appare oggi. In un tempo come il nostro nel quale è forte la scissione tra le affermazioni di principio e i comportamenti pratici, anche tra i cristiani che tanta fatica fanno a raggiungere una unità di vita.

Però, come non credo all’inferiorità femminile, non credo neanche ad una superiorità della donna neppure nel rapporto con Gesù. Credo invece, profondamente, in un’assoluta parità della donna con l’uomo, ma una parità così radicale da consentire una sua altrettanto radicale differenza con lui. Una differenza anche nel loro rapportarsi a Dio. Una differenza che purtroppo gli uomini, tutti, anche quelli di Chiesa hanno tradotto, banalmente, con inferiorità. Un errore, ma direi di più: un vero e proprio peccato che non solo Gesù non commise mai, ma dal quale proprio e solo lui, in tutta la storia umana, ha aiutato davvero ad affrancarci, cambiandone il segno.

Questo non è ciò che avviene nella Chiesa. Le suore oggi sono consapevoli dell’assurdità di questa posizione, dell’errore enorme, della perdita secca che, non loro, ma il mondo maschile della Chiesa subisce nel non valorizzare il femminile. Qualcosa che non può dominare, controllare e che pure sarebbe una ricchezza e una benedizione per lui e per la Chiesa.

Credo che la Chiesa rischi di perdere l’occasione storica di una grande, potente, alleanza con il genere femminile. La Chiesa, lungo la sua storia, si è alleata tante volte con le donne: nei momenti in cui si è sentita sconfitta, ad esempio dopo la rivoluzione francese, o in i tutti i passaggi cruciali del processo di secolarizzazione, si è sempre alleata con quel senso di pietà religiosa che la donna riusciva a fare vivere in casa comunicandola ai propri uomini, ai figli, al proprio marito sempre più lontani dalle pratiche religiose. Si trattava di una devozione mai disgiunta da un profondo e rigoroso cambiamento interiore, fatto di onestà, formazione del carattere e coerenza. Ecco allora, ancora una volta, la capacità femminile di tenere uniti il dentro e il fuori.

Poi, con il processo di emancipazione femminile, dalla fine dell’Ottocento in poi, questa alleanza si è spezzata: la donna è diventata sempre di più veicolo e metafora della modernità vista solo nei suoi pericoli, in primo luogo la libertà dell’individuo.

Oggi questo processo è giunto agli esiti più estremi. Quello che papa Wojtyla ha chiamato svolta antropologica, che non è quella bandiera ideologica rinfacciata su tutti i fronti. Lui l’assume, fin dal tempo in cui, lavorando al Concilio contribuì al n. 22 della Gaudium et Spes in questi termini:

Cristo svela pienamente l’uomo all’uomo, perché solo nel mistero del Verbo anche il mistero dell’uomo incarnato trova vera luce. Dio ha posto nell’uomo un seme di eterno. Cioè Cristo aiuta l’uomo ad essere pienamente uomo e qui Wojtyla aggiunge che, in questo passaggio, la cooperazione femminile è fondamentale, essenziale. È fondativa, non accessoria o secondaria.

Oggi la libertà soggettiva e i diritti individuali sono la cultura dominante, come a fine Ottocento fu la questione sociale. E come allora la Chiesa riuscì a farsene carico con una dottrina sociale capace di rispondere in avanti alle domande del collettivismo socialista e dell’individualismo liberale, così deve fare ora con il tema delle libertà individuali.

E la donna da minaccia suprema potrebbe essere la più preziosa alleata.

Vorrei dire molto serenamente ai nostri sacerdoti e alle nostre gerarchie: non dovete avere paura del rapporto vero con le donne. E questo significa in primo luogo che, quando si parla giustamente e inevitabilmente di valori irrinunciabili, l’etica, che ne è il fondamento, si può fondare solo sull’amore e non sullo scambio politico: quello, lo sappiamo bene, ci vuole, sarebbe dannosamente ingenuo ignorarlo. Ma non è mai, assolutamente mai il patteggiamento politico a dovere avere l’ultima parola. E questo non per purismo imbelle ma perché, semplicemente, non funziona. Le donne possono essere il centro propulsore di una sorta di nuova costituente antropologica, in cui in nome di un comune umanesimo, che non può esistere se non è anche un umanesimo femminile, si possono trovare più ragioni comuni con i non credenti che argomenti di divisione. Due sono i vizi da evitare perché questo sia possibile: la colpevolizzazione o il moralismo, ne abbiamo avuti tanti esempi in questi dieci anni e abbiamo visto come siamo finiti.

Nel nuovo protagonismo dei cattolici nella politica italiana le donne possono essere centrali, quale ponte e dialogo con i non credenti, possono essere pilastri di una nuova cooperazione. E, invece, come sono apparse le donne sulla scena pubblica nell’ultimo ventennio? O come corpi mercificati, o come fattori divisivi dei valori non negoziabili.

Eppure è altro lo spazio per le donne.

È chiaro ormai per tutti che la crisi del mondo occidentale è etica prima che economica. Ma se nuove regole, una stessa nuova etica non cresce e matura dall’interiorità, dalla maturità complessiva delle persone non potremo mai risollevarci. È irrealistico, prima che sbagliato, pensare ai bisogni dei giovani, i più penalizzati dalla crisi, come pure opportunità di occupazione. Lo so, sembra da pazzi, eppure è proprio adesso, quando la situazione materiale si fa più difficile, che la forza interiore dell’amore e della generosità diventa potente per sperare e progettare, per essere onesti e generosi. Un sentire che dobbiamo comunicare alle nostre ragazze e ai nostri ragazzi di un Occidente ormai neppure più sazio ma solo disperato.

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Dottrina della fede secondo Ratzinger

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