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www.ildialogo.org CHE LO SAPPIA OBAMA, E ANCHE IL PAPA! IL CARDINALE FRANCIS GEORGE SPARA A ZERO SULLA POSSIBILE CELEBRAZIONE DEL GAY PRIDE A CHICAGO E MANDA SEGNALI AI POLITICI USA E AI CARDINALI DEL PROSSIMO CONCLAVE. Una nota di Alberto Melloni,a c. di Federico La Sala

IL MESSAGGIO EVANGELICO ASSERVITO A LOGICHE "ANDRO-POLOGICHE" ED OMOFOBE. NELL'INCAPACITA' DI PENSARE E ACCETTARE CORAGGIOSAMENTE L'OMOSESSUALITA', POLITICI E RELIGIOSI RICHIAMATI MINACCIOSAMENTE A PERSEVERARE NELL'ORDINE OMOFOBO STABILITO ...
CHE LO SAPPIA OBAMA, E ANCHE IL PAPA! IL CARDINALE FRANCIS GEORGE SPARA A ZERO SULLA POSSIBILE CELEBRAZIONE DEL GAY PRIDE A CHICAGO E MANDA SEGNALI AI POLITICI USA E AI CARDINALI DEL PROSSIMO CONCLAVE. Una nota di Alberto Melloni

Ora che i pastori di grandi diocesi sono stati nominati a capo dicongregazioni romane, la porpora, che una volta pacificava le aspirazioni, viene vissuta da taluni come una tappa. E per coloro che hanno l'ambizione di avere nel prossimo conclave un ruolo, almeno di grande elettore, è il momento di dare un segnale. Foss'anche un segnale disgustoso come una battuta omofoba.


a c. di Federico La Sala

NOTE SUL TEMA: 

CRISTIANESIMO E OMOSESSUALITA’. IL CASO DEL CARDINALE NEWMAN. Per farlo santo, il vaticano tenta di occultarne l’omosessualità 

39 SACERDOTI omosessuali HANNO GIA’ PRESO LA PAROLA ... E PARLATO IN UN NUOVO CONCILIO E IN UNA NUOVA CHIESA !!! (fls)

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 La battuta omofoba del cardinale

Un segnale per le presidenziali USA

di Alberto Melloni (Corriere della Sera, 4 gennaio 2012)

Il cardinale Francis George è uomo d'esperienza. Arcivescovo di Chicago dal 1997, presidente della conferenza episcopale americana per un triennio, s'è dichiarato parte della maggioranza del conclave del 2005. Non disdegna le frasi a effetto. Il suo commento alle legge dell'lllinois sulle unioni civili («io morirò nel mio letto, il mio successore morirà in prigione, il suo successore morirà martire») ha fatto rumore per il suo ringhioso vittimismo.

In una recente intervista sulla possibile celebrazione del Gay Pride a Chicago è andato oltre. Ha anche detto che secondo lui si corre il rischio che il movimento si trasformi in un «Ku Klux Klan che manifesta nelle strade contro il cattolicesimo». Il paragone non ha sdegnato solo una comunità che ha conosciuto violenze infinite. Il National Catholic Reporter ha scritto ieri che quella frase rischia di azzerare «la statura che la Chiesa può ancora avere nel dibattito pubblico».

Ma se George lancia una bomba contro i gay (e contro il catechismo cattolico che predica rispetto) non lo fa per caso. 

Il cardinale parla sotto le primarie per le elezioni presidenziali: e dunque fa intendere ai repubblicani che secondo lui il cristiano «liberal» Obama dev'essere sfidato da un ultraconservatore dai toni brutali, che non tema il rischio di radicalizzare le posizioni e di spaccare la società, ma anzi se lo ponga come obiettivo. Ma il cardinale parla anche in un momento molto particolare del pontificato di Benedetto XVI. Infinitamente più in salute del suo predecessore alla stessa età, Ratzinger si appresta a diventare il papa più longevo dell'ultimo secolo. 

Pur con qualche riguardo ovvio alla fatica e qualche distanza rispetto agli affari correnti, il pontefice viaggia e parla regolarmente. Le piccole fragilità tipiche della sua età creano un protagonismo cardinalizio non inusuale. Ora che i pastori di grandi diocesi sono stati nominati a capo di congregazioni romane, la porpora, che una volta pacificava le aspirazioni, viene vissuta da taluni come una tappa. E per coloro che hanno l'ambizione di avere nel prossimo conclave un ruolo, almeno di grande elettore, è il momento di dare un segnale. Foss'anche un segnale disgustoso come una battuta omofoba.


Mercoledì 04 Gennaio,2012 Ore: 17:02
 
 
Commenti

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 04/1/2012 17.14
Titolo:Messaggio per la Giornata Mondiale del Malato: il Papa raccomanda ....
Nel messaggio per la Giornata mondiale il Papa raccomanda ai sacerdoti i sacramenti di guarigione
Accanto a ogni vita debole e malata

L’invito ai sacerdoti "all’accoglienza generosa e amorevole di ogni vita umana, soprattutto di quella debole e malata" e l’accento posto sul valore dei "sacramenti di guarigione" quali la penitenza, la riconciliazione e l’unzione degli infermi: sono i contenuti principali del messaggio di Benedetto XVI in occasione della ventesima Giornata mondiale del malato, che si celebra l’11 febbraio prossimo.

"Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!" (Lc 17, 19)

Cari fratelli e sorelle!

In occasione della Giornata Mondiale del Malato, che celebreremo il prossimo 11 febbraio 2012, memoria della Beata Vergine di Lourdes, desidero rinnovare la mia spirituale vicinanza a tutti i malati che si trovano nei luoghi di cura o sono accuditi nelle famiglie, esprimendo a ciascuno la sollecitudine e l’affetto di tutta la Chiesa. Nell’accoglienza generosa e amorevole di ogni vita umana, soprattutto di quella debole e malata, il cristiano esprime un aspetto importante della propria testimonianza evangelica, sull’esempio di Cristo, che si è chinato sulle sofferenze materiali e spirituali dell’uomo per guarirle.

1. In quest’anno, che costituisce la preparazione più prossima alla Solenne Giornata Mondiale del Malato che si celebrerà in Germania l’11 febbraio 2013 e che si soffermerà sull’emblematica figura evangelica del samaritano (cfr. Lc 10, 29-37), vorrei porre l’accento sui "Sacramenti di guarigione", cioè sul Sacramento della Penitenza e della Riconciliazione, e su quello dell’Unzione degli Infermi, che hanno il loro naturale compimento nella Comunione Eucaristica.

L’incontro di Gesù con i dieci lebbrosi, narrato nel Vangelo di san Luca (cfr. Lc 17, 11-19), in particolare le parole che il Signore rivolge ad uno di questi: "Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!" (v. 19), aiutano a prendere coscienza dell’importanza della fede per coloro che, gravati dalla sofferenza e dalla malattia, si avvicinano al Signore. Nell’incontro con Lui possono sperimentare realmente che chi crede non è mai solo! Dio, infatti, nel suo Figlio, non ci abbandona alle nostre angosce e sofferenze, ma ci è vicino, ci aiuta a portarle e desidera guarire nel profondo il nostro cuore (cfr. Mc 2, 1-12).

La fede di quell’unico lebbroso che, vedendosi sanato, pieno di stupore e di gioia, a differenza degli altri, ritorna subito da Gesù per manifestare la propria riconoscenza, lascia intravedere che la salute riacquistata è segno di qualcosa di più prezioso della semplice guarigione fisica, è segno della salvezza che Dio ci dona attraverso Cristo; essa trova espressione nelle parole di Gesù: la tua fede ti ha salvato. Chi, nella propria sofferenza e malattia, invoca il Signore è certo che il Suo amore non lo abbandona mai, e che anche l’amore della Chiesa, prolungamento nel tempo della sua opera salvifica, non viene mai meno. La guarigione fisica, espressione della salvezza più profonda, rivela così l’importanza che l’uomo, nella sua interezza di anima e di corpo, riveste per il Signore. Ogni Sacramento, del resto, esprime e attua la prossimità di Dio stesso, il Quale, in modo assolutamente gratuito, "ci tocca per mezzo di realtà materiali ..., che Egli assume al suo servizio, facendone strumenti dell’incontro tra noi e Lui stesso" (Omelia, S. Messa del Crisma, 1 aprile 2010). "L’unità tra creazione e redenzione si rende visibile. I Sacramenti sono espressione della corporeità della nostra fede che abbraccia corpo e anima, l’uomo intero" (Omelia, S. Messa del Crisma, 21 aprile 2011).

Il compito principale della Chiesa è certamente l’annuncio del Regno di Dio, "ma proprio questo stesso annuncio deve essere un processo di guarigione: "... fasciare le piaghe dei cuori spezzati" (Is 61, 1)" (ibid.), secondo l’incarico affidato da Gesù ai suoi discepoli (cfr. Lc 9, 1-2; Mt 10, 1.5-14; Mc 6, 7-13). Il binomio tra salute fisica e rinnovamento dalle lacerazioni dell’anima ci aiuta quindi a comprendere meglio i "Sacramenti di guarigione".

2. Il Sacramento della Penitenza è stato spesso al centro della riflessione dei Pastori della Chiesa, proprio a motivo della grande importanza nel cammino della vita cristiana, dal momento che "tutto il valore della Penitenza consiste nel restituirci alla grazia di Dio stringendoci a lui in intima e grande amicizia" (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1468). La Chiesa, continuando l’annuncio di perdono e di riconciliazione fatto risuonare da Gesù, non cessa di invitare l’umanità intera a convertirsi e a credere al Vangelo. Essa fa proprio l’appello dell’apostolo Paolo: "In nome di Cristo ... siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio" (2 Cor 5, 20). Gesù, nella sua vita, annuncia e rende presente la misericordia del Padre. Egli è venuto non per condannare, ma per perdonare e salvare, per dare speranza anche nel buio più profondo della sofferenza e del peccato, per donare la vita eterna; così nel Sacramento della Penitenza, nella "medicina della confessione", l’esperienza del peccato non degenera in disperazione, ma incontra l’Amore che perdona e trasforma (cfr. GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. postsin. Reconciliatio et Paenitentia, 31).

Dio, "ricco di misericordia" (Ef 2, 4), come il padre della parabola evangelica (cfr. Lc 15, 11-32), non chiude il cuore a nessuno dei suoi figli, ma li attende, li cerca, li raggiunge là dove il rifiuto della comunione imprigiona nell’isolamento e nella divisione, li chiama a raccogliersi intorno alla sua mensa, nella gioia della festa del perdono e della riconciliazione. Il momento della sofferenza, nel quale potrebbe sorgere la tentazione di abbandonarsi allo scoraggiamento e alla disperazione, può trasformarsi così in tempo di grazia per rientrare in se stessi e, come il figliol prodigo della parabola, ripensare alla propria vita, riconoscendone errori e fallimenti, sentire la nostalgia dell’abbraccio del Padre e ripercorrere il cammino verso la sua Casa. Egli, nel suo grande amore, sempre e comunque veglia sulla nostra esistenza e ci attende per offrire ad ogni figlio che torna da Lui, il dono della piena riconciliazione e della gioia.

3. Dalla lettura dei Vangeli, emerge chiaramente come Gesù abbia sempre mostrato una particolare attenzione verso gli infermi. Egli non solo ha inviato i suoi discepoli a curarne le ferite (cfr. Mt 10, 8; Lc 9, 2; 10, 9), ma ha anche istituito per loro un Sacramento specifico: l’Unzione degli Infermi.

La Lettera di Giacomo attesta la presenza di questo gesto sacramentale già nella prima comunità cristiana (cfr. 5, 14-16): con l’Unzione degli Infermi, accompagnata dalla preghiera dei presbiteri, tutta la Chiesa raccomanda gli ammalati al Signore sofferente e glorificato, perché allevi le loro pene e li salvi, anzi li esorta a unirsi spiritualmente alla passione e alla morte di Cristo, per contribuire così al bene del Popolo di Dio. Tale Sacramento ci porta a contemplare il duplice mistero del Monte degli Ulivi, dove Gesù si è trovato drammaticamente davanti alla via indicatagli dal Padre, quella della Passione, del supremo atto di amore, e l’ha accolta. In quell’ora di prova, Egli è il mediatore, "trasportando in sé, assumendo in sé la sofferenza e la passione del mondo, trasformandola in grido verso Dio, portandola davanti agli occhi e nelle mani di Dio, e così portandola realmente al momento della Redenzione" (Lectio divina, Incontro con il Clero di Roma, 18 febbraio 2010). Ma "l’Orto degli Ulivi è ... anche il luogo dal quale Egli è asceso al Padre, è quindi il luogo della Redenzione ... Questo duplice mistero del Monte degli Ulivi è anche sempre "attivo" nell’olio sacramentale della Chiesa ... segno della bontà di Dio che ci tocca" (Omelia, S. Messa del Crisma, 1 aprile 2010). Nell’Unzione degli Infermi, la materia sacramentale dell’olio ci viene offerta, per così dire, "quale medicina di Dio ... che ora ci rende certi della sua bontà, ci deve rafforzare e consolare, ma che, allo stesso tempo, al di là del momento della malattia, rimanda alla guarigione definitiva, alla risurrezione (cfr. Gc 5, 14)" (ibid.).

Questo Sacramento merita oggi una maggiore considerazione, sia nella riflessione teologica, sia nell’azione pastorale presso i malati. Valorizzando i contenuti della preghiera liturgica che si adattano alle diverse situazioni umane legate alla malattia e non solo quando si è alla fine della vita (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1514), l’Unzione degli Infermi non deve essere ritenuta quasi "un sacramento minore" rispetto agli altri. L’attenzione e la cura pastorale verso gli infermi, se da un lato è segno della tenerezza di Dio per chi è nella sofferenza, dall’altro arreca vantaggio spirituale anche ai sacerdoti e a tutta la comunità cristiana, nella consapevolezza che quanto è fatto al più piccolo, è fatto a Gesù stesso (cfr. Mt 25, 40).

4. A proposito dei "Sacramenti di guarigione" S. Agostino afferma: "Dio guarisce tutte le tue infermità. Non temere dunque: tutte le tue infermità saranno guarite... Tu devi solo permettere che egli ti curi e non devi respingere le sue mani" (Esposizione sul Salmo 102, 5: PL 36, 1319-1320). Si tratta di mezzi preziosi della Grazia di Dio, che aiutano il malato a conformarsi sempre più pienamente al Mistero della Morte e Risurrezione di Cristo. Assieme a questi due Sacramenti, vorrei sottolineare anche l’importanza dell’Eucaristia. Ricevuta nel momento della malattia contribuisce, in maniera singolare, ad operare tale trasformazione, associando colui che si nutre del Corpo e del Sangue di Gesù all’offerta che Egli ha fatto di Se stesso al Padre per la salvezza di tutti. L’intera comunità ecclesiale, e le comunità parrocchiali in particolare, prestino attenzione nell’assicurare la possibilità di accostarsi con frequenza alla Comunione sacramentale a coloro che, per motivi di salute o di età, non possono recarsi nei luoghi di culto. In tal modo, a questi fratelli e sorelle viene offerta la possibilità di rafforzare il rapporto con Cristo crocifisso e risorto, partecipando, con la loro vita offerta per amore di Cristo, alla missione stessa della Chiesa. In questa prospettiva, è importante che i sacerdoti che prestano la loro delicata opera negli ospedali, nelle case di cura e presso le abitazioni dei malati si sentano veri ""ministri degli infermi", segno e strumento della compassione di Cristo, che deve giungere ad ogni uomo segnato dalla sofferenza" (Messaggio per la XVIII Giornata Mondiale del Malato, 22 novembre 2009).

La conformazione al Mistero Pasquale di Cristo, realizzata anche mediante la pratica della Comunione spirituale, assume un significato del tutto particolare quando l’Eucaristia è amministrata e accolta come viatico. In quel momento dell’esistenza risuonano in modo ancora più incisivo le parole del Signore: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno" (Gv 6, 54). L’Eucaristia, infatti, soprattutto come viatico è - secondo la definizione di sant’Ignazio d’Antiochia - "farmaco di immortalità, antidoto contro la morte" (Lettera agli Efesini, 20: PG 5, 661), sacramento del passaggio dalla morte alla vita, da questo mondo al Padre, che tutti attende nella Gerusalemme celeste. 5. Il tema di questo Messaggio per la XX Giornata Mondiale del Malato, "Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!", guarda anche al prossimo "Anno della fede", che inizierà l’11 ottobre 2012, occasione propizia e preziosa per riscoprire la forza e la bellezza della fede, per approfondirne i contenuti e per testimoniarla nella vita di ogni giorno (cfr. Lett. ap. Porta fidei, 11 ottobre 2011).

Desidero incoraggiare i malati e i sofferenti a trovare sempre un’ancora sicura nella fede, alimentata dall’ascolto della Parola di Dio, dalla preghiera personale e dai Sacramenti, mentre invito i Pastori ad essere sempre più disponibili alla loro celebrazione per gli infermi. Sull’esempio del Buon Pastore e come guide del gregge loro affidato, i sacerdoti siano pieni di gioia, premurosi verso i più deboli, i semplici, i peccatori, manifestando l’infinita misericordia di Dio con le parole rassicuranti della speranza (cfr. S. AGOSTINO, Lettera 95, 1: PL 33, 351-352).

A quanti operano nel mondo della salute, come pure alle famiglie che nei propri congiunti vedono il Volto sofferente del Signore Gesù, rinnovo il ringraziamento mio e della Chiesa, perché, nella competenza professionale e nel silenzio, spesso anche senza nominare il nome di Cristo, Lo manifestano concretamente (cfr. Omelia, S. Messa del Crisma, 21 aprile 2011). A Maria, Madre di Misericordia e Salute degli Infermi, eleviamo il nostro sguardo fiducioso e la nostra orazione; la sua materna compassione, vissuta accanto al Figlio morente sulla Croce, accompagni e sostenga la fede e la speranza di ogni persona ammalata e sofferente nel cammino di guarigione dalle ferite del corpo e dello spirito.

A tutti assicuro il mio ricordo nella preghiera, mentre imparto a ciascuno una speciale Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 20 novembre 2011, Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo, Re dell’Universo.

Benedetto XVI

(©L’Osservatore Romano 4 gennaio 2012)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/1/2012 10.32
Titolo:LA GUERRA NELLA TESTA DELLA GERARCHIA ....
In principio (o meglio, all’Inizio) [ 1991] *

Omosessualità, pedofilia e altre “perpetue” questioni (con tutte le loro devastanti implicazioni) assillano da secoli la vita istituzionale della Chiesa Cattolica. Ma da sempre si preferisce negare, razionalizzare, “occultare e mascherare – generalmente senza successo – l’umanità di scandali e mezzi scandali fin troppo umani all’interno della cristianità”(1).

Fare i conti e bene con la donna è stato sempre vietato. Riconoscere fondamentalmente che senza il libero e decisivo sì della donna (Maria) non sarebbe nato non solo Cristo ma nemmeno la Chiesa, per l’uomo della stessa Chiesa è paradossalmente “scandalo e follia”.

Alla vigilia del terzo millennio dopo Cristo, si gioca ancora ad opporre “autorità” e “tradizione” allo spirito di libertà del messaggio eu-angelico.

E’ vero che certe “squallide” omelie contro la metà e più del genere umano non fanno più un baffo a nessuno, e non si collocano oggi, per la loro impotenza e rabbia, né sul piano della cultura cristiana né sul piano della cultura umana semplicemente (almeno in linea di principio e in generale), ma è altrettanto vero che le varie e innumerevoli persuasioni “diaboliche” sulla donna dovrebbero essere messe al bando, come le armi atomiche e simili. Dalla misoginia al ginocidio, come al genocidio, il passo non è lungo: la caccia alle streghe e l’Inquisizione, come Auschwitz e Hiroshima, non sono incidenti di percorso.

“Il deserto cresce” (Nietzsche) – in tutti i sensi, e non si può continuare come si è sempre fatto. Non abbiamo tempo, non più né molto. Tutta una mentalità di secoli deve essere messa sottosopra e l’intera società deve essere riorganizzata. Non ci sono altre strade. Bisogna pensare ancora, di nuovo e in altro modo – Dio, uomo e mondo. E a partire proprio da noi, da noi tutti.

Ad esempio, oggi non è possibile – è un’offesa all’intelligenza (Lorenzo Valla cosa ci ha insegnato?) e il segno di una tracotante perseveranza – continuare a “tradurre il racconto della creazione della donna con: Non è bene che l’uomo sia solo: gli farò un aiuto che gli sia simile. Il testo originale ebraico dice: Gli farò un aiuto che sia l’altro di lui”. La differenza non è affatto innocente.

Come fa notare la teologa Wilma Gozzini che ha denunciato tale “vergognosa” situazione e che più volte ha “chiesto la correzione” di questo e altri passaggi del testo biblico (2), essa veicola tutt’altra visione della donna e del rapporto uomo-donna. “La donna è l’altro dell’uomo, uguale per diritti e doveri, ma anche diversa […] L’altro che sta faccia a faccia è inquietante e scomodo e apre una sola alternativa. O lo si accoglie come unica possibilità data per vivere umanamente la propria storia, o lo si nega, assimilandolo – facendo simile ciò che altro – neutralizzando così l’alterità, non riconoscendogli autorità ma sottomissione, negandogli uguaglianza”.

Questo è il nodo da sciogliere e la sfida da accogliere.
Si tratta, invero, di andare avanti coraggiosamente sulla strada indicata dallo stesso Giovanni Paolo II e trarre tutte le conseguenze dalla sua magisteriale convinzione, che il peccato originale “non può essere compreso adeguatamente senza riferirsi al mistero della creazione dell’essere umano – uomo e donna – a immagine e somiglianza di Dio”, e che nella “non-somiglianza con Dio […] consiste il peccato (3).

Infatti, se è così, non si può continuare (o lasciare che la situazione resti) come prima. Non è più concepibile che “l’apertura all’altro e il dono di sé, che dovrebbero essere la libera e vitale disposizione dell’essere umano in quanto tale, diventano una norma vincolante per una parte sola dell’umanità: il sesso femminile” (4); o, diversamente, che si neghi alla donna auto- possesso e auto-determinazione come autorità e uguaglianza. Questo è semplicemente satanico, cioè un ostacolo sulla strada dell’amore, della pace e della comprensione.

A tutti i livelli, e ad ogni modo, intestardirsi a “voler intendere la pura relazione [quella tra l’Io e il Tu, fls] come dipendenza significa voler svuotare della sua realtà uno dei portatori della relazione, e con ciò la relazione stessa”. Non altro.


Note:

1. Cfr. H. Kung, Essere cristiani, Milano, Mondadori, 1976, p. 19.
2. Cfr. W. Gozzini, Dio un po’ più materno? Suvvia…, “L’Unità” del 4.10.1990, p. 1. A riguardo, si cfr. anche M.C: Jacobelli, Il “Risus paschalis” e il fondamento teologico del piacere sessuale, Brescia, Queriniana, 1990, p. 98.
3. Cfr. Giovanni Paolo II, Mulieris dignitatem, pf. 9.
4. Cfr. C. Mancina, La Chiesa e la donna peccatrice, “L’Unità” del 10.12.1989, p.1.
5. Cfr. Buber, Il principio dialogico, Milano, Comunità, 1959, p. 74. Su questo tema, inoltre, cfr. I. Magli, Gesù di Nazaret. Tabù e trasgressione, Milano, Rizzoli, 1987, particolarmente il cap. IV e la conclusione.


*

Federico La Sala, La mente accogliente. Tracce per una svolta antropologica, Antonio Pellicani editore, Roma 1991, "Introduzione"
pp. 9-11.

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