- Scrivi commento -- Leggi commenti ce ne sono (1)
Visite totali: (561) - Visite oggi : (1)
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori Sostienici!
ISSN 2420-997X

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito

www.ildialogo.org "DOMINUS IESUS"!!! IL CODICE DI DON VERZE' BOSS CON LA TONACA E IL "MODELLO CRISTOLOGICO" DELLA TEOLOGIA RATZINGERIANA. Una nota di Francesco Merlo - con allegati sul tema,a c. di Federico La Sala

LA TEOLOGIA DEL "LATINORUM" DELLA CHIESA CATTOLICO-ROMANA DI BENEDETTO XVI. CON QUESTO "LOGO" VINCERAI: DIO "LA ROBA" E’ ("Deus caritas est", 2006)!!!
"DOMINUS IESUS"!!! IL CODICE DI DON VERZE' BOSS CON LA TONACA E IL "MODELLO CRISTOLOGICO" DELLA TEOLOGIA RATZINGERIANA. Una nota di Francesco Merlo - con allegati sul tema

Vaticano, cultura laica e sinistra comunista: nessun mafioso siciliano era riuscito a superare tutti questi livelli. Con don Verzé siamo ben oltre i colletti bianchi.


a c. di Federico La Sala

(...) don Verzé non ha sedotto solo il cardinale Martini e tutta la credula Milano cattolica. Come ogni rispettabile padrino aveva bisogno della copertura laica e dunque l’ha ingaggiata. Massimo Cacciari ed Ernesto Galli della Loggia (...) anche loro sono stati impaniati, sono caduti nella panie dell’imprenditore in Cristo, del Christusunternehmer, avrebbe detto Cacciari se non fosse stato professore e rettore della sua universitŕ. Anche il facondo Vendola, quello che scioglie in bocca le parole come caramelle ideologiche, non ha mai avvertito nel comparaggio per l’ospedale a Taranto il sentore dell’imbroglione in Cristo, e gli ha invece fornito la legittimazione della sua pregiata griffe di sinistra (...)


NOTE SUL TEMA:

RATZINGER ’A SCUOLA’ DEL VISIONARIO SWEDENBORG. Una nota di Leonard Boff e una di Immanuel Kant

"DOMINUS IESUS": RATZINGER, LO "STERMINATORE DI ECUMENISMO". Un ’vecchio’ commento del teologo francescano Leonard Boff

 ALLA RADICE: L’ERRORE FILOLOGICO E TEOLOGICO DI PAPA BENEDETTO XVI, NEL TITOLO DELLA SUA PRIMA ENCICLICA. Nel nome della "Tradizione"

IL VANGELO DI PAPA RATZINGER E DI TUTTI I VESCOVI E IL "PANE QUOTIDIANO" DEL "PADRE NOSTRO", VENDUTO A "CARO PREZZO". (Federico La Sala)

________________________________________________________________________

 Il codice di Don Verzè boss con la tonaca

di Francesco Merlo *

 

ORDINA: «Bruciate!» e il picciotto va e appicca il fuoco. Don Luigi Verzé è il primo prete capomafia della storia d’Italia e il silenzio del Vaticano o è rassegnato o è omertoso, decidete voi. Ma per noi siciliani è un sollievo che almeno sia padano questo ’don’ che è due volte ’don’, per il turibolo e per la coppola storta. Attenzione: non un prete mafioso, non un prete al servizio della mafia, che ce ne sono stati tanti, ma un boss che amministra i sacramenti, un don Calogero Vizzini con il crocifisso portato - fateci caso - all’occhiello, lì dove si mettono gli stemmi dei Lyons e del Rotary, e i massoni vi appuntano il ramo d’acacia e i gagà la mitica pansé. Anche don Calogero non pagava mai con le mazzette tipiche della corruzione diciamo così normale, ma con bigliettoni ’impilati’. «Le buste di don Verzé - raccontano i testimoni oculari - erano alte tre o quattro centimetri con biglietti da 500 euro». Don Calogero Vizzini le chiamava appunto ’pile’. E don Verzé non comunica con i pizzini come i più rozzi tra i corleonesi, ma si attiene ai classici che affidavano le sentenze ’allo sguardo e al silenzio ’.

E SE proprio deve farsi intendere don Verzé «manda l’autista - tutte le citazioni sono prese dai verbali - anche all’estero». Trasmette gli ordini «attraverso messaggeri umani». Il pizzino infatti è mafia stravagante, deviazione sbruffona, «niente di scritto e niente al telefono» raccomanda Marlon Brando Vito Corleone: «La polizia registra, poi taglia e cuce le parole per farvi dire quello che vuole».

Il codice di don Verzé non è quello classico del danaro cattolico, neppure nella variante diabolica della simonia. Don Verzé non è uno di quei generosi mostri italiani che hanno messo insieme mammona e il Padreterno, come direbbero gli evangelisti Matteo e Luca, l’ingordigia e la bontà. È invece un don Luciano Liggio per la gloria di Dio. Anche don Luciano bruciava una campagna e poi si presentava al proprietario: «Non rende, vendetemela». Sono gli stessi metodi criminali di don Verzé che aveva deciso di comprare i terreni confinanti con il suo ospedale, ma il proprietario non voleva vendere perché vi aveva costruito campi da tennis, da calcio e da calcetto, spogliatoi e bar... Ebbene nel 2005 e nel 2006 quegli impianti subirono due incendi dolosi. Poi don Verzé convocò Pollari, capo del Sismi e gli disse: «Mandaci la Finanza».

In quel periodo il prete fondatore dell’ospedale San Raffaele pubblicava con Bompiani "Io e Cristo" per spiegare come «la Fede si fa opera». E infatti la Finanza andò, controllòe multò. Ma il proprietario resisteva. E allora «sabotate» ordinò letteralmente don Verzé prendendosi una pausa dalla pia esegesi neotestamentaria (pag. 123 sgg) del famoso «verbum caro factum est», il verbo si è fatto carne. E specificò: «Sabotate, ma state attenti all’asilo e ai cavalli che sono nostri». Il picciotto, che stavoltaè un ingegnere, lo rassicura: «Sarà sabotato il quadro elettrico, quindi i campi non potranno essere illuminati e quando gli "amici" andranno a fargli la proposta di acquisto, lui sarà in ginocchio...». "Gli amici", "in ginocchio"...: il linguaggio cristologico qui diventa cosco- massonico.

Qualche giorno dopo "l’ingegnere", che sembra il personaggio misterioso dei romanzi di Le Carrè, titolo nobile e funzione ignobile, spiega a un don Verzé in partenza: «Quando lei sarà in Brasile ci sarà del fuoco». Come si vede, è un dialogo in argot, allusivo al crimine e alla mafia. E infatti don Verzé indossa i gessati dei mafiosi di una volta, ha la faccia anonima dei veri malacarne, con il cappello che richiama la coppola ma la nega, e forse perché un prete capomafia poteva nascere solo nel Lombardo Veneto, nella terra dei "buli" e dei "bravi", la terra sì del cardinale Borromeo e di Manzoni ma anche della Colonna Infame, delle opere benedette da don Giussani, dell’investimento economico come pietas, del capitalismo dell’Opus dei.

E infatti il titolo del dialogo tra Carlo Maria Martini e don Verzé è ’Siamo tutti nella stessa barca’ (non banca): «Eminenza, posso chiamarla eminente padre?» . E il cardinale: «Chiamami padre Carlo Maria Martini». Don Verzé recita la parte del piccolo uomo davanti al santo: «Amore, verità, libertà di scelta». È un libro tutto compunzione e incenso. Il cardinale lo lodae lo legittima: «Nessuno meglio di lei...», «capisco la sua posizione, don Luigi», «comprendo i suoi sentimenti», «trovo bella questa sua espressione». A quel tempo don Verzé è già chiacchierato ma molto potente, nessuno immagina che organizza attentati e distribuisce mazzette e che i suoi ospedali sono fondati su una corruzione enorme, ma certo i suoi lussi sono già evidenti, le sue spese folli non passano inosservate, i suoi uomini gestiscono misteriose società in mezzo mondo, dal Sudamerica alla Svizzera, hanno conti correnti i dappertutto, e don Verzé ha comprato un aereo e ne prenota un altro e tratta una intera flotta perché non vuole perdere tempo negli aeroporti, e tutti sanno che l’aereo è l’arma principe dei malavitosi e dei guerrieri.

Inoltre don Verzé non parla come un Marcinkus alle prese con la volatilità della finanza ma come un capobastone, un campiere che controlla il territorio: «La Moratti, l’ho convinta io a fare il sindaco», «il cardinale Tettamanzi l’ho fatto venire io a Milano» e Formigoni, che il faccendiere di don Verzé ospita nel suo yacht, è sotto controllo perché «l’abbiamo salvato noi». E Berlusconi «dono di Dio» è «legatissimo alla famiglia», anche se, «ha fatto qualche giro di valzer». Ecco: Dio non s i cura del sesso quando si fanno affari. Perché appunto il verbo si è fatto carne.

Ma non bisogna credere che don Verzé sia un ateo mascherato e che tutto quei suoi libri di dottrina siano solo copertura. È al contrario un devoto in missione mafiosa per conto di Dio perché le vie della provvidenza sono infinite e se c’è la necessità di un attentato, beh, Dio non è certo un moralista.

Don Verzé è come quei preti medievali che, convinti di essere illuminati dalla grazia, commettevano in nome di Dio ogni nefandezza, vivevano a statuto speciale, in sospensione dei peccati, in deroga. Del resto don Verzé non ha sedotto solo il cardinale Martini e tutta la credula Milano cattolica.

Come ogni rispettabile padrino aveva bisogno della copertura laica e dunque l’ha ingaggiata. Massimo Cacciari ed Ernesto Galli della Loggia sono due intelligenze di prima grandezza nella cultura italiana, di quelli che braccano e scovano e mettono alla gogna i vizi del paese, uno come grande vedetta lombarda e l’altro come doge dei mari del sapere, callido Ulisse di Venezia: «mio carissimo amico dell’anima» dice don Verzé. Eppure anche loro sono stati impaniati, sono caduti nella panie dell’imprenditore in Cristo, del Christusunternehmer, avrebbe detto Cacciari se non fosse stato professore e rettore della sua università. Anche il facondo Vendola, quello che scioglie in bocca le parole come caramelle ideologiche, non ha mai avvertito nel comparaggio per l’ospedale a Taranto il sentore dell’imbroglione in Cristo, e gli ha invece fornito la legittimazione della sua pregiata griffe di sinistra.

Vaticano, cultura laica e sinistra comunista: nessun mafioso siciliano era riuscito a superare tutti questi livelli. Con don Verzé siamo ben oltre i colletti bianchi.

E certo la Chiesa se fosse coerente dovrebbe scomunicarlo come scomunicò quei quattro frati di Mazzarino che, unico caso nella storia della mafia, taglieggiavano i contadini, facevano caporalato, decidevano vita e morte, controllavano il territorio: trasformarono il loro convento in un covo di prepotenza. E quando, era il 1960, furono processati, turbarono gli animi degli italiani al punto che gli stessi giudici ebbero soggezione e si misero a somministrare gli ergastoli come fossero sacramenti. Ma la Chiesa - pensate, la Chiesa complice di allora - non ebbe pietà per quei sai sporcati e per quella mania di fra bruciare i terreni, proprio come ha fatto don Verzé, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo.

 

* la Repubblica, 02 dicembre 2011



Sabato 03 Dicembre,2011 Ore: 14:46
 
 
Commenti

Gli ultimi messaggi sono posti alla fine

Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 03/12/2011 16.47
Titolo:Don Verzè: io sono come Cristo in croce. Una lettera aperta ...
Don Verzè: io sono come Cristo in croce
mia ogni responsabilità sul San Raffaele
Una lettera aperta del fondatore. Che si offre al "giudizio di tutti", a partire dai pubblici ministeri,
e scrive che la struttura milanese si trova ora "sotto la protezione del Vaticano e dalla giustizia"

di WALTER GALBIATI *

Don Luigi Verzè, fondatore del San Raffaele
Si sente come Gesù Cristo in croce, tempestato di insulti, anche se il Signore per andare a diffondere la buona novella camminava a piedi nel deserto, mentre lui ha scelto di volare con un jet da 20 milioni di euro. Don Luigi Verzé, il fondatore del San Raffaele, l'ospedale finito in bancarotta con debiti da 1,5 miliardi di euro, ha scelto non di parlare, ma di affidare a una lettera pubblica il suo pensiero.

Via alle nuove offerte, in corsa Rotelli e Soros Don Verzè voleva una flotta aerea privata Don Verzè, Formigoni e quegli affari con Cl La cupola degli sperperi

"Non leggo da mesi la stampa: ho pensato di fare come Gesù Cristo che dopo aver guarito tanti ammalati e dopo averci donato una dottrina salvatrice, fu arrestato, calunniato e condannato alla croce: non si è difeso", è l'esordio della missiva. In realtà, Don
Verzé è solo indagato, in carcere c'è finito un fornitore del San Raffaele, Pierangelo Daccò, lui non è stato calunniato e la croce al momento l'ha portata solo il suo ex braccio destro, Mario Cal, morto suicida lo scorso luglio. Secondo la sua ricostruzione dei fatti, il suo merito sarebbe quello di aver donato una sanità dignitosa ai più poveri.

La lettera di don Verzé (.pdf)

Il cammino è iniziato quando il 12 gennaio 1950 fu convocato a Verona da don Giovanni Calabria e gli disse: "Il Signore - trascrive don Verzé nella lettera - ti vuole a Milano, Là nascerà un'Opera che farà parlar di sé l'Europa intera". Una frase che subito dopo il prete chiosa in questo modo. "Guardando l'Angelo San Raffaele che sovrasta l'intera opera, debbo riconoscere che quella profezia si è avverata".

Peccato, però, che per costruire e montare sull'ospedale quell'arcangelo in vetroresina e acciaio inox, alto 8,3 metri, capace di resistere al vento e allo smog della tangenziale Est che passa lì sotto ci sono voluti 2,5 milioni di euro. E altri 50 milioni sono stati spesi per tirar su l'edificio sul quale è appoggiato. Più che l'avveramento della profezia, il cupolone e l'arcangelo sono diventati i simboli degli sperperi del San Raffaele, insieme con il jet privato e la compravendita di aerei, che hanno ben poco a che fare con la missione di un ospedale e la carità cristiana.

"Sì, è vero, un aereo, il dott. Mario Cal, mio vice presidente esecutivo, mi propose di acquistarlo per risparmiare tempo e fatiche, sempre disponibile per andare in India, a Daharamsala (Tibet), in Africa, in America Latina, oltre che a Roma, a Cagliari, a Olbia, a Taranto, in Sicilia, ecc, dove la dottrina del San Raffaele venisse conosciuta e realizzata: dare tutto quello che si ha per guarire gli ammalati anche poverissimi, così come insegna Gesù: "Andate, insegnate, guarite, mondate i lebbrosi"". Cosa poi andasse a fare quello stesso aereo in un paradiso fiscale come San Martin e perché, secondo le carte della procura, portasse a bordo imprenditori come Daccò e politici del calibro di Roberto Formigoni, il governatore della Lombardia, don Verzé lo spiegherà ai magistrati.

Del resto è lui stesso a offrirsi agli inquirenti, rivendicando per sé "l'intera responsabilità morale e giuridica di quanto avvenuto per il San Raffaele". Con una precisazione, però, che don Verzé tiene a sottolineare: "Non so come Mario Cal abbia gestito nei particolari la sua funzione". Un dettaglio importante, dal punto di vista giuridico, perché, a partire dalla fine degli anni 90, don Verzé aveva rimesso ogni delega nelle mani di Cal dopo essere stato condannato in via definitiva per abuso edilizio (aveva costruito senza permessi buona parte della palazzina di ingresso del San Raffaele, per poi sanarla). Un modo elegante per evitare che con una nuova eventuale condanna per una qualsiasi altra vicenda, la pena di poco più di cinque mesi, inflittagli dal Tribunale di Milano, potesse diventare da sospesa a effettiva. Una croce, di fatto, passata al suo vice, Mario Cal.


* la Repubblica, 02 dicembre 2011

http://milano.repubblica.it/cronaca/2011/12/02/news/don_verz_io_sono_come_cristo_in_croce_mia_ogni_r...

Ti piace l'articolo? Allora Sostienici!
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori

Print Friendly and PDFPrintPrint Friendly and PDFPDF -- Segnala amico -- Salva sul tuo PC
Scrivi commento -- Leggi commenti (1) -- Condividi sul tuo sito
Segnala su: Digg - Facebook - StumbleUpon - del.icio.us - Reddit - Google
Tweet
Indice completo articoli sezione:
Dottrina della fede secondo Ratzinger

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito


Ove non diversamente specificato, i materiali contenuti in questo sito sono liberamente riproducibili per uso personale, con l’obbligo di citare la fonte (www.ildialogo.org), non stravolgerne il significato e non utilizzarli a scopo di lucro.
Gli abusi saranno perseguiti a norma di legge.
Per tutte le NOTE LEGALI clicca qui
Questo sito fa uso dei cookie soltanto
per facilitare la navigazione.
Vedi
Info