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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org IL PROBLEMA DELLA "CHARITAS". Luigi Di Liegro invocava con fervore «Non assistenza, ma giustizia», Benedetto XVI e i suoi Cardinali impongono con astuzia «Non giustizia, ma assistenza»! Una nota di Roberto Monteforte sul 35˚ Congresso nazionale delle Caritas diocesane nel 40˚ della fondazione - con alcuni appunti,a c. di Federico La Sala

EVANGELO, QUESTA LA BUONA-NOTIZIA: "CHARISSIMI, NOLITE OMNI SPIRITUI CREDERE... DEUS CHARITAS EST" (1Gv., 4. 1-8). - "DEUS CARITAS EST": TUTTO A "CARO-PREZZO": QUESTO IL VANGELO DI RATZINGER, BERTONE, RUINI, BAGNASCO E DI TUTTI I VESCOVI.
IL PROBLEMA DELLA "CHARITAS". Luigi Di Liegro invocava con fervore «Non assistenza, ma giustizia», Benedetto XVI e i suoi Cardinali impongono con astuzia «Non giustizia, ma assistenza»! Una nota di Roberto Monteforte sul 35˚ Congresso nazionale delle Caritas diocesane nel 40˚ della fondazione - con alcuni appunti

Di Liegro invitava a guardare alle cause del disagio, alle ingiustizie che offendevano l’uomo. Senza timore ha denunciato chi speculava sulle aree e sul lavoro. Perché considerava la fedeltà al Vangelo più forte del potere economico e politico, della difesa degli interessi dei potenti.


a c. di Federico La Sala

APPUNTI SUL TEMA:

LA CHIESA DEL SILENZIO E DEL "LATINORUM". Il teologo Ratzinger scrive da papa l’enciclica "Deus caritas est" (2006) e, ancora oggi, nessuno ne sollecita la correzione del titolo. Che lapsus!!! O, meglio, che progetto!!!

LA GRAZIA DEL DIO DI GESU’ E’ "BENE COMUNE" DELL’INTERA UMANITA’, MA IL VATICANO LA GESTISCE COME SE FOSSE UNA SUA PROPRIETA’. Bruno Forte fa una ’predica’ ai politici, ma non ancora a se stesso e ai suoi colleghi della gerarchia. Una sua nota, con appunti 

TUTTO A "CARO-PREZZO": QUESTO "IL VANGELO CHE ABBIAMO RICEVUTO". IL VANGELO DI RATZINGER, BERTONE, RUINI, BAGNASCO E DI TUTTI I VESCOVI. (Federico La Sala)


La Caritas compie 40 anni: ha cambiato la presenza dei cattolici nella società

 

di Roberto Monteforte (l’Unità, 24 novembre 2011)

Grandi emergenze sociali. Cataclismi e disastri naturali. Ma anche le difficoltà quotidiane da fronteggiare quando si è all’estremo. Quando si è stretti nella morsa degli usurai o quando improvvisamente ci si scopre poveri. Quando si è persa la casa e gli affetti e con loro la dignità e l’umanità. Per chi vive queste situazioni drammaticamente «consuete» in questi tempi di crisi, incontrare la Caritas significa trovare un ricovero, una risposta al bisogno immediato, avere di fronte qualcuno disposto con competenza di ascoltare e prendersi cura. È un’occasione per risalire la china dell’emarginazione sociale. E stato così per tanti in questi anni. Qualcosa di più della semplice assistenza e di diverso dall’elemosina. Un presidio di umanità. Sia per chi ha usufruito dei servizi, sia per quell’esercito di volontari che hanno arricchito di senso loro vita.

LA SCELTA DEI POVERI

È un merito della Chiesa italiana. La Caritas è un suo organismo. Sono trascorsi 40 anni, era il 28 settembre 1972, da quando Papa Paolo VI, la istituì. Il mandato era preciso. «Al di sopra dell’aspetto puramente materiale della vostra attività, deve emergere la sua prevalente funzione pedagogica» chiedeva il pontefice. Era così che papa Montini dava applicazione al Concilio Vaticano II. Così la Chiesa rimodulava il suo rapporto con la società italiana per affermare anche nel campo della politica e del sociale, le ragioni del servizio all’uomo. Con un profilo preciso. La Caritas non accetta nessuna delega sulle problematiche sociali, né dalle istituzioni ecclesiali, né da quelle pubbliche. Funzione pedagogica vuole dire agire perché si faccia contagiosa la vicinanza agli ultimi.

Fino a segnare i comportamenti sociali e le scelte politiche. Compresa la sensibilità della Chiesa, anch’essa da «convertire». Un compito sicuramente scomodo in tempi come questi, segnati dall’«egoismo sociale». Lo ha ricordato nei giorni scorsi a Fiuggi al 35˚ Congresso nazionale delle Caritas diocesane nel 40˚ della fondazione il vescovo di Lodi, monsignor Giuseppe Merisi, presidente di Caritas Italiana, di fronte ai 600 delegati delle 220 strutture diocesane. Tanto è oggi ramificata la Caritas sul territorio.

Una presenza spesso scomoda per il potere e per le istituzioni. Un testimone straordinario di questa fedeltà al Vangelo e all’uomo è stato nella Roma degli anni ‘80 monsignor Luigi Di Liegro. Il primo direttore della Caritas diocesana era in prima linea dove scoppiavano le emergenze: tra i senza casa che avevano occupato i locali abbandonati della Pantanella, tra i malati di Aids, tra i poveri e i barboni cui assicurava un tetto, un pasto caldo, assistenza sanitaria e accoglienza. Di Liegro invitava a guardare alle cause del disagio, alle ingiustizie che offendevano l’uomo. Senza timore ha denunciato chi speculava sulle aree e sul lavoro. Perché considerava la fedeltà al Vangelo più forte del potere economico e politico, della difesa degli interessi dei potenti.

«Non assistenza, ma giustizia» invocava con fervore. Ha pagato il prezzo dell’incomprensione e dell’isolamento, ma la sua testimonianza ha reso credibile la Chiesa di Roma e ha dato frutto. Ha consentito che maturasse una nuova consapevolezza dell’impegno sociale e politico del credente. Si è rotto con il collateralismo con la Dc. La Caritas si è ramificata nelle parrocchie. Ha operato nelle zone di frontiera più difficili. Giovani, minori, immigrati, donne in difficoltà, anziani soli ed oggi sempre più i «nuovi poveri»: «gente normale», di ceto medio, precipitata improvvisamente nel disagio.

Sono le nuove emergenze che da tempo Caritas Italia denuncia con i suoi dossier: quello sull’imigrazione realizzato con Migrantes dal 1991 e il Rapporto sulle povertà realizzato con la Fondazione Zancan. Emerge un paese sempre più povero anche di diritti. Sono materiale prezioso per affrontare i nodi del disagio sociale. È il frutto di un lavoro capillare realizzato dalle 220 Caritas diocesane con i «centri di ascolto», gli «Osservatori delle povertà» e i «laboratori» delle parrocchie e gli oltre 14 mila servizi socio-sanitari. Oltre a registrare i dati si denunciano responsabilità. Lo scontro con la politica, come con la Lega, si fa anche diretto quando sono messi in discussione i diritti fondamentali dell’individuo.



Giovedì 24 Novembre,2011 Ore: 15:15
 
 
Commenti

Gli ultimi messaggi sono posti alla fine

Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 25/11/2011 17.38
Titolo:GIUSTIZIA SI', ELEMOSINA NO ....
la fede al tempo della crisi

di Filippo Di Giacomo (l'Unità, 25 novembre 2011)

In uno dei suoi sermoni Lutero, con un inciso assai efficace, osservava: «Per giungere sulla retta
via, l’uomo di tanto in tanto deve anche spaventarsi di se stesso».
Secondo la tesi ideologica
introdotta nella cultura occidentale dalla rivoluzione francese, il cristianesimo (che crede nella fine
del mondo, nel giudizio, nel premio o nella punizione) è per sua natura pessimista mentre la
modernità (che crede nel progresso come legge della storia) sarebbe per sua natura ottimista.

Oggi, invece, abbiamo tutti i mezzi per osservare in diretta l’inesorabile sgretolarsi della
presunzione che la modernità continua a diffondere di se stessa. Le “crisi” che si sono succedute nei
sistemi socio-politici dell’Occidente, da quella “energetica” di inizio anni Settanta all’ultima
finanziaria ancora in corso, ci hanno tolto ogni possibile alibi, obbligandoci a prendere atto di
quanto il progresso sia anche un progresso dalle possibilità distruttive. Perché, come persone e
come società, dal punto di vista morale, non sempre siamo all’altezza della nostra ragione. Tanto
per fare un esempio, se volessimo ridurre il problema economico-finanziario in corso anche in Italia
al suo nucleo essenziale, dovremmo per forza riportarci a quella idiosincrasia tra moralità e
razionalità che spinge il nostro modello di sviluppo ad abusare delle risorse della terra e delle
società politiche senza porci mai, e comunque non in modo oggettivo, il problema dei limiti, cioè di
una condivisione equa e sostenibile di quanto pianeta e nazioni offrono.

L’idea che le cose umane, mercato compreso, lasciate a se stesse, diventino necessariamente
migliori non trova alcun sostegno nel cristianesimo. Il cristiano infatti, come ogni altra persona
dotata di ragione, sa che la storia è disseminata di gravi crisi. E che una di esse, è oggi davanti
all’umanità intera. Tuttavia, secondo l’ottimismo cristiano, anche orrori spaventosamente inumani
come Auschwitz, i quali devono assolutamente sconvolgerci (cosa che invece nonostante gli anni
trascorsi non ancora avviene), possono essere ricollocati e ricompresi a partire dal fatto che,
comunque e sempre, Dio è più forte del male. Se la Shoah fosse stata solo minimamente compresa
dai nostri politici, i bambini nati e cresciuti in Italia, già da tempo sarebbero stati accolti e
riconosciuti e considerati ricchezza per tutta la nazione. Eppure l’inverno demografico nel quale
siamo precipitati, destinato a prolungare le sue fredde ombre nei prossimi decenni, non ci ha ancora
ispirato alcuna paura di noi stessi. E così preferiamo illuderci che, coltivando presunte paure per
“l’altro”, possiamo legittimamente privare una parte importante del nostro esiguo ricambio
generazionale dei propri diritti civili, mantenendola sotto il giogo di una possibile espulsione dal
nostro territorio nazionale, obbligandola a costruirsi ghetti di una imposta marginalizzazione e di
una costante precarietà.

Proprio parlando dell’accoglienza di chi viene considerato “altro” dalla mentalità corrente, a
Cotonou, Benedetto XVI ha suggerito, paragonando una società ad una mano: «La compongono
cinque dita, diverse tra loro. Ognuna di esse però è essenziale e la loro unità forma la mano. La
buona intesa tra le culture, la considerazione non accondiscendente delle une per le altre e il rispetto
dei diritti di ciascuno sono un dovere vitale (…). L’odio è una sconfitta, l’indifferenza un vicolo
cieco (…). Tendere la mano significa sperare per arrivare, in un secondo tempo, ad amare. Cosa c’è
di più bello di una mano tesa?».

Tra qualche mese, l’anno prossimo ricorrerà il cinquantesimo anniversario dell’inizio del Concilio
ecumenico vaticano II, la prima (forse, inconsapevole) assise del mondo globalizzato, la cattedra
che ci ha consegnato le lezioni di quei due giganteschi maestri di umanità che sono stati Giovanni
XXIII e Paolo VI. Nel 1959, proprio indicendo il Concilio, il beato Giovanni XXIII aveva spiegato
come la Chiesa non fosse un museo da custodire ma un giardino da coltivare. Anzi, la sua metafora
era «nella piazza che è il mondo, la Chiesa deve essere come la fontana che sta al centro». E ancora
non si parlava di villaggio globale...

A ben ricordare, tra i Papi che hanno accompagnato i cinque decenni trascorsi dal Concilio, nessunoha mai insegnato il pessimismo. Ne consegue che, se proprio si vuole misurare “il tasso di
cattolicità apparente” inserito dall’attuale governo nella sua compagine, devono arrivare in
Parlamento (accantonando le pretese di chi, già in questi primi giorni, tenta di ottenere migliorie
esistenziali per i suoi protetti nello Stato e nel parastato) anche le leggi sulla cittadinanza, l’asilo, i
centri di permanenza temporanei, le carceri… Insomma, anche in politica, per una volta, giustizia
sì, elemosina no.

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Indice completo articoli sezione:
Dottrina della fede secondo Ratzinger

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