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www.ildialogo.org IL VATICANO, LA CITTA' DEL PAPA-RE, E IL VILLAGGIO DI CARTONE. Ermanno Olmi guarda all'avvenire della Chiesa e scrive: «Così leggo la carità». La sua risposta al giornale dei Vescovi - con alcune note,a c. di Federico La Sala

LA CHIESA DEL SILENZIO E DEL "LATINORUM". Il teologo Ratzinger scrive da papa l’enciclica "Deus caritas est" (2006) e, ancora oggi, nessuno ne sollecita la correzione del titolo. Che lapsus!!! O, meglio, che progetto!!!
IL VATICANO, LA CITTA' DEL PAPA-RE, E IL VILLAGGIO DI CARTONE. Ermanno Olmi guarda all'avvenire della Chiesa e scrive: «Così leggo la carità». La sua risposta al giornale dei Vescovi - con alcune note

(...) anche le religioni cambiano e cambiano i nostri comportamenti. Solo il bene non cambia. Ma il bene non è esclusività di istituzioni. La Chiesa di Cristo non è nell’istituzione, ma nella Sua e nella nostra incarnazione.


a c. di Federico La Sala

NOTE SUL TEMA:

LA CHIESA DEL SILENZIO E DEL "LATINORUM". 
-  Il teologo Ratzinger scrive da papa l’enciclica "Deus caritas est" (2006) e, ancora oggi, nessuno ne sollecita la correzione del titolo. Che lapsus!!! O, meglio, che progetto!!!

SINODO DEI VESCOVI 2008. L’ANNO DELLA PAROLA DI DIO: AMORE ("CHARITAS") O MAMMONA ("CARITAS")?! Fatto sta che la prima enciclica di Papa Benedetto XVI (Deus caritas est, 2006) è per Mammona.

PER UNA NUOVA TEOLOGIA E PER UNA NUOVA CHIESA. 
 L’INDICAZIONE DI GIOVANNI XXIII E DI GIOVANNI PAOLO II: LA RESTITUZIONE DELL’ANELLO DEL PESCATORE A GIUSEPPE.  Il loro successore ha il cuore di pietra e se lo tiene ben stretto. 
-  Per lui Dio è Valore e tutto ha un caro-prezzo ("Deus caritas est")!!!
 (Federico La Sala)

_____________________________________________________________________________

 Olmi: «Così leggo la carità»

di Ermanno Olmi (Avvenire, 19 ottobre 2011)

Caro direttore, ricevo “Avvenire” fin da quando, molti anni fa, con cari amici ormai lontani, vedemmo uscire dalle rotative il primo numero del giornale.

L’affezione e l’ammirazione sono sempre stati per me saldi riferimenti quotidiani per il rigore e la libertà d’opinione dei suoi collaboratori e quindi per il rispetto del lettore. Tanto che ho molto apprezzato gli interventi apparsi in “Agorà” dopo l’uscita del mio ultimo film Il villaggio di cartone. E di questa attenzione nei miei riguardi, caro direttore, la ringrazio e, se lo riterrà utile per i suoi lettori, mi farà piacere se pubblicherà queste mie note sul dibattito che ne è seguito.

Giovanni Bazoli, prima sul “Corriere della Sera” e poi su “Avvenire”, pone l’attenzione su due contrapposti valori invocati dal vecchio prete, protagonista dell’apologo cinematografico. Che dice: «Ho fatto il prete per fare del bene. Ma per fare del bene, non serve la fede. Il bene è più della fede».

Subito, un intervento di Marina Corradi su “Avvenire”, mi rimprovera: «di coltivare così tanti dubbi di fede che la storia (del film) rischia di perdere la radice e il fondamento della carità dei cristiani». Ma come sarebbe «la carità dei cristiani»? Dunque ci sarebbero più carità? E quella dei cristiani è forse tanto speciale e diversa da quella di altre fedi religiose? Mi piacerebbe conoscere l’elenco delle diverse carità. Bazoli chiarisce: «Il film è da intendere come un richiamo forte e drammatico all’esercizio e della carità e dell’accoglienza nei confronti di uomini che sono tra i più indifesi e disperati del nostro tempo; vale come monito a intensificare l’impegno religioso e umano».

Ugualmente, Marina Corradi insiste: «In realtà il bilancio del vecchio sacerdote sembra viziato da un equivoco. Non ci si fa prete “per fare del bene” ma per portare Cristo agli uomini, che è assai di più». La fede è in sé un valore, ma non è determinante per fare del bene. Né il fare del bene ha mai ostacolato la fede di alcuno. La fede è innanzitutto un sentimento che ciascuno coltiva nel profondo di sé, in solitudine. E con tale stato d’animo parteciperà la sua fede con quella dell’altro, in comunione con Dio.

Un’altra voce che ha partecipato a questi interrogativi sul primato tra fede e carità è quella di Piero Coda, teologo e presidente dell’Istituto universitario Sophia: «Conosciamo tutti l’inno alla carità che l’apostolo Paolo tesse nel capitolo 113 della Lettera ai Corinzi. L’ agape è la via che tutte le altre sopravanza. Non avere l’agape significa essere nulla». E prosegue: «L’agape è la cifra compendiosa di tutto il mistero cristiano».

Come vede, caro direttore, mi appello a autorevoli testimoni della cristianità. Ed ecco che ancora Piero Coda mi suggerisce sant’Agostino: «La carità spinse Cristo a incarnarsi». È di pochi giorni fa, in Egitto, il divampare di conflitti fra appartenenze religiose mettendo l’una contro l’altra. E soltanto ieri, a Roma, la dissennata violenza di giovani praticata con la rabbia della distruzione. E mi domando se è del tutto azzardato pensare che anche questi giovani allo sbando non provino un loro delirante atto di fede in una “religiosità” criminale.

Ancora una volta la Storia ci avverte che il vincolo tra fede e “Chiese delle diversità” può avere esiti di immani tragedie. E sappiamo anche che, nel corso dei secoli, le religioni hanno avuto necessità di cambiamenti imposti dai radicali mutamenti delle realtà che inarrestabilmente sopravvenivano. E quindi, concili, riforme e controriforme, sempre per adeguarsi con significati nuovi alle esigenze del cammino della Storia. Dunque: anche le religioni cambiano e cambiano i nostri comportamenti. Solo il bene non cambia. Ma il bene non è esclusività di istituzioni. La Chiesa di Cristo non è nell’istituzione, ma nella Sua e nella nostra incarnazione.



Venerdì 21 Ottobre,2011 Ore: 14:58
 
 
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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 22/10/2011 08.48
Titolo:UNA SORGENTE E DUE FIUMI: L'AMORE ....
L'Amore!

di Raymond Gravel

in “www.lesreflexionsderaymondgravel.org” del 20 ottobre 2011 (traduzione:
www.finesettimana.org)


XXX Domenica del tempo ordinario A: Esodo 22, 20-26; Matteo 22, 34-40.


Dopo una prima controversia con i farisei a proposito dell'imposta dovuta all'imperatore di domenica scorsa, eccone un'altra con uno dei farisei, un dottore della legge, a proposito del grande
comandamento della Legge, non un comandamento tra i 613 (248 prescrizioni e 365 proibizioni), che dovrebbe essere considerato più importante degli altri, ma un comandamento che riassuma tutti
gli altri. Non ci sono 36 comandamenti, risponde Gesù al dottoere della legge, ce n'è uno solo, quello dell'Amore, ma che ha due destinatari: Dio e il prossimo. Non l'uno senza l'altro. Tutti e due
insieme... Cosa vuol dire?


1. L'Amore: una sorgente e due fiumi. Il teologo francese Patrick Jacquemont scrive: “La Parola di Dio acquista tutto il suo senso: amerai il Signore Dio tuo... amerai il prossimo tuo. Il secondo
comandamento è simile al primo, ma non c'è un solo amore. C'è una sorgente unica, e due fiumi differenti”. È perché ci si sa amati da Dio che possiamo amarlo... ma possiamo amarlo solo amando
l'altro, gli altri. È l'essenza dell'amore che fa sì che si ami. Non per niente, san Giovanni nella prima lettera dirà: “Se uno dicesse: "Io amo Dio", e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1Gv 4,20). In fondo, ciò che san Giovanni vuol dire, è che amare Dio significa partecipare del suo amore, amando gli altri. Quindi, amando gli altri, si ama Dio.

Alla domanda del dottore della Legge: “Maestro, nella Legge, qual è il più grande dei comandamenti?” (Mt 22,36), cioè il comandamento nel quale sono compresi tutti gli altri? Gesù, che è lui stesso principio di unità, dà la risposta. Riunisce le due parti della Legge, i comandamenti riguardanti l'amore di Dio e quelli riguardanti l'amore del prossimo; li fonde ed unifica la loro espressione, che formula in termini identici, presi dalle Scritture: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto ilcuore, tutta l'anima e con tutte le forze” (Dt 6,5), e “Amerai il tuo prossimo come te stesso” (Lev 19,18b). Si tratta di un amore senza restrizioni, che impegna tutta la persona, cuore, anima e
mente.


2. L'Amore cristiano: due principi di unità. Unificando l'amore di Dio e del prossimo, il Cristo del Vangelo ci dà due principi di unità:

1) La parabola del giudizio universale (Mt 25,31-46). Cristo si identifica con il prossimo: “Ciò che avete fatto ad uno solo dei miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me” (Mt 25,40). E più di così: si identifica con i suoi fratelli, con i cristiani che sono poveri, sprovvisti di tutto, emarginati, perché le loro situazioni di povertà danno l'occasione agli altri, ai non cristiani di incontrare Cristo e di riconoscerlo.


Già nell'Antico Testamento, il Dio dell'Alleanza aveva un debole per i poveri. Nel brano del libro dell'Esodo che abbiamo oggi, i poveri sono l'immigrato, in ebreo ger, cioè lo straniero residente, quel gruppo di persone che aveva uno statuto sociale intermediario tra i cittadini israeliti e gli schiavi. Quelle persone non potevano possedere terre; dovevano solamente offrire il loro servizio agli altri. Erano quindi economicamente deboli: “Non molesterai il forestiero né lo opprimerai,
perché voi siete stati forestieri nel paese d'Egitto” (Es 22,20). La vedova e l'orfano sono un'altra categoria di deboli nelle società ebrea di allora; senza risorse, vivevano spesso in miseria: “Non
maltratterai la vedova e l'orfano” (Es 22, 21). E che cosa fare per non sfruttare i poveri? Prestare loro del denaro senza interessi e lasciare loro la loro dignità: “Se prendi in pegno il mantello del tuoprossimo, glielo renderai al tramonto del sole” (Es. 22,25).

2) “Seguitemi” (Mt 4,19). La legge dell'amore di Cristo non si riduce ad un codice o a un registro; è Gesù stesso che è la nostra legge, una legge viva, una persona con cui siamo in comunione, il cui Spirito ci abita e di cui noi siamo il corpo. Cosa che san Paolo traduce così: “Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo” (1 Co 11,1). Come cristiani, siamo dei cristi viventi, ed è a questo titolo che dobbiamo amare come lui.

Allora, se attualizzo la Parola oggi, le leggi, i precetti della religione, non possono applicarsi che in
riferimento alla Legge dell'Amore proposta dal Cristo del Vangelo. Dipende dalla nostra fedeltà a Cristo il fatto che l'Amore sia l'essenziale, non solo nella nostra relazione con Dio, ma soprattutto nella nostra relazione con gli altri; altrimenti, anche l'amore di Dio è impossibile. E il prossimo, non sono solo le persone che la pensano come noi e che ci sono vicine; sono anche e soprattutto coloro che sono diversi da noi e talvolta anche difficili da amare.


Terminando, vorrei leggervi questa breve riflessione del francese Éric Julien: “Perché è così difficile amare Dio? Perché questo vuol dire amare il prossimo. E perché è così difficile amare il prossimo? Perché bisogna amarlo come se stessi, e pochissime persone sanno amarsi al loro giusto valore. E come si fa per amare se stessi? Si cerca di guardarsi come ci guarda Cristo. Con rispetto, tenerezza e... pazienza infiniti”.

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Dottrina della fede secondo Ratzinger

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