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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org LA TRADIZIONALE "SCOLA" COSTANTINIANA DI BENEDETTO XVI: IL MAGISTERO DELL'INGANNARE IL PROSSIMO COME SE STESSO. Un'analisi di Giancarlo Zizola, con note,a c. di Federico La Sala

DIO E' SPIRITO, AMORE ("DEUS CHARITAS EST": 1 Gv. 4.8)). SE UN PAPA TEOLOGO SCRIVE LA SUA PRIMA ENCICLICA, TITOLANDOLA "DEUS CARITAS EST" ("CHARITAS", SENZA "H"), E’ ORA CHE TORNI A CASA, DA "MARIA E GIUSEPPE", PER IMPARARE UN PO’ DI CRISTIANESIMO.
LA TRADIZIONALE "SCOLA" COSTANTINIANA DI BENEDETTO XVI: IL MAGISTERO DELL'INGANNARE IL PROSSIMO COME SE STESSO. Un'analisi di Giancarlo Zizola, con note

(...) Von Balthasar, era molto netto (...). Diceva che «al cristiano è vietato il ricorso ai mezzi d’azione specificamente mondani per un preteso incremento del regno di Dio in terra». Criticava l’integralismo di gruppi di «mammalucchi cristiani che aspirano a conquistare il mondo» (...)


a c. di Federico La Sala

 

NOTE SUL TEMA. 

“(...) noi non siamo più sotto un pedagogo. Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Galati: 3, 25-28).

Traduzione alla "ratzingeriana",  nello spirito della "Dominus Iesus": 

Noi non siamo più sotto un pedagogo, voi siete tutti uno nell’Uomo Supremo di Papa Swedenborg (per approfondimenti, cfr. note - qui,  in fondo ) *

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Ecco come e perché il Papa ha deciso di nominare il nuovo arcivescovo di Milano

La teologia di Ratzinger nella scelta di Scola

di Giancarlo Zizola (la Repubblica, 30 giugno 2011)

Un pontificato che si narra come proiezione dell’autobiografia di Joseph Ratzinger nelle scelte istituzionali. La nomina di Angelo Scola a Milano è l’ultima conferma della plausibilità di questa chiave interpretativa. Benedetto XVI ha un occhio di riguardo per le persone incrociate in passato.

È accaduto per Tarcisio Bertone, che deve il ruolo di segretario di Stato poco più che alla scrivania di segretario della Congregazione per la Dottrina accanto all’ufficio del prefetto. Come se un pezzo di burocrazia condivisa potesse garantire qualità per qualsiasi altro ruolo. In modo analogo, con il canadese Marc Ouellet a capo della Congregazione dei Vescovi e il patriarca Scola a Milano, si proietta ai vertici della Chiesa il club teologico di Communio, la rivista teologica fondata nel 1972 da Ratzinger con Urs von Balthasar e Henri de Lubac per competere con le visioni del riformismo radicale di Concilium. E l’ammirazione di Ratzinger per don Giussani, i cui funerali volle concelebrare a Milano, è la fonte riconosciuta di una predilezione papale per Cl, un movimento di cui Scola era seguace, anche se da anni non aveva ruoli privilegiati al suo interno.

Non è solo questione di fiducia personale, e neanche di medaglie al merito assegnate agli amici, ma di opzioni. Vi è bene un legame tra le ostinate affiliazioni lefebvriane del fratello prete Georg, da un lato, e - dall’altro - le precipitose assoluzioni dei vescovi dello scisma e le controriforme liturgiche con cui il papa ha dato via libera alla messa tridentina che va generando l’attuale baraonda intorno agli altari cattolici. Su un altro piano, una continuità autobiografica emerge tra il Ratzinger di professione teologo e un magistero papale dominato dall’inquietudine per la formazione anche intellettuale dei cattolici ad una fede matura, fino all’apogeo dell’opera anticamente sognata, i due volumi del Gesù di Nazareth, non a caso firmato insieme da "Joseph Ratzinger e Benedetto XVI".

Un papa ha bene il diritto di imprimere la propria impronta sulla vita della Chiesa. Ma la nomina di Scola rischia di diventare un caso imbarazzante, al di là delle qualità personali del prescelto, ben riconosciute, proprio perché fa esplodere alcune anomalie del sistema.

Il "fattore Papa" ha giocato nella costruzione di una campagna di stampa martellante, che ha penalizzato la ricerca di altre candidature. Con due conseguenze: di intercettare il severo clima di segretezza in cui Roma avvolge le procedure di selezione dei vescovi (il cardinale Martini scriveva domenica di essere stato sorpreso dalla sua nomina a Milano). Poi, di contraddire il criterio raccomandato dallo stesso Papa, di scegliere come vescovi candidati che abbiano almeno dieci anni prima della rinuncia canonica a 75 anni, perché possano svolgere un piano pastorale decente. E invece per Milano è stato nominato un settantenne.

L’anomalia maggiore è visibile, ancora una volta, nelle procedure centralizzate. A metà dell ’Ottocento Antonio Rosmini dimostrava che il sistema verticistico non era in grado di tutelare la Chiesa dalle ingerenze del potere politico. Le campagne mediatiche a favore di un candidato sono la nuova forma delle pressioni dei poteri cesaro-papisti, che rendono attuali le lotte per le investiture di Gregorio VII.

Benché la consultazione del nunzio in Italia Giuseppe Bertello nella diocesi di Milano sia stata più ampia del consueto, è evidente che quanto è successo invita a ripensare al monito di Rosmini circa i vescovi "intrusi", paracadutati dall’alto e dunque fattori di indifferenza religiosa e di divisione del popolo cristiano.

L’altra anomalia riguarda la situazione dell’episcopato italiano. Indubbiamente non mancano al suo interno delle intelligenze pastorali di grande sensibilità e zelo, tuttavia alcune analisi sociologiche, come quella di Luca Diotallevi, non si astengono dal documentarvi segnali di un criterio selettivo ancorato per oltre un ventennio alla presunta sicurezza di figure conformiste, col risultato che gli attuali risvegli dal basso mondo cattolico sembrano scarsamente recepiti dalla gerarchia e non sembra determinarsi una vera inversione di rotta.

Infine, da notare che Scola entra a Milano su due vigilie: quella del cinquantenario dell’apertura del Vaticano II (1962-2012) e quella dei 1700 anni dell’editto di Milano con cui aveva origine "l’età costantiniana" nel 313: statuto di libertà per il cristianesimo, divenuta "religione imperiale". Vigilie che si intrecciano organicamente.

Il maestro di Scola, Von Balthasar, era molto netto sulla necessità di finirla con la riproduzione del regime di cristianità. Diceva che «al cristiano è vietato il ricorso ai mezzi d’azione specificamente mondani per un preteso incremento del regno di Dio in terra». Criticava l’integralismo di gruppi di «mammalucchi cristiani che aspirano a conquistare il mondo» e ammoniva: «Chi fa tali cose non ha esatta idea né della impotenza della croce né della onnipotenza di Dio né delle leggi proprie della potenza mondana».

 

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Note sul tema. In rete, si cfr.:

-  ORDINE DEL VATICANO: MILANO A SCOLA! DAL CARDINALE, PER RIFONDARE LA TRADIZIONE DELLA "CHARITAS" DI AMBROGIO CON LA "NUOVA" LEZIONE ("CARITAS") DI PAPA RATZINGER .

 

 

-  RATZINGER ’A SCUOLA’ DEL VISIONARIO SWEDENBORG. Una nota di Leonard Boff e una di Immanuel Kant

-  L’AMORE VINCE SEMPRE!!! BERLUSCONI, PAPA RATZINGER, E LA FINE DELLA TEOLOGIA POLITICA ’PAOLINA’ - QUELLA DEL "MENTITORE". PER ENTRAMBI, UNA VERSIONE "BI-PARTISAN" DELL’INNO ALLA CARITA’ (1 CORINZI 13) DI SAN PAOLO. Note e appunti  (Federico LA Sala)

 

 



Giovedì 30 Giugno,2011 Ore: 16:08
 
 
Commenti

Gli ultimi messaggi sono posti alla fine

Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 30/6/2011 16.32
Titolo:Lettera aperta al Cardinale Tettamanzi - di Angelo Cupini ....
Il periodo in cui Dionigi Tettamanzi è stato arcivescovo di Milano è stato caratterizzato dalla ferocia di attacchi personali, politici e pastorali da parte di chi odia il suo impegno a fianco di immigrati, poveri e rom. Da settembre gli succederà il cardinale Angelo Scola, già patriarca di Venezia, e prima del passaggio di consegne un ringraziamento per tanto lavoro mai del tutto riconosciuto

Lettera aperta al Cardinale Tettamanzi: una missione passata sotto silenzio e infangata da sarcasmo e parole rozze

di Angelo Cupini ("Domani-Arcoiris", 30-06-2011)

Chiuso di Lecco, Casa sul pozzo.

Carissimo Padre,

Ti scrivo dopo che a mezzogiorno è stata data la notizia del tuo successore alla Cattedra di Ambrogio. Voglio dirti ciò che mi ha colpito ieri sera, nella celebrazione liturgica del Beato Serafino nella parrocchia di Chiuso, che tu hai presieduto. Mentre il diacono Roberto annunciava il Vangelo tu ti sei appoggiato pesantemente al tuo bastone pastorale, per tutta la durata della proclamazione.

Non so i tuoi pensieri, ma vedevo il compimento del tuo servizio espresso in questo gesto unificante; ieri sera eri il nostro parroco, colui che abita vicino alle nostre case. I vecchi abitanti di Chiuso, che abbiamo conosciuto e che se ne sono andati prima di questa proclamazione, ci hanno raccontato della memoria, ricevuta, di questo parroco chiamato sempre beato e anche di una certa indifferenza della gente (siamo di confine, dicevano). Tu hai raccontato il legame tra città e periferia, nella fattispecie tra Milano e Chiuso, sviluppato in don Serafino.

Hai ricordato con affetto i tuoi predecessori a Milano quasi a consegnare una mappa del servizio pastorale offerto al popolo ambrosiano. Ho provato a declinare dentro di me le cose che mi hanno colpito del tuo essere pastore:

Il pastore conosce le pecore e le chiama per nome; ieri sera cercavi don Gil (Orsi) e chiedevi dove fosse. Mi hai detto, riconoscendomi, che avevi piacere di rivedermi. Entrando in una chiesa o in un luogo di raduno ti fermi a salutare la gente per trasformare l’attesa e l’applauso in relazione, breve, ma cordiale. Al ragazzino con il braccio ingessato che ti offriva l’ampolla all’offerta dei doni, vedevo che eri lì lì a chiedere cosa gli fosse successo. Un pastore chiama per nome e conosce il timbro. Appoggiato al bastone di servizio e di guida nel tuo piccolo/grande cuore ci sono i nomi di tutti.

Il mio fraterno amico vescovo Casaldaliga ha scritto un giorno:

Alla fine del cammino mi diranno:
Hai vissuto, hai amato?
Ed io senza dire niente
Aprirò il cuore pieno di nomi.

Non dimenticherò mai che nella grande congiura del silenzio nella quale siamo stati avvolti tu hai chiamato per nome le storie degli uomini e delle donne; fossero rom, immigrati, portatori di handicap, cinesi o latinoamericani, africani o dell’est; per te erano persone, uguali in dignità, in diritti e doveri. Parola e gesti che ti hanno fatto scaricare addosso sarcasmo e parole rozze e ancora tanto silenzio da parte degli uomini e delle donne degli equilibri.

La gente ha capito la tua vita buona perché tu hai riconosciuto la loro, fatta di fatica quotidiana, di resistenza al male e di affido alla Provvidenza. Non ti sei stancato di offrire ottimismo evangelico. I tre ultimi Beati sono la tua firma per una storia di chiesa: fondamentalmente amici di Dio e degli uomini. Mi auguro che non si chiuda questa stagione. Oso farti un invito: quando avrai passato il tuo bastone di Pastore al nuovo Vescovo, vienici a trovare a la Casa sul pozzo, non lontano da dove riposa e veglia il beato Serafino. Sarai una benedizione per tutti.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 01/7/2011 16.47
Titolo:il sogno di Ratzinger: Scola papa ....
Scola, nel solco di Ratzinger

di Paolo Flores d’Arcais (il Fatto Quotidiano, 1 luglio 2011)

La nomina del cardinale Angelo Scola come arcivescovo di Milano è incredibilmente irrituale ed esige dunque una spiegazione ragionevole. La carica di Patriarca di Venezia è una delle più prestigiose nell’ambito della Chiesa. Il passaggio a Milano costituisce anzi dal punto di vista protocollare una retrocessione, perché “Patriarca di Venezia” è titolo superiore a cardinale e arcivescovo. Insomma, non si “trasloca” da quella sede venerabile verso una’altra diocesi, per importante e grande che sia, a meno che non si tratti di Roma, per diventare Sommo Pontefice, cosa che nel XX secolo è avvenuto ben tre volte (Pio X, Giovanni XXIII, Giovanni Paolo I).

Non regge allora la spiegazione (ventilata ad esempio dal teologo Vito Mancuso) che Ratzinger volesse chiudere radicalmente e platealmente con l’ultimo ridotto del cattolicesimo democratico, la Milano di Martini e Tettamanzi, delle Acli e di don Colmegna, attraverso un gesto “brutale” di discontinuità. O meglio, l’ipotesi di Mancuso è del tutto plausibile, direi certa, ma per realizzarla il cardinale Scola non era l’unica personalità rilevante di cui Ratzinger disponesse. È vero che nella nomina di Scola vi è un elemento di “sfregio” verso il cattolicesimo ambrosiano che sarebbe mancato ad altri candidati (a Scola fu rifiutato il sacerdozio, al termine del seminario diocesano di Venegono, tanto che per farsi ordinare prete dovette trasferirsi a Teramo: ora torna da arcivescovo), ma è davvero improbabile che la volontà di Ratzinger di sottolineare come a Milano il vento debba cambiare avesse la necessità irrinunciabile di un ingrediente tanto “velenoso”.

UNA SCELTA di sbandierata normalizzazione poteva perciò essere realizzata anche senza la novità inaudita dello spostamento di un porporato da Venezia a Milano. Se per Benedetto XVI Angelo Scola è risultato perciò “unico” , deve esserci una motivazione in più, una motivazione davvero eccezionale che giustifichi l’irritualità e l’insostituibilità della scelta. Una ragione di SUCCESSIONE. La nomina, altrimenti incomprensibile di Ratzinger, ha il significato di una INVESTITURA: Benedetto XVI indica ai cardinali che come suo successore sulla cattedra di Pietro vuole Angelo Scola. Irritualità che spiega irritualità.

Del resto anche Karol Wojtyla aveva compiuto un gesto irrituale che indicava la sua propensione per Ratzinger quale successore, dedicando un libro “all’amico fidato”, e facendo risapere nei sacri palazzi l’assai insolito e iper-lusinghiero “titolo” (accompagnandolo poi con l’incarico - tutt’altro che irrituale, questo - di scrivere i testi per l’ultima solenne “via crucis”). Ogni Conclave, naturalmente, decide poi come preferisce, nella convinzione, anzi, che a scegliere sia lo Spirito Santo, “vento” di Dio che, come è noto, “soffia dove vuole”. Ma il senso profondo e perentorio di investitura e testamento, da parte di Benedetto XVI, della nomina di Scola sulla cattedra di Ambrogio, non è certo sfuggito a nessuno dei Porporati che compongono il sacro collegio. Perché, ripetiamolo, altra spiegazione non c’è, a meno di chiamare in causa categorie inammissibili per un Pontefice: capriccio e oltraggio.

FORSE RATZINGER ha sentito il bisogno di rendere plateale l’investitura di Scola anche per l’handicap che attualmente - dopo secoli di situazione opposta - costituisce per ogni papabile l’essere italiano. Nel (quasi ex-) Patriarca di Venezia, Benedetto XVI vede la più sicura (e ai suoi occhi evidentemente ineguagliabile) garanzia di continuità con il proprio pontificato sotto almeno due profili: il rilievo crescente assicurato a movimenti “carismatici” come Comunione e Liberazione rispetto all’associazionismo tradizionale legato a diocesi e parrocchie, e il privilegio del dialogo con l’Oriente, nel duplice senso di cristianità ortodossa e di islam. Se il primo tema èsottolineato da tutti gli osservatori, il secondo è talvolta trascurato benché perfino più influente.

Il filo conduttore del papato di Ratzinger è infatti l’offerta agli altri monoteismi, e a quello di Maometto in modo speciale, di una Santa Alleanza contro la modernità atea e scettica. Questo era il senso dello sfortunato discorso di Ratisbona, che per una maldestra citazione accademica provocò invece risentimento e disordini.

Dialogo con l’islam, ma nel segno del comune anatema contro il disincanto dell’illuminismo, del pensiero critico, della democrazia conseguente, in alternativa all’accoglienza verso “i diversi” del cattolicesimo democratico di stampo conciliare. La fondazione e la rivista “Oasis”, volute a Venezia da Scola, sono da anni l’efficacissimo strumento di questa linea ideologico-pastorale dall’afflato “globale” ma dagli evidenti risvolti europei, vista la presenza dell’islam come seconda religione (in espansione demografica galoppante) in tutte le grandi metropoli del vecchio continente. Solo in un’ottica un “piccina” si può pensare che con l’investitura di Scola, seguace di don Giussani, Ratzinger paghi il debito di gratitudine verso CL, lobby trainante della sua elezione. In realtà,

Ratzinger vede in Scola il successore capace di proseguire con più coerenza e successo degli altri papabili la sfida oscurantista della rivincita di Dio sui lumi che caratterizza il suo pontificato: intransigenza dogmatica, “fronte integralista” con l’islam, presenza decisiva della fede cattolica nella legislazione civile, spregiudicatezza nel confronto pubblico con l’ateismo, accompagnati da un’affabilità pastorale superiore alla sua.
Autore Città Giorno Ora
Ernesto Miragoli Como 04/7/2011 07.14
Titolo:Perchè non aspettare?
La nomina di Scola a Milano ha suscitato un vespaio nei commentatori ecclesiali che non ricordo nemmeno quando fu nominato Martini.
In gran parte condivido le analisi di Zizola e Mancuso, ma mi rimane la riserva del dubbio.
Non è meglio aspettare per capire come Scola si comporterà nei 5 o 6 anni che gli rimangono prima di andare in pensione?
A me non sembra un gran pastore: Venezia è una diocesi piccola e perlopiù onorifica. Mi è stato anche detto che a Venezia il Patriarca c'era poco, occupato com'era ad andare in giro per il mondo a far conferenze.
Non credo che a Milano Scola possa sconvolgere in pochi anni una vivacità ecclesiale che ha sempre caratterizzato la cattedra ambrosiana perchè non bastano 5-6-7 anni per cambiare gli animi e le istanze pastorali che sono maturate in decenni.
Ci sarà una specie di risorgimento ciellino, visto che il nuovo vescovo viene da quella scuola?
Ma sì! Che ci sia!
Anche cielle non avrà lunga vita: fra vent'anni ben pochi sapranno chi era don Giussani e la CdO sarà un club di nostalgici.
Secondo me il vescovo Angelo (oggi si usa dire così) vivrà una pastorale di statu quo.

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Dottrina della fede secondo Ratzinger

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