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www.ildialogo.org SEGUENDO LA LEZIONE DI LACAN E DI RATZINGER, MONSIGNOR RAVASI SPIEGA "I VOCABOLI DEL DESIDERIO" E ILLUSTRA COME LA DONNA NON E' PIU' UNA COSA MA UNA SOCIA IN AFFARI (NEL NOME DEL DIO DI BENEDETTO XVI: "DEUS CARITAS EST", 2006). Alcune sue pagine e una nota di Armando Torno,a cura di Federico La Sala

IL CATTOLICESIMO-ROMANO (L'ORDINE SIMBOLICO DELL'ALLEANZA DELLA MADRE CON IL FIGLIO "IMPERATORE-DIO", IN NOME DI "MAMMONA") NON HA NIENTE A CHE FARE CON IL CRISTIANESIMO (L'ALLEANZA EVANGELICA DI MARIA E GIUSEPPE CON IL DIO DI GESU' - IL DIO "PIENO DI GRAZIA")!
SEGUENDO LA LEZIONE DI LACAN E DI RATZINGER, MONSIGNOR RAVASI SPIEGA "I VOCABOLI DEL DESIDERIO" E ILLUSTRA COME LA DONNA NON E' PIU' UNA COSA MA UNA SOCIA IN AFFARI (NEL NOME DEL DIO DI BENEDETTO XVI: "DEUS CARITAS EST", 2006). Alcune sue pagine e una nota di Armando Torno

(...) possiamo parlare di «simbolicità» del desiderio: esso vive nella realtà concreta, presente e temporale, ma al tempo stesso si protende verso l’Altro, l’Oltre, lo Spirito, l’Eterno. Lacan, che al desiderio ha dedicato un’analisi interessante (basata sulla nostalgia del bambino separato dalla madre), connettendosi proprio al linguaggio simbolico, dichiarava: «Se bisogna fondare la nozione dell’Altro con una A maiuscola come il luogo della parola, bisogna affermare che, essendo l’uomo un animale in preda al linguaggio, il suo desiderio è il desiderio dell’Altro» (...)


a cura di Federico La Sala


RIPARARE IL MONDO. LA CRISI EPOCALE DELLA CHIESA ’CATTOLICA’ E LA LEZIONE DI SIGMUND FREUD.

PERVERSIONI di Sergio Benvenuto. UN CORAGGIOSO PASSO AL DI LA’ DELL’EDIPO

 IL NOME DI DIO. L’ERRORE FILOLOGICO E TEOLOGICO DI PAPA BENEDETTO XVI, NEL TITOLO DELLA SUA PRIMA ENCICLICA. Nel nome della "Tradizione"



Sesso e corpo: i vocaboli del desiderio

di Gianfranco Ravasi (Corriere della Sera, 06.10.2010)

È suggestivo osservare che il vocabolo ebraico del desiderio sessuale, teshuqah, che nella Genesi rappresentava l’oscura pulsione sessuale («Verso tuo marito sarà la tua teshuqah / desiderio, ed egli ti dominerà», 3,16), nel Cantico viene riproposto come segno di donazione e di comunione totale: «Io sono del mio amato e la sua teshuqah / desiderio è verso di me» (7,10).

Certo, il desiderio non elide la sua componente sessuale ed erotica, come appare nelle stupende rappresentazioni dei corpi dei due innamorati (capitoli 4; 5; 7). Anche Pio XII, in un discorso del 29 ottobre 1951, affermava: «Il Creatore stesso ha stabilito che nella reciproca donazione fisica totale gli sposi provino un piacere e una soddisfazione sia del corpo sia dello spirito. Quindi, gli sposi non commettono nessun male cercando tale piacere e godendone. Accettano quello che il Creatore ha voluto per loro».

La sessualità e l’eros devono però inserirsi nella donazione d’amore che trasforma e trasfigura il desiderio facendolo tendere a quella pienezza, totalità, assolutezza che la donna del Cantico esprime nella sua «professione d’amore»: «Il mio amato è mio e io sono sua. Io sono del mio amato e il mio amato è mio» (2,16; 6,3). La tensione rimane perché la creatura umana è fragile e può contaminare la purezza assoluta della donazione. Questa tensione, però, è anche positiva.

Infatti, il desiderio di sua natura rimane sempre mobile e dinamico, e dev’essere conservato anche in questa sua qualità: essa è ben rappresentata dallo stupore e dalla tenerezza, che brillano soprattutto nello sbocciare dell’amore. Il desiderio dovrebbe saper mantenere continuamente questo clima di dolcezza, questa sorta di «stato nascente» dell’amore che ne rivela la vitalità, ma anche il suo non essere un possesso acquisito.

Come si è già detto, pur nell’abbraccio, la coppia del Cantico sa che sempre deve correre verso «i monti dei balsami» (2,17; 8,14). Si intuisce, così, anche nel desiderio dell’amore umano, quell’ «insoddisfacibilità» che è tensione verso l’assoluto e l’infinito: è l’«inquietudine» agostiniana che può «riposare» solo nella trascendenza e quindi in Dio.

Per questo possiamo parlare di «simbolicità» del desiderio: esso vive nella realtà concreta, presente e temporale, ma al tempo stesso si protende verso l’Altro, l’Oltre, lo Spirito, l’Eterno. Lacan, che al desiderio ha dedicato un’analisi interessante (basata sulla nostalgia del bambino separato dalla madre), connettendosi proprio al linguaggio simbolico, dichiarava: «Se bisogna fondare la nozione dell’Altro con una A maiuscola come il luogo della parola, bisogna affermare che, essendo l’uomo un animale in preda al linguaggio, il suo desiderio è il desiderio dell’Altro».

La storia umana è scandita da grandi desideri che, come il mare è composto da tante gocce, si costruiscono e si sviluppano a partire da singoli desideri personali. Si ha, in tal modo, una tensione universale e costante non solo «verticale» nel procedere oltre che è propria del desiderio, ma anche «orizzontale» fra desideri opposti, negativi e positivi. È quello che è illustrato a livello generale dalla Città di Dio agostiniana ed è anche ciò che, nel microcosmo del singolo, ha descritto sant’Ignazio di Loyola nella sua parabola delle «due bandiere»: esse hanno schiere opposte di seguaci, in marcia verso mete antitetiche, spinti dai loro desideri.

La dinamica della storia universale e di quella personale presuppone, dunque, anche uno scenario tenebroso. Ai figli della luce si accostano e si oppongono i figli delle tenebre, alla tavola luminosa del desiderio dell’amore si allinea in un dittico anche la tavola notturna del desiderio degenerato che tende verso il negativo, l’abisso infernale. Anche la Bibbia raffigura in modo plastico questo desiderio cieco, indomabile e dotato di un suo insaziabile dinamismo, di un’insoddisfazione inestinguibile.

Pensiamo, per esempio, al racconto - straordinario anche a livello psicologico - della passione cieca di Ammon che lo conduce allo stupro di una sua sorellastra, la bellissima Tamar, figlia di suo padre, il re Davide: «Ammon afferrò Tamar e le disse: Dài, unisciti a me, amore mio! E lei: No, fratello mio, non farmi violenza! Non commettere questa infamia! Egli però non ne volle sapere: era più forte di lei e la violentò unendosi a lei. Ma dopo l’atto, Ammon provò verso di lei un odio grandissimo, l’odio che sentiva verso di lei era ben più potente dell’amore con cui l’aveva prima amata» (si legga l’intero testo 2 Sam 13, 1-17).

La brutalità della pulsione insita nel desiderio affiora spesso nelle narrazioni bibliche: le scene di Sodoma (Gen 19) e di Gàbaa, quest’ultima ancor più truculenta (Gdc 19), descrivono le crude e brutali passioni come pure le violente e infami pulsioni degli uomini della steppa che ancor oggi si ripetono nei deserti metropolitani.


E la donna non fu più una cosa

di Armando Torno (Corriere della Sera, 06.10.2010)

Nel libro dell’Esodo (20,17) si legge: «Non desidererai la casa del tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa appartenente al tuo prossimo». Un comandamento ribadito in una formulazione successiva nel libro del Deuteronomio (5,21), con alcune varianti.

Se nell’Esodo il primato spetta alla «casa» ( bêt), intesa nella sua dimensione globale che va oltre quella dell’edificio, nel Deuteronomio la donna è estrapolata dall’asse patrimoniale e acquista una posizione autonoma, anzi un primato distintivo: «Non desiderare la moglie del tuo prossimo» precede ed è separato dalla «brama» per le proprietà del capofamiglia. Non a caso l’autore sacro muta il verbo del «desiderio», introducendo la radicale ’wh che denota una maggiore avidità e materialità.

Queste osservazioni, con le varianti linguistiche e i relativi significati, si trovano nell’ultimo saggio di Gianfranco Ravasi che, con Andrea Tagliapietra, ha scritto per Il Mulino (nella serie dedicata ai comandamenti) Non desiderare la donna e la roba d’altri (in libreria domani, 7 ottobre, pp. 160 e 12).

Ravasi, che ha appena pubblicato da Mondadori Questioni di fede. 150 risposte ai perché di chi crede e di chi non crede ( pp. 266, 19) intervenendo sulle domande più spinose e cruciali, nonché su interrogativi insoliti e curiosi, ha intitolato il suo scritto per il libro de Il Mulino Non desidererai la moglie e la casa del tuo prossimo; Tagliapietra, invece, L’ultima delle dieci parole ovvero non desiderare.

Dalla nuova interpretazione del comandamento scritta da Ravasi per l’editrice bolognese offriamo in anteprima un estratto riguardante l’«oggetto del desiderio». Sì, il desiderio. Se per Aristotele nel De anima rappresenta «l’appetizione di ciò che è piacevole», Heidegger in Essere e tempo l’ha connesso ontologicamente alla natura dell’uomo, mentre Spinoza incantò romantici e idealisti con la definizione dell’Etica: «La tristezza che riguarda la mancanza della cosa che amiamo».

Ravasi in Non desidererai la moglie e la casa del tuo prossimo ricorda che il desiderio è una delle componenti capitali e positive della spiritualità biblica, anche se per la fede continua a conservare un’ambiguità.

Del resto, nella Prima Lettera di Giovanni (2,16) si legge il monito contro la bramosia che lo ha trasformato in concupiscenza. Senza la quale, tuttavia, per Oscar Wilde, la vita si riempirebbe di sbadigli. Ha scritto in Lady Windermere’s Fan: «Preferisco le donne con un passato. La loro conversazione è sempre così maledettamente divertente».



Giovedì 07 Ottobre,2010 Ore: 14:05
 
 
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Dottrina della fede secondo Ratzinger

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