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www.ildialogo.org IL LUPO ALLEVATO NELL'OVILE E LE INCOERENZE PAPALI. FORSE E' L'ORA DI UN CONCILIO. Una nota di Aldo Bodrato e un articolo di Paolo Flores D'Arcais,a cura di Federico La Sala

L’AMORE ("DEUS CHARITAS EST": 1 GV. 4.8), LA VERITA', E LA GIUSTIZIA. Il teologo Ratzinger scrive da papa l’enciclica "Deus caritas est" (2006) e, ancora oggi, nessuno ne sollecita la correzione del titolo. Che lapsus!!! O, meglio, che progetto!!!
IL LUPO ALLEVATO NELL'OVILE E LE INCOERENZE PAPALI. FORSE E' L'ORA DI UN CONCILIO. Una nota di Aldo Bodrato e un articolo di Paolo Flores D'Arcais

(...) I lupi che dilaniano la Chiesa non sono emanazioni del nemico, ma i frutti malati della stessa formazione seminariale della Chiesa, che ha come perno generale la richiesta di riconoscersi chiamati al celibato, imposto come legge prima e quasi unica, e l’esclusione delle donne dal presbiterato stesso e da ogni vero ruolo costruttivo nel curriculum formativo del prete e da ogni incarico di rilievo nella Chiesa (...)


a cura di Federico La Sala

Il lupo allevato nell’ovile

  di Aldo Bodrato

  in “il foglio” (mensile di alcuni cristiani torinesi) n° 371 dell’aprile 2010 
  [da: www.finesettimana.org]

Lo scandalo dei preti pedofili, dopo aver colpito la periferia, a cerchi concentrici si focalizza sempre di più sulle istituzioni portanti della Chiesa stessa, diocesi di antica e tradizionale fedeltà, collegi e comunità monastiche di secolare prestigio, istituzioni che dipendono direttamente da Roma, fino a concentrarsi sui centri stessi di formazione del clero, la pupilla dell’occhio dei papi, quel percorso formativo al presbiterato celibatario e maschile, che sono i seminari, punto di maggior resistenza del conservatorismo cattolico pre e post-conciliare.

In sostanza i lupi, che divorano la vita spirituale dei giovani fedeli e dilapidano il prestigio della Chiesa, non vengono da fuori, non entrano nell’ovile, forzando con l’astuzia delle modernità e la lusinga delle mondanità, i punti in cui il recinto è stato reso debole dalle troppe con cessioni allo spirito del tempo dagli innovatori.

È uno dei punti deboli dell’Enciclica, inviata dal papa ai vescovi d’Irlanda, non aver saputo spingersi con coraggio nell’analisi profonda delle cause secolari di questo particolare «malessere» della Chiesa, ma di essersi limitata a un più che superficiale rimando alle conseguenze della secolarizzazione e, anche peggio, a un malinteso permissivismo, conseguente la cattiva interpretazione del Concilio. La pedofilia qui denunciata ha radici ben più antiche della secolarizzazione stessa e nulla ha a che fare con lo spirito e la lettera, sia pure fraintese, del Vaticano II.

No. I lupi che dilaniano la Chiesa non sono emanazioni del nemico, ma i frutti malati della stessa formazione seminariale della Chiesa, che ha come perno generale la richiesta di riconoscersi chiamati al celibato, imposto come legge prima e quasi unica, e l’esclusione delle donne dal presbiterato stesso e da ogni vero ruolo costruttivo nel curriculum formativo del prete e da ogni incarico di rilievo nella Chiesa.

Celibato obbligatorio e marginalizzazione delle donne

Lo ripetevano da tempo teologi contestatori come Hans Küng, ora lo dicono, con formule più sfumate, anche cardinali di sicura obbedienza ratzingeriana come Schoenborn e saggisti prudenti come Lucetta Scaraffia, addirittura dalla prima pagina dell’«Osservatore Romano». Certo non dicono che il celibato e che l’esclusione delle donne dal presbiterato sono causa diretta della pedofilia presente tra il clero.

Sarebbero degli irresponsabili che esagerano ed esasperano una prospettiva da tenere presente, ma da non considerare assoluta e forse neppure prevalente. Dicono che il celibato obbligatorio e la marginalizzazione del ruolo delle donne nella Chiesa hanno un ruolo negativo nella formazione del clero, nella sua maturazione relativa al controllo e all’esercizio della sessualità. Dicono che non il celibato in sé, ma la sua obbligatorietà e esclusività, come via di accesso ai ruoli guida nella comunità ecclesiale, tende a formare nelle coscienze degli aspiranti l’idea che l’emarginazione della questione sessuale nella vita del clero sia doverosa e che una scarsa propensione all’esercizio dell’amore eterosessuale o omosessuale è premessa indispensabile e sufficiente a fare un buon prete e ad aprirgli una promettente carriera. Di qui la creazione di un percorso formativo e la diffusione di una spiritualità celibataria, disattenta alla maturazione sessuale dell’individuo e propensa a lasciare aperte vie secondarie e deviate all’esercizio della sessualità stessa.

Indubbiamente, dunque, una revisione del percorso seminariale è necessaria, come è necessaria una ridiscussione dell’obbligo celibatario per i preti e una riconsiderazione del ruolo delle donne nella Chiesa. Questo non solo in vista del contenimento di ogni tendenza sessuale deviante, ma anche del rinnovamento dei criteri con cui si risponde al bisogno di pastori qualificati per le molte comunità locali della Chiesa.

Il prete ridotto a galoppino

La pedofilia non è l’unico guaio per la Chiesa, conseguente la pratica del presbiterato celibatario e maschile. Un guaio altrettanto grave è la scarsità del clero che obbliga ad affidare più comunità ad un unico pastore. Così il ruolo del prete viene ridotto a quello di galoppino, costretto a correre qua e là per distribuire i sacramenti, riducendo gli stessi a formalità burocratiche, prive di ogni valore esistenziale e spirituale.

Accade così che non sono le necessità pastorali a determinare la formazione e la qualità dei preti, ma, al contrario, sono le regole restrittive, che presiedono alla formazione del clero, a mettere quest’ultimo nell’impossibilità di rendere alla comunità il servizio per cui sarebbe chiamato. «Sotto questo aspetto quando una comunità pastorale viene formata accorpando tra loro sette o otto parrocchie, rette da un solo parroco, accade che tutte le parrocchie vengono derubate della loro identità spesso antica e delle loro più preziose potenzialità pastorali e spirituali. E l’esperienza mostra già ora che la mancanza di una presenza costante e attiva del clero in una chiesa conduce alla vaporizzazione, all’estinzione della vita cristiana della chiesa stessa» (W. Beinert, «il Regno» n. 4 del 2010, p. 80).

La pedofilia non è dunque la sola conseguenza, più o meno diretta, del celibato ecclesiastico obbligatorio e della conseguente carenza formativa del clero dal punto di vista affettivo. Conseguenza è anche l’impoverirsi della quantità e della qualità del clero stesso. Impoverirsi che sta gradualmente distruggendo la chiesa al suo interno, privandola della possibilità di sviluppare la vita spirituale, pastorale e comunitaria delle chiese locali, che sono il vero cuore pulsante della Chiesa. Per rimediare a tutto ciò non è più possibile pensare solo ad un sinodo. Probabilmente occorre un Concilio.

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CONTRO IPAZIA, IERI E OGGI: NON SOLO IL VESCOVO CIRILLO, MA ANCHE IL VESCOVO COL PALLIO, PAPA BENEDETTO XVI. Materiali sul tema

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Pedofili, incoerenze papali

Contro la pedofilia dei suoi preti, sembra proprio che Ratzinger voglia fare sul serio. Perché allora continua a occultare la verità sul passato e ha messo online un falso?

di Paolo Flores d’Arcais (il Fatto, 28.04.2010

Contro la pedofilia dei suoi preti, sembra proprio che Papa Benedetto XVI voglia fare sul serio. Perché allora continua a occultare la verità sul passato e ha messo online un falso? Padre Federico Lombardi, infatti, non agisce di testa propria, è il portavoce della Santa Sede, e inoltre è persona di squisita gentilezza. Se dunque non ha risposte alle “quattro domande cruciali” che con una mia lettera aperta questo giornale gli ha rivolto una settimana fa non è perché non ha voluto, è perché non poteva: non aveva la “licenza de’ superiori”.

Avesse potuto, infatti, avrebbe dovuto confessare quanto segue: la frase chiave “Va sempre dato seguito alle disposizioni della legge civile per quanto riguarda il deferimento di crimini alle autorità preposte” contenuta nelle famose “linee guida” sulla pedofilia, messe online sul sito ufficiale del Vaticano lunedì 12 aprile, e presentate da padre Lombardi come “disposizioni diramate fin dal 2003” (sito dell’Avvenire, quotidiano della Cei) non risale affatto al 2003 ma è stata coniata nuova di zecca nel weekend del 10-11 aprile. Al responsabile dell’autorevolissima agenzia internazionale “Associated Press”, Victor Simpson, che chiedeva lumi sulla posizione della Chiesa in fatto di pedofilia, padre Lombardi inviava infatti il venerdì 9 aprile un documento in inglese identico a quello messo online il lunedì successivo, tranne la frase chiave di cui sopra, che non compariva. E che perciò è stata partorita durante il weekend.

Come altro si può chiamare in buon italiano una manipolazione del genere se non un “falso” (“falso: non corrispondente al vero in quanto intenzionalmente deformato”, Devoto-Oli)? Perché tutto l’interesse di quel documento si concentrava nella famosa frase chiave, che non a caso è stata sbandierata come la dimostrazione di una volontà della Chiesa - da anni - di collaborare con le autorità civili, rispettandone le leggi anche quando esse impongono a un vescovo di denunciare alla magistratura inquirente il suo prete sospetto di pedofilia.

E’ dunque falso, assolutamente falso, che la Chiesa cattolica gerarchica avesse già nel 2003 fatto obbligo ai suoi vescovi e sacerdoti di “dare seguito alle disposizioni della legge civile per quanto riguarda il deferimento di crimini alle autorità preposte”. All’epoca era vero, anzi, il tassativo obbligo opposto: tacere assolutamente alle autorità civili, in ottemperanza al “segreto pontificio”, che comporta addirittura un giuramento al silenzio fatto solennemente sui vangeli, la cui formula terribile abbiamo riportato in un precedente articolo (cfr. Il Fatto del 10 aprile).

E’ perciò altrettanto falso quanto ha sostenuto mons. Scicluna nei giorni scorsi, secondo cui “accusare l’attuale pontefice [per quando era cardinale Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede] di occultamento è falso e calunnioso (...) in alcuni paesi di cultura giuridica anglosassone, ma anche in Francia, i vescovi, se vengono a conoscenza di reati commessi dai propri sacerdoti al di fuori del sigillo sacramentale della confessione, sono obbligati a denunciarli all’autorità giudiziaria”. Questa non è la dichiarazione di un carneade qualsiasi, perché, come spiega il suo intervistatore Gianni Cardinale “monsignor Charles J. Scicluna è il ‘promotore di giustizia’ della Congregazione per la Dottrina della Fede.

In pratica si tratta del pubblico ministero del Tribunale dell’ex sant’Uffizio”. Che l’affermazione di monsignore sia falsa lo prova ad abundantiam la testimonianza dei giorni scorsi del cardinale Dario Castrillon Hoyos, tuttora tra i più stretti collaboratori di Papa Ratzinger, che ha ricordato come fosse stato Giovanni Paolo II in persona a fargli scrivere una lettera di solidarietà e sostegno a un vescovo francese che per il rifiuto a testimoniare contro un suo prete pedofilo era stato condannato a tre mesi con la condizionale.

Padre Federico Lombardi ha opposto un “no comment” alle affermazioni (palesemente inoppugnabili) del porporato colombiano, ma ha aggiunto che l’episodio “dimostrava e dimostra l’opportunità della unificazione delle competenze in capo alla Congregazione per la Dottrina della Fede”. Non rendendosi conto che tale “unificazione” avviene nel maggio del 2001, mentre la lettera del cardinale, per volere di Papa Wojtyla, è del settembre dello stesso anno, dunque è successiva, e conferma l’unica interpretazione che di quella “unificazione” si può dare: il più assoluto segreto era assolutamente centralizzato per renderlo ancora più catafratto. Perché perciò tutto questo sabba di menzogne, visto che Benedetto XVI sembra davvero intenzionato a cambiare atteggiamento, e a non occultare più alle autorità secolari i casi di pedofilia ecclesiastica (il vescovo di Bolzano e Bressanone ha inviato in procura le prime denunce)?

Perché scegliendo la Verità dovrebbe riconoscere che il suo predecessore aveva ribadito come dovere sacrosanto l’omertà rispetto a magistrati e polizia, e difficilmente dopo tale ammissione potrebbe elevare Karol Wojtyla all’onore degli altari. Perché dovrebbe confessare Urbi et Orbi che la svolta è di questi giorni, e che egli stesso, come cardinale Prefetto (e in larga misura anche nei primi anni del Pontificato) non ha trovato il coraggio di chiedere coram populo (non sappiamo cosa pensasse in interiore homine) una politica della trasparenza e della denuncia ai tribunali, contribuendo con ciò all’impunità di un numero angoscioso di pedofili, che se prontamente messi in condizione di non nuocere avrebbero risparmiato la via crucis di migliaia di vittime. Perché dovrebbe ammettere che a tutt’oggi il suo portavoce si è prodigato in un lavoro di raffinata disinformacija, e consentirgli (o intimargli: non sappiamo se padre Lombardi soffra per quanto ha dovuto manipolare) di cambiare registro. Perché...



Mercoledì 28 Aprile,2010 Ore: 09:56
 
 
Commenti

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Autore Città Giorno Ora
Nicola Giuliani Alberobello 31/5/2010 01.39
Titolo:CELIBATO CONTRO NATURA
Viene spesso ripetuto da autorevoli esponenti della Chiesa che il celibato o meglio il voto di castità non centra niente con la pedofilia. Teologi cattolici come Vito Mancuso o Hans Kung la pensano diversamente e Tullia Zevi, ex Presidente delle Comunità ebraiche in Italia, in un suo articolo sul Corriere della sera ha definito CONTRO NATURA il celibato, meravigliandosi che Benedetto XVI non riesca ancora a convincersi che è un\'assurda arcaica forzatura. E\' chiaro che questo stato di sessualità repressa porta molto facilmente non solo ad infrangere il voto di castità (viene frequentemente insidiato l’altro sesso o si da sfogo, nel proprio ambiente, a tendenze omosessuali) ma porta anche a devianze estreme,quale la pedofilia, laddove ci sono ragazzi che praticano per motivi religiosi le parrocchie e le attività ad esse connesse. Quest\'ultimo fenomeno che si riscontra, forse meno frequentemente, anche al di fuori dell\'ambiente religioso ha sicuramente origine in motivazioni comunque connesse alla sessualità, non equilibratamente vissuta. La repressione innaturale di questo stimolo ingrandisce vistosamente il fenomeno.
E\' forse ora che l’argomento della imposizione del celibato, invalsa da tempo con estremo rigore nella Chiesa Cattolica, venga decisamente affrontato e discusso in modo esauriente anche al di fuori dell’ambiente ecclesiastico, statuendo normativamente la non liceità di imposizioni del genere da parte di chicchessia. Il non farlo induce spesso altre associazioni religiose a creare ulteriori assurde limitazioni alla normale vita delle persone, che in vario modo entrano a farne parte.

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