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www.ildialogo.org LA QUESTIONE DELLA GIUSTIZIA IN ITALIA,di NINO LANZETTA

La settimana politica irpina
LA QUESTIONE DELLA GIUSTIZIA IN ITALIA

di NINO LANZETTA

In una riflessione, apparsa sul Corriere dell’Irpinia di domenica23, l’onorevole Giuseppe Gargani, più volte deputato al Parlamento italiano per la democrazia cristiana e più volte europarlamentare per Forza Italia prima e per il PDL dopo, nonché responsabile del settore giustizia dello stesso partito per diversi anni, ha sostenuto una tesi del tutto singolare. Riassunta fedelmente seppur in maniera succinta: che la solita Procura di Milano ha fatto scoppiare il caso, più per mettere in pubblico gli aspetti morali della vicenda, sia per la “probabile incompetenza degli Uffici ad indagare, sia per lo spiegamento di forze e la quantità delle intercettazioni” che per perseguire i reati. L’indagine sarebbe stata fatta per colpire il suo stile di vita e gli aspetti morali, quindi per fini politici E conclude che siamo di fronte ad uno scontro tra magistratura e Governo e che tale ennesimo scontro abbia compromesso – per colpa dei giudici- l’equilibrio istituzionale. La tesi non è originale né nuova e fa parte del copione governativo. La considerazione finale è che se Berlusconi ha beneficiato, negli anni novanta, della distruzione dei partiti a seguito della campagna giudiziaria di Tangentopoli, non è poi stato in grado di far approvare una riforma della Giustizia che ripristinasse l’autonomia del Parlamento rispetto al potere giudiziario e preservasse il potere politico dai giudici senza lasciarlo succube di una certa magistratura che fa politica e che conserva per se stessa le immunità di casta. In tutto il ragionamento è implicito che l’autore accredita ( e non da oggi) la tesi di una funzione politica di una certa magistratura. Naturalmente sia nelle conclusioni che nell’assunto, (che la Procura si è mossa, anche stavolta come nel 1994, per meri fini politici), non porta uno straccio di prova o di analisi suffragata da fatti concludenti. Il tutto in modo del tutto apodittico e secondo la difesa “televisiva” degli arcieri del Cavaliere.
Per quanto riguarda il caso Ruby (che sta coprendo di ridicolo l’Italia di fronte all’universo mondo!) arriva a dire – come sostengono tutti quelli che dicono che non si devono fare i processi in televisione e poi, di fatto, li fanno sbandierando ai quattro venti le ragioni della difesa come verità inconfutabili – che si è giunti ad una “perversione della civiltà giuridica”. Le intercettazioni presentate, infatti, non sono sufficienti a provare i reati e sono state rese pubbliche solo per fini politici. Dovrebbero essere rese pubbliche solo dopo la celebrazione dei processi. Tace sul fatto che a renderle pubbliche sono stati i parlamentari e non i giudici e non sarebbero state presentate al Parlamento se fosse stata permessa la perquisizione degli Uffici del rag. Spinelli, suo factotum per le faccende familiari. Sulla questione sostiene, in modo palese e conseguente, che l’immoralità non esiste se non vengono provati e sanzionati prima i reati. Ergo non se ne dovrebbe parlare! Il peccato, insomma, non lo fa il peccatore ma chi lo racconta. Davvero singolare!  Anche perché il Giornale della famiglia Berlusconi e i vari Gasparri, La Russa e compagni si sono sempre distinti in operazione di fango (vedi “abbiano una banca” di Fassino, l’affare Moffo e la casa di Montecarlo!). Come se non fosse un “fatto” incontestabile e sotto gli occhi del mondo intero, che alcune prostitute avevano il numero del cellulare privato del Premier; che molte di loro, starlette, vallette, meteorine, escort, frequentavano le dimore del Cavaliere e vi accedevano, senza essere identificate; che il Presidente in persona ha telefonato alla Questura di Milano perché Ruby, sua conoscente e "nipote di Mubarak" , venisse consegnata in affidamento ad una consigliera regionale, Nicole Minetti, oggi indagata per favoreggiamento alla prostituzione con Lele Mora ed Emilio Fede, suoi collaboratori. Sono fatti questi, al di là di possibili reati, tutti da accertare, che andavano nascosti alla pubblica opinione? L’onorevole Gargani lo pensa! Il guaio dell’Italia è che non è il solo! Un’ultima riflessione: l’onorevole Gargani pensa davvero che per questi fatti, sicuramente avvenuti e non smentiti, il Presidente non debba dimettersi per difendersi nei processi e nel minor tempo possibile? Ritiene che ci possa essere un’impunità parlamentare che comprenda i reati comuni anche quelli più gravi come la concussione, la corruzione, la frode fiscale ? Certo la giustizia deve andare oltre il Cavaliere ma – almeno per il tempo presente- comprendere anche il Cavaliere, pure se eletto dal popolo!
NINO LANZETTA


Luned́ 24 Gennaio,2011 Ore: 15:11
 
 
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