L’altra sera abbiamo rivisto De Mita a La Sette in un programma di Luisella Costamagna e di Luca Telese. Era un altro De Mita, non quello che opera da moltissimo tempo, ormai, solo in Campania ed in Irpinia, ma quello, per così dire, tipo esportazione. Era, infatti, il De Mita “scienziato della politica” come lo ha definito Telese, che sciorinava le sue analisi politiche e le sue riflessioni e sembrava un gigante di fronte a tanti nani del panorama dei politici di oggi.

Come non condividere alcune idee sulla degenerazione della politica della seconda Repubblica e della crisi del sistema, esposte, con semplicità e chiarezza – anche se non in fiorentino, come lui stesso ha tenuto a precisare- da un politico del massimo livello della prima Repubblica, anch’essa, però, andata in crisi e non a caso perché i suoi esponenti – a parte Moro, che pagò con la vita- non seppero prevedere il futuro e attrezzare i partiti alla nuova società che cambiava ad un ritmo impetuoso!

Come non condividere l’idea che la politica oggi è divenuta solo delegittimazione dell’avversario, interno ed esterno al partito? Mai proposta alternativa sulla soluzione dei problemi ma solo conquista del potere e suo esercizio per nulla rivolto alla tutela di interessi generali? Che il bipolarismo, così come si è realizzato, è una “macchina imperfetta”e che il sistema bipolare, invece, avrebbe dovuto rappresentare una competizione tra forze politiche alternative con progetti di modelli da sottoporre all’approvazione degli elettori? Che i politici sono diventati come quei medici che si accapigliano sul letto del paziente senza mai individuare la diagnosi e prescrivere la cura? Che tutto è finalizzato alla sola conquista del potere? Che il sistema bipolare è servito a far vincere le elezioni ma non a governare?

Quando, poi, la discussione si è focalizzata, più specificatamente sul PD, sono ricomparsi i rancori e le vendette. La lotta tra D’Alema e Veltroni, come quella tra Fini e Berlusconi, è davvero “stucchevole”. Fin qui le idee che si possono facilmente condividere. Ma faremmo grave torto alla sua intelligenza se non ponessimo l’accento, pur nella sua lucida analisi politica, sulla mancanza di un elemento essenziale, senza il quale ogni giudizio appare falsato. Al contesto descritto è mancato (volutamente?) un qualsiasi accenno all’anomalia del berlusconismo. Forse non a caso la sua reticenza è stata utile all’esposizione delle teorie dell’oggi. E in più, avrebbe dovuto aggiungere al “De Mita pensiero” valido per l’esportazione, anche il “De Mita azione” ad uso interno e spiegare la sua alleanza, dopo quella con Bassolino ed il centro sinistra, con Cosentino e Caldoro e con il centro destra di Berlusconi, che in Campania gli ha permesso – utilizzando la politica dei due forni- di stare al centro della scena politica e di determinarne gli equilibri per un tempo che in politica è secolare! Lo stridore è forte e avvertibile.

Quello dell’altra sera, insomma, è stato il De Mita pensiero tipo esportazione che noi avremmo preferito largamente al De Mita azione che in Campania, da ormai cinquant’anni, disattende a tutte le analisi che fa nel resto d’Italia, perseguendo un’occupazione del potere che si è sempre dimostrata sterile di risultati e mai finalizzata a risolvere “i problemi della gente” e, spesso, neanche ad indicarli.