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Notizie dall'Irpinia
Bancarotta e frode, blitz della Guardia di Finanza in tre comuni dell'Irpinia

Eseguite nella mattinata odierna 3 ordinanze di custodia cautelare a conclusione di una attività d’indagine per bancarotta fraudolenta nei confronti di una ditta calzaturiera. Sequestrati beni per complessivi 500.000 euro (una FERRARI F40, una FERRARI Testarossa, una FERRARI Scaglietti ed una MINI Cooper). False fatturazioni per quasi 900.000 euro: recuperati a tassazione oltre 4 milioni di euro.


Di seguito ecco i dettagli dell'operazione così come raccontata in un comunicato della Guardia di Finanza di Avellino. Dal racconto della Guardia di Finanza risulta l'estrema debolezza del tessuto sociale dell'Irpinia e di come la struttura produttiva sia largamente impregnata di attività delinquenziali. Nella foto una delle auto Ferrari sequestrate.

Alle prime luci dell’alba di stamani gli uomini del Nucleo Polizia Tributaria di Avellino hanno dato esecuzione a 3 ordinanze di custodia cautelare (una in carcere e due agli arresti domiciliari) in Prata di Principato Ultra, Montemiletto, Venticano e nei confronti dei responsabili di bancarotta fraudolenta inserita in un più articolato contesto di frode fiscale. I provvedimenti cui si è data esecuzione stamane si aggiungono ad un analoga ordinanza che ha visto, già nel mese di luglio dell’anno scorso, già oggetto di un provvedimento restrittivo (ordinanza di custodia cautelare in carcere) un altro degli 8 responsabili dell’illecito, tutti oggetto di specifica richiesta di rinvio a giudizio nei giorni scorsi, a chiusura della fase delle indagini preliminari curate dalla Procura della Repubblica di Avellino.

I dettagli della complesaa attività d’indagine, coordinata dalla Procura della Repubblica di Avellino e sviluppata nel concreto dagli uomini del tenente colonnello Gerardo Nocera, sono stati illustrati dal Comandante Provinciale, colonnello Mario Imparato, nel corso di una conferenza-stampa che ha visto la presenza del Procuratore della Repubblica di Avellino (dr. Angelo Di Popolo) e del Sostituto Procuratore che ha coordinato l'attività d'indagine (dr.ssa Maria Luisa Buono).

Gli accertamenti sono stati avviati, ormai tre anni or sono, a seguito del fallimento di una società con sede in Atripalda e opificio ubicato in Pietradefusi (AV), operante nel settore calzaturiero: sin dall’inizio l’attività delle Fiamme Gialle evidenziava gravi anomalie nella gestione dell’impresa ed, in particolare, la messa in atto di specifici accorgimenti finalizzati alla sottrazione di beni dal patrimonio societario. Già nella prima fase delle indagini emergeva che il formale amministratore unico della società, tale M.E. (di anni 56), nato a Prata di Principato Ultra, fosse solo un prestanome rispetto ai reali gestori dell’attività, identificati per D.B.G. (di anni 50), nato a Montemiletto, e P.R. (di anni 48), nato ad Avellino e P.I. (di anni 53), nato a Tivoli.

Già nel mese di luglio 2011 si è proceduto nei confronti del suddetto P.I. (fermo di polizia giudiziaria, successivamente convalidato e convertito in ordinanza di custodia cautelare in carcere, protrattasi sino alla fine dell’anno scorso) mentre gli altri 3 responsabili sono stati oggetto dei provvedimenti restrittivi nella mattinata odierna. I reati contestati sono riconducibili alla bancarotta fraudolenta, alla ricettazione ed al falso.

Per le responsabilità emerse nella fase successiva alla dichiarazione di fallimento sono stati inoltre denunciati alla Procura della Repubblica di Avellino altri soggetti comunque coinvolti. Trattasi in particolare di R.D. (di anni 38), nato a Nola (NA) e di S.A. (di anni 56), nato a Montemiletto (AV) per ricettazione oltre ad S.L. (di anni 29), nata a Benevento e ad A.C. (di anni 25), nato a Avellino, per falso: tutti sono stati oggetto della citata richiesta di rinvio a giudizio della Procura della Repubblica di Avellino.

Il meccanismo di frode si articolava su tre fasi, con tanto di accordo tra i citati effettivi gestori e l’amministratore “testa di legno” al quale andava il 10% sugli utili: in un primo periodo la società acquisiva commesse attinenti l’effettuazione di lavorazioni altamente specializzate per conto di una notissima casa di produzione italiana con sede nelle Marche. In tale fase la società calzaturiera di Atripalda mediante bilanci fittizi mai depositati alla Camera del Commercio, riusciva a dimostrare una consistenza patrimoniale che, unita alle commesse in essere, gli facilitava l’accesso a linee di credito agevolate presso istituti bancari nonché la possibilità di ottenere numerosi finanziamenti.

Nella seconda fase la società, una volta consolidata la sua posizione, poco alla volta iniziava a crearsi passività sempre più ingenti, per un ammontare complessivamente quantificato in 7.043.791,91 sia attraverso l’accensione di finanziamenti, per l’acquisto di autoveicoli di lusso (Ferrari, Mini Cooper, BMW, Jaguar) ed altri mezzi, sia omettendo il pagamento di imposte e contributi (previdenziali ed assistenziali), arrivando per quest’ultimi a maturare nei confronti dell’erario un debito pari a 2.018.000 euro, per le numerose posizioni lavorative del personale dipendente.

La terza e ultima fase prevedeva lo svuotamento dei conti correnti unito al contestuale passaggio delle prestigiose commesse ad altra società con analoga compagine sociale e medesima ragione sociale, destinata a prendere il posto di quella destinata al fallimento, ridotta ormai ad una scatola vuota.

Un sistema articolato di truffe per acquisire sempre più disponibilità finanziarie nell’immediato salvo poi farle “sparire” alla richiesta di restituzione. In tale contesto merita un cenno anche una ulteriore particolare modalità utilizzata per l’acquisizione di contante: a fronte di prelievi di carburante ufficialmente documentati presso un distributore (gestito da una società avente il medesimo asset societario rispetto a quella oggetto del fallimento), non corrispondeva di fatto alcuna erogazione di prodotto, con una differenza tra quanto erogato e quanto incamerato che veniva compensata attraverso prelievi di denaro contante dalla cassa del distributore. Il carburante veniva poi erogato a ditte di autotrasporti compiacenti, i cui automezzi erano dotati di serbatoi estremamente capienti, a fronte di pagamenti in cash. Alla fine le passività finanziarie si traducevano in un fiume di contante che copiosamente veniva prelevato dai conti societari, di cui prelievi non giustificati e spartiti tra i responsabili dell’illecita attività per circa 4 milioni di euro. Il quadro era completato da una serie di “distrazioni” dal patrimonio della società fallita, sia di fondi (sottratti mediante l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti ed illegittimi trasferimenti finanziari) che di beni mobili (fraudolentemente trasferiti). Per quanto attiene tale parte finanziaria, le fatture erano emesse da una società formalmente distinta da quella fallita ma in realtà avente medesima compagine societaria e ragione sociale, costituita al solo fine di “succedere” a quest’ultima nella sua attività manifatturiera a fronte di prestazioni di servizi mai avvenute (nel totale si è trattato di 878.000 euro).

Avuto riguardo ai trasferimenti di beni, i valori oggetto di distrazione sono stati quantificati in un importo complessivo di 1.792.066,52 euro. La ricostruzione delle operazioni economiche che hanno interessato la società è stata resa ancor più ardua dal fatto che la documentazione fiscale e societaria non era stata depositata all’atto della dichiarazione di fallimento in quanto distrutta e/o comunque occultata. Per tale motivo, nel corso delle indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Avellino (dr.ssa Maria Luisa Buono), i finanzieri, agli ordini del tenente colonnello Gerardo Nocera, si sono avvalsi dello strumento degli accertamenti bancari, di controlli di coerenza esterna, oltre alle numerose testimonianze di operai e maestranze. E proprio con riferimento a tale ultimo elemento era infine rilevato anche un promiscuo utilizzo del personale dipendente, specie nell’ultima fase, che era di fatto utilizzato per lavorare commesse già trasferite alla nuova ditta ma formalmente rimaneva in carico alla società destinata a morire (con conseguente aggravio contributivo che si traduceva in un’ulteriore valenza di condanna al fallimento).

A rendere più complicato il tutto, si aggiungeva anche la ritrosia a rivelare aspetti di interesse per l’indagine da parte di alcuni di coloro che gravitavano intorno alla società, una reticenza che si accompagnava a tentativi di “alleggerimento” di responsabilità producendo scritti e documentazione finalizzati ad addossarle ad altri. Tale copiosa mole di esposti/denunce artatamente prodotte ha dato origine,. Nel tempo, ad una serie innumerevole di procedimenti penali tutti incardinati presso l’A.G. di Avellino che, nei fatti, hanno reso ancor più difficile il rapido precedere delle investigazioni.

Al fine di tutelare i diritti dei creditori della società fallita, nel mese di luglio 2011 su delega dell’A.G. inquirente si dava corso alla fase palese dell’operazione con il sequestro dei beni oggetto di distrazione nonché, per la sussistenza dei requisiti previsti dalla legge, con l’esecuzione dello specifico provvedimento restrittivo nei confronti del citato P.I..

All’aspetto giudiziario è conseguita una deriva di natura più squisitamente tributaria che, sulla base di quanto accertato nel corso delle indagini, consentiva l’assoggettamento a tassazione dei proventi di natura illecita (come si è detto in precedenza, quantificati in oltre 4.000.000 di euro) e la contestazione di false fatturazioni per quasi 900.000 euro.



Lunedì 04 Giugno,2012 Ore: 17:15
 
 
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