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www.ildialogo.org Per un nuovo sole e un sereno destino.,di I lavoratori della Irisbus - Resistenza Operaia

Irisbus
Per un nuovo sole e un sereno destino.

di I lavoratori della Irisbus - Resistenza Operaia

Vicenda Irisbus Iveco ha vissuto negli ultimi mesi un periodo di stallo. Sembra che tutto sia stato dimenticato: la lotta dei 117 giorni già è storia che appartiene ad un passato remoto, il destino dei 700 lavoratori, delle famiglie e dell’intera Valle Ufita è in balìa di assordanti silenzi e colpevoli assenze.

I lavoratori tutti hanno vissuto drammaticamente l’abbandono a se stessi, ma hanno deciso di recuperare terreno e di riaprire la lotta per far sentire altisonante e decisa la voce della giustizia sociale e della riappropriazione del diritto al lavoro.

Se altri hanno deciso di dimenticare noi invece abbiamo giurato di non dismettere, di continuare a sperare e soprattutto di continuare a resistere.

È per questi motivi che mercoledì 28 marzo alle ore 9.00 in Valle Ufita verrà montata la nuova “Tenda della Resistenza” intesa come luogo di informazione e di direzione, una tenda di proposte, di iniziative, di lotta, ed idee che guardano al futuro cercando di riaccendere le luci sulla vicenda Irisbus per trovare la via d’uscita da questo nero tunnel nella certezza di scoprire un nuovo sole e un sereno destino.

… e la Lotta Continua!

Mirabella Eclano, lì 24 Marzo 2012

I lavoratori della Irisbus - Resistenza Operaia



Domenica 25 Marzo,2012 Ore: 17:14
 
 
Commenti

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 25/3/2012 23.57
Titolo:PER UN NUOVO SOLE. Che l'avvenire sia bello, degno di esseri umani liberi, giust...
CARI LAVORATORI DELLA IRIS

IN SPIRITO DI TOTALE SOLIDARIETA' CON LA VOSTRA RESISTENZA E CON IL VOSTRO "URLO" DI SPERANZA E DI GIUSTIZIA "per un nuovo sole e un sereno destino", VI ALLEGO UN MIO BREVE TESTO DI CIRCA 6 ANNI FA. Mi auguro che possa essere utile per fornire ulteriori idee ed energie alla vostra determinazione di "resistere, resistere, resitere" - ancora e sempre!!!

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Salviamo la Costituzione e la Repubblica che è in noi

di Federico La Sala (Libertà - quotidiano di Piacenza, 08.06.2006, p. 35)

Il 60° anniversario della nascita della Repubblica italiana e dell’Assemblea Costituente, l’Avvenire (il giornale dei vescovi della Chiesa cattolico-romana) lo ha commentato con un “editoriale” di Giuseppe Anzani, titolato (molto pertinentemente) “Primato della persona. La repubblica in noi” (02 giugno 2006), in cui si ragiona in particolar modo degli articoli 2 e 3 del Patto dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ Costituenti.

Salvo qualche ’battuta’ ambigua, come quando si scrive e si sostiene che “il baricentro dell’equilibrio resta il primato della persona umana di cui è matrice la cultura cattolica” - dove non si comprende se si parla della cultura universale, di tutto il genere umano o della cultura che si richiama alla particolare istituzione che si chiama Chiesa ’cattolica’ (un po’ come se si parlasse in nome dell’Italia e qualcuno chiedesse: scusa, ma parli come italiano o come esponente di un partito che si chiama “forza...Italia”!?), - il discorso è tuttavia, per lo più, accettabile...

Premesso questo, si può certamente condividere quanto viene sostenuto, alla fine dell’editoriale, relativamente al “diritto alla vita” (“esso sta in cima al catalogo ’aperto’ dell’articolo 2, sta in cima alla promessa irretrattabile dell’art. 3”) e alla necessità di una responsabile attenzione verso di essa (“Non declini mai la difesa della vita; senza di essa è la Repubblica che declina”).

Ma, detto questo, l’ambiguità immediatamente ritorna e sollecita a riporsi forti interrogativi su che cosa stia sostenendo chi ha scritto quanto ha scritto, e da dove e in nome di Chi parla?!

Parla un uomo che parla, con se stesso e con un altro cittadino o con un’altra cittadina, come un italiano comune (- universale, cattolico) o come un esponente del partito ’comune’ (’universale’, ’cattolico’)?

O, ancora, come un cittadino di un partito che dialoga col cittadino o con la cittadina di un altro partito per discutere e decidere su quali decisioni prendere per meglio seguire l’indicazione della Costituzione, della Legge dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ che ci ha fatti - e invita a volerci! - uomini liberi e donne libere, cittadini-sovrani e cittadine-sovrane?!

Nonostante tante sollecitazioni a sciogliere i nodi e chiarirsi le idee da ogni parte - dentro e fuori le istituzioni cattoliche, c’è ancora molta confusione nel cielo del partito ’cattolico’ italiano: non hanno affatto ben capito né la unità-distinzione tra la “Bibbia civile” e la “Bibbia religiosa”, né tantomeno la radicale differenza che corre tra “Dio” [Amore - Charitas] e “Mammona” [Caro-Prezzo - Caritas] o, che è lo stesso, tra la Legge del Faraone o del Vitello d’oro e la Legge di Mosè!!! E non hanno ancora ben-capito che Repubblica dentro di noi ... non significa affatto Monarchia o Repubblica ’cattolica’ né dentro né fuori di noi, e nemmeno Repubblica delle banane in noi o fuori di noi!!!

Il messaggio del patto costituzionale, come quello del patto eu-angelico ...e della montagna è ben-altro!!! La Costituzione è - ripetiamo: come ha detto e testimoniato con il lavoro di tutto il suo settennato il nostro Presidente, Carlo A. Ciampi - la nostra “Bibbia civile”, la Legge e il Patto di Alleanza dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ Costituenti (21 cittadine-sovrane presero parte ai lavori dell’Assemblea), e non la ’Legge’ di “mammasantissima” e del “grande fratello” ... che si spaccia per eterno Padre nostro e Sposo della Madre nostra: quale cecità e quanta zoppìa nella testa e nel cuore, e quale offesa nei confronti della nostra Legge dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’- di tutti e tutte noi, e anche dei nostri cari italiani cattolici e delle nostre care italiane cattoliche!!!

Nel 60° Anniversario della nascita della Repubblica italiana, e della Assemblea dei nostri ’Padri e delle nostre ’Madri’ Costituenti, tutti i cittadini e tutte le cittadine di Italia non possono che essere memori, riconoscenti, e orgogliosi e orgogliose di essere cittadine italiane e cittadini italiani, e festeggiare con milioni di voci e con milioni di colori la Repubblica e la Costituzione di Italia, e cercare con tutto il loro cuore, con tutto il loro corpo, e con tutto il loro spirito, di agire in modo che sia per loro stessi e stesse sia per i loro figli e le loro figlie ... l’ “avvenire” sia più bello, degno di esseri umani liberi, giusti, e pacifici! Che l’Amore [Charitas] dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ illumini sempre il cammino di tutti gli italiani e di tutte le italiane...

Viva la Costituzione, Viva l’Italia!!!

Federico La Sala

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DA RICORDARE:

Alla Costituente, su 556 eletti, 21 erano donne:

9 NEL GRUPPO DC, SU 207 MEMBRI - LAURA BIANCHINI, ELISABETTA CONCI, FILOMENA DELLI CASTELLI, MARIA IERVOLINO, MARIA FEDERICI, ANGELA GOTELLI, ANGELA GUIDI CINGOLANI, MARIA NICOTRA, VITTORIA TITOMANLIO;
9 NEL GRUPPO PCI, SU 104 MEMBRI - ADELE BEI, NADIA GALLICO SPANO, NILDE IOTTI, TERESA MATTEI, ANGIOLA MINELLA, RITA MONTAGNANA TOGLIATTI, TERESA NOCE LONGO, ELETTRA POLLASTRINI, MARIA MADDALENA ROSSI;
2 NEL GRUPPO PSI, SU 115 MEMBRI - BIANCA BIANCHI, ANGELINA MERLIN;
1 NEL GRUPPO DELL’UOMO QUALUNQUE: OTTAVIA PENNA BUSCEMI.

Federico La Sala
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/3/2012 00.27
Titolo:INTERVISTA AL PRESIDENTE DELL'ANPI, CARLO SMURAGLIA ....
Carlo Smuraglia: «Il reintegro è come l’uguaglianza nella Costituzione»

di Andrea Fabozzi (il manifesto, 22 marzo 2012)

Senatore, componente del Csm oggi presidente dell’Anpi, Smuraglia è autore di numerose opere sul diritto del lavoro. Memoria storica fondamentale per il paese, avverte: "Stiamo tornando indietro"

Partigiano combattente, professore all’Università di Milano, presidente della regione Lombardia, senatore, componente del Csm e oggi presidente nazionale dell’Anpi, Carlo Smuraglia, classe 1923, è soprattutto un maestro del diritto del lavoro. Fondamentale il suo commento allo Statuto dei lavoratori del 1970.

Professore, gli entusiasti di questa annunciata riforma del mercato del lavoro parlano di «fine di un’epoca», l’epoca cioè del «consociativismo». Siamo davvero a un passaggio storico?

Si può parlare di fine di un’epoca ma solo nel senso che si torna indietro. Cancellando a cuor leggero un principio per il quale si è combattuto per anni, e con ragione. L’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori è il frutto di una stagione di lotte, ma anche del fallimento della legge sul licenziamenti del luglio 1966. In quella legge si prevedeva, appunto, che anche nel caso di licenziamento ingiustificato riconosciuto come tale dal giudice, il lavoratore aveva diritto esclusivamente al risarcimento economico. La grande novità dell’articolo 18 fu il diritto al reintegro. Oggi torniamo al ’66.

Quanto fu difficile l’introduzione del principio dell’articolo 18 nello Statuto dei lavoratori?

Ci fu una discussione accesa in parlamento e ci furono forti pressioni contrarie degli industriali, ma fu soprattutto alla luce dell’esperienza precedente che alla fine il ministro Brodolini accettò il principio.

Ma lo Statuto fu votato da socialisti e democristiani, il Pci e il Psiup si astennero.

Le loro obiezioni erano sulla seconda parte dello Statuto, quella che riguardava la rappresentanza sindacale. Non sul reintegro per il quale si può dire che non ci fossero più dubbi addirittura dagli anni Cinquanta, dal dibattito seguito al famoso licenziamento per motivi politici del dirigente Fiat Battista Santhià. Ci fu un importante convegno nel 1955 in cui molti giuslavoristi introdussero il tema del reintegro e poi la legge del ’66 e infine lo Statuto. Ci vollero degli anni e molti scioperi, tornare indietro rispetto a tutto questo significa non capire cosa vuol dire riconsegnare al datore di lavoro la possibilità di licenziare a propria discrezione.

Ma la riforma Fornero prevede ancora il reintegro per il licenziamento discriminatorio.

Mancherebbe, su quello non ci può essere alcun dubbio. Il licenziamento discriminatorio è un atto nullo per un principio giuridico che non dipende neanche dallo Statuto dei lavoratori, ed è evidente che di fronte a un atto nullo resta in vigore la situazione precedente. Naturalmente la riforma di cui parliamo non dice che il datore di lavoro potrà licenziare a suo piacimento, ma temo che gli effetti saranno questi.

Anche nel caso di licenziamento per motivi economici?

Siamo franchi, quando ci sono delle ragioni economiche reali, una crisi aziendale, si tratta sempre di circostanze oggettive. Ma se il datore di lavoro non riesce a provarle e il giudice stabilisce che il licenziamento è infondato, perché mai non si dovrebbe ripristinare il rapporto di lavoro? Torniamo appunto a prima del ’66: sarà possibile liberarsi di un lavoratore pagando. L’imprenditore deciderà solo sulla base dei suoi costi e dei suoi benefici. E dovremmo aggiungere un altro problema.

Quale?

In molti casi persino il diritto al reintegro nel posto di lavoro si è dimostrato insufficiente, per cui più che smantellarlo si sarebbe dovuto renderlo effettivo. Pensi alla vicenda dei lavoratori Fiat a Melfi che l’azienda si è rifiutata di far tornare al loro posto e capirà come ancora oggi il principio trovi difficoltà di applicazione.

Chi parla della fine di un’epoca lo fa anche con riferimento alla mancata concertazione, anche questo è un passaggio epocale?

Mi sorprende che tutti quelli che in questi anni hanno riconosciuto la convenienza della concertazione adesso si rallegrino che sia stata stracciata. Secondo me si tratta di un errore di valutazione, soprattutto da parte del governo che non ricaverà nulla di positivo da questa scelta di rottura. Per venire incontro alle indicazioni di una parte molto liberista dell’Europa, rinuncia alla pace sociale.

La Cgil pagherà l’isolamento?

Dieci anni fa hanno riempito la piazza sull’articolo 18, è impossibile che i lavoratori abbiano cambiato idea. È vero che siamo in crisi ma i principi valgono anche in tempo di crisi. Cominciare a smantellarli è pericoloso perché non si sa mai dove si finisce. È un discorso analogo a quello che si fa sulla Costituzione. Si può cambiare, ma non si può nemmeno immaginare di toccare i principi fondamentali. E l’articolo 18 nel sistema del diritto del lavoro equivale al principio di uguaglianza nella Costituzione.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/3/2012 03.13
Titolo:Critiche di mons. Bregantini, con un passato in fabbrica, al governo Monti ...
I vescovi: l’uomo non è una merce
Soluzioni condivise
di Roberto Monteforte (l’Unità, 23 marzo 2012)
Non è lo scontro che serve al Paese. Soprattutto in questa fase. Chi può essere così sicuro che con la riforma dell’articolo 18 si risolva il problema della precarietà? Non ci si rende conto di quanto sia grave lo strappo con la Cgil, il maggiore sindacato italiano? E poi il lavoratore «non è una merce da eliminare per questioni di bilancio», ma una persona e come tale da rispettare.

Sono critiche di fondo quelle che monsignor Giancarlo Bregantini, arcivescovo di Campobasso- Bojano, presidente della commissione lavoro alla Cei e con un passato in fabbrica, muove al governo Monti. In un’intervista a Famiglia Cristiana esprime con chiarezza tutte le sue preoccupazioni per gli effetti concreti della riforma Monti-Fornero e soprattutto per la scarsa attenzione data alla dignità dell’uomo. «Con questa riforma la precarietà sarà vinta? O addirittura aumenterà?», si domanda. Parla a titolo personale il responsabile Cei per il lavoro e le questioni sociali, a pochi giorni dall’apertura del Consiglio Permanente dei vescovi.

Ma dopo che le agenzie hanno lanciato la sua intervista, anche la Cei prende ufficialmente posizione con il suo portavoce, monsignor Domenico Pompili. «La situazione del mondo del lavoro afferma Pompili - costituisce un assillo costante dei vescovi. La dignità della persona passa per il lavoro riconosciuto nella sua valenza sociale». «La Conferenza episcopale italiana - conclude - segue con attenzione le trattative in corso, confidando nel contributo responsabile di tutte le parti in campo, al fine di raggiungere una soluzione, la più ampiamente condivisa». Così la posizione di Bregantini trova copertura.

Le sue sono le preoccupazioni della Chiesa che è in prima linea nel fronteggiare la crisi economica e sociale. «I licenziamenti economici - afferma il vescovo - rischiano di generare un clima di paura in tutto il Paese». Teme che nelle aziende e nelle famiglie monti «un’ondata di terrore» per paura di vedersi licenziati per motivazioni economiche o organizzative. E aggiunge: «Una siepe protettiva sui licenziamenti economici bisognava metterla». Da qui il suo appello rivolto soprattutto ai politici perché «si possa creare una rete di diritti e di protezioni più solida».

Invoca coesione. Lasciare fuori la Cgil per questo lo giudica «un grave errore», come pure considerare questo una cosa «data quasi per scontata», come se non fosse «una cosa preziosa» per la riforma del lavoro avere il consenso del primo sindacato italiano. Va tenuto conto, infatti, che «dietro questa fetta di sindacato vi è tutto un mondo importante, cruciale da coinvolgere per camminare verso il futuro». L’altra critica è ai tempi stretti imposti per una riforma di questa portata e quel perentorio «la partita è chiusa» del premier Monti, mentre sarebbe stato necessario aprire il dialogo in Parlamento, nei luoghi di lavoro e nel Paese.

Ma è un tema etico di fondo quello che Bregantini pone di fronte ai licenziamenti «chiamati elegantemente, “flessibilità in uscita”». «Il lavoratore è persona o merce?». «Non lo si può trattare - scandisce - come un prodotto da dismettere, da eliminare per motivi di bilancio, perché resta invenduto». Poi osserva come in politica l’aspetto tecnico stia diventando prevalente su quello etico. Come sia eccessiva la «sintonia» tra profitto e aspetto tecnico.

Un promemoria della Chiesa per il premier Monti e il ministro Fornero e per tutti i cattolici impegnati in politica. Lo rilanciano in molti, da Rosy Bindi a Leonluca Orlando, che chiedono al governo di ascoltare la Cei.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/3/2012 12.20
Titolo:"L’Irisbus è nostra e non si tocca!"
"L’Irisbus è nostra e non si tocca!"

MARXVENTUNO ORGANIZZA UNA TAVOLA ROTONDA CON LE AVANGUARDIE DI LOTTA DELL’IRISBUS-IVECO, L’UNICA FABBRICA DI AUTOBUS IN ITALIA, DA OLTRE CENTO GIORNI IN LOTTA CONTRO LA CHIUSURA IMPOSTA DALLA FIAT

MarxVentuno avvia un’inchiesta sulla condizione della classe operaia dell’industria, sulle forme organizzative, sul ruolo del sindacato sulle resistenze e le lotte in corso contro chiusure e licenziamenti, sui loro sbocchi possibili e le prospettive strategiche. Lo fa dando la parola ai lavoratori e alle avanguardie delle lotte, ai protagonisti degli scioperi, dei presidi davanti ai cancelli delle fabbriche, delle assemblee permanenti, delle occupazioni degli stabilimenti. Il quadro che emerge dalla tavola rotonda organizzata con i lavoratori dell’Irisbus è di un’indomita combattività e volontà di resistenza dei lavoratori, ma pure di contraddizioni con le organizzazioni sindacali, anche con quelle, come la Fiom, che si è contrapposta a Marchionne e costituisce un presidio importantissimo, fondamentale, per la resistenza anticapitalistica, ma che non è stata esente in passato da errori di valutazione, cedimenti, pratiche consociative con le direzioni aziendali in un Mezzogiorno in cui la disoccupazione di massa è un fattore potente di corruzione e clientelismi. Solo riconoscendo i propri errori e apprendendo dall’esperienza, il movimento operaio e le organizzazioni sindacali di classe possono ricostruirsi su basi più avanzate, tanto più necessarie oggi, in un presente attraversato e sconvolto dalla grande crisi capitalistica.

L’otto luglio 2011 la Fiat comunica agli operai dello stabilimento Irisbus-Iveco in Valle Ufita, provincia di Avellino, la procedura di cessione dello stabilimento. L’unico candidato all’acquisto sarebbe il gruppo molisano Di Risio, il quale dovrebbe contrattare con gli operai un “rilancio” a partire da una drastica riduzione delle maestranze. Sull’affidabilità di Di Risio, acquirente in pectore anche della Fiat di Termini Imerese, basti dire che risulta già mul tato di 60.000 euro per falsa pubblicità: spacciava per auto italiana la produzione del Suv Dr5 completamente costruito in Cina. Gli operai non ci stanno, comincia una grande stagione di lotta. Non sono solo in gioco poco meno di 700 posti di lavoro, la vita di 700 famiglie - e molti altri con l’indotto - in un Mezzogiorno già pesantemente provato dalla crisi, ma si tratta della prospettiva industriale del nostro Paese. L’Irisbus è l’unica fabbrica di autobus in Italia.

Per istallarla e mantenerla la Fiat ha ricevuto miliardi di contributi statali, anche se non ha mai onorato l’impegno, annunciato nel settembre 1974, di occupare 3000 lavoratori a pieno regime, e ha impiegato 17 anni per adeguarsi, nel 2007, alla prescrizione degli ispettori del lavoro - mandati dalla Procura di Ariano su esposto degli operai - di sostituire il lavoro operaio con i robot nel cancerogeno e altamente nocivo reparto verniciatura. I lavoratori dell’Irisbus hanno subito coinvolto la popolazione della valle dell’Ufita e cercato il collegamento con l’intera regione Campania, dove sono a rischio 36.000 posti di lavoro. Alla manifestazione del 15 luglio a Grottaminarda partecipano quasi 10.000 persone provenienti da tutta la Regione. I lavoratori informano i cittadini, ogni occasione è buona, dalla sagra del paese più piccolo e remoto dell’Irpinia, fino al concerto di Roberto Vecchioni a Lioni.

Grande è stata la partecipazione allo sciopero generale indetto dalla CGIL il 6 settembre. Alle iniziative di lotta e alla determinazione dimostrata dagli operai, la Fiat risponde cercando di spaccare il fronte dei lavoratori: a trenta di essi offre pochi mesi di lavoro nello stabilimento di Suzzara in provincia di Mantova, dove gli operai sono in cassa integrazione! Ma il gioco non riesce, i “trasferisti di Suzzara” ritornano in Irpinia, è una cocente sconfitta per la direzione Fiat. La questione Irisbus non è una mera vertenza locale, rivela ben presto, in tutta la sua drammaticità, il suo carattere di questione nazionale e generale, perché interroga il modello di sviluppo, l’intervento pubblico in economia, la pianificazione di un settore fondamentale quale quello del trasporto pubblico.

La rivista MarxVentuno ha organizzato sabato 10 settembre nell’assolatissimo piazzale antistante la fabbrica, che gli operai presidiano giorno e notte, una tavola rotonda. A introdurre e moderare è Luca Servodio (PdCI Valle Caudina), insieme col direttore della rivista Andrea Catone e Giovanni Sarubbi, segretario provinciale del PCdI di Avellino. Sono intervenuti i lavoratori dell’Irisbus Dario Meninno (RSU-Fiom), Silvia Curcio, Nicola Ferragamo, Antonio Di Donato (Failms), nonché Rossella Iacobucci, portavoce della FdS Irpinia e Arcangelo Valentino, venuto da Bari per portare la solidarietà dei lavoratori della Bosch. [...]

* RIPRESA PARZIALE DA "MARXVENTUNO". L’articolo è tratto in anteprima dal numero in uscita di MarxVentuno (20 Ottobre 2011)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 31/3/2012 12.42
Titolo:Camusso: il Parlamento ha il dovere morale di ascoltare i lavoratori
Camusso: il Parlamento ha il dovere morale di ascoltare i lavoratori

di Giuseppe Vespo (l’Unità, 30.03.2012)

La controriforma del mercato del lavoro non passerà. Susanna Camusso lancia la sfida al governo Monti dal palco della Camera del Lavoro di Milano, per l’occasione talmente affollata da costringere la segreteria milanese della Cgil a montare degli amplificatori fuori dall’edificio.

La sindacalista è alle prese con un tour per l’Italia per spiegare le ragioni della mobilitazione: pensioni, esodati che sono i temi al centro della manifestazione unitaria del 13 aprile ma soprattutto difesa dell’articolo 18 e dei diritti dei lavoratori. «La gente ha capito di cosa stiamo parlando dice Camusso dal palco milanese e se il Paese lo vorrà, la controriforma del lavoro non passerà». Ma per riuscire nell’impresa c’è bisogno di tutti, anche di «Confindustria e delle associazioni», che hanno chiesto delle modifiche alla norma.

Il sindacato ha organizzato la sua campagna suddividendo le 16 ore di sciopero indetto in due blocchi: le prime otto ore sono destinate agli scioperi, alle assemblee e alle diverse iniziative nei vari luoghi di lavoro; le altre otto ore saranno spese in blocco nello sciopero generale che arriverà quando il disegno di legge sul Lavoro approderà alle fasi finali della discussione parlamentare. «Continueremo il 25 aprile e il Primo maggio e in tutti gli appuntamenti che abbiamo davanti e continueremo quando il dibattito sarà in Parlamento». La data dello sciopero generale sarà decisa «quando capiremo che è il momento in cui bisogna dare la risposta generale».

Perché la guerra sul lavoro si vince sul terreno del consenso: sull’articolo 18 «il governo ha deciso uno strappo, ha immaginato che il consenso fosse tale da consentire questa operazione, ma non ha funzionato». Un concetto che la sindacalista ribadisce anche su twitter, sicura com’è che «sui licenziamenti facili» Monti «non ha convinto nessuno», perché «la riforma cambia brutalmente diritti in essere». La strategia di Corso d’Italia è chiara: conquistare lavoratori e società civile per puntare alle Camere, che hanno «il dovere morale, non il dovere tecnico, di guardare a cosa pensa il Paese e a cosa pensano i lavoratori». Concetti che mettono in allarme il Pdl, che vuole portare a casa il pacchetto del governo così com’è, escludendo qualsiasi passo indietro.

È presto per dire come andrà a finire ma la Cgil sente di avere «il passo di chi resiste e continua a farlo e non quello di chi ha preoccupazioni o qualche paura. Non siamo sicuri di vincere, ma siamo sicuri della nostra battaglia. Noi non basiamo le nostre ragioni sui sondaggi che sono mutevoli ma sulla conoscenza della realtà e dei suoi problemi».

Parole che la segretaria di Corso Italia ripeterà nei prossimi giorni alle riunioni con i delegati di Bologna, Parma, Cremona e Pavia. Intanto da Milano rilancia la lotta su pensionati e esodati, entrambi pesantemente colpiti dal pacchetto governativo «Salva Italia». In particolare i secondi, oggi si trovano senza pensione e senza stipendio: per Camusso è «scandaloso» che neanche l’Inps «sia in grado di quantificare il problema», ovvero il numero di queste persone.

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