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www.ildialogo.org Intervista su Mediterranean Hope a Giovanna Scifo e a Marta Bernardini,di Agenzia NEV del 18/11/2015

VERSO L'ASSEMBLEA DELLA FCEI (Pomezia/Roma, 4-8 dicembre 2015)
Intervista su Mediterranean Hope a Giovanna Scifo e a Marta Bernardini

di Agenzia NEV del 18/11/2015

Roma (NEV), 18 novembre 2015 – Prosegue la rubrica di interviste e schede dell'Agenzia NEV in vista della XVII Assemblea della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), che si terrà dal 4 all'8 dicembre prossimi a Pomezia (Roma). Questa settimana pubblichiamo due interviste a operatrici del progetto Mediterranean Hope della FCEI: una a Giovannella Scifo, referente della Casa delle culture di Scicli, e l’altra a Marta Bernardini, dell’Osservatorio sulle migrazioni mediterranee a Lampedusa.

Giovannella Scifo: “Casa delle culture, una scommessa della FCEI”
 Quando e come ha preso avvio la vostra struttura “Mediterranean Hope – Casa delle culture” a Scicli?
La nostra attività è iniziata nel dicembre 2014, eravamo determinati nell’idea di poter sperimentare un modo nuovo di fare accoglienza, che fosse all’insegna della dignità umana e della speranza e che poi abbiamo messo in atto con le persone che sono state accolte presso la Casa delle culture. Scicli, che si trova in provincia di Ragusa, è un centro ricco di storia e di cultura situato a poca distanza da Pozzallo; era dunque il luogo più adatto per poter aprire una struttura, anche perché nella città è presente un’attiva comunità metodista. La prefettura, dopo la nostra apertura, ha ritenuto che la nostra Casa potesse essere il luogo adatto ad ospitare le situazioni più vulnerabili: i minori non accompagnati e le donne in gravidanza o con figli.
 Vi chiamate Casa delle culture. Cosa significa?
E’ stata la scommessa della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI). E’ attraverso la cultura che si abbatte il muro delle incomprensioni e delle paure, per oltrepassare le chiusure e gli stereotipi che accompagnano il tema dell’accoglienza di rifugiati e richiedenti asilo. Feste, cene multietniche, dibattiti, concerti, incontri con la comunità sciclitana hanno creato relazioni e rapporti importanti tra la comunità residente a Scicli e le persone che noi ospitiamo.
 Quante persone potete ospitare attualmente e quante sono passate nella Casa delle culture?
Possiamo ospitare sino a 40 persone e sono passati nella nostra Casa oltre 390 minori. Portiamo avanti progetti individuali e grazie alla conoscenza di ogni singola storia siamo in grado di individuare la casa famiglia più idonea. Nella nostra struttura le persone ospitate sono solo di passaggio, un passaggio mirato ad un inserimento sociale. Ogni casa famiglia ha una sua prerogativa e specificità, alcune sono indirizzate allo studio, altre al lavoro, e in base alle sensibilità di ognuno dei nostri ospiti possiamo chiamare di volta in volta le istituzioni che riteniamo più idonee per il loro progetto. Dopo oltre un anno di lavoro abbiamo costruito una “rete” importante che sta dando davvero buoni frutti. Sia con il mondo associativo che con quello istituzionale.
 Quali attività portate avanti dentro la vostra struttura?
Alcune attività le svolgiamo insieme a Terre des Hommes Italia, come, per esempio, il progetto “Faro 5”, che propone corsi d’italiano e di alfabetizzazione e lo sportello di ascolto, aperto due volte la settimana con la presenza di una psicologa. La Casa delle culture si occupa in generale di coinvolgere i ragazzi attraverso laboratori e progetti che si sviluppano sul territorio mettendoli così in rete con le realtà locali e con i coetanei del paese. “L’olio lo faccio io” ad esempio è stato realizzato in collaborazione con i bambini dell’Opera diaconale metodista. Ogni pomeriggio i nostri ospiti frequentano la scuola, presso il CPIA e, a turno, si occupano di custodire e sistemare le proprie stanze dando una mano all’organizzazione generale della Casa. Inoltre promuoviamo attività ludiche musicali, artistiche e culturali sia all’interno che all’esterno della nostra casa.
 Oggi è possibile fare un bilancio e raccontare chi sono e quali viaggi hanno dovuto affrontare le persone che ospitate?
All’inizio non siamo riusciti a renderci completamente conto di quanto fosse profonda la ferita delle persone a noi affidate, seppur ben consapevoli della loro tragedia. Attraverso le attività comuni, la convivenza e grazie ai loro racconti, superate le diffidenze e le paure iniziali, abbiamo compreso sino in fondo quanto la situazione fosse grave. Aprendoci le porte delle loro esistenze, noi in punta di piedi, siamo riusciti a conquistare la loro fiducia.
Marta Bernardini: “Uno sguardo privilegiato sull’Isola e dall’Isola”
A Lampedusa, attraverso il progetto Mediterranean Hope (MH) della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), è attivo l’Osservatorio sulle migrazioni mediterranee. Di cosa si tratta?
Il progetto Mediterranean Hope è iniziato a Lampedusa nel maggio 2014 con un Osservatorio sulle migrazioni. L’idea è stata da subito quella di costituire un luogo di monitoraggio sui flussi nel Mediterraneo, con uno sguardo privilegiato sull’isola e dall’isola. La raccolta di informazioni e la loro narrazione doveva andare oltre il solito racconto mediatico, per svelare dall’interno non solo quello che riguardava i migranti ma la vita stessa di questo scoglio nel cuore del Mediterraneo. Luogo diventato simbolo della frontiera, attraversato da diversi fenomeni e persone, Lampedusa è stata spesso strumentalizzata. Obiettivo dell’Osservatorio è quello di provare a decostruire questa narrazione per offrine una nuova.
In questi anni di lavoro nell’isola, quali sono state le vostre attività principali?
Oltre il lavoro prettamente comunicativo, di monitoraggio e di analisi dei fenomeni migratori, l’Osservatorio si è da subito reso conto che la collaborazione con il territorio era essenziale. Non si poteva affrontare l’elemento della migrazione senza tenere conto dei bisogni sociali dell’isola. Abbiamo così iniziato ad ascoltare le richieste e le esigenze che emergevano dal territorio offrendo il nostro tempo e la nostra collaborazione. Da qualche mese è nato il Forum Lampedusa Solidale, uno spazio aperto di confronto che coinvolge diversi lampedusani e nel quale riflettiamo sull’identità dell’isola e su come essere presenti per i migranti; tra le varie attività quella di prima accoglienza al Molo nel momento degli arrivi. Oltre questo, rimane essenziale il legame con le chiese evangeliche in Italia e all’estero, accogliamo spesso gruppi che vengono sull’isola per conoscere questa realtà e il lavoro di Mediterranean Hope, offrendo il nostro punto di vista. Lo stesso accade con giornalisti e ricercatori che attraversano questo luogo.
Avete costruito reti e collaborazioni? E con chi?
Proprio nella visione di comprendere il territorio in cui siamo inseriti e valorizzarlo, sono state molte le collaborazione che abbiamo costruito. Prima tra tutte quella con la chiesa cattolica locale, la relazione di fraternità con il parroco don Mimmo Zambito è stata una delle prime a guidarci sull’isola e ancora oggi è ricca e fruttuosa, e va dall’accoglienza ai migranti, all’incontro di delegazioni ecclesiastiche fino all’organizzazione di eventi su temi specifici. Collaboriamo anche con il collettivo Askavusa che ha uno spazio espositivo di oggetti di migranti e riflette su diverse questioni, tra cui la militarizzazione dell’isola e delle zone di frontiera. Abbiamo inoltre attivato una collaborazione con il GSD Lampedusa calcio, sostenendo le iniziative per giovani lampedusani. Da un anno aiutiamo l’unica biblioteca di Lampedusa, per bambini e ragazzi e abbiamo intenzione di proporre alcune iniziative nelle scuole. Oltre queste, tante sono state le collaborazioni nel tempo, con diversi gruppi e iniziative che si sono succedute.
Lampedusa è effettivamente un osservatorio privilegiato?
Lampedusa per noi rimane un luogo davvero significativo di osservazione. E’ mutata nel tempo in base ai fenomeni che l’hanno attraversata e la risonanza che i media ne hanno dato. Da questo piccolo luogo passa il mondo intero e si possono vedere in prima linea dinamiche che altrove sarebbe più difficile comprendere. Le scelte politiche che vengono fatte altrove qui hanno un effetto evidente. Diciamo spesso che Lampedusa è stata un laboratorio, un luogo di sperimentazione mediatica e politica, essere qui oggi significa comprendere con un’esperienza diretta la frontiera e i suoi meccanismi. Abbiamo incontrato tante persone approdate sull’isola, con le loro storie e i loro desideri che troppo spesso si sono scontrati con la realtà della struttura burocratica e militare dell’accoglienza.
Il 3 ottobre, giorno della tragedia che nel 2013 fece 368 morti a poche miglia dal porto di Lampedusa, l’isola ricorda le vittime. Come FCEI e Osservatorio MH proponete da due anni una preghiera interreligiosa. Cosa prevede?
La tragedia del 3 ottobre ha scosso profondamente l’isola di Lampedusa, quando dei semplici cittadini che si trovavano in mare per pescare hanno salvato i superstiti di quel terribile naufragio. Questa data rimane una ferita aperta che non deve essere dimenticata, perché possa essere momento di ricordo ma anche di denuncia. Così la FCEI insieme alla parrocchia di Lampedusa e l’Arcidiocesi di Agrigento ha pensato di organizzare un momento di preghiera che potesse rappresentare tutte le sensibilità. Ospiti di diverse religioni si sono ritrovate nel 2014 e nel 2015 per condividere insieme ai lampedusani e ai sopravvissuti della tragedia uno spazio di espressione spirituale, di preghiera, di silenzi, di canti e di parole per tutte le vittime del mare e delle frontiere. Non solo un momento di ricordo ma anche di presa di impegno per tutti coloro che rischiano la vita cercando futuro e speranza.
NEV - Notizie Evangeliche, Servizio stampa della Federazione delle chiese evangeliche in Italia - via Firenze 38, 00184 Roma, Italia tel. 064825120/06483768, fax 064828728, e-mail: nev@fcei.it, sito web: http://www.fcei.it .


Venerdì 20 Novembre,2015 Ore: 21:21
 
 
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